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Autore: Roberto Turati    29/12/2019    0 recensioni
Una storia che dedico a Maya Patch, mia amica e mentore.
 
Per capire del tutto questa storia del mio AU, è meglio se leggete la storia di Maya, prima di questa.
Mentre la tribù dei Difensori si sta ancora riprendendo dall'assedio dei Teschi Rossi, Aurora attende con impazienza il ritorno di Lex da Ragnarok per poter continuare ad indagare con lui sugli indizi sparsi per l'Isola. Tuttavia, fa una scoperta inaspettata: rinviene un antico oggetto portato nel mondo delle Arche da un'altra dimensione. Studiandolo, scopre il luogo d'origine del suo defunto proprietario: ARK, l'isola preistorica.
 
Aurora e Lex vi si perderanno loro malgrado. Saranno in grado di trovare un modo per ritornare sulle Arche, nonostante tutti gli ostacoli che ARK riserva per loro?
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Lex e Aurora seguirono le indicazioni di Drof, mentre le ombre calavano sulla prateria. Alla fine, una volta raggiunta la cima di un colle, giunsero in vista di un lago in mezzo al verde. Lungo tutta la sponda settentrionale, illuminato dai bagliori di torce e falò, si trovava un villaggio protetto da una palizzata. Da lì, potevano osservare certi particolari: le abitazioni erano grandi, fatte di mattoni e tegole. Dietro il villaggio, erano sparsi numerosi campi coltivati, mentre su una lingua di terra che si estendeva dalla riva del lago era stata costruita una serra.

«Ed ecco il villaggio della tribù di Drof» dichiarò Lex.

«Però, questa gente sarà vissuta qui da parecchio tempo!» commentò Aurora.

«Che intendi?»

«Be’, se hanno avuto il tempo e l’occasione di seminare tutti quei campi laggiù e coltivarli, vuol dire che hanno vissuto qui abbastanza a lungo per averne cura, raccogliere quello che seminano e senza essere disturbati da nessun nemico. O sbaglio?»

«No, no, è una buona osservazione! Molto logica»

Aurora sorrise e arrossì:

«Oh, grazie!»

Lex spronò il triceratopo e ripresero il viaggio. Scesi dal colle, girarono intorno al lago e raggiunsero l’ingresso del villaggio. Quando si fermarono davanti al cancello, si accorsero che sopra di esso era appeso l’imponente cranio di un giganotosauro. Lex la trovava un’accoglienza macabra, da parte di una comunità di contadini. Il cancello era già aperto, quindi entrarono senza problemi. Nelle strade del villaggio non c’era quasi nessuno: c’erano più bestie che persone in giro, in gran parte senza sella. Le creature più curiose li guardavano passare, mentre quelle più socievoli tentavano di avvicinarsi al triceratopo, che però le allontanava scrollando il muso e sbuffando.

Lex provò a chiedere di Drof alla prima abitante che gli capitò di incrociare, una donna indigena che stava rientrando in casa con dei cavoli sottobraccio. Si aspettava di essere ignorato o di dover fare più di un tentativo, invece gli fu subito indicato dove poteva trovarlo. Così ringraziò la donna e proseguì. Lex seguì le indicazioni ricevute e trovò Drof nella piazza del villaggio, al centro della quale si trovava un altare con sopra un altro cranio di giganotosauro.

“Cos’è questa fissazione per quei teschi?” si chiese Lex.

Drof stava accarezzando un carnotauro nero dall’addome bianco, davanti all’altare. Il dinosauro teneva la pancia a terra e gli occhi chiusi, mentre si godeva le attenzioni del padrone. Ogni tanto, l’uomo si accorgeva di alcuni lembi di pelle secca sulle scaglie e le staccava, cosa che il carnotauro sembrava gradire. Quando i due sopravvissuti si avvicinarono, Drof si accorse di loro e si schiarì la voce. Il carnotauro riaprì gli occhi, contrariato perché le carezze si erano interrotte, e alzò il muso.

«Ah, eccoti. Ti stavo aspettando. Lei è la compagna di tribù di cui parlavi, giusto?»

«Esatto. Ti presento Aurora»

«Piacere di conoscerti» salutò lei.

«Bene, ora posso portarvi da mia figlia. Lasciate pure libera la corona puntuta, troverà da sé la sua mandria»

I due sopravvissuti obbedirono e scesero dal triceratopo, che si allontanò a passo svogliato. Intanto, il carnotauro di Drof si alzò e andò via nella direzione opposta. Drof fece loro cenno di seguirlo e i due sopravvissuti si incamminarono dietro di lui. Mentre li scortava, Aurora si accostò a Lex e gli mormorò all’orecchio:

«Perché ha detto “corona puntuta”?»

