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Autore: Melanto    25/12/2019    4 recensioni
[Midquel di 'Malerba']
Gli elementi principali dell'ikebana sono tre, chiamati in modi differenti e sintetizzabili in: Paradiso, Uomo e Terra.
Preso nel mezzo, tra ciò a cui appartiene e la fede da ritrovare, l'Uomo si curva e dibatte alla ricerca di un equilibrio ideale. Ma la ricerca può essere guerra, e se dopo tante sconfitte c'è chi riesce ad assaporare la pace delle prime vittorie, allo stesso modo c'è chi, dopo aver passato una vita intera a dominare, inizia a soccombere sotto il peso delle sconfitte nascoste.
Questa raccolta è fatta di vittorie e disfatte diluite nel Tempo, ma senza dimenticare...
...che non è il tempo a perdersi, siamo noi a perderci nel tempo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mori no Kokoro - Il Cuore della Foresta'
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Jikan - #5

Note Iniziali: Questa shot è ambientata il 25 Dicembre (ma va? XD) dello stesso anno della shot #4 (sono quindi passati quattro mesi).

 

Buona lettura :3

 

 

 

 

 

 

- #5: Malerba di Natale -

 

 

 

Shuzo il Natale lo odiava e già dagli inizi di novembre si trasformava in un Grinch.

Lo infastidivano le lucine, lo irritavano le musichette a tema, non sopportava la gente che correva a comprare i regali. E magari queste tre cose insieme riusciva ancora ancora a sopportarle, paragonate al ricordo di averlo sempre passato da solo, perché con Yuzo preferiva trascorrere il Capodanno: il Natale lo lasciava ai suoi genitori.

Forse neppure questo ricordo di solitudine era proprio il primo motivo per cui avrebbe abolito il Natale da tutti i calendari del mondo.

La verità era che faceva un freddo del diavolo che la metà bastava.

E lui odiava il freddo, ne era refrattario. Era nato lucertola, e d’inverno sarebbe dovuto andare in letargo. Perché la sua natura lo costringeva a vivere e dover abbandonare il caldo del piumone per uscire fuori al freddo?!

Lo odiava.

Shuzo lo odiava proprio.

Con quell’infantilismo con cui i bambini odiavano i broccoli e battevano i piedi a terra per dire ‘no, no e poi no!’.

Il freddo, Shuzo non riusciva a soffrirlo perché ne aveva patito tanto, da entrargli nelle ossa come una malattia che si riaccendeva appena la temperatura scendeva sotto alla soglia di guardia – che per lui erano i venti gradi.

Freddo quando scappava di casa, e restava a dormire sotto i ponti di Nankatsu.

Freddo quando in riformatorio lo mettevano in punizione.

Freddo quando a Shizuoka spacciava in strada anche con meno sette gradi perché, ehi!, il lavoro non andava in vacanza.

Freddo, che gli aveva sempre ricordato che sapore avesse la solitudine, perché circondato dai 3Kitsu lui non aveva smesso di considerarsi unità solitaria nel branco di volpi. Potevano essere un prototipo o surrogato di famiglia, potevano pranzare assieme, condividere una birra, abitare sullo stesso pianerottolo, ma la verità era che per il ruolo che aveva e per la persona che era, lui non aveva mai avuto nessuno per cui sentire di essere indispensabile o su cui avrebbe potuto contare mettendoci la mano sul fuoco.

Tasho, forse. Ma Tasho era il capo, e al capo non si creavano casini, non ci si appoggiava come dei bambini piagnucolosi, non si raccontavano i propri tormenti in attesa della pacca sulla spalla o del consiglio giusto come fosse un analista. Al capo si toglievano le castagne dal fuoco, si portava il suo nome a spasso come un cane che pisciava sui muri per marcare il territorio. Al capo si dimostrava di essere forti e di poter contare su di te, perché non saresti caduto giù alla prima scossetta, ma eri fondamenta antisismica.

Per tutte queste ragioni, e per mille altre ancora, Shuzo odiava il Natale e il freddo che portava con sé.

