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Autore: itsg4ia    28/12/2019    0 recensioni
La vita se ne frega se sei stanco, sudato o se arranchi nel tentativo di starle dietro. Va per i fatti suoi, al punto che se provi ad afferrarla non ci riesci e ti illudi di poter decidere per la tua vita ma è la vita che decide per te. Allora Galatea si guardava bene dal non tirare mai troppo la corda, di stare sempre attenta a quello che faceva per non rischiare il suo già precario equilibrio. Ma non sempre ci riusciva. Thomas invece era l'opposto. Innanzitutto non è il tipo che si nasconde, affronta la vita a testa alta e sguardo fiero, ha sempre la risposta pronta e sembra non interessarsi di nessuno. Non ha paura di mostrare al mondo chi è, perché lui è così e non desidera essere nient'altro: ha potuto vedere le più belle maschere e anche svelarne gli intrighi, ha lottato con coraggio contro la vita e ha imparato che questa é fatta di momenti più tristi che felici e che non si può controllare, ma si può vivere al meglio. E nel modo più intenso possibile. Perché non si può annientare il dolore, ma ci si può convivere. Ciò che conta è provarci.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Tutti gli studenti partecipanti al laboratorio presero posto sulle sedie disposte a cerchio e i due docenti, dopo aver aspettato che i giovani si accomodassero, si prepararono ad affrontare quella prima lezione.

"Buongiorno, ragazzi! Grazie a tutti di essere qui e aver preso parte a questo progetto. Mi chiamo Galatea Mariani e da oggi tutti noi lavoreremo insieme con il Signor Thomas Helby alla realizzazione dello spettacolo di fine anno."

"Sono lieto di essere stato incluso in questo meraviglioso progetto, e vi prego, chiamatevi solo Thomas." Si rivolse affabile alla classe, mentre chinato sullo zaino che si era portato appresso tirava fuori una serie di fogli e iniziava a distribuirli. "Prima di iniziare questa esperienza insieme, vi porgo una domanda" continuò, consegnando un foglio anche alla professoressa Galatea. "Che cos'è per voi il teatro?" domandò, ma notando i ragazzi iniziare a scrivere, precisò "Non dovete rispondere oggi, né domani... ma al termine di questo progetto mi consegnerete i vostri biglietti firmati e li leggeremo insieme. Capirete presto che mi piacciono i giochi." Scherzò Thomas, rivolgendo un'occhiata divertita alla professoressa che evitava di guardarlo, dedicandosi ai ragazzi.

"Cosa dobbiamo fare prof?" domandò uno di loro, rivolgendosi alla docente e ottenendo l'approvazione della classe. "Metteremo in scena uno spettacolo nuovo, mai visto prima, che sarà ispirato ad un romanzo che abbiamo studiato in classe..." iniziò Galatea. "Se vi dico "la storia parla di un naufragio dell'esistenza", chi sa dirmi di quale romanzo sto parlando?"

"Ma certo prof! E' "Uno, nessuno e centomila" di Pirandello."

"Bene Visconti! So bene che a molti di voi è piaciuto come libro... quindi porteremo in scena una storia ispirata a questo romanzo e i protagonisti sarete voi." Spiegò la professoressa, ottenendo il consenso della classe. Guardando l'emozione dei ragazzi, Thomas non riuscì a fare a meno di pensare che se avesse avuto a suo tempo una professoressa come la Mariani, anche lui avrebbe affrontato la scuola con quell'entusiasmo. Ridendo tra sé e sé si ripromise, una volta rimasto solo con la donna, di chiederle che idee avesse per quello spettacolo.

"Questo è stato solo un incontro per conoscerci ragazzi, ma dal prossimo inizieremo a lavorare. Come già sapete, ci incontreremo tre volte alla settimana, ogni mattina, fino alle festività natalizie. A gennaio riprenderemo le lezioni e inizieremo ad incontrarci a teatro. Fino ad allora, grazie a Thomas, scopriremo segreti e trucchi del mestiere, ma soprattutto stabiliremo le varie parti." Galatea iniziò a elencare il programma che avrebbero seguito e Thomas pensò che quella tendenza a pianificare poco gli piaceva. Evitò di interrompere la donna, ma quando questa si fermò prese parola e continuò. "Ora, vorrei conoscervi meglio, ma per farlo vorrei chiedervi per la prossima volta di dividervi in gruppo e preparare uno piccolo spettacolo per me e la professoressa, con la promessa che tutti voi avrete parte attiva nella rappresentazione" concluse Thomas, ottenendo cenni di assenso e risposte positive.

