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Autore: Roberto Turati    25/12/2019    0 recensioni
Una storia che dedico a Maya Patch, mia amica e mentore.
 
Per capire del tutto questa storia del mio AU, è meglio se leggete la storia di Maya, prima di questa.
Mentre la tribù dei Difensori si sta ancora riprendendo dall'assedio dei Teschi Rossi, Aurora attende con impazienza il ritorno di Lex da Ragnarok per poter continuare ad indagare con lui sugli indizi sparsi per l'Isola. Tuttavia, fa una scoperta inaspettata: rinviene un antico oggetto portato nel mondo delle Arche da un'altra dimensione. Studiandolo, scopre il luogo d'origine del suo defunto proprietario: ARK, l'isola preistorica.
 
Aurora e Lex vi si perderanno loro malgrado. Saranno in grado di trovare un modo per ritornare sulle Arche, nonostante tutti gli ostacoli che ARK riserva per loro?
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Lex guarì dalla megarabbia alla fine di quel sereno, ma lungo mese. Aurora fu contentissima di sapere che ora il suo amico era uscito dalla quarantena e poteva andare in giro; ma era ancora più entusiasta al pensiero che, finalmente, poteva parlargli della sfera. Tuttavia, era consapevole che Lex era ancora convalescente e aveva ancora bisogno di riposo. Una volta, Giselle le disse pure che il poveraccio non poteva nemmeno salire una rampa di scale senza tossire e che e gli mancasse il fiato. Non era proprio il caso di stressarlo troppo. Così la ragazza si impose di avere pazienza ancora qualche giorno, aiutata anche dalla compagnia di Yannis. Il suo collega stalliere riuscì persino a farle dimenticare tutti i misteri dell’Isola per un giorno, quando le organizzò un appuntamento a sorpresa.

Nei giorni che seguirono, Aurora iniziò a valutare tutte le occasioni possibili per andare da Lex e raccontargli della sua scoperta. Vedeva che il biondo si stava rilassando il più possibile: andava spesso in posti tranquilli a pescare o alla stalla per coccolare il suo grifone, quando non c’era nessuno; altre volte andava alla baia per dare da mangiare alle sue cavalcature marine, che Giselle faceva sempre salire in superficie per risparmiargli un’immersione e il rischio di asfissia. Alla fine, la rossa optò per avvicinarglisi appena fosse andato alla stalla, un giorno in cui Yannis non era di turno. Aveva imparato molto presto che quest’ultimo non vedeva Lex di buon occhio; questo la infastidiva non poco, ma non aveva voglia di rischiare momenti imbarazzanti o equivoci. Una mattina, cinque giorni dopo, Aurora si stava dirigendo alla stalla per rifornire le mangiatoie e vide Lex entrare. Era il momento.

Con un sorriso eccitato, Aurora corse alla stalla, all’inseguimento dell’amico. Come si aspettava, Lex era lì per accarezzare Griff, che si lasciava coccolare stando sdraiato con gli occhi chiusi e tubava indispettito, quando il padrone gli arruffava le piume sulla testa per gioco. La rossa fece un respiro profondo per frenare l’emozione e raccogliere i pensieri sulle cose da dire. Si avvicinò alle spalle di Lex e si schiarì la voce per annunciare la sua presenza. Il biondo si voltò, con un’espressione incuriosita, e le rivolse un sorriso amichevole: sembrava contento di vederla.

«Ciao» la salutò, sereno.

Aurora si mise le mani dietro la schiena e gli rivolse un sorrisone ancora più ampio:

«Ehi, Lex! Come stai?»

«Meglio di prima, ma non mi sono ancora rimesso del tutto. Se non altro, ho parecchio tempo libero» scherzò il giovane.

