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Autore: lady_bella    27/12/2019    3 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]
Sono passati pochi mesi dalla Festa della Bruna e dal loro attimo di follia; da quel momento avevano cercato di evitarsi il più possibile, entrambi spaventati dalla forza delle loro emozioni.
Ma quando due persone sono fatte per stare insieme, non possono reggere la finzione per troppo tempo: i sentimenti hanno un modo tutto loro di saltare fuori, inattesi e imprevedibili, costringendoci a guardarci allo specchio e ammettere la verità, anche se scomoda.
Un nuovo caso sconvolgerà gli equilibri del Sostituto Procuratore Tataranni, portandola a fare i conti con una realtà che è ben diversa da come appare.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Quarto

 

Altri tre giorni erano trascorsi dalla scomparsa di Bea e sembrava che la ragazza si fosse volatilizzata nel nulla tanto era impossibile agli inquirenti trovare alcuna informazione utile su come fossero andate le cose. L’ipotesi più probabile al momento era che la ragazza si fosse volontariamente allontanata di casa, ma Imma aveva la fortissima sensazione che la situazione era più complicata di così.

Aveva passato gli ultimi giorni trincerata in ufficio, cercando di gestire il suo carico di lavoro ordinario e quel nuovo caso, anche se di caso poi non è che si potesse parlare effettivamente. L’altra ragione per cui entrava in Procura alle 7:30 per uscirne a tarda sera era che al momento non era desiderosa di avere contatti prolungati  né con sua figlia che dalla sparizione di Bea era diventata sfuggente ed aggressiva, né con suo marito, nei cui confronti era decisamente indignata e sbalordita per il modo passivo ed eccessivamente permissivo con cui stava gestendo la rivolta adolescenziale della loro figlia. Se fosse stato per lui, Valentina le avrebbe avute tutte vinte; lui le avrebbe permesso di uscire e tornare quando le pareva, anche se il giorno dopo doveva andare a scuola, ogni cosa che desiderava gliela comprava senza battere ciglio. Lasciata totalmente nelle mani di Pietro la loro figlia sarebbe diventata una di quelle ragazzine viziate che non hanno idea di che cosa significhi guadagnarsi qualcosa nella vita e che, alla fine, si ritrovano in qualche guaio, come aveva ormai constatato dopo anni di carriera in magistratura.

Imma aveva tutt’altre idee sull’educazione da impartire ad una ragazza: lei si era praticamente cresciuta da sola, con un padre morto quando era ancora piccola e una madre che faceva i salti mortali per darle una prospettiva di vita migliore. Aveva sacrificato moltissimo per arrivare ad avere la carriera che oggi vantava, e non doveva ringraziare nessuno se non se stessa e la sua ostinazione nel voler a tutti i costi riscattarsi dalla povertà e dall’ignoranza da cui proveniva. Di tutto ciò, si rese conto, Pietro non aveva la minima consapevolezza: lui era vissuto nelle comodità una vita intera, non aveva dovuto fare alcuno sforzo per conquistarsi un posto in questo mondo, anzi, si era accontentato del primo lavoro disponibile a Matera, non aspirando a null’altro se non alla tranquillità della vita di provincia. Non avrebbe dovuto stupirla quindi che con Valentina era così accondiscendente, e non avrebbe dovuto sorprenderla nemmeno il fatto che la loro figlia preferisse il padre, gentile e affettuoso, a lei, spesso brusca ed estremamente realista, ai limiti del cinismo.

Si accorse di aver riletto per due volte la stessa pagina e non se ne era neppure resa conto. Chiuse di botto il fascicolo, non aveva la testa per occuparsi di una denuncia per furto di quattro polli fatta da un contadino della zona. Fece giusto in tempo ad alzarsi che la porta dell’ufficio si aprì e Diana comparve sulla soglia. Aveva l’aria dimessa, un po’ sbattuta e Imma sperò che non riattaccasse un’altra volta con la storia del marito, di Cleo, del divorzio.

«Imma, Vitali vuole vederti nel suo ufficio, non mi ha detto perché».

«E lo so io il perché Diana!», replicò col tono di una sull’orlo di una bella incazzatura.

