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Autore: ballerina 89    22/12/2019    2 recensioni
Dopo anni passati alla ricerca di una vita perfetta...o quasi, ecco che i nostri amati beniamini Emma e Killian si ritroveranno a festeggiare, in famiglia, quello che sarà per loro un Natale senza ombra di dubbio da ricordare.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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POV EMMA

 

Se cinque anni fa qualcuno mi avesse presa da parte dicendomi che la mia vita sarebbe drasticamente cambiata, diventando sotto ogni punto di vista meravigliosa, credo che gli sarei scoppiata a ridere in faccia o nella peggiore delle ipotesi lo avrei preso seriamente a calci nel sedere. Per tutta la vita ho sempre desiderato una sola ed unica cosa: una famiglia, ma mai e poi mai avrei creduto che tale desiderio un giorno si sarebbe davvero realizzato.

 Sono passata dall’essere una bambina problematica, che si metteva nei guai un minuto si e l’altro pure, ad un’adolescente per nulla responsabile. Non ho mai avuto qualcuno che mi riportasse sulla retta via o detto che stavo facendo una stupidaggine, sono sempre stata lasciata a me stessa e di conseguenza chi mai avrebbe tenuto sotto il suo stesso tetto una persona poco affidabile come me? Ve lo dico io: Nessuno. 

Tante famiglie ci hanno provato in realtà, devo essere onesta su questo, ma nessuno è mai riuscito a farmi sentire come si suol dire “a casa”. Ho sempre attribuito la colpa di questa cosa a loro, ma solamente adesso che ho una visuale differente della vita mi rendo conto che la colpa in realtà è sempre stata solamente mia. Non ho mai dato loro modo di avvicinarsi a me nel giusto modo, di conoscermi, di dimostrarmi che in realtà ci tenessero a me. Li allontanavo a prescindere da tutto e li portavo ad un punto dove l’unica soluzione per riavere in famiglia la pace e la tranquillità era riportarmi indietro. Solo con due famiglie mi sono trovata bene ma anche lì il caso ha voluto che succedesse qualcosa per cui mi rimandassero indietro o addirittura che scappassi io stessa. Forse il sortilegio oscuro ha influito perché questo accadesse, non lo so, ma di sicuro il dovermi allontanare da due “quasi” famiglie perfette mi ha segnata a tal punto da portarmi a commettere l’unica cosa che mi ero sempre ripromessa di non fare ovvero ripetere lo stesso errore dei miei genitori biologici. 

Quando si è bambini si pensa alla mamma e al papà come unica e sola famiglia ma da adolescente le cose cambiano e oltre alla famiglia, chiamiamola tradizionale, si insinua nella mente il pensiero di formarsi in un  futuro una propria famiglia, formata da un marito e perché no da dei figli.  Nonostante non avessi mai avuto l’affetto da parte di un genitore ogni tanto anche a me capitò di fantasticare sulla possibilità di diventarlo un giorno ma poi prontamente tornavo alla realtà e abbandonavo completamente l’idea convincendomi che nella mia famiglia originale, molto probabilmente, c’era un gene incompatibile con la genitorialitá  e di conseguenza, onde evitare di ripetere il loro stesso errore, sarebbe stato meglio non mettere al mondo nessuno. Con un pensiero come questo nella mente si deduce che la responsabilità in certi campi era da dare per scontata no? Ma una come me poteva mai essere responsabile su qualcosa a quei tempi? Assolutamente no ed ecco che mi ritrovai seriamente nei guai restando incinta a 18 anni appena compiuti. Sapevo perfettamente come funzionasse la cosa e i rischi che comportavano determinate azioni eppure anche lì permisi a me stessa di prendermi troppe libertà autoconvincendomi che a me non sarebbe mai accaduta una cosa del genere.

Devo ringraziare la mia buona stella che sia accaduto con Neal, di cui ero seriamente innamorata e non prima con uno sprovveduto qualsiasi, ma soprattutto devo ringraziarla maggiormente per essere finita in carcere proprio durante quel periodo. Eh già... sembra strano vero? Eppure è così... se fossi stata da qualsiasi altra parte in quel momento, dopo la batosta presa con Neal, dubito fortemente che avrei portato avanti la gravidanza visto i miei pensieri. 