La rossa annuì, empatica:

«Be’, è già qualcosa»

A quel punto, si rese conto di non sapere con certezza come iniziare l’argomento della sfera. Senza notarlo, si incantò e iniziò a fissare il vuoto. Lex la guardò con perplessità per qualche secondo, poi tornò ad accarezzare Griff, quando il grifone gli diede una spintarella col becco per avere la sua attenzione. Appena si accorse di essere caduta in un silenzio imbarazzante, Aurora si riscosse ed ebbe il batticuore per un attimo. Decise di non indugiare oltre e di andare subito al punto:

«Lex, c’è qualcosa che devi proprio vedere»

Il suo amico si voltò di nuovo e alzò un sopracciglio:

«Di che si tratta? Hai trovato un altro ologramma?»

La ragazza scosse la testa:

«No, è diverso. Non ho potuto parlartene finora perché ti sei ammalato, ma mentre eri via ho trovato questa»

Aurora alzò il braccio sinistro e attivò il suo innesto. Aprì l’inventario e fece apparire la sfera di rame nella sua mano. Quando la vide, Lex corrugò la fronte, confuso:

«Una palla arrugginita?»

Aurora annuì e spiegò:

«Stavo raccogliendo bacche nella foresta con Giselle, poi ho trovato uno scheletro vecchissimo sotto un salice. Aveva questa fra le mani»

Lex incrociò le braccia e fissò lo sguardo sulla sfera, sempre più intrigato. Aurora proseguì:

«Ci ho messo un po’ a capire cosa fa, ma alla fine ci sono arrivata. Osserva»

La ragazza aprì la sfera e mostrò a Lex la boccetta di vetro, il suo contenuto bizzarro e la tastiera. Il biondo sgranò gli occhi, stupefatto:

«Che roba è?» chiese.

«Non ne ho idea. Anzi, no: ho un sospetto su cosa sia. Speravo che potessi aiutarmi ad avere una conferma»

Aurora si accostò a Lex, tese in avanti il più possibile e, una volta che si fu accertata che Lex stesse a distanza, premé il tasto con l’icona della casa. Come la volta precedente, il fondo della sfera si aprì e rovesciò il liquido azzurro per terra. Mentre aspettava che nella pozzanghera apparisse l’immagine del prato coi cristalli, la rossa diede un’occhiata furtiva alla faccia di Lex; provò una punta di soddisfazione, nel vedere il suo sguardo rapito e meravigliato. In pochi secondi, nella pozza apparve l’immagine del paesaggio e Lex fece un passo indietro per lo stupore. Fissò Aurora, incredulo:

«È quello che penso io?» le chiese.

Aurora si aspettava una reazione del genere. Il giorno prima, aveva fatto una prova per verificare la sua teoria, e aveva la dimostrazione pronta per il suo amico. Annuì con un sorriso, fece apparire una pietra dall’inventario del suo innesto e la gettò nella pozzanghera. Il sasso attraversò il liquido come se fosse stato lanciato da una finestra; cadde verso il prato per un paio di istanti, prima di schiantarsi sull’erba con un tonfo sordo e rotolare un po’. I due sopravvissuti si guardarono negli occhi:

«È un portale» affermò Lex.

«A quanto pare. Ma la domanda è: dove porta?» chiese Aurora.

Il biondo osservò meglio lo scorcio nella pozza e sembrò riconoscerlo. Le spiegò:

«Devono essere le Isole dei Cristalli: questa è senz’altro la prateria al centro dell’Arca, con quei cristalli bianchi e rosa»

«Conosci il posto?»

«Sì, ci sono stato. È una delle mie Arche preferite: è tranquilla, tutte le tribù che ci vivono sono pacifiche ed è piena di risorse di ogni tipo. Comunque, immagino che questa sfera sia una sorta di “obelisco tascabile”, per così dire»

«È quello che ho pensato anch’io»

Mentre parlavano, la pozzanghera iniziò a evaporare e scomparve in pochi secondi, come le volte precedenti che Aurora aveva provato la sfera. La rossa richiuse la palla di rame e disse:

«Dovrò aspettare fino a domani, prima di poterla usare ancora. Questo liquido schifoso viene dal legnetto nella boccia di vetro: gli ci vuole un giorno per riempire il contenitore»

Lex rimuginava, tenendosi il mento fra il pollice e l’indice:

«Capisco. E vedo che ha solo dieci tasti, quindi le destinazioni sono limitate. Insomma, ha il vantaggio di essere comoda e pratica, ma è molto meno efficace degli obelischi per viaggiare tra le Arche»

Aurora ci tenne a sottolineare l’ipotesi che la incuriosiva di più:

«Sai cosa ho pensato?» gli domandò.