La lezione si concluse velocemente e quando suonò la campanella, i ragazzi si apprestarono a lasciare l'aula per dirigersi a quella successiva. Nel frattempo, Galatea aveva già ripreso a sistemare l'aula come l'aveva trovata e Thomas pensò di non aver mai conosciuto una donna così strana.

"Mi scusi, forse abbiamo iniziato con il piede sbagliato... " iniziò titubante, aiutando l'insegnante a spostare i banchi. Galatea sembrò accorgersi solo in quel momento che lui era ancora lì e si maledì per essere stata così poco professionale. "Hai ragione, mi dispiace." Si scusò frettolosamente lei, che aveva sempre odiato le formalità, dandogli del tu. "Allora, che ne pensi del progetto?" chiese , sorridendogli educatamente.

Thomas guardando la donna si chiese che colore fossero i suoi occhi. Non ricordava di averli visti prima.. Forse erano blu? Verdi..? Non riusciva a guardarla negli occhi neanche ora mentre conversavano, Galatea sfuggiva continuamente al contatto visivo, fingendosi impegnata a far altro, interessata a tutto o forse a niente, perché in realtà non vedeva davvero. Sembrava disinteressata, eppure mentre parlava con i ragazzi era diversa, quasi spontanea. Si chiese chi fosse davvero quella donna, come facesse a cambiare così repentinamente e sentì la curiosità prendere il sopravvento e il tatuaggio sul polso prudergli. Grattandosi, lanciò uno sguardo al tatuaggio "Oltre" e, guardando la donna, si chiese cosa nascondesse sotto tutto quelle maschere. "Chi sei davvero?" pensò Thomas, sempre più interessato.

"Mi sorprende la scelta del libro, in realtà. Sono curioso.. vorrei saperne di più." Ammise poi, e il mondo in cui la guardo la turbò. E quel "sono curioso" che aveva pronunciato sembrava intendere molto di più. Galatea si spaventò, di cosa era curioso? Di lei? Decise di non volerlo sapere davvero perché non le doveva interessare. Però perlomeno delle loro idee avrebbero dovuto parlare per poter lavorare insieme.. Ma non quel giorno. Quel giorno, Galatea aveva cose ben più importanti da fare.

"Io oggi non posso fermarmi, ci vediamo domani a scuola e parliamo?"

"A scuola... mh si certo! Ci vediamo domani allora..." disse titubante lui, incerto se trattenerla o lasciarla andare. Avrebbero voluto capire, la testa gli scoppiava per la confusione, ma aveva preso consapevolezza del fatto che non sarebbe stato facile. E mentre cercava le parole giuste per salutarla, non si accorse che nel frattempo la donna aveva recuperato le sue cose ed era già andata via.

Quel giorno Galatea non aveva altre lezioni da svolgere, sarebbe dovuta passare da sua madre per tenerle compagnia e poi l'aspettava la sua amica Christine, l'unica che le era rimasta dopo quello che era successo. Mise in moto la macchina e partì, diretta alla casa di cura Jenson Hill (1), dove sua madre era ospite da ormai tredici anni, e durante il tragitto ripensò a quel Thomas. Era stata piuttosto scortese e con lui si era messa subito sulla difensiva. D'altronde quell'uomo non aveva colpe per essere lì, l'aveva chiamato il preside! Si ripromise di essere meno dura la prossima volta e parcheggiò. Era arrivata. Si fece coraggio e scese dall'auto e mentre si dirigeva verso la reception ripensò alla prima volta in cui era stata lì. Aveva diciassette anni ed era stata più spesso in un ospedale che a casa sua. Spesso si ritrovava con sua madre al pronto soccorso perché era caduta dalle scale, ma in realtà era papà che l'aveva spinta, o picchiata, o perché sua madre perdeva sangue perché lavorava in una fabbrica e si era ferita, ma in realtà era papà che ogni volta che tornava a casa era sempre ubriaco, e arrabbiato. Ma questo non lo dicevano mai. Nella piccola cittadina di Satorno(2) in cui vivevano tutti sapevano in realtà, ma nessuno diceva niente. Fu solo quel pomeriggio di agosto quando zia Matilde portò Galatea al mare e si accorse dei lividi che le ricoprivano il corpo che decise di non stare più zitta. Quello fu l'ultimo giorno in cui vide suo padre e il giorno in cui sua madre impazzì e venne rinchiusa in quella casa di cura, che non era come gli ospedali cui si rivolgevano di solito, ma aveva gli stessi pavimenti lucidi e si respirava la solita aria viziata e asettica.