Lex fece spallucce e rispose:

«Sembra che qui abbiano nomi descrittivi per i dinosauri. Mi danno l’aria di essere un’autentica società primitiva, diversa dalle tribù sulle Arche. Forse il Multiverso esiste davvero!»

Aurora si accigliò, confusa:

«Cosa? Di che stai parlando?»

Lex si rese conto di non avergliene mai parlato e si affrettò a spiegarsi:

«Oh. Ehm… anni fa, ho incontrato un vecchio che credeva negli universi paralleli. Forse non era poi così pazzo»

«Pensi davvero che ci troviamo in un altro mondo? Una realtà del tutto diversa?»

«Ogni cosa sembra confermarlo. Insomma, ci troviamo su una versione alternativa delle Isole dei Cristalli!»

La loro discussione fu interrotta da Drof, che si voltò con fare imbarazzato:

«Che avete da bisbigliare, stranieri?»

«Eh? Ci stavamo facendo un paio di domande» rispose Lex.

Drof alzò le mani, per poi indicare l’abitazione davanti a cui si era appena fermato e annunciare che erano arrivati. Era una casa a due piani di pietra, non di mattoni come la maggior parte delle altre. Accanto alla casa c’era un orto e, dietro di esso, un pesco. Drof si tolse le armi di dosso e le lasciò su una scaffalatura accanto alla porta d'ingresso.

Disse ai due ospiti di stare nel giardino e aspettare. Con un sorriso, spiegò di voler fare una sopresa a sua figlia Acceber: spiegò che adorava fare amicizia con gli stranieri e imparare a conoscerli, ma la entusiasmava ancora di più la rara occasione di poterne ospitare alcuni. Lex e Aurora si guardarono un po’ imbarazzati, poi annuirono e dissero che non c’era problemi. Allora Drof entrò in casa e si richiuse la porta alle spalle. Passò un minuto di silenzio, così Aurora decise di dare un’occhiata al giardino; quando passò sotto il pesco, si fermò per osservare i fiori e godersi il loro profumo. Lex stava per riprendere la loro riflessione sul mondo parallelo ma, proprio in quel momento, sentirono un grido di gioia dentro la casa.

ArkCanon2 by RobertoTurati

Acceber, quel giorno, era stata molto indaffarta a intrecciare cesti di vimini da vendere agli abitanti del villaggio. Era un’arte che le aveva insegnato a sua madre e le riusciva molto bene, quindi approfittava sempre delle giornate in cui non era impegnata a imparare le tattiche di sopravvivenza da suo padre per preparare cesti con cui racimolare qualche ciottolo. Dopo aver ultimato i cesti, verso il tramonto, aveva deciso di dare una ripulita alla casa e di mettere a bollire lo stufato di verdure. Era ancora in alto mare con la polvere al piano di sopra, quando sentì la voce di Drof.

«Acceber, sono tornato!»

La ragazza sorrise e scese le scale per salutarlo, noncurante della polvere che si era accumulata sui suoi vestiti e tra i capelli raccolti alla buona:

«Bentornato, padre! Scusa se sono conciata così, avevo deciso di pulire»

«Non ti preoccupare, hai fatto bene. Comunque, ho una sorpresa per te»

«Davvero? Cosa?»

«Indovina!»

«Oh! Mi lascerai fare il giro dell’isola nella Casa di Tutti?»

«No, ancora meglio!» 

«Cioè?»

«Ho incontrato due stranieri. Cercavano un posto per la notte, così ho offerto loro di riposare qui. Contenta?»
Prima ancora che finisse, Acceber urlò di felicità e corse ad abbracciarlo: per poco, non lo fece cadere.

«Oh! Piano!»

«Grazie! Sono qui fuori?»

«Sì»

«Vado subito a presentarmi! Per la dea, che bello!»

Prima di uscire, si scrollò di dosso più polvere che poté e si sciolse i capelli legati, per nascondere la cicatrice che aveva sul collo. Si lisciò la chioma con le dita e uscì.

CrystalISLAND 2 by RobertoTurati

Aurora si ritrovò davanti una ragazza che sembrava appena più giovane di lei. La fanciulla osservò lei e Lex con una gioia tale che la spiazzò e imbarazzò. La rossa guardò Lex con la coda dell’occhio e notò che stava facendo un’espressione identica, benché provasse a nasconderla. Decisa a rompere il ghiaccio il prima possibile per superare l’imbarazzo, Aurora sorrise e mormorò un timido saluto. La figlia di Drof rispose subito:

«Ciao! Sono Acceber, piacere di conoscervi! È sempre bello conoscere nuovi naufraghi! Come vi chiamate?»