Abortire è stata la prima cosa che mi venne in mente di fare una volta letto il risultato del test di gravidanza ma grazie alle guardie del carcere, sopratutto una, la quale mi prese talmente a cuore che assistì addirittura anche al parto, rivalutai l’idea iniziale e decisi di optare per l’opzione mento tragica ma al tempo stesso più dolorosa: mettere al mondo “mio figlio” ma darlo via. È proprio questo l’errore che mi ero tanto ripromessa di non commettere: abbandonare come io stessa ero stata abbandonata... Ho sempre odiato i miei genitori per avermi fatto questo torto, come si poteva abbandonare un neonato così, senza nessun motivo logico? Non ho mai saputo darmi una risposta fino al giorno in cui capitò a me la stessa cosa. Io avevo un motivo più che valido per compiere quel gesto, non sarei stata in grado a 18 anni e senza una casa di prendermi cura di un bambino cosi piccolo e questo mi fece aprire una visuale diversa di quelli che erano stati fino a quel momento i miei pensieri. Dopotutto forse anche loro, i miei genitori biologici, avevano avuto i loro buoni motivi per compiere quel gesto e forse, come nel mio caso, la colpa non era la mia... qualcosa doveva avergli impedito di tenermi con loro. 

Devo ringraziare le guardie del carcere per questa nuova consapevolezza, è tutto merito loro se non ho preso la strada più breve; molto probabilmente se non ci fossero state loro a farmi ragionare a quest’ora Henry non sarebbe neanche qui... di sicuro non sarebbe stato qui.

Henry.. il mio Henry... credevo sarebbe stato più semplice allontanarmi da lui una volta nato eppure fu tutto tranne che semplice. Credevo di essere pronta a farlo, erano nove mesi che mi preparavo all’idea dopotutto. Ricordo di aver pensato le seguenti parole:  “soffrirai fisicamente per qualche ora ma poi sará tutto finito... l’unico ricordo di lui sará unicamente questo:il ricordo dei dolori parto... nulla di più!”

Una bugia... non era nient’altro che una bugia quella. In realtà la cosa che ricordo di meno è proprio quella che credevo sarebbe rimasta per sempre incisa nella mia mente. Del parto in se non ho ricordi precisi se non il fatto che ero spaventata a morte per quello che stava accadendo al mio corpo, quello che ricordo con esattezza però è il prima e naturalmente il dopo. Per nove mesi abbiamo vissuto a stretto contatto io e lui, viveva dentro di me e io... beh, nonostante non lo accettassi, non potevo far a meno di vivere per lui. Siamo diventati “grandi” insieme, ci siamo alleati con la scusa delle nausee per avere dei permessi speciali per un’ora d’aria in più, abbiamo litigato quando io volevo dormire mentre lui al contrario si divertiva a tenere delle feste dentro di me... un rapporto di simbiosi il nostro, fatto di amore e odio, che per anni il solo ricordo è stata la mia tortura, ma che adesso costudisco come un dono prezioso in quanto nessuno oltre a me ha mai avuto modo di avere un rapporto così intimo con lui, neanche la stessa Regina che lo ha praticamente cresciuto.  “Intruso”... così lo chiamavo: “Buongiorno intruso, già sveglio oggi?” “Che ti prende oggi intruso!” “Ehi guarda che ti dico bene intruso... vedi di iniziare a fare le valigie che tra poco parte lo sfratto”. Ogni giorno trovavo il pretesto di fargli ascoltare la mia voce, trovavo buffo ma anche tenero il fatto che si muovesse ad ogni mia domanda come se volesse rispondermi... mi stavo affezionando in realtà a quella presenza, d’altronde era il mio compagno di cella per eccellenza no? Eppure anche se la maggior parte delle volte parlavo con lui per “insultarlo” la verità è che dentro me stessa stavo cercando di godermi a pieno il più possibile quei momenti prima della fine. Non ero molto coerente con me stessa lo so, volevo darlo in adozione ma al tempo stesso desideravo continuare ad averlo vicino... mi piaceva la piega che aveva preso la nostra convivenza, non sempre ma quasi almeno... Con lui li con me non mi sentivo più sola. Ero bipolare forse? Mmh.. lo pensai seriamente per un periodo ma la realtà dei fatti era semplicemente un’altra : ero già completamente innamorata di lui. 

