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Autore: Kagedumb    17/12/2019    0 recensioni
Non puoi sempre incolpare il tuo partner. Devi cambiare. [archiviato in Fighting, based on a True Story]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Noctis Lucis Caelum, Prompto Argentum
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I. - Ma è il mio migliore amico!


Credo fosse da poco cominciata l'estate, quando tutto questo ebbe inizio.
Ci conoscemmo che mi frequentavo da un bel po' di tempo con un suo caro amico, e così un giorno me lo ritrovai al bar, seduto comodamente ad un tavolino a sorseggiare caffè. All'epoca, ancora poteva permettersi di berlo senza troppe conseguenze, erano anni spensierati.
Ci presentammo, avevo forse quindici anni. Quando il suo sguardo incrociò il mio capii immediatamente che qualcosa da lì a poco mi avrebbe scosso nell'anima.

C'era una sinergia, una connessione profonda e particolare di cui non conoscevo la fonte, ma la sentivo, e tutta si catalizzava su Noct.




Per la prima settimana dopo quell'incontro non ci parlammo più, finché non presi coraggio e riuscii a scrivergli un messaggio sui social. Sinceramente non ricordo nemmeno cosa gli avessi scritto, probabilmente non era importante. Alla fine, volevo solo rompere il ghiaccio... e qualche giorno più tardi ci trovammo allo stesso bar, di mattina, per un altro caffè. Mi raccontò delle sue passioni più grandi, e tra le tante spiccava la musica. Me lo immaginavo già, in una rock band. Il pensiero mi fa ancora ridere, soprattutto considerando che ora so che genere predilige (e fidatevi, non è per niente rock).
Mi raccontò dell'inadeguatezza sociale che provava, il suo "sentirsi un alieno". Era da un po' che non trovava stimolante uscire con qualcuno, si stava spegnendo, non gli interessava nemmeno conoscere una ragazza con cui trascorrere il weekend. Mi feci completamente intenerire dal suo modo di esporre il disagio, che pensai di volerlo accanto a me, nella vita, per dargli un po' di forza, per incoraggiarlo. Volevo si aprisse, e si aprì. A me, solo a me.

E così partimmo per questo lungo viaggio. Sarà durato quasi sei anni. Sempre assieme.



Ci sono stati momenti dove non ci siamo parlati per molte settimane, a volte qualche mese. Erano lunghi break che lui prendeva per ristabilire un equilibrio, mentale ed emotivo, e la maggior parte delle volte, in quello stesso periodo, io ricominciavo a frequentare qualcuno di diverso.
E ci perdevamo. Per un po'.
Ma quando tornavamo eravamo sempre noi. Noctis e Prompto.

Ci raccontavamo tutto, nei dettagli. Spesso facevamo notte al cellulare, e ci raccontavamo anche le preoccupazioni, l'ansia, l'insonnia, la frustrazione. Abbiamo sempre saputo tutto, tutto dell'altro. E ci andava benissimo così.
Una fratellanza, non di sangue, ma pura. Purissima. Che un rapporto così sincero non lo aveva mai visto nessuno.


Una sola regola: la tranquillità.
In poche parole, Noctis era per il novanta per cento del tempo, tipo "Non voglio rogne". E come dargli torto? I problemi mi inseguivano e, ovunque apparissi, o si pronunciasse il mio nome, ci sarebbe stato qualcosa di cui preoccuparsi.

E proprio quando infragevo la prima, sola ed unica regola... era lì, che si alzavano i muri.
Noctis iniziava a dare i numeri. La mancanza di rispetto che provava, (Principe!), la tempesta a scuotergli l'animo, ulteriori paure... E scappava. La via facile, no?
Allontanarsi dal problema per non pensarci, per non affrontarlo.
Furbo.
"Ho bisogno di stare da solo", diceva.

Poi un giorno, puf.
Era di nuovo Noctis.
Era di nuovo "Ehi, come va?", "ti va se ci vediamo?".