Quindi, quella mattina del 25 dicembre, il primo che passava fuori Fuchu da uomo libero, Mamoru gli aveva detto di andare al lavoro più tardi e rimanere appallottolato come un ghiro sotto al piumone.

Che poi gli si fosse insinuato una sorta di ‘spirito di responsabilità’ e avesse comunque deciso di non approfittare troppo di questa libertà era un altro paio di maniche. Ma invece di alzarsi pigramente alle sette del mattino – correre col freddo alle cinque?! Ma nemmeno sotto tortura! – si alzò alle nove.

Cioè, alzarsi. Tirare fuori il naso dal bozzolo caldo che aveva creato sarebbe stato più appropriato. Perché Shuzo, quando si trattava di abbandonare il letto nel pieno dell’inverno, doveva farlo un pezzetto alla volta, abituare il corpo a temperature glaciali che separavano la savana racchiusa dalle coperte, alla tundra esterna. E quando la savana era data da una commistione di calori del suo corpo e di quello di Mamoru era anche più difficile: in quel calore ci sarebbe voluto morire per quanto era paradisiaco.

E invece.

Bip-bip-bip-bip.

Ore nove.

Tirare giù le chiappe dal letto.

Farsi un caffè, una doccia calda e andare ad aiutare il suo compagno, perché le piante si curavano anche in inverno, i caffè si servivano anche in inverno e le composizioni venivano richieste anche nel fottuto inverno.

Con un mugugno profondo, da bestia infastidita e ferita, Malerba fece emergere il viso a poco a poco dalla montagnola di coperte che lo sovrastava interamente, testa compresa.

«Perché devi fare così freddo?» fu il primo lamento mattutino.

Il cambio di clima lo avvertì subito contro le guance. Sbuffò. Le braccia emersero, prima la destra e poi la sinistra.

«Giuro che mi compro uno di quei pigiami di pile che ti basta guardarli per farti cadere l’uccello in depressione cronica. Cazzo. Roba che nemmeno il vecchio Abe metterebbe.»

Ma con la sua t-shirt a maniche corte e i capelli da pazzo, si mise a sedere nel mezzo del letto. Il freddo lo fece stringere subito nelle spalle e strofinarsi le braccia scoperte.

«Brrrrrr! Ti odio, Natale di merda!»

Anche quell’anno fece la sua dichiarazione all’inverno e, sempre come ogni anno, questo non cambiò le cose.

Così si alzò, dopo aver visto la metà vuota di letto al suo fianco. Mamoru era già al lavoro da ore e finì col sentirsi in colpa per non essersi alzato anche lui alle sette.

«…l’anno prossimo farò il bravo, promesso.» Un mugugno di scuse che avrebbe voluto rivolgere al suo compagno, e ciondolando per l’appartamento si mise a pensare a come avrebbe potuto farsi perdonare. L’idea di scaldare la cena natalizia con del buon cibo tradizionale, tipo karaage, e poi con una bella corsa sotto la sua ‘savana piumonica’ gli parve la migliore offerta possibile. Tanto che sorrise, mentre apriva la manopola dell’acqua calda della doccia, lasciando che l’ambiente si riempisse di vapore e raggiungesse una temperatura ottimale.

Mentre si spogliava e infilava nel box, Shuzo ripensò che pochi giorni prima avevano festeggiato anche il primo compleanno di Mamoru insieme.

Si era sentito un po’ in difficoltà, perché non era solito fare regali che non fossero a suo fratello, e perché non sentiva di conoscere ancora così tanto Mamoru da potergli fare il pensiero giusto.

Aveva cercato di chiedere consiglio a Kumi, ma ogni suggerimento riguardava qualcosa cui lui non ci sarebbe mai potuto arrivare: sarebbe apparso subito chiaro che l’avevano aiutato o indirizzato.

Lui e Mamoru avevano bisogno di tempo per conoscersi meglio, sempre più a fondo. Così, alla fine, aveva ripiegato sull’unica cosa che li aveva accomunati fin dall’inizio: le piante. Con una serie di ricerche e giri per le prefetture era riuscito a rimediare dei semi piuttosto particolari e rari: Cosmos astrosanguineus detto Cosmo cioccolato per il colore e il profumo; Butea monosperma detta Fiamma della foresta e lo Strongylodon macrobotrys detto Vite di giada.