«Cosa?»

«Queste Isole dei Cristalli, come le hai chiamate, corrispondono al tasto centrale, che è segnato col disegno di una casa. E se fosse da lì che veniva chiunque avesse la sfera? Pensi che su quell’Arca potremmo trovare delle risposte su cos’è davvero questa cosa?»

Lex sembrò davvero allettato da quella teoria. Annuì, concorde:

«Sembra probabile. Potrebbe valere la pena controllare: darò un’occhiata in giro sulle Isole dei Cristalli, appena mi sarò rimesso in sesto»

A quelle parole, però, Aurora si indispettì: era merito suo se quel nuovo mistero era venuto alla luce e Lex già pianificava di indagare da solo? Nemmeno per sogno. Quindi si mise i pugni nei fianchi, gli lanciò un’occhiata di rimprovero e dichiarò:

«Se vuoi andare là e cercare risposte, voglio venire anch’io»

Lex trasalì e scosse subito la testa con vigore:

«Oh, no! Non se ne parla, non ho intenzione di correre il rischio che ti succeda qualcosa. Ti ricordo che sono quasi morto su un’Arca che conoscevo benissimo, da solo e con cavalcature. Pensi che andrebbe meglio a te, in un posto che non hai mai visto? E senza bestie, perché è chiaro che quel portale è troppo piccolo»

«Un giganotosauro mi ha mangiata al mio primo giorno su quest’isola, ma sono tornata» ribatté lei.

Lex incrociò le braccia, risoluto:

«Non insistere, non cambierò idea»

A quel punto, dopo una rapida riflessione, Aurora decise di giocarsi il suo asso nella manica. Scrollò le spalle, fece un’espressione indifferente e fece sparire la sfera nel suo inventario. Dopodiché, finse di incamminarsi verso l’uscita della stalla e annunciò:

«Bene, allora non mi resta che andare da Nick e lasciare che si tenga la sfera. Sai, non era molto contento, la prima volta che gliel’ho mostrata»

Come sperava, sentì Lex trasalire alle sue spalle e il biondo esclamò subito:

«Aspetta!»

Aurora non seppe trattenere un sorrisetto trionfante e si voltò, per rivolgergli uno sguardo malizioso. Lex aveva un’espressione contrariata, sconfitta e frustrata allo stesso tempo. Alla fine, dopo una lunga esitazione, strinse i pugni e si rassegnò:

«E va bene, potrai venire con me. Ma voglio che mi prometta un paio di cose»

«Certo»

«Tanto per cominciare, se è vero che ne hai già parlato con Nick, voglio che non ne faccia parola con lui finché non avremo scoperto qualcosa di concreto»

«Nessun problema. Comunque, gliel’ho davvero mostrata. Se non l’avessero distratto, forse mi avrebbe detto di consegnargli la sfera»

«Allora ribadisco che non deve saperne più nulla. In secondo luogo, se ti succederà qualcosa, qualunque cosa, ti dovrai prendere tutta la responsabilità delle tue azioni. Sei tu che hai voluto seguirmi, in fondo»

«Va bene»

«Ottimo. Un’ultima cosa: potrei avere la sfera per qualche giorno, per favore? Mi piacerebbe verificare alcune cose di persona»

Aurora alzò un sopracciglio e gli lanciò un’occhiata diffidente. Quella richiesta era fin troppo rischiosa per lei. Lex alzò gli occhi al cielo e la rassicurò:

«No, non ne approfitterò per andare sulle Isole di Cristallo da solo, tranquilla. So che se ci provassi, andresti a spifferare tutto a Nick. E comunque, adesso non potrei: ho i polmoni distrutti, ricordi?»

