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Autore: Zomi    29/12/2019    3 recensioni
-Dannazione!- sbottò –Smettila di fissarmi: sei sorda?!-
E successe.
Nami, così avrebbe scoperto in seguito si chiamasse la ragazza, sgranò gli occhi a quella piccola parola così corta e dal suono poco sonoro, stringendo le labbra e schioccandole con velenosa avversità.
-Di- dalla sua carnosa bocca era uscito un suono privo di melodiosità, rauco e storpiato.
Quasi che in gola avesse dell’ovatta che soffocava la sua vera voce, storpiando le parole che pronunciava.
-Di, dono sodda- reggeva il suo sguardo con orgoglio –E tu? Dei idiota ero?-
[No plot, only fluff]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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In your own Words
 

 
 
La croce di sant’Andrea si abbassò del tutto, accompagnando lo sferragliare del treno in corsa e il ritmato illuminarsi d’arancione delle luci d’avvertimento del passaggio ferroviario.
Zoro puntò lo sguardo alle luci chiassose nella notte.
Lo scrosciare delle rotaie sbatacchiate dalla corsa forsennata del mezzo, le luci abbaglianti e il martellante richiamo all’attenzione gli erano del tutto indifferenti.
Non riusciva a formulare un pensiero coerente.
Era partito in fretta e furia, senza un perché ma, per una volta, con una meta ben precisa e conosciuta: lei.
Doveva raggiungerla a casa sua e parlarle.
Dirglielo.
Parlare nella sua lingua di carezze e movimenti leggeri, parlando per una buona volta.
Era salito in auto deciso, mosso solo dal desiderio bruciante di parlarle senza aspettare il giorno dopo o chissà quale occasione perfetta.
A Zoro, il perfezionismo, non era mai interessato.
A lui interessava solo vivere l’attimo, il secondo sfuggente e caldo che scattava nelle vene quando l’occasione si mostrava e lui l’afferrava senza ripensamenti.
Lo sferragliare incessante del treno riecheggiava sulla strada, tagliando con precisione i fari della sua auto mentre perdeva gli occhi nel marasma di colori che lo accecavano allo stop.
Non riusciva a distinguere con precisione le fusa del motore in folle della sua auto dal rombo sordo e rimbombate delle rotaie tremanti sotto la corsa del treno regionale.
Ridacchiò tra sé, scuotendo il capo.
Non riusciva a distinguere i suoni, come chiunque altro nella sua situazione in quel caos di suoni confusi ed elettrici, ma per lui era impossibile non cogliere la sottile ironia che quella momentanea assenza di udito gli regalava.
-Quante volte- ghignò, posando il capo nel palmo aperto, il braccio teso contro la portiera chiusa –Quante volte mi hai ripetuto che sei…-
 
 
-… sorda?!-
Aveva urlato sdegnato e rognoso, grugnendo in fine per quegli occhi color nocciola puntati su di lui.
L’aveva notata settimane addietro alla caffetteria, aveva provato a ignorare i suoi sorrisi smaglianti e la chioma rossa fluente, ma alla fine aveva ceduto e si era avvicinato per parlarle.
Che male poteva esserci nell’avvicinarsi a una sconosciuta e offrirle un caffè?
Mal che fosse andata avrebbe reclinato l’offerta.
Di certo Zoro non si aspettava che quella rossa tutte curve e occhioni di cerbiatta, una volta che era riuscito ad attirare la sua attenzione con un blando saluto tossicchiato dalla sua gola cavernosa, invece che accettare o rifiutare la sua offerta, lo fissasse stranita corrugando la fronte e studiando le sue labbra.
Aveva forse qualcosa tra i denti?
Si era grattato la nuca e aveva ripetuto l’offerta.
-Posso offrirti un caffè?- aveva borbottato masticando le parole.
Niente, ancora una volta la rossa l’aveva squadrato in volto, stringendo questa volta gli occhi, e misurandogli le labbra.
Zoro non era famoso per la sua pazienza.
Nemmeno per le buone maniere o il ripetersi troppe volte.