Non era stato certo della riuscita di quel regalo, perché gli sembrava davvero una sciocchezza, e invece Mamoru gli aveva dimostrato non solo di conoscere tutte e tre le specie, ma di esserne interessato e galvanizzato.

«Ci pensi? La prima sfida che affronteremo insieme», aveva concluso con un entusiasmo così genuino che lo aveva fatto arrossire e girare il viso altrove per minimizzare l’imbarazzo di vederlo tanto felice per un regalo che gli aveva fatto.

La loro prima avventura come soci alla pari, la loro prima coltivazione congiunta. Magari, un giorno, sarebbero arrivati a ibridare le specie come avrebbe voluto fare suo fratello.

Era stato un bel momento che l’aveva fatto sentire ancora di più ‘parte di qualcosa’. In questo caso, di una relazione.

Partner.

Compagni.

Amanti.

Io sto con te, tu stai con me.

Plurale.

Il famoso e sempre più avvolgente plurale. Più caldo di un piumone, più dolce di un rambutan, più rassicurante di un muro di venti metri.

Shuzo vi prendeva le misure poco alla volta, perché abituarsene tutto in un colpo era pericoloso. Era come con la felicità, quindi sentiva di potersi permettere di mordere appena un po’ quella sensazione di pluralità, ma senza esagerare. Doveva entrarci adagio, nel nuovo stato della sua vita, e non come il solito animale da sfondamento. Poco alla volta, per non fare danni agli altri e a sé stesso.

E quindi, quando abbandonò la doccia, si sentì molto più di buon umore di quando vi era entrato e il pensiero del freddo parve distante e accettabile… almeno fino a che non mise il naso fuori di casa.

Con lo sciarpone avvolto attorno al viso e il cappuccio della felpa tirato sulla testa, tutto ciò che si riusciva a vedere era la striscia di occhi. Giaccone imbottito, guanti senza dita e mani infilate nelle tasche dei jeans. La sua mise giornaliera per percorrere il brevissimo tragitto da casa al negozio era pronta, mentre fuori, il tempo di mettere piede sulla scala, ecco cominciare a cadere qualche fiocchettino di neve.

Oh, la magia del Natale che faceva impazzire il mondo. Il cielo bianco, la neve che svolazzava lieve. La sua mente che rivangava giornate intere fermo all’angolo della sede universitaria di Shizuoka a spacciare, e il gelo delle notti di Fuchu dove la divisa invernale era sempre troppo leggera e i riscaldamenti che non riscaldavano neppure il fiato che gli abbandonava la bocca.

«’Fanculo, quanto ti odio.»

Scese in fretta le scale, tentato di mettersi addirittura a correre, e uscì in strada. Passò veloce davanti all’ingresso frontale del Kokoro, ma non entrò da lì, preferendo il retro, in modo da poter subito buttare giù del buon tè bollente o caffè, o qualsiasi cosa ci fosse stata pronta purché avesse avuto una temperatura superiore ai settanta gradi.

Quindi, tirò dritto e a testa bassa, in modo che l’aria fredda non lo colpisse direttamente nell’unisca striscia visibile del viso, estrasse le chiavi dalla tasca con movimenti svelti nemmeno dovesse fare uno scambio di bustine di coca, e si richiuse il cancello dell’ingresso laterale alle spalle senza neppure accompagnarlo. Strinse solo i denti appena lo sentì sbattere, imprecando un ‘checcazzo’ che frantumò sotto gli incisivi.

La musica allegra, che a quanto pareva stava riempiendo il locale, l’aveva sentita fin da un attimo prima che entrasse dalla veranda. Richiuse la porta con uno scatto e solo allora, finalmente al sicuro dalle intemperie esterne, emise un lungo sospiro sollevato.

Abbassò il cappuccio, srotolò lo sciarpone e inarcò un sopracciglio, mentre guardava nella direzione della porta di servizio che divideva i due ambienti.

Si sentiva un vociare intenso oltre alla musica.