Il tanto temuto sfratto un giorno però arrivò sul serio, non ricordo molto come ho già detto prima, ma una cosa di sicuro non non l’ho mai dimenticata.  Mai fidarsi delle dicerie di paese, dietro di loro nascondono sempre qualcosa che non ti dicono. Mi hanno sempre detto che il primo incontro visivo tra madre e figlio scaturisce un amore indissolubile tra i due... non si può non amare un figlio se lo si guarda negli occhi e di conseguenza se volevo darlo via avrei dovuto evitare questa cosa. Ero dubbiosa sul da farsi ma alla fine, anche se durante quei mesi la curiosità di vederlo almeno mezza volta, per sapere da chi avesse ripreso i suoi tratti,  mi era passata di mente decisi di non farlo... non potevo tenerlo con me e legarmi a lui e di conseguenza innamorarmi non rientrava assolutamente nei piani. Di sicuro è una notizia veritiera questa, non lo metto assolutamente in dubbio, ma di certo non è l’unica cosa che instaura un legame speciale tra madre e figlio... io ne so qualcosa.  Se mi avessero  avvisata che sarebbe accaduta la stessa cosa anche con il semplice ascoltare la sua voce molto probabilmente avrei proposto al medico di farmi fare un cesareo onde evitare che questo accadesse, invece no... non mi dissero nulla lasciandomi affrontare da sola le amare conseguenze. Impiegai ore per far nascere Henry e anche se ho ricordi sfogati di quel momento ci sono cose che non smetterò mai di tenere impresse nella mente: il dolore, lo sfarfallio delle luci e la sua vocina squillante. Il dolore passa nell’immediato posso garantirvelo ma quel suono... beh quel suono è di sicuro uno dei più belli esistenti sulla faccia della terra e devi essere proprio un mostro per non innamorartene all’istante. Il pianto a pieni polmoni di “mio” figlio risuonò nella stanza come un fulmine a ciel sereno quel giorno facendomi sorridere in automatico e come se non bastasse proprio mentre stavo per voltarmi verso la parete opposta, onde evitare di essere tentata di vederlo, i miei occhi si imbatterono in un piedino minuscolo che usciva fuori dal telo verde in cui il medico lo aveva avvolto per pulirlo. Fu una frazione di secondo ma quell’immagine affiancata alla melodia di sottofondo del suo pianto mi fecero totalmente perdere la testa per lui. Altro che occhi dentro occhi... non c’è bisogno di un gioco di sguardi per innamorarsi del proprio figlio, ci si innamora di lui e basta senza riserva alcuna. 

Nei dieci anni avvenire non è passato un singolo giorno in cui non mi sia pentita o maledetta per la decisione presa ma rimediare e tornare sui proprio passi era pressoché impossibile ormai: avevo optato per un’adozione chiusa, tutte le informazioni relative a me o ai suoi genitori adottivi erano riservate, per tanto non avrei mai potuto ritrovare il mio bambino.