Ma per quegli occhi cavolo…
-Solo un caffè- aveva alzato un indice, abbozzando un sorriso –Non mordo-
Lei aveva piegato il capo, stretto tra i denti un labbro e contratto il viso in una smorfia.
Oh bene, cos’era? Un nuovo modo per rifiutare un approccio?
Fingersi di un’altra nazionalità o incapace di capire la lingua altrui?
Eppure l’aveva vista per settimane ordinare la sua colazione, e dubitava seriamente che la commessa, una ragazza tanto dolce quanto poco applicata alle lingue estere di nome Kayme, avesse eseguito la sua ordinazione leggendole nel pensiero.
-Almeno piantala di fissarmi- ringhiò, serrando la mascella non ottenendo però che la rossa smettesse di zigzagare con le iridi nocciola su di lui.
Sentiva il nervosismo colargli le vene, insieme all’imbarazzo di essere squadrato da capo a piedi da quegl’occhi così grandi e caldi.
-Dannazione!- sbottò –Smettila di fissarmi: sei sorda?!-
E successe.
Nami, così avrebbe scoperto in seguito si chiamasse la ragazza, sgranò gli occhi a quella piccola parola così corta e dal suono poco sonoro, stringendo le labbra e schioccandole con velenosa avversità.
-Di- dalla sua carnosa  bocca era uscito un suono privo di melodiosità, rauco e storpiato.
Quasi che in gola avesse dell’ovatta che soffocava la sua vera voce, storpiando le parole che pronunciava.
-Di, dono sodda- reggeva il suo sguardo con orgoglio –E tu? Dei idiota ero?-
Successe così.
Così Zoro conobbe Nami.
Per osare una nuova avance c’era voluto molto coraggio, molta fortuna e una buona dose di appoggio morale da parte dei suoi amici, se così poteva definire il sostegno ricevuto dai  due beoti di Sanji e Rufy, quando aveva raccontato loro del suo approccio mal riuscito.
Uno non aveva capito un tubo di quanto successo e l’altro, dopo averlo ricoperto di insulti per aver offeso la meravigliosa creatura angelica con cui aveva osato provarci, l’aveva poi deriso per la sua figuraccia.
Non sapeva perché, forse la sua buona stella aveva avuto compassione di lui, ma tra le risate sguaiate del biondo, Rufy aveva ripreso coscienza di sé e con un sorriso innocente e grande aveva affermato poche ma importanti parole.
-Ma parli di Nami? La conosco!-
Il beota la conosceva.
Ex compagni di scuola, ancora in amicizia si era spiegato il beota.
Il beota aveva guadagnato punti sulla scala di amicizia di Zoro.
Era così riuscito ad ottenere il numero di Nami.
Era così riuscito ad avere una conversazione scritta e comprensibile con lei, senza inciampare in problemi linguistici e sonori.
Era così riuscito ad ottenere un appuntamento.
Per conoscersi meglio, aveva azzardato tra le righe senza esprimerlo concretamente, per chiederle scusa di come si era comportato alla caffetteria, il reale motivo che mai e poi mai avrebbe espresso a voce alta.
Figuriamoci per messaggio.
Ma Nami sembrava averlo intuito comunque, perdonandolo in partenza e concedendogli una seconda chance, occasione che Zoro non voleva sprecare e su cui aveva riflettuto a luogo.
In fine, era giunto alla conclusione che il miglior posto dove portare la bella rossa e fare conoscenza fosse una discoteca: abbastanza rumorosa per coprire i suoi maldestri tentativi di parlare dimentico della condizione uditiva della rossa, affollata per non metterli in imbarazzo e il fattore “ballo” sembrava perfetto per poterla sfiorare senza sembrare maldestro o inopportuno.
Certo, non era un ballerino provetto, ma qualche mossa la conosceva e mal che fosse andata poteva ripiegare su una sana bevuta al bar da cui non avrebbe osato alzarsi, coinvolgendo Nami in qualsivoglia discussione riguardo a… a… oh bhè, ci avrebbe pensato a momento debito.
Si, era un piano perfetto, per congeniato e privo di falle.
Almeno così pensava Zoro, finché la ragazza che gli aveva occupato mente, tempo e preparativi per il tanto agognato primo appuntamento non era salita sulla sua auto, fissandolo interrogativa e confusa al tanto decantato luogo a cui erano diretti.