Sorrise, mentre entrava in cucina, e venne investito da calore e profumi dolci di zucchero e ananas. Niji-mama era al lavoro, ma lui sgranò gli occhi quando la vide che era intenta a tagliare della frutta.

Frutta esotica.

«E questa?»

«Oh, zuccherino! Finalmente sei uscito dal letargo, monello!»

«Da dove arriva tutta questa-»

«Niente domande, niente domande. Ha pensato a tutto Mamoru-kun. Tu devi solo mettere questi!»

Shuzo si trovò tra le mani un malloppo di vestiti coloratissimi e un paio di infradito.

Li guardò con occhi pallati, perché anche uno tonto come lui riusciva a non cogliere il nesso tra il 25 dicembre e quell’abbigliamento dalla fantasia hawaiiana.

«Mama… non vorrei fare il guastafeste, ma fuori ci sono zero gradi e sta iniziando a nevicare, nel locale ne faranno al massimo quindici-sedici, diciotto se vogliamo esagerare. Ancora troppo pochi per le infradito.»

«Non è il momento di essere polemici, dolcezza. Cambiati al volo e poi torna qui, devo darti dell’altra roba da portare nel locale. Forza, forza!»

Praticamente spinto fuori della cucina, Shuzo si vide costretto ad andare al bagno e senza neppure la possibilità di protestare o servirsi un caffè per connettere con il mondo – e scaldarsi le viscere. Scosse il capo, chiudendosi nella stanza e anche se riluttante – perché non riusciva a capire che assurdità avesse messo in piedi Mamoru – si ritrovò con addosso una camicia verde brillante, piena di ibiscus multicolore che si rincorrevano ovunque e dei calzoncini bianchi che arrivavano giusti al ginocchio. Ci mancava solo la paglietta in testa ed era pronto per andare a vendere cocco fresco sul lungomare di Shizuoka.

Tornò in cucina che aveva il sopracciglio settato su ‘scettico’, ma, ancora una volta, la nonna arcobaleno non gli diede modo di avanzare proteste.

«Ma guardati! Guardati! Quanto sei bello e colorato! Sempre detto io che ci vuole colore nella vita!» E lei ne era una maestra; quel giorno, ad esempio, era il catalogo pantone dei verdi, intervallati sapientemente da qualche elemento bianco e rosso che la rendevano estremamente natalizia, anche se aveva le maniche corte e quel vestito tutto pareva tranne che fatto per l’inverno.

«To’, vai a lavorare e Buon Natale, zuccherino. Buon Natale!» concluse, mollandogli tra le mani un vassoio di frutta appena tagliata e poi strizzandogli le guance in due sonori pizzicotti, che lo fecero imprecare, ma solo mentalmente.

«Fuon Nafale a fe, ‘a’a…»

Venne mandato via con l’ennesima, sonora spinta. Shuzo non si oppose, ormai rassegnato a quella giornata che per lui era nera a partire dalla sua natura.

«Mi fottano gli dèi, questo giorno rende la gente idiota oltremisura…» sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Chissà che diavolo si sarà messo in testa, quell’altro; e senza dirmi niente! Ora capisco perché mi ha fatto alzare più tardi… altro che ‘no, resta al caldo, tu che odi tanto il freddo’. Ceeeerto. Paraculo infame, voleva avere campo libero, lo stronzo. Ah, ma adesso ci penso io.»

Dando la schiena alla porta, perché aveva entrambe le mani occupate, Shuzo ne spinse l’uscio e già prima di girarsi una vampata di caldo e musica da spiaggia lo avvolse. Nel momento in cui si volse, rimase fermo dove si trovava, con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta.

«Ma… che… dove sono finito?!»

Il Mori no Kokoro tutto sembrava tranne che calato nel Natale. O meglio, a ben guardare lo era pure, ma per il resto… sembrava di essere passati dalla Siberia alle Bahamas nemmeno avesse usato il teletrasporto.

«Ehi! Ti fai vedere! Era ora!» esclamò Kumi, con in braccio il piccolo Chikara di due mesi, che se ne stava bello che appisolato con la testa sulla sua spalla e, come era stato per Yuzo a suo tempo, pareva non risentire affatto della confusione e della musica.