Provai ad andare avanti con la mia vita facendo finta che questo capitolo non fosse mai esistito ma per quanto ci provassi la mia mente tornava, volente o nolente, sempre lì. Mi capitava di andare a lavoro e mentre ero nel bel mezzo delle mie mansioni d’ufficio ritrovarmi a fare ricerche sui possibili istituti e case famiglie esistenti di Boston, oppure quando ero in strada, o per commissioni domestiche o sempre per lavoro, ritrovarmi spesso e volentieri al parco ad osservare i genitori con i propri figli cercando di scorgere una possibile somiglianza con me o Neal in uno di quei bambini, tornare a casa e piuttosto che leggere un libro o guardare un film fissarmi ore e ore su l’unica ecografia, l’ultima per la precisione, che avevo deciso di tenere... ogni cosa che facessi lui risultava il protagonista indiscusso... tutto girava intorno a lui.  Ero fermamente convinta che prima o poi sarei finita in analisi per questo, stavo perdendo di vista la mia vita per pensare ai miei errori passati, mi stavo isolando da tutto e da tutti... avevo smesso di vivere, stavo cercando semplicemente di sopravvivere e tenermi a galla. Non so per quanto altro avrei resistito in quelle condizioni senza impazzire,  non per molto credo, ma poi, proprio nel momento in cui ne ebbi più bisogno un angelo si presentò alla mia porta donandomi nuovamente la voglia di vivere. Era il giorno del mio ventottesimo compleanno, ero appena tornata a casa dopo una giornata intensa di lavoro e per fare qualcosa di diverso dai miei soliti compleanni, ovvero mettermi a letto e dormire sperando passasse in fretta, tirai fuori dalla borsa un cupcake comprato proprio in mattinata e dopo acervi messo una candelina sopra provai ad esprimere un desiderio sperando in un miracolo. Ero convintissima che non avrebbe funzionato, non ero di certo una bambina che credeva che un desiderio ti avrebbe cambiato la vita, eppure qualcosa successe. Chiamiamolo destino, fato... non lo so, quella sera però qualcuno, un bambino, bussò alla mia porta e con una semplice frase ad effetto: “mi chiamo Henry, sono tuo figlio” mi donò nuovamente la voglia di vivere. Fu uno shock inizialmente, mi sarei aspettata di tutto dalla vita tranne che questo, ma presto iniziai a familiarizzare con questa nuova realtà. Iniziavo ad essere felice ma questo era sonante l’inizio.  Non solo avevo ritrovato il mio bambino ma grazie a lui, a distanza di un anno trovai anche la mia famiglia d’origine e anche se alquanto bizzarre, ebbi  finalmente risposte su quello che era sempre stato il mio dilemma esistenziale. Una vita difficile senza ombra di dubbio la mia ma al tempo stesso piena di sorprese e cose inaspettate. Finalmente dopo anni e anni di ricerca finalmente conoscevo anche io il vero significato di felicità o meglio parte del significato. Mancava ancora una cosa nella mia vita: l’amore. Avevo sperimentato cosa significasse amare e per quanto la cosa fosse senza ombra di dubbio allettante e affasciante decisi di rimanerne a debita distanza. Amare andava a braccetto con la parola sofferenza secondo me e siccome avevo già sofferto abbastanza ora che avevo finalmente un po’ di serenità non volevo nuovamente cadere nel baratro. Servì a qualcosa tenersi a distanza dall’amore e fare la sostenuta? No perché di tante persone che incontrai sul mio cammino suscitai l’interesse, e mi innamorai a mia volta, proprio di colui a cui piacevano le sfide. Killian Jones, meglio conosciuto con il suo nome d’arte capitan uncino, la persona più egocentrica di questo mondo piombò nella mia vita in maniera improvvisa e senza che me ne rendessi conto, tra un odioso modo di fare e l’altro, mi fece cadere letteralmente ai suoi piedi facendomi scoprire che l’amore non ha niente a che vedere con la parola sofferenza se si trova la persona giusta. Già... Killian Jones è la persona giusta... la mia persona giusta e dopo anni di fidanzamento e un matrimonio eccoci finalmente giunti a tagliare il traguardo più importante di tutti per una coppia: costruirci una famiglia tutta nostra. Siamo già una famiglia, marito e moglie costituiscono già da se una famiglia... poi abbiamo anche Henry che Killian considera a tutti gli effetti come suo figlio a renderci tale, ma presto arriverà anche il frutto del nostro amore a riempirci la vita di gioia e questo non potrebbe renderci più felici. Devo essere onesta, inizialmente ho avuto qualche difficoltà ad accettare la cosa, non lo avevamo programmato, non avevamo mai parlato dell’eventualità di allargare la famiglia e di conseguenza la prima paura che mi sfiorò la mente una volta aver scoperto della gravidanza fu: “ e se Killian non ne fosse felice?” Evitai di dirglielo per due settimane, avevo troppa paura che i nostri equilibri si sarebbero spezzati, ma poi le nausee iniziavano a farsi sempre più insistenti e la scusa di avere l’influenza  che  mi ero pietosamente inventata non avrebbe retto ancora per molto. Glielo dissi di getto, senza girarci minimamente attorno e con mio grande stupore si rivelò esserne entusiasta. Che fosse una semplice copertura la sua? Un fingere per non darmi troppi grattacapi visto che non si poteva porre rimedio al danno fatto? Pensai anche questo lo ammetto e inutili furono le sue parole di incoraggiamento per tentare di farmi cambiare idea. Sono una gran testa dura, lo sono sempre stata, difficilmente riesco ad abbandonare le mie prime impressioni nonostante esse possano essere completamente sbagliate, ma c’è una cosa che fortunatamente ogni tanto mi fa rivalutare le cose ed è il mio super potere... Riesco a vedere e a capire quando qualcuno mi sta mentendo. Con Killian ogni tanto fa cilecca purtroppo, sopratutto quando tenta di tranquillizzarmi su qualcosa... ho sempre paura che dica cose solo per rincuorarmi e di conseguenza non riesco ad andare oltre i miei muri, ma se con le sue parole spesse volte ho delle difficoltà non posso dire altrettanto per il suo sguardo. le sue pietre azzurre sono come un libro aperto per me ed è proprio quando smisi di ascoltare le sue parole che tutto mi fu più chiaro: nell’esatto momento in i suoi occhi si posarono per la prima volta sull’immagine di nostro figlio, che ai tempi era ancora solamente un minuscolo puntino, ed udì il suono che faceva il suo cuoricino ecco che ebbi finalmente l’assoluta certezza che le sue parole erano pura verità: amava già incondizionatamente il frutto del nostro amore e quei suoi occhi lucidi ne furono la prova schiacciante. 