Si avviò a passo di carica verso l’ufficio del Procuratore Capo, pronta per la battaglia che immaginava sarebbe arrivata di li a poco. Era logico che Vitali la chiamasse per il caso di Bea: non avevano nulla in mano ma lei si ostinava comunque a sprecare tempo e risorse per lavorarci, e quelli giudiziari ancor di più, non importava che fosse la figlia del notaio più importante di Matera, quando si trattava di rientrare nelle logiche dell’austerità a cui erano ridotti gli uffici pubblici, Vitali non avrebbe fatto eccezioni nemmeno per Mattarella in persona. Non che Imma badasse all’importanza delle persone che si trovavano a transitare per il suo ufficio, vittime o imputati che fossero: per lei ogni caso era lo stesso e meritava di essere portato avanti con la stessa dedizione.

«Ah, Dottoressa Tataranni, si accomodi prego», l’accolse vitali con quel tono cortese, ai limiti dell’affettato.

«Di che mi voleva parlare».

«Dottoressa Tataranni, lei si rende conto che ad oggi la signorina Beatrice Vega risulta essersi allontanata volontariamente da casa e quindi il caso non compete agli uffici della magistratura?».

«E lei, dottor Vitali, si rende conto che una ragazzina per arrivare a scappare di casa doveva aver avuto un motivo estremamente serio che noi dobbiamo scoprire per ritrovarla? altrimenti questa ipotesi investigativa non regge e dobbiamo indagare ancora!», replicò lei, iniziando ad infervorarsi.

«Dottoressa! Lei è un magistrato», scandì ogni parola con esasperante lentezza, « lei non fa indagini, per quelle ci pensa la polizia!».

«E certo! Aspettiamo pure che la polizia ritrovi questa ragazza fatta a pezzi e gettata da qualche parte perché nessuno si è preso il disturbo di capire fino in fondo le cose come sono andate!». Si alzò con impeto dalla sedia, buttandola quasi all’aria. «Se lei pensa che me ne starò con le mani in mano ad aspettare… lei non ha capito chi è Immacolata Tataranni!». E se ne andò, non lasciando all’uomo alcuna possibilità di ribattere.

Si era rifugiata di corsa nel suo ufficio, intimando a Diana di non essere disturbata per nessuna ragione. Aveva il respiro affannoso, le mani le tremavano dall’agitazione e dalla collera: voleva urlare per rilasciare un po’ della frustrazione che si era accumulata in lei in quei giorni, e il lavoro era solo una minima parte del problema.

Dopo il primo bigliettino di Calogiuri ne erano seguiti altri, sempre poggiati in modo casuale ora tra le pagine di un fascicolo, ora vicino al pranzo che Diana le procurava perché lei non morisse di fame, troppo presa com’era dal lavoro in quei giorni. La sua presenza aleggiava costantemente attorno a lei ad ogni passo, ma del bel maresciallo nessuna traccia per quasi una settimana. E questo non faceva altro che acuire la necessità di averlo vicino, anche solo per un attimo camminando tra i corridoi.

“Pensi al diavolo ed ecco che spuntano le corna!“, si avvide di un altro foglio di carta che non faceva parte della miriade di incartamenti sulla sua scrivania: questa volta era accompagnato da un tulipano giallo. Se, quando si erano conosciuti, qualcuno le avesse detto che Calogiuri aveva un animo incline al romanticismo e che lei sarebbe stata l’oggetto dei suoi affetti, probabilmente avrebbe riso di gusto cestinando tale eventualità come assurda.

Spiegò il foglio con dita trepidanti impaziente di leggere che cosa le aveva dedicato questa volta: ogni traccia di rabbia che aveva provato tornando dall’ufficio di Vitali era sparita di colpo, cancellata da quella piccola attenzione che stava diventando una costante nella sua giornata.