Shuzo, ancora fermo, vide Mamoru andargli incontro vestito esattamente come lui, ma con colori differenti.

«Buon Natale!» disse, con un sorriso meraviglioso e i capelli legati in una coda di cavallo.

«Natale? Forse andrebbe meglio ‘Buon Ferragosto’…» protestò lui blandamente, mentre il compagno gli passava attorno al collo una ghirlanda di fiori bianchi e freschissimi. «Ma che sta succedendo?»

Mamoru gli prese il viso tra le mani e non voleva separarsi dal sorriso perfetto che gli illuminava gli occhi sempre troppo neri, sempre troppo d’oro. «È il mio regalo di Natale, per te che lo odi tanto. Magari se te lo riscaldo un po’ cambi idea.»

Gli fece l’occhietto e gli fregò il vassoio dalle mani lasciandolo ancora che boccheggiava come una triglia.

Tutt’attorno i clienti si godevano il caldo, i cocktail, il tè freddo, la frutta. Ridevano, felici di quell’angolo d’estate mentre fuori cadeva la neve. La Banda Bassotti sollevò nella sua direzione i succhi di frutta con gli ombrellini colorati, le liceali – che avevano finito la scuola mentre lui era in prigione – lo salutarono luminosissime e sorridenti in uno svolazzare di mani e dita.

E Shuzo ci mise qualche secondo in più per carburare e capire che, sì, era Natale, no, non faceva freddo, sì alla radio c’era ‘O come, all ye faithful’ ma con un ritmo così allegro che sembrava di stare in mezzo alla savana, mancava solo il leone che passeggiava pigro.

Ci mise qualche secondo per capire che Mamoru aveva fatto tutto quello per lui.

Lo cercò con gli occhi, girando la testa piano piano e lo trovò che stava sistemando la frutta appena tagliata nelle coppette, che Kumi – pupo sulla spalla – provvedeva a decorare con un ombrellino, uno svirgolo di panna e un fiore; anche quest’ultimo rigorosamente estivo che chissà da dove se li era fatti arrivare, quel pazzo.

Shuzo lo guardò, Mamoru sollevò solo gli occhi senza smettere di riempire le coppe, e fissava la sua sorpresa, quella che doveva aver stampata in faccia e che doveva essere davvero tanto, tanto buffa, perché gli si aprì un nuovo sorriso perfetto.

Solo per lui.

Il primo Natale in compagnia di qualcuno che amava e che lo amava.

Il primo Natale in cui non si sentiva solo.

Il primo di una lunga serie.

Come la brina scrollata da una foglia, Shuzo si liberò di ogni sensazione spiacevole e rispose al sorriso del suo plurale. Un cenno del capo, un grazie silenzioso che poi avrebbe trovato parole migliori e nuovi clienti che entravano nel locale e si lasciavano sorprendere, come lui, da una magia che aveva mille sfaccettature.

«Benvenuti al Mori no Kokoro, e Buon Natale!»

 

La giornata fu un vero successo.

Qualcosa di diverso che era stato accolto con calore da tutti quelli che erano entrati nel Kokoro.

Shuzo non aveva toccato la Cimbali, servendo invece tè freddi, cocktail e succhi di frutta. Con gigli, agrifoglio e piccole palline di Natale aveva decorato le bevande e i dolci. Cheesecake, mochi immancabili, kasutera e rava kesari dello Sri Lanka, ma anche macedonie e tagliate di frutta con panna.

Mamoru l’aveva visto a suo agio per tutta la giornata, girando con disinvoltura e lavorando come fosse estate e lui uscito dal letargo. Aveva scherzato con Kaede quando era arrivato per iniziare il turno pomeridiano dopo scuola, portandosi dietro anche il resto delle Mezzeseghe, che sapevano già di quella sorpresa ed erano venuti a curiosare.

Durante la pausa pranzo era stato rilassato e si era tenuto il piccolo Chikara sulla spalla per dare modo a Kumi di andare a prendere l’altra peste al nido, che lo aveva successivamente monopolizzato: Shuzo non aveva avuto tempo neppure di entrare nelle piccole serre, ma non era stato un problema non mettere fuori il naso.