Cosa potevo rispondergli se non che fosse tutto okay? Alla fine, la mia vita procedeva normalmente, nonostante tutto, e mi stavo addirittura iniziando ad abituare alla sua assenza, nonostante la delusione e il periodo sofferto iniziale, (vorrei fosse la stessa cosa anche adesso, ma è un po' più complicato).






Una sera, neanche troppi mesi fa, tanto della fiducia e della stima reciproca, mi confessò che nelle sue fantasie malinconiche, (dato il suo sentirsi incompreso e solo), io ero la persona che nella notte gli avrebbe accarezzato la testa e gli avrebbe sussurrato che andasse tutto bene. Ed alla fine lo ho fatto, peccato solo che lui oggi non voglia più ricordarsene.

Non mentirò, mi sentii importante. Finalmente importante per qualcuno. Soprattutto perché in quello stesso periodo ero con una persona che di affetto me ne voleva meno di zero.
Capii, dunque, che Noctis volesse trasmettermi qualcosa, e quella prima confessione fu una piccola scintilla di un fuoco che si sarebbe acceso solo più tardi.






Prima di quest'anno non ci eravamo mai baciati.
Ci eravamo visti nudi, forse, ci eravamo scambiati i vestiti, ma non ricordo una volta che negli anni ci fosse mai stato un contatto più intimo e malizioso.
O forse sì.

Eravamo in macchina e mi stava accompagnando dal tipo con cui ero impegnato all'epoca. Non lo so perché, non ci fu nulla, ma ci guardammo per un istante allo stop di un semaforo; per pura casualità, davvero.
Eppure, solo Dio sà cosa ci saremmo fatti in quel momento se non ci fosse stato l'imbarazzo e il common sense a ricordarci "Ma è il mio migliore amico!"

Già, il mio migliore amico.



Chissà come io abbia resistito negli anni a vederlo ogni volta con una persona diversa. Se ci penso ora, mi ribolle il sangue e mi si manifesta quell'ossessività da controllo che sottolinea, ancora una volta, la mia insicurezza cronica e la mia sfiducia nel genere umano (oltre che la mia autostima inesistente, ovviamente).
Ma non voglio soffermarmi.


Passavamo le giornate a scherzare, fare una passeggiata, mangiare qualcosa al MC's, giocare ai videogiochi: tutto nella norma, semplicemente come due comuni amici. Stavo spesso, spessissimo a casa sua, vuoi per un motivo, vuoi per un altro. A volte semplicemente non voleva uscire, ma gli andava di vedermi. Era tutto particolare nel suo genere.
Eppure mai pensammo che saremmo potuti finire in questa situazione.

Per me era un'utopia pensare di innamorarmi del mio migliore amico (un tempo, addirittura, dicevo fosse da scemi, disadattati sociali, che avrebbero ripiegato sull'amico pur di non stare da soli)... ma, successe.



E successe una notte di giugno, quando stette male con la pancia.
Ero da lui. Corsi, preoccupato. Addirittura lo convinsi a farsi accompagnare in ospedale. Ho un ricordo molto, molto nitido.

Gli facevo compagnia sul suo letto, parlavamo. Dall'altro lato, avevo qualcuno ad aspettarmi a casa per trattarmi male e sfogare su di me le sue frustrazioni, ed il pensiero mi metteva anche un po' di angoscia; ma Noct era Noct, e non lo avrei mai lasciato lì per tornare dove sarei moralmente dovuto essere.
Continuavo a pensare "Dovrei tornare? Ma no, sta male, poverino, non mi va di lasciarlo da solo". E dunque, rimasi. Tutta la notte.
"Alla fine è il mio migliore amico, sto solo facendo il mio dovere."

Ero steso, perpendicolare a lui, con il capo appoggiato leggermente sulla sua spalla.
Parlavamo, o forse guardavamo un video sul portatile. Onestamente, non ricordo.
Però mi ricordo che rise. Nonostante i dolori lancinanti, la stanchezza, la sofferenza, rise. E ridemmo.

Ci fu uno scambio di sguardi. Mi iniziò a baciare il collo.




La mia mano destra scivolò nelle mie mutande,
e rovinai tutto.
Compreso il sonno.
  
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