Galatea salutò cordialmente l'anziana signora alla scrivania, che la guardava sempre con quell'odiosa espressione di compassione di chi ha tutto e quando ti guarda si sente in colpa perché non ce l'hai anche tu, e si diresse verso il secondo piano, nella stanza di sua madre. Rimase ferma sulla porta, a guardarla. Era stesa sul letto, legata a tubi e tubicini che la tenevano in vita, con lo sguardo perso fuori dalla finestra, dove un grande albero con poche foglie, a causa delle rigide temperature, copriva la visuale dell'intera strada. Chissà se almeno oggi l'avrebbe riconosciuta. Con passi incerti entrò nella stanza, dove notò, appoggiato sul comodino, un piccolo albero di natale illuminato e in quel simbolo di festa, Galatea non vide altro che il tentativo di portar vita lì dove non ce n'era. Sua madre, non c'era più. Da tanti anni ormai. Della donna che era stata, ora non rimaneva altro che l'ombra, stanca e provata dalle fatiche della vita e dai malanni del cuore. Cercando di trattenere le lacrime, si sedette affianco a lei, stringendole la mano... "Mamma...sono qui." Sussurrò Galatea, che non ottenne risposta, ma rimase lì, in silenzio, accarezzandola, fin quando le infermiere non le riferirono che l'orario di visita era concluso. E rivolgendo un ultimo sguardo allo donna che l'aveva cresciuta e amata, nonostante tutto, perse in un momento tutte le sue maschere e tornò ad essere quella bambina dai codini biondi che nascosta dietro la porta, sperava solo che la sua mamma stesse bene.

Galatea si è sempre tenuta tutto dentro. I suoi pensieri, le sue paure, i suoi timori e i suoi malumori. A volte è più facile: se non prendi consapevolezza del problema, allora il problema non esiste. Ma non è proprio così, fai solo finta che quel mostro orrendo di cui hai sempre avuto paura da piccola non sia più nascosto da qualche parte, in agguato, pronto ad esplodere. Ma lui c'è. Non è più sotto il tuo letto, però. E' dentro di te, nascosto per bene, ma c'è. E ogni giorno si fa sempre più grande e più spaventoso ma imperterrita continui ad ignorarlo. Procedi a vivere la tua vita di sempre, quella finta, perché quella vera non ti piace, ti fa male e allora la nascondi, ma quel fardello è sempre lì, tra le cose dette e non dette, tra ciò che eri e ciò che sei. Ti illudi di poter dimenticare il passato ma così facendo non avrai futuro. Stringendosi nel cappotto a causa del freddo dicembrino, Galatea tirò fuori una sigaretta dal pacchetto e se la porto alle labbra, mentre con la mano sinistra prendeva la clipper per accenderla. Aspirò la nicotina e, mentre la sentiva invaderle i polmoni, si prese un attimo per recuperare le forze. Erano solo ora di pranzo, ma già si sentiva esausta. Sarebbe volentieri tornata nel suo letto, lontana dalla realtà, per trovare un momento di pace e solitudine in cui non essere nessuno. Né Galatea, la ragazza vittima di violenza domestica, né la professoressa di lettere o la donna dalle mille maschere, ma un corpo vuoto, un guscio che ricopre un cuore altrettanto arido. Finì di fumare la sigaretta, che ormai non le dava più alcun sollievo, e si diresse di nuovo in macchina, pronta ad indossare una nuova maschera, quella della gentilezza necessaria ad affrontare la sua amica Christie e i preparativi per il suo imminente matrimonio.

"Tea! Sei arrivata!" la salutò, quando la vide entrare nell'immenso atelier da sposa in cui si erano date appuntamento. Le andò incontro, stretta in un abito sbarazzino a fiori, con i ricci che le scendevano lungo il volto, e un sorriso radioso. Era così felice, e Galatea si sentì così egoista a non condividere il suo stesso entusiasmo che assunse anche lei un'espressione smagliante e si immerse in quel mondo di abiti e gioielli meravigliosi. Mentre Christie era chiusa in camerino a provare il suo abito, Galatea guardava il suo. L'amica aveva scelto per lei un abito corto, stretta in un corpetto a cuore ricamato, e una gonna che si apriva in morbide pieghe sulla vita. Era bellissimo, di un colore pescato che le illuminava il volto e la faceva sentire una principessa. Le venne quasi da ridere guardandosi, e pensare che da piccola aveva sempre immaginato indossare abiti meravigliosi e progettare con Christie il loro matrimonio. Ora di anni ne aveva trenta però, e si sentiva così inadeguata in quell'abito così giovanile e provocante, da chiedersi che cosa ci facesse lì. Doveva smetterla di farsi certi pensieri, lei era lì per Christie, che c'era sempre stata, che l'aveva sempre protetta e amata, che l'aveva consolata quando piangeva e non diceva perché, quando si rifugiava a casa sua senza dare spiegazioni o quando l'aveva ospitata quando aveva scoperto tutto. La stessa Christie che l'aveva voluta lì per vedere il suo abito da sposa ed era bellissima, nascosta dietro un velo bianco ricamato e avvolta in quell'abito bianco dalla gonna ampia e voluminosa, con quella coroncina di fiori che le risaltava il volto, già luminoso per la felicità.