Mamoru lo aveva visto ridere tutto il tempo, lavorare con piacere e si sentiva felice così. A volte non gli sembrava vero che fossero trascorsi già sette mesi da quando Shuzo era uscito di prigione. La viveva come se non vi fosse mai più rientrato, come non fosse stato inghiottito da quelle pareti di cemento e tatami puzzolente per due anni interi. Li aveva cancellati in poco tempo, quello che aveva impiegato per abbracciarlo e puff, era sparito tutto.

Mamoru scorse Shuzo a cavallo della porta di servizio, dopo che era andato a fumare una sigaretta in cucina – nello spiraglio piccolo della finestra, però! Uscire addirittura in veranda?! Ah! Nemmeno per sogno! – e intanto si godeva un bicchiere di succo di frutta, tanto c’era Kaede che correva per il locale, adesso.

Lo raggiunse e Shuzo seguì con gli occhi ogni suo movimento, fino a che non si trovarono uno di fronte all’altro, sotto l’arco della porta a spinta.

«Da quanto la stavi preparando questa cosa?»

«Da quando hai cominciato a lamentarti che faceva freddo. Era solo l’inizio di ottobre e c’erano ancora venti gradi.»

Shuzo storse un sorriso, terminò il succo e rimase col bicchiere vuoto tra le mani. «Me lo ricordo. Parlammo anche del Natale, quella volta.»

Mamoru annuì ed entrambi si trovarono a guardare il fondo di succo all’ananas che macchiava di giallo il vetro.

«Grazie.»

«Non ti ci abituare troppo. Non hai idea di cosa ho dovuto fare per riuscire a trovare dei fornitori in questo periodo.»

«Posso immaginarlo. Piuttosto… dove hai messo i fiori stagionali?»

Mamoru guardò verso l’angolo di confezionamento che aveva riempito di quelli prettamente estivi.

«Li ho spostati nelle piccole serre. Stasera, o al massimo domattina prima della riapertura, li rimettiamo a posto.»

«’kay… Però il vischio lo hai tenuto.»

Mamoru sollevò il viso seguendo l’indice di Shuzo puntato alla sommità della porta. Un rametto faceva da decorazione, adornato da un fiocco dorato. Lui si strinse nelle spalle.

«È pur sempre Natale. Un po’ di tradizione.»

Shuzo si poggiò con la testa allo stipite, sollevò il mento, le labbra si tirarono leggermente a sinistra, e l’angolo piegò una curva che le rendeva sfacciate e sensuali. Ironiche. Desiderabili.

Shuzo lo era, con le sue espressioni che chiamavano la rissa così come chiamavano l’amore. La sfumatura della differenza era infinitesimale, nascosta in quella piccola curva all’angolo della bocca.

«Mi piacciono le tradizioni.»

Nella sfumatura della bocca. Nella sfumatura della voce.

Quella notte, una volta chiuso il bar, il calore del loro Natale diverso avrebbe continuato ad avvolgerli anche a casa, solo loro due. La festa non sarebbe finita prima dell’alba.

Mamoru lo sapeva, glielo leggeva nello sguardo e lo sostenne senza timore ma con altrettanta provocazione. Era su quella che giocavano il loro rapporto, li manteneva tesi non per paura di essere sorpresi alle spalle da eventi imprevisti, ma per il desiderio di trovarsi stretti l’uno all’altro senza riuscire a controllarsi se non quando non si fossero dissetati.

Lasciò che Shuzo si avvicinasse, ma non gli andò incontro: almeno uno dei due doveva mantenere il sangue freddo e il controllo della situazione, perché erano ancora nel locale e c’erano i clienti, ma ormai della loro relazione lo sapevano un po’ tutti in paese e nessuno aveva avuto da ridire. Erano protetti e appoggiati dai nonni, dai clienti abituali, dalle Mezzeseghe, da Kumi e Tobi. Quando la signora Mimi lo aveva saputo, si era portata le mani ai fianchi con piglio offeso.