Potrei stare ore e ore qui

Ad accarezzare

La tua bocca ed i tuoi zigomi

Senza mai parlare

Senz'ascoltare altro, nient'altro che

Il tuo respiro crescere

Senza sentire altro che noi

Potrei stare fermo immobile

Solo con te addosso

A guardare le tue palpebre

Chiudersi a ogni passo

E la mia mano lenta che scivola

Sulla tua pelle umida

Senza sentire altro che noi

Nient'altro che noi

Si chiese se lui fosse consapevole dell’effetto che avrebbero avuto su di lei le cose che le aveva scritto: un calore che non aveva nulla a che fare con la temperatura atmosferica, infatti, l’aveva scaldata ovunque, lasciando la bocca secca, la sua pelle fremente e lo stomaco aggrovigliato in un modo che non era affatto spiacevole. Poggiò la testa sulla scrivania in una rara manifestazione di stanchezza che quasi mai si concedeva: non sapeva quanto ancora avrebbe resistito prima di cedere a quel gioco di seduzione che lui aveva iniziato. Si sentiva colpevole nel desiderare le attenzioni di un uomo che non era suo marito, tutte le certezze a cui si teneva aggrappata ostinatamente da tutta la vita si stavano dissolvendo come un castello di sabbia che viene portato via dalle onde. In quella situazione non c’era un manuale o un codice da cui desumere meccanismi e regole, in quella faccenda stava a lei prendere una decisione e fare la sua mossa: sarebbe stato impensabile, oltre che una tortura per tutte le parti in causa, continuare ancora per molto a far finta che niente era cambiato.

Spense la lampada sulla scrivania: per quella sera aveva indugiato in ufficio abbastanza, non poteva più ritardare il suo ritorno a casa. Uscì dall’edificio e venne accolta da un’aria pungente, presagio del clima rigido che ormai era alle porte, e da strade desolate: affrettò il passo come poteva visti i tacchi alti e i muscoli irrigiditi dal freddo, rimproverandosi per non essersi premunita scegliendo un soprabito più pesante quella mattina.

La sua mente vagava senza seguire un filo logico, senza soffermarsi su un pensiero in particolare come succede spesso quando camminiamo per strade percorse centinaia e centinaia di volte, avendo ormai acquisito una sicurezza tale da riuscire a percorrere quei metri anche bendati. Persa com’era nel rincorrere i fili randagi della sua memoria, Imma non si rese conto che una figura l’aveva seguita fin dall’uscita dalla Procura e stava accorciando sempre più la distanza che li separava.

D’improvviso si sentì afferrare con forza da dietro: fece per urlare ma prontamente una mano le coprì la bocca e l’aggressore la spinse bruscamente verso uno spazio vuoto tra due edifici. Il sangue le si gelò nelle vene e il terrore l’avvinse completamente quando avvertì la pressione di una lama sul collo, abbastanza forte da spaventarla, ma non sufficiente da ferirla, almeno sempre che lei non avesse fatto mosse stupide. E, solo per quella volta, decise che non avrebbe fatto niente di azzardato.

Un alito caldo le solleticò l’orecchio, facendola rabbrividire di terrore: «Signora procuratrice, se sapete quello che è meglio per voi, vi conviene farvi gli affari vostri. Voi a Bea non la dovete cercare, avete capito?». E ribadì il concetto per buona misura premendole con un po’ più di pressione il coltello contro la pelle. «Altrimenti chissà che cosa può succedere. E voi non volete che succede niente a voi o ala vostra figlia, vero dottorè?».

Imma annuì, spaventata come mai era stata in tutta la sua vita: nonostante di minacce ne avesse ricevute, ma mai erano arrivati ad aggredirla fisicamente. L’uomo la lasciò andare di botto e iniziò a correre via, e per poco lei non cadde lunga distesa sull’asfalto. Prese un respiro, e poi un altro per cercare di riacquistare un po’ di controllo sulle proprie emozioni nonostante il forte desiderio di abbandonarsi alle lacrime che erano in attesa negli occhi, pronte per lasciare segni sulle sue guance.

D’istinto afferrò la borsa che chissà per quale miracolo era ancora nella sua mano e non dispersa per strada, e afferrò il telefono, componendo il primo numero che la sua mente in stato di shock era in grado di ricordare.

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A/N
Ciao a tutti! Dopo le abbuffate festive ecco a voi un nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto.
Ringrazio chi ha aggiuto questa stoiria tra le preferite e le seguite e ringrazio anche motlissimo tutti quelli che non mancano di lasciare un commento alla fine della lettura: le recensioni sono la linfa vitale di chi scrive perché aiutano a capire se la direzione presa è quella giusta o se è il caso di correggere il tiro.
Vi ho lasciato con un po' di suspense: chi chiamerà Imma? Cosa succederà con il "caso" che sta seguendo? Non vi resta che aspettare il nuovo capitolo!

Credit: la canzone usata da Calogiuri nel biglietto è "nient'altro che noi" degli 883
 

  
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