-Diccoteca?- si era sforzata di parlare, sollevando un sopracciglio e fissando scettica Zoro –Uoi potami in una diccoteca?-
-Non sai ballare?- l’aveva provocata con ghigno suadente, non staccando mai gli occhi dalla strada.
Non doveva perdersi. Non doveva perdersi!
-Affatto!- l’aveva vista sistemarsi meglio sul sedile, la chioma rossa libera e l’abito che cadeva con maestria sui suoi fianchi –E tu?-
-Me la cavo-
Bugia.
Piccola certo, ma comunque una bugia, e Nami sembrò accorgersene arricciando le labbra in un sorriso sibillino e diabolico.
Non aveva aggiunto parola per il resto del tragitto, e arrivati al locale gli aveva rivolto un semplice sorriso felino che, ingenuamente, Zoro aveva tradotto come uno sprono per la serata, che sembrava essere iniziata col piede giusto.
Mai idea fu più sbagliata.
Riuscì a uscire dalla discoteca alle quattro passate, con i piedi doloranti, le orecchie che fischiavano, la testa frastornata e una collera rabbiosa in corpo.
Per tutta la serata Nami aveva ballato senza tregua vicino agli enormi autoparlanti, ancheggiando e dando sfoggio di passi di danza sensuali e disinibiti, che lo avevano entusiasmato fin troppo, ma purtroppo non solo a lui rivolti.
Anche altri ragazzi si erano accorti di quella nuova rossa tutte curve e movenze veloci, e non si erano fatti scrupoli nel provare ad avvicinarla, ballarci assieme e allungare troppo le mani secondo i gusti del verde.
Non l'aveva mollata un solo attimo.
Non aveva ceduto a nessun ballo, marcandola stretto e ringhiando a chiunque osasse avvicinarsi o rivolgerle uno sguardo di troppo.
Era il primo appuntamento ma già ogni fibra del suo corpo urlava il possesso di Nami.
Ma ogni fibra ha il suo limite, e Zoro se ne era reso conto rimontando in auto dolorante e con i piedi che urlavano pietà. Non sarebbe riuscito a camminare decentemente per non sapeva quanti giorni.
-Vuoi he guidi io?- si era proposta, sorridente e fresca come una rosa Nami, quasi non fossero le quattro di mattina e non avesse ballato per sei ore filate.
Aveva ceduto, mandando a riposare il suo orgoglio e abbioccandosi lungo il tragitto di ritorno, senza scarpe né energie.
La rossa aveva decisamente vinto il primo round.
E vinse anche il secondo quando, parcheggiato davanti a casa sua, l'aveva svegliato con un pizzicotto sulla guancia.
-Snnn...ami!- aveva protestato il Bell'Addormentato, aprendo un occhio e ringhiando.
-Mi ai potato a ballae- affermò seria e con la voce nasale, gomiti posati sul volante e occhietti per nulla stanchi, ma anzi ancora carichi di energia.
-Eché?- domandò afona.
-E dove mai avrei dovuto portarti?!- sbottò quello, massaggiandosi la guancia lesa.
E che cavolo: di che si lamentava?! L'aveva letteralmente distrutto fisicamente, per non parlare della bile che aveva ingoiato nel vedere tutti quei fessi girarle attorno.
Che voleva di più?!
-Ma io ono sodda- si indicò il petto Nami, quasi ridendo, oh e se non era un bel suono quello!, -I soddi on entono a musica-
Zoro inarcò un sopracciglio, preso in contropiede.
Ah, vedo: Nami era audiolesa.
Nonostante li auricolari non sentiva chiaramente suoni, rumori, voci, figuriamoci le note musicali.
Per lei erano tutti brusii indistinti, un sottofondo giornaliero che non riusciva a distinguere e solo se si concentrava e focalizzava la sua totale attenzione nell’ascoltare tramite gli auricolari, riusciva a captare i suoni.
Con le voci era diverso, diceva che c’era un ritmo vibrante e la cadenza del tono l’aiutava nel sostenere una discussione, ricorrendo al linguaggio dei segni se non era certa di alcune cose.