«E allora?! Potevate dirmelo! Ho anche dei nipoti maschi da accasare!»

Così non lo fermò né si tirò indietro quando Shuzo lo baciò sotto al ramo di vischio. La bocca sapeva d’ananas e di mentolo del tabacco, ma le labbra erano fresche e Mamoru non le fece fuggire in fretta. Lo trattenne a sé con una mano poggiata sulla nuca, dove sfiorò la coda della cresta che aveva ripreso a portare da che era uscito di prigione. Quando era tornato a casa con quel taglio di capelli era stato travolto da un senso di déjà-vu intenso che gli aveva fatto rivivere tutta la loro storia, a partire dall’inizio. Sorprese, problemi, bugie e rancori annessi. E lui non aveva avuto altro istinto se non di baciarlo fino a togliergli il fiato.

Adesso a quella cresta si era abituato di nuovo, e anche se avesse cambiato pettinatura non ne avrebbe fatto un dramma, perché tutti i rispettivi cambiamenti avrebbero potuto viverli insieme. Quel Natale era l’ennesimo importante: un Natale in famiglia, la nuova.

Si separarono e guardarono ancora, sempre vicini, tanto che Mamoru vide Malerba spostare gli occhi verso la sala, abbozzare un sorriso e fare l’occhietto a qualcuno che, era certo, aveva assistito al bacio.

L’attimo dopo sentì un vociare acuto di ‘kyaaah’ e ‘squeee’ che gli fece alzare gli occhi al cielo.

«Lo hai fatto di proposito.»

«No. L’ho fatto perché anche a me piacciono certe tradizioni.»

«Lo hai fatto perché sei uno stronzo.»

«Questo non posso negarlo.» Shuzo sollevò le spalle. «E poi è divertente mandare quelle ragazzine in visibilio, così come è divertente marcare il territorio.»

«Marcare il territorio? Non fai prima a pisciargli attorno, aniki?» sghignazzò Kaede mentre passava a posare il vassoio con i bicchieri sporchi.

«Chiudi il becco, mezzasega. Vuoi che insegni qualcosa pure a te?»

«Ma per carità, no!» Kaede sgusciò via prima che Shuzo potesse agguantarlo per la maglia; anche perché Mamoru gli aveva impedito di allungare il braccio.

«Non incominciate», li rimproverò, ma dopo fu lui a rubare un altro bacio a Shuzo. Più veloce, più irruento, dal quale si separò con un piccolo schiocco. «E ora torniamo a lavorare.»

Shuzo sorrise e nella curva della bocca c’era anche una sfumatura del Paradiso che l’avrebbe atteso quella notte e che non vedeva l’ora di divorare.

«Yes, boss.»

 

 

“Oh, cantate, cori di Angeli,

Cantate in esultanza.

Oh, venite, oh venite a Betlemme.

Venite a vederLo,

è nato il Re degli Angeli.”

 

Oh, come all ye faithfulPentatonix (cover)

 

 

 

 

 


 

 

Note Finali: …MERRY CHRISTMAS WITH FLUFF <3 :3

Questa storia è stata pensata, tipo, a Natale 2017 circa (o forse era già il 2018)?! XDDDD Ahahahahah! Solo che non avrebbe mai potuto vedere la luce se prima la storia non fosse finita, altrimenti sarebbe stata spoiler! ROTFL! Quindi ho dovuto aspettare e ora eccola qui, progettata giusta giusta per arrivare il 25 dicembre come piccolo regalino natalizio e dolcettoso.

Dopo tanto drama in questa storia, mi è sembrato giusto premiare il vostro affetto (e la pazienza dei personaggi XD) con qualcosa di carino e tenero. Diamo una gioia a questi figlioli, se la sono meritata! XDDD

 

Quindi, ne approfitto per fare a tutti voi tantissimi auguri di Buon Natale! Passate una meravigliosa giornata in compagnia, aprite tanti regalini e magnate in abbondanza!!! <3
Noi ci ritroveremo non so se lunedì o mercoledì, per l’augurio di Capodanno! Si vedrà! ;)

Nel frattempo… AUGURI A TUTTI!

 

 

   
 
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