«Io sono Aurora»

«Oh, che bel nome! E tu?»

«Lex»

«Come dicevo, molto piacere!»

Acceber strinse la mano a entrambi e l’imbarazzo iniziò a svanire: quella ragazza sembrava davvero buona come il pane, il suo entusiasmo era travolgente come una valanga. Suo padre, apparso in quel momento sulla soglia di casa, le disse qualcosa nella loro lingua:

«Itag tad edev òp ecef idamjv, emef ipjv ademev: edamlacev epudacec ifiz a tjvef! Itab vlamaf emideb emjded?»

«Cos’ha detto?» chiese Lex.

Acceber ridacchiò, a braccia incrociate:

«Mi ha detto che siete un po’ strani, ma che posso stare serena perché sembrate tipi a posto. Be’, volete venire dentro? Avete fame?»

I due sopravvissuti cercarono di ignorare il fatto di essere stati etichettati come strani e annuirono con forza: dopo tutto quello che era successo, un pasto caldo era proprio l’ideale. Quindi seguirono Acceber in casa, dove aleggiava un invitante profumo di zuppa.

«Questo pomeriggio ho messo a bollire le verdure per me e mio padre, ma per fortuna ne ho raccolte abbastanza da avanzarne un po’. Padre, posso dare le altre due porzioni a loro?» suggerì.

«Certo, è il minimo»

«Vi stanno bene le verdure?»

Lex guardò la pentola appesa nel camino e annuì:

«Ma certo, ora mi andrebbe bene qualunque cosa»

Si sederono a tavola e Acceber servì la cena. Il suo stufato di ortaggi insaporito con brodo di pesce era delizioso, tanto che Aurora ne avrebbe mangiato altro molto volentieri, se ce ne fosse stato di più. Durante il pasto, ascoltò la conversazione tra padre e figlia:

«Sai, Acceber, mentre partivo per la prateria con la mandria di corone puntute, ho avuto notizie da Odraccir»

«Davvero? Allora dimmi, hanno davvero intenzione di provarci?»

«Sì. È ufficiale: hanno deciso di mettersi a cercare il mostro acido. Hanno invitato anche me»

«Sapevo che non avrebbero resistito! Secondo te li ha convinti Aisapsa?»

«Ci metto la mano sul fuoco. Be’, una scusa per riunire la combriccola vale l’altra. Sarò contento di rivederli»

«Chissà, magari sarete proprio voi a spuntarla! Chissà se il mostro acido esiste davvero»

La conversazione andò avanti un altro po’, ma Aurora si accorse in quel momento che stava lasciando raffreddare il suo stufato, quindi smise di ascoltarli e finì di svuotare la sua ciotola. Alla fine del pasto, Drof si alzò da tavola e si congedò. Acceber si rivolse agli ospiti con un sorriso accogliente:

«Ora lavo i piatti, poi vi porto nella mia stanza! C’è spazio per due»

Aurora si sentì in colpa:

«Ma tu dove dormirai, allora?»

«Non è un problema: stanotte io e mio padre saremo fuori dal villaggio»

«Capisco»

Quando Acceber finì di lavare i piatti e la pentola, li accompagnò di sopra e li portò in camera sua. Aurora osservò la stanza per un paio di minuti: era piena di soprammobili e oggetti vari che coprivano del tutto le mensole in bambù alle pareti. C’era di tutto: ornamenti, libri rovinati, bracciali, giocattoli e così via. Il letto era sotto la finestra, che in quel momento era spalancata. Dal davanzale, si vedevano quasi tutte le case del villaggio e il lago. Il cielo stellato e tutte le luci delle abitazioni che facevano riflessi sull’acqua rendevano la vista ancora più rilassante, per Aurora.

«Vi piace la mia collezione? Sono tutti gli oggetti stranieri portati dal mare o caduti dal cielo che ho trovato in giro! Non sempre riesco a capirli. Vi andrebbe di darmi una mano, quando avete tempo?» ammiccò Acceber.