Ma se la cavava. Con le parole.
La musica decisamente no.
Però a ballare era brava. O a vendicarsi.
Non lo aveva ancora scoperto.
-On ci hai penato?- lo guardò con occhi divertiti.
-No-
Sincero, lineare, diretto.
Come solo Zoro poteva esserlo.
E Nami lo scoprì in quel momento.
Non l’aveva trattata da audiolesa, da ragazza da compatire e salvare, da porre in salvo da ogni rumore della normale realtà.
Zoro l’aveva trattata come una comune ragazza.
Una ragazza di nome Nami.
Non un’audiolesa di nome Nami.
Era successo così: un sorriso luminoso, le gote rosse come i capelli lievemente spettinati e come le labbra che si posarono sulla guancia di Zoro.
-Gazie- sussurro piano, scivolando fuori dall'auto.
Zoro le diede vinta anche la seconda manche, non ascoltando il dubbio che forse l'aveva vinta lui.
Il primo appuntamento non si scorda mai, e Zoro non l'aveva fatto. Ma non aveva scordato nemmeno la successiva uscita al parco, la seguente in un bar, quella al giardino zoologico, al planetario, al luna park con la sua compagnia, e al giardino botanico con quella di lei.
Non aveva dimenticato il primo bacio davanti a un caffè al ginseng, decisamente di lei, e una birra rossa, decisamente di lui.
Non aveva dimenticato la prima litigata e come la voce di Nami si fosse fatta strozzata e pesante, mentre i gesti del suo parlato si erano trasformati da dolci e delicati movimenti, in vere e proprie sferzate di tempesta.
La voce le si era strozzata in un rantolo doloroso, e non era più riuscito a capire una sola parola, che fosse di gola ovattata o di mano mossa con velocità disarmante.
Non aveva dimenticato l'abbraccio con cui l'aveva cullata nel fare pace.
Non aveva dimenticato nulla Zoro.
Quel suo sorridergli da monella, gli occhi da cerbiatta che diventavano da gatta quando voleva prendersi gioco di lui..
Il segnarsi il petto -dalla spalla sinistra al fianco destro- con cui l'aveva battezzato nel suo linguaggio dei segni.
La r strascicata e lussuriosa che componeva il suo nome se lei lo pronunciava.
Le telefonate che ancora componeva, maledicendosi quando si ricordava che no, Nami, i suoi metallici come la suoneria proprio non li percepiva e alle telefonate non poteva rispondere.
Lei era sorda!
Erano solo rumore vago e distante, che nemmeno gli auricolari riuscivano a tradurre in chiari suoni, ma Nami comunque rispondeva. Comunque rideva del suo trattarla da normoudente.
Non aveva dimenticato la prima volta che l'aveva invitato a casa sua.
Il ritrovarsi sopra di lei, sul suo divano.
Le mani che vagavano sotto la gonna alzata e il suo respirare pesantemente, grondante di piacere mentre le labbra si incontravano tra schiocchi di lingua e vestiti gettati a terra.
I suoi occhi nocciola che imploravano una richiesta importante.
-Ti ascolto- pessima scelta di parole.
O forse no.
-On spenere la luce- aveva ordinato perentoria, a cavalcioni sopra di lui, le mani strette sulle sue spalle nude -Io on ti sento Zoro: almeno lazia che ti eda-
Non avrebbe più spento una sola lampadina in vita sua se lei era con lui.
Si sarebbe sempre fatto vedere, guardare, sentire.
Come aveva fatto sentire la presa ferrea della sua mano sulla gola di quell’idiota che sulla metro l'aveva derisa per la sua voce roca e nasale, per le vocali saltate e le consonanti sconosciute.
-Forza- aveva ringhiato a un soffio dal suo volto, premendolo contro la parete della cabina, la mano stretta attorno alla sua gola -Prova tu ora a parlare-
C'erano voluti due agenti per staccarlo da lui.
C'erano volute le due mani di Nami sul suo volto per calmarlo.
Le sue labbra per assicurargli che stava bene.
Zoro non se n'era accorto subito.