Accantonata quella paura il mio cervello iniziò ad elaborarne altre e iniziai a pensare di non essere all’altezza di tale compito. Ero una mamma è vero, c’era già qualcuno nella mia vita che mi chiamava in quel modo e che dipendeva, per alcune cose, da me ma non era la stessa cosa... Ho iniziato ad occuparmi di Henry che era già grande e autonomo, per molte cose non ha mai avuto bisogno di me; con questo bambino sarebbe stato tutto diverso invece, con lui avrei dovuto iniziare dal principio.... e se non ne fossi all’altezza? “Ti stai preoccupando inutilmente.” “Vedrai... ti verrà tutto naturale.” “Sei una mamma fantastica con Henry, vedrai che con lui o lei sarà lo stesso.” Ogni singolo membro della nostra famiglia provò a darmi conforto nella speranza di alleviare le mie paure ma la verità è che con i loro modi di fare mi misero ancora di più in allarme e più i mesi passavano e più il panico si impossessava di me. Desideravo questo bambino più di qualsiasi altra cosa al mondo, non vedevo l’ora di poterlo stringere tra le braccia credetemi, contavo i giorni che mi separavano al suo arrivo ma allo stesso tempo ero pietrificata dalla paura. Credete sia tutto? Eheheh no! Ad aggiungersi a tutto questo poi ci furono i così chiamati sbalzi d’umore o sbalzi ormonali... beh casa mia divenne un vero e proprio campo di battaglia, ogni giorno vi era un motivo o anche più di uno per avercela con qualcuno e quasi sempre quel qualcuno era quel poveraccio di mio marito. Quanta pazienza amore mio... ancora adesso mi chiedo come non abbia deciso di scappare di casa a gambe levate. Davo di matto per qualsiasi cosa... qualsiasi: lo spazzolino lasciato sul lavandino piuttosto che nel bicchierino apposito, il troppo rumore, il troppo silenzio.... anche un semplice buongiorno poteva portarmi ad una crisi di nervi se detto in un momento per me sbagliato. Per non parlare dei pianti... ero un continuo piangere: mangiavo e piangevo, guardavo un film e piangevo, vedevo mamme con i propri bambini in giro per strorybrooke e piangevo... la nostra cittadina in pratica ha rischiato l’inondazione un giorno sì e l’altro pure. Per non parlare della magia... era meglio non nominarla. Riuscii a darmi un contegno e a placare i miei sbalzi d’umore solamente durante il settimo mese di gravidanza ma solo perché capitò di mezzo il periodo più bello dell’anno: il Natale e di conseguenza ero troppo impegnata ad arredare la casa e a fare le mie ormai famose raccolte di beneficenza per bambini meno fortunati per potermi perdere nei miei abissi ormonali. Quello fu di certo l’unico  periodo di pace sia per me e per gli altri avuto in tutta quella gravidanza anche se, se proprio devo essere onesta, ricordo che anche in quell’occasione ci fu uno scontro a fuoco abbastanza importante. Eh già... come dimenticarlo. Forse a pensarci bene, visto anche le conseguenze che ne scaturirono fu addirittura il peggiore di tutti. Tutto partì da una stupidaggine, da una piccola cosa che si sarebbe potuta risolvere facilmente con del semplice e sano dialogo ma che io ho voluto trasformare in un vero proprio show segnando in maniera indelebile quel Natale. 

 

Note dell’autore: Eccomi qui! Credevate che me ne fossi dimenticata vero? E invece no. ogni promessa è un debito ed eccomi quindi pronta  a mostrarvi questo secondo capitolo. Questa mattina abbiamo parlato di Killian, dei suoi Natali passati e della sua difficoltà ad accettare l’amore nella sua vita dopo le sue spiacevoli disavventure, in questo capitolo parliamo invece di Emma che a quanto pare non se l’è passata poi tanto meglio di suo marito. Si sono trovati quei due diciamo così ehehehehe 

Insieme ne hanno passate davvero tante e lo sappiamo bene ma io ho voluto regalare loro un’altra avventura da aggiungere alla loro inestimabile collezione. Siete pronti a sapere di più? Se si vi do appuntamento a domani. 😘 ciaoooooo 

PS. Come nel capitolo di questa mattina non posso non accontentare una delle mie lettrici più accanite regalandole un’ulteriore immagine riassuntiva.

 

 

  
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