Bloody Temptation
Un
numero scritto su un foglio volante. La calligrafia
svolazzante. Insomma, cavolate. Ma di un enorme importanza,
che, se pensi in un modo così pessimista e sadico,
risultano fatali.
Sì,
fatali. Fatali perché se tu pensi che siano cose
importanti, lo diventano. Sempre. La disperazione per una
sciocchezza del genere, può indurre a fare cose
pazze. Quando ti tolgono qualcosa a cui tieni, tutto ti
induce a far sì che tu la riprenda. Inevitabile.
Faresti di tutto per riaverla con te, tu e la cosa siete un
tutt’uno.
Voi
soli sapete a cosa serve veramente. Voi soli sapete che
quella cosa va usata a quel modo, non per sciocchezze nelle
mani altrui. Voi soli conoscete la perfezione della vostra
unione. Pensate in due, ma agite in uno.
Tutti hanno un
lato oscuro.
Pazzia
Appena
vidi il numero seguito da due lineette, sbiancai. Pensai
che ormai tutta la mia vita ruotasse attorno a questo
momento. La donna me lo diede, il foglio volante, con
indifferenza e senza nemmeno guardarmi negli occhi.
Non
considerava questa cosa un tale pericolo. Ingenua. Sciocca.
Ignorante. Non era possibile. Tutto rovinato.
A
cosa serve la vita, se poi muori? Eh? Molti dicono che ogni
vita, per quanto imparagonabile alla perfezione
dell’universo, è un tassello importantissimo,
che lo fa mandare avanti. Allora che ne dite di tutti
quelli che non vengono conosciuti, resi famosi? A cosa
servono quelle piccole, inutili vite che hanno fatto, se
tanto nessuno ne gode? Mandare avanti la vita? Che
sciocchezza, che sciocchezza. La stupidità umana è
una cosa incredibile. Ti induce a pensare a cose assurde,
impossibili, tanto per consolarsi. Già. La vita
serve solo a soffrire, anche se ci sono momenti felici,
tanto morirai e non te ne ricorderai. Il ragionamento,
secondo voi, è tale e quale anche per il dolore.
Beh, anche se te ne dimentichi, intanto lo soffri.
Con
una incalcolabile velocità strizzo gli occhi e poi
li riapro. Ma perché? Sapevo benissimo che la realtà
ora era quella.
Delicatamente
prendo il foglio volante e lo porto, con più
contegno possibile, al mio scheggiato e ciccoso banco.
I
ragazzi, per quanto stupidi, notano il folle panico nei
miei occhi. << Quanto hai preso?>> chiede un
ragazzino con fare canzonatorio. Lo guardo nei suoi piccoli
buchi castani cisposi. Riduco a fessura gli occhi, ora non
più miei e gli lancio un occhiata ardente, mentre
ringhio. La mia reazione gli fa sgranare gli occhi e
barcollare, ma, quando mi siedo sulla sedia mezza rotta, e
appoggio il maledetto foglio volante sul tavolo
(naturalmente
non ho compagni di banco, stanno lontani da me, ma è
esattamente quello che io voglio)
Un
tizio mi urla:
<<
Scommetto che hai preso tre, eh? O forse anche uno!!>>
Da
quel momento in poi, il corpo fu del tutto non mio. La mia
mente, già contorta, pensa in un millesimo di
secondo. Schizzo verso la forbice del banco più
vicino, e, con un’enorme rabbia, gliela ficco con
violenza in pancia.
Il
ragazzetto, che prima aveva lo sguardo pregno di un folle
divertimento, ora mi fissa con occhi vitrei, spalancati.
Non odo le urla che mi circondano, ma odo il mio ghigno e
il rantolo del ragazzo, persino il suono delle sue lacrime
che scendono sulle sue guance… Non penso più
a niente. Tolgo con un secco gesto, pieno di gusto,
la lama della forbice dal buco rosso della sua pancia, e,
correndo verso la porta, la buttò in terra con
violenza. Spalanco la porta della classe e mi dirigo verso
l’ingresso della scuola. Apro le grandi porte di
vetro e scappo.
Verso la finta
libertà.
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