In fin dei conti non era nei piani: l'idea iniziale era quella di offrire un caffè alla bella rossa che incrociava ogni giorno in caffetteria.
Non aveva previsto la piega che gli eventi avevano preso.
Non aveva calcolato che per seguire le lezioni serali di LIS avrebbe dovuto rinunciare alla birra del giovedì sera con Johnny e Yosaku.
Non aveva previsto che i suoi amici avrebbero capito e che la rinuncia non avrebbe pesato.
Non aveva davvero capito, sospettato, immaginato di essersi innamorato.
Non l’aveva capito.
 
 
Il clacson strillò acuto, riportandolo allo stop e alle luci ora spente della Croce di Sant'Andrea.
Ignorò bellamente l'isteria dell'auto che lo seguiva, e continuò per la sua strada, sicuro e determinato.
-Svoltare a destra-
-Zitto tu- spense il navigatore, ghignando.
Si, aveva studiato.
Aveva chiesto alla docente O'Tsuru di mostrargli, insegnargli la frase. Di ripetergliela finché non fosse stata chiara.
-Ogni signolo movimento è una parola- lo aiutava a comporre l'idioma muovendogli le dita della mano -L'armonia e il ritmo indicano il tono: su riprova, Zoro san-
Aveva provato, aveva ripetuto, aveva imparato.
Era pronto.
Parcheggiò l'auto davanti a casa di Nami, solo due vicoli più avanti di quel che ricordava ma avevano sicuramente modificato la viabilità: di certo non si era perso.
Con passo deciso si avvicinò alla porta, notando vagamente lo stereo ad alto volume proveniente dall'interno della casa, che ripeteva una frase ad oltranza. Un cd preparatorio? Cosa stava cercando di dire alla perfezione la sua mocciosa?
Il campanello suonò, accendendo e spegnendo ripetutamente una lampadina sopra la porta che avvertì la padrona di casa del suo arrivo.
-Eccomi- passi veloci, lo stereo che taceva, e una chioma rossa che faceva capolino -Zoro!-
Il ghigno gli uscì naturale sulle labbra, come il bacio a salutarla, la mano a sollevarsi nel saluto che meglio lei conosceva.
-He fai cui?- lo interrogò rapida, facendolo entrare.
Il verde non rispose subito. Le rubò un altro bacio e poi la distanziò di un passo nella piccola entrata.
-Zoro?- lo guardò confusa: che gli prendeva ora?
Non era la prima volta che piombava alla sua abitazione senza invito o avvertirla, ma era quasi sempre dopo la palestra o durante i fine settimana, per rubare piccole ore ai loro incontri e prolungare la visita a sorpresa fino a mezzanotte, le due, le quattro, alla colazione del mattino successivo fino alla partenza per il lavoro.
Erano visite non programmate, ma che sapevano di quotidiano, di bello, di ordinario e di loro.
E Nami aveva iniziato ad attenderle con sempre maggior frenesia e desiderio.
Ma quella sera, lo leggeva negli occhi di Zoro, vi era un ben preciso e chiaro motivo nella sua visita, e non era per dividere una pizza o parlare fino a notte inoltrata di ogni pensiero che passeggiasse per le loro menti.
No, Zoro aveva un obiettivo.
-Zoro!?- lo chiamò ancora, guidandolo fino al salotto.
Lo vide prendere un profondo respiro nel sedersi accanto a lei sul divano, oh brutto segno!, alzare la mano sinistra, peggio ancora!, e mostrarle il pugno.
Cosa stava cercando di dirle?
Zoro si impegnava nel linguaggio dei segni, ma a volte diceva certe fesserie…
Doveva impegnarsi per non ridergli in faccia.
Ma quando lo vide alzare il mignolo, qualcosa dentro il suo petto le chiese di pazientare e trattenere il respiro.
Io.
Tese il mignolo ben dritto e lievemente inclinato verso l'esterno del pugno ancora chiuso, aprendo poi anche il pollice in una mezzaluna inclinata e goffa.
Amo.
Piano, lentamente, l'indice si tese sulle rimanenti due dita inchinate, alzandosi dritto verso l'alto a completare le corna metallare che in molti usavano.