"Sei bellissima Christine, la sposa più bella che abbia mai visto!" sussurrò commossa Galatea, avvicinandosi all'amica, che si ammirava allo specchio con occhi lucidi. Si guardarono negli occhi attraverso lo specchio. "E' lui", affermò Christine con la voce rotta dall'emozione. "E' l'abito giusto."

Le due amiche uscirono dall'atelier tenendosi per mano e si incamminarono verso la tavola calda più vicina, per fare una pausa e passare del tempo insieme. "Sono così emozionata! Ci pensi che tra esattamente una settimana mi sposo!" esultò Christie entrando nel locale e suscitando la risata dell'amica.

"Finalmente vorrai dire! Marco non si decideva più a chiederti di sposarlo. State insieme da otto anni." Scherzò, mentre si accomodavano attorno ad un tavolino e prendevano a sfogliare il menù, ma vennero interrotte dal cameriere che, munito di taccuino, era in attesa delle ordinazioni.

"Salve, per me un'insalata... sa, devo sposarmi fra una settimana!" ordinò Christie, facendo l'occhiolino all'amica che ordinò anch'essa un'insalata. "Per mantenerci leggere... sa, sono la damigella della sposa!" stette al gioco Galatea, suscitando le risate divertite dell'amica e del cameriere.

"Mi sei mancata Tea." Ammise Christie, facendosi d'un tratto seria e guardandola attentamente. "Come stai?"

Ah, bella domanda Christie, pensò Galatea. "Chris sto bene, davvero." Cercò di rassicurarla. "Lo sai che dovrò lavorare con Thomas Helby, l'attore di Don Jon? (3)"

"Cooosa? L'hai conosciuto? E com'è?" domandò l'amica, emozionata all'idea di ottenere pettegolezzi in più sull'uomo su cui aveva fantasticato da ragazza, a teatro con le amiche.

Galatea, felice di aver distolto l'attenzione, ma un po' meno di dover parlare di quel Thomas, alimentò la curiosità dell'amica dicendole che l'indomani si sarebbero rivisti per il progetto, suscitando le risate della donna che già immaginava possibili situazioni compromettenti in cui i due avrebbero potuto trovarsi.

Il pomeriggio procedette tranquillo, tra chiacchiere e risate, e le due amiche si separarono con la promessa di sentirsi il giorno seguente per sapere le ultime novità.

Sulla via del ritorno, Galatea si ritrovò a pensare per l'ennesima volta a quell'attore da strapazzo. Pensare a lui la innervosiva e non sapeva perché. C'era qualcosa in Thomas che la turbava, la rendeva inquieta. La faceva sentire tesa e sempre in allerta e non capiva. Non lo conosceva neanche! E non avrebbe dovuto conoscerlo, pensò. Doveva solo lavorarci insieme per un po'. E pensare che anche lei, da adolescente, aveva fantasticato su Don Jon, l'eroe di Haston City, poliziotto imbranato che finisce per risolvere il mistero dell'assassino, e aveva sperato venisse a salvare anche lei e sua madre dal mostro che abitava in casa sua. Che ingenua che era, si ritrovò a pensare. Nella vita vera non esistono eroi che possano salvarti, o cavalieri erranti pronti a portarti via. Non puoi sfuggire al tuo destino. Chi è nato servo, schiavo, prigioniero, forzato e burattino, questo rimane fino alla morte. (4)

Note

1 Jenson Hill, casa di cura, luogo di mia invenzione

2 Satorno, cittadina natale della protagonista e luogo in cui sono ambientati i fatti

3 Don Jon, spettacolo teatrale famoso e completamente di mia invenzione

4 citazione dello scrittore e poeta Giovanni Papini:

"Fino a sei anni l'uomo è prigioniero di genitori, di bambinaie o d'istitutrici; dai sei ai ventiquattro è sottoposto a genitori e professori; dai ventiquattro è schiavo dell'ufficio, del caposezione, del pubblico e della moglie; tra i quaranta e i cinquanta vien meccanizzato e ossificato dalle abitudini (terribili più d'ogni padrone) e servo, schiavo, prigioniero, forzato e burattino rimane fino alla morte."

* * * * *

Ciao a tutti! Eccomi con il secondo capitolo. Cosa ne pensate? Troppo lungo? Troppo corto?... sappiate che io vi vedo, miei cari lettori silenziosi, e mi farebbe davvero tanto piacere sapere la vostra opinione. Non siate timidi!

A presto,

itsg4ia

   
 
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