Aurora e Lex si guardarono: la rossa era intenerita dalla dolcezza della ragazza, mentre Lex sembrava incerto e disorientato. Aurora decise di venirle incontro:

«Se ne avrò l’occasione, ti aiuterò volentieri a chiarire qualunque dubbio tu abbia»

«Oh, grazie! Ma non adesso: ora ho altre domande da farvi. Ho giusto il tempo di aspettare che mio padre mi chiami e partiamo insieme»

Lex ci rifletté per un breve attimo, per poi accettare:

«D’accordo. Forse potremo aiutarci a vicenda a capire questo posto. Non sono ancora riuscito a ragionare come si deve su tutto questo»

I sopravvissuti si sederono sul letto, mentre Acceber si appoggiò al muro della stanza. Lei poneva le domande, loro fornivano le risposte. Così, a poco a poco, le spiegarono con calma da dove venivano e come si erano ritrovati su quell’isola. Acceber ascoltava con enorme interesse e, con grande stupore di Aurora, prendeva sul serio le loro descrizioni e spiegazioni delle Arche e della sfera di rame. Si chiedeva se fosse una credulona o se le importasse davvero di loro. In ogni caso, una domanda dopo l’altra, riuscirono a riassumere tutta la vicenda. Per concludere, Aurora mostrò la sfera ad Acceber e dichiarò:

«Ed ecco come siamo arrivati qui»

La ragazza rimuginò a lungo, intenta a strofinarsi gli angoli della bocca col pollice e l’indice. Ridacchiò e affermò:

«È davvero affascinante l’idea che i vostri innesti parlino di voi. E che contengano le cose per magia!»

«All’inizio, anch’io ero senza parole» ricordò Aurora.

«Credo che lo siamo stati tutti» suppose Lex.

«Mi sa che dovrete abituarvi in fretta alle occhiate strane di tutti, ogni volta che degli Arkiani vedranno degli innesti al polso di due stranieri. Molti avranno reazioni molto più forti di quella di mio padre, secondo me. Insomma, l’innesto è il marchio dei figli di ARK! Per noi è un assoluto: gli Arkiani hanno l’innesto, gli stranieri no. Forse qualcuno penserà che siate benedetti da Colei che Veglia, la nostra dea»

«Passeremo dei guai?» domandò Lex, preoccupato.

Acceber fece spallucce:

«Uhm… no, dubito che sia così grave. Al massimo, sarete sulla bocca di tutti per qualche settimana. Fidatevi, però: si sentono di continuo storie fuori dal comune, su quest’isola, le cose più disparate. Vedrete che, prima o poi, anche voi diventerete “normali”»

«Ottimo. Non vogliamo guai»

Acceber serrò le labbra: sembrava tentata di dire qualcosa di rischioso. Alla fine, congiunse le mani e propose:

«Allora, se ho capito bene, volete esplorare meglio l’isola? Capire le differenze con le “Isole di Cristallo” che avete menzionato?»

«Sì» confermò Lex.

La ragazza si entusiasmò ancora:

«Allora posso aiutarvi! Se volete, potrei farvi dare un’occhiata ai miei posti preferiti, o mostrarvi le cose più interessanti che si possono fare qui. D’altronde, per voi è tutta una scoperta, giusto?»
Aurora fu davvero tentata da quelle parole. Si sfregò le mani e fece un sorrisetto complice:

«Che offerta invitante! Hai già in mente qualcosa in particolare?»

Acceber le strizzò l’occhio:

«Ovvio: posso portarti all’Apoteosi! Basta che accetti e domani ti porterò alle isole volanti in un lampo»

«Oh, sì! Portamici! Sembra bellissimo»

Lex, invece, sembrava poco convinto:

«Vorrei vedere più che altro come vivono queste tribù. Credo che mi convenga fare domande in giro per quest’isola»

«Be’, potresti andare con mio padre: fa favori a un sacco di persone. Se lo segui, avrai a che fare con membri di qualunque tribù e potrai dare un’occhiata alle tradizioni di ciascuna»

«Grazie per il suggerimento, ci penserò»

«Benissimo! Glielo dirò. Comunque, credo che ora vi lascerò dormire: avrete bisogno di riposo, dopo tutto quello che avete passato. Vado ad aspettare mio padre di fuori»

La ragazza li salutò un’ultima volta, uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Una volta rimasti soli, Lex garantì ad Aurora che aveva fatto la scelta giusta: le isole volanti delle Isole di Cristallo erano davvero uno spettacolo senza pari, a detta sua. La curiosità di Aurora divenne ardente, ma la stanchezza si faceva comunque sentire. Sbadigliò e chiese a Lex:

«Dunque, prendi tu questo letto o…»

«Prendilo tu: tanto dormo per terra»

«Oh, d’accordo. Allora buonanotte»

«Notte, anche se sarà difficile addormentarsi con l’imbarazzo di trovarmi nella stessa stanza con te»

«Pensi di essere l’unico?»

Entrambi ridacchiarono e arrossirono per l’imbarazzo. Ma, una volta coricati, il sonno non si fece attendere.

   
 
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