Ma che solo Nami leggeva nel giusto significato.
Te.
Il cuore le saltò nel petto, impedendole di compiere alcun gesto se non fissare la mano plastica di Zoro, ferma ancora nel suo parlarle.
Ferma fino a quando il ragazzo non provò a ripetere la frase, certo di aver sbagliato qualcosa perchè altrimenti Nami lo avrebbe fissato senza replicare per lunghi minuti?
Non che si aspettasse una risposta: voleva solo che lei capisse.
-Forse ho sbagliato…- aprì e richiuse la mano, ripetendo il gesto lentamente, come O’Tsuru gli aveva insegnato pazientemente, tenendo maggiormente le dita usate e ripetendosi l’ordine con cui alzarle.
Era semplice, andiamo!
Doveva solo tendere il mignolo, poi il pollice, infine l’indice e poi...
Le mani di Nami lo bloccarono, rubandogli il palmo articolato nella complessa disposizione di tre piccole parole, e portandoselo al petto, dove lo strinse con forza.
La studiò accoccolarsi attorno al suo polso, stringendo con caparbietà le falangi lapalissiane, mentre si avvicinava a lui e adagiava il capo contro la sua spalla.
-... mmmo- mugugnò, infossando il volto contro la sua gola.
La sua voce afona vibrò sulla pelle bronzea di Zoro che sorrise sghembo,  giocherellando con qualche ciocca ramata.
-Come?- mosse due dita in cerchio nell’aria.
Nami sbuffò e si strinse maggiormente a lui.
-Tio- pigolò con voce strozzata e priva di note acute, spoglia di tutta la naturale sicurezza che la contradistingueva.
-Nami non ho capito- le sfiorò una guancia, scivolando con le dita sotto al mento e sollevandole il volto, ghignando alle gote scarlatte della ragazza.
Nami sbuffò, si inumidì le labbra, fece mente locale alle indicazioni del cd preparatorio, e preso un profondo respiro provò ancora.
-Ti- parlò nasale, percependo il diaframma vibrare come consigliato dalla voce guida, soffiando tra i denti appena accostati e con la lingua che pizzicava gli incisivi messi in mostra dalle labbra disgiunte, gonfiando appena le guance in un sordo respiro.
Studiare la pronuncia era difficile, riusciva a concentrarsi solo nel silenzio assoluto di casa sua, ma la pratica era molto più complicata del previsto. Come col LIS.
-Am… am…- annaspò cercando di non allungare troppo la consonante unica, vibrante sulle labbra chiuse in rapidità dopo la prima vocale, che ancora le suonava in gola, ma che doveva tacere per consentire all’ultimo fonatorio di completare l’importante parola -Ti am… am… amo!-
Deglutì, la gola secca e la lingua non abituata a una sforzo simile nel comunicare perfettamente e priva di sbavatura una tale importante parola.
Sollevò gli occhi dalle sue mani stretta ancora attorno al polso di Zoro, là dove la sua di dichiarazione ancora comunicava col suo sterno e col battere euforico del suo cuore, alzandoli a quelli neri e profondi di lui, che sorrideva e soprattutto ascoltava.
Non le chiese se era quello che stava studiando al suo arrivo.
Non le chiese da quanto si stesse allenando a pronunciare con perfezione e meticolosità parole a ei così sconosciute.
Le parole, ciò che contenevano le comprendeva perfettamente. Sia lei che lui.
-Ehi- le sfiorò la guancia, rubandole un sorriso imbarazzato -Me le ripeteresti?-
La risata afona e quasi muta di Nami lo accolse, mentre le sue piccole dita ruotavano in cerchio unite e in sua sirezione.
-Ipeti anche u- si raggomitolò sul suo petto, distesi sul divano -Ancora-
Zoro aprì la mano, la richiuse, tese il mignolo e poi il pollice. L’indice per ultimo.
La gola di Nami si aprì, fece uscire le piccole sillabe che unendosi formavano un suono dolce come miele e tondeggiante, amabile. A gruppi di due e di tre.
E continuarono così per tutta la notte.
Ancora e ancora, come le loro mani e le loro voci.
Con le loro parole.
 
 
 
 

 
   
 
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