Aurora si morse il labbro, ancora poco convinta. Alla fine, però, decise di dare fiducia al suo amico: le sembrava giusto, vista la loro confidenza sui segreti dell’Isola. Fece riapparire la sfera e gliela lanciò. Lex la prese al volo e la mise nel suo inventario, per poi ringraziarla con un cenno. Aurora si mise le mani dietro la schiena e chiese:

«Mi dirai tu quando sarai pronto ad andare? Puoi tenerti la sfera fino a quel momento, comunque»

«Sì, ti avviserò io»

«Va bene. Allora, ci vediamo»

Con un sorriso riconoscente, Aurora si voltò e fece per uscire dalla stalla. Lex, però, la chiamò appena prima che varcasse la soglia. La ragazza si girò, perplessa, e il biondo le disse:

«Grazie per avermi parlato della tua scoperta. Lo apprezzo molto»

Aurora rimase interdetta, stupita da quel ringraziamento. Si sentì arrossire e, dopo una breve esitazione, riuscì a farfugliare una risposta:

«Oh! Figurati! Be’, grazie a te per avermi ascoltata»

A quel punto, i due sopravvissuti si congedarono.

 

CrystalISLAND 2 by RobertoTurati

Gli esperimenti di Lex con la sfera procedevano a rilento, siccome poteva usarla solo una volta al giorno. Ma il biondo si consolava col fatto che questo gli dava tanto tempo per riflettere su ciò che apprendeva e riposarsi nel frattempo. La prima scoperta che fece fu che il primo tasto del cerchio, quello con una sola tacca disegnata su di esso, non funzionava. All’inizio aveva pensato che fosse guasto, ma in seguito gli venne una teoria più plausibile: forse quello era il tasto che corrispondeva all’Isola, quindi non funzionava perché si trovava già lì.

“Dovrei andare su un’altra Arca e verificare” pensò.

Ma le prove sul campo avrebbero dovuto aspettare: era ancora in convalescenza. Quindi, per i giorni seguenti, si accontentò di dare un’occhiata ai paesaggi che apparivano nella pozzanghera, quando premeva tutti gli altri tasti. Verificò otto portali per otto giorni, ma rimase perplesso tutte le volte: nessuno degli scorci su cui si apriva il portale gli sembravano appartenere alle Arche che conosceva. Ma non gli sembrò poi così bizzarro: le Arche erano tantissime, era ovvio che ce ne fossero alcune che non aveva ancora esplorato.

Alcuni dettagli, però, gli fecero sospettare che ci fosse qualcosa che non andava in quelle Arche; qualche volta, sotto il portale c’erano bestie, oggetti o elementi del paesaggio che gli parevano fuori posto, in confronto a ciò che si era abituato a vedere nei suoi dieci anni di sopravvivenza. Tuttavia, dopo averci pensato a lungo, decise che poteva vedere troppo poco da quei portali per trarre conclusioni. In fondo, le Arche non erano esenti da stranezze come creature dell’immaginario folkloristico o strumenti dall’aria fantascientifica. Forse erano solo ancora più varie e fantasiose di quanto pensasse. Insomma, una volta aveva intravisto degli esseri simili a raptor, ma azzurri e tigrati di blu, con musi gialli e creste rosse; un’altra volta, lo scorcio gli era sembrato un pianeta alieno; un’altra ancora, c’era il rottame di una strana macchina a forma di tigre; un’altra ancora, tutto lo scorcio era occupato dall’impronta di una bestia enorme.

Dopo un paio di settimane, però, un esperimento volle azzardarsi a farlo. Ormai la sua respirazione era quasi tornata alla normalità, le rapide occhiate ai portali gli avevano mostrato tutto quello che potevano dare a vedere e Nick non sospettava ancora di nulla. Era il momento di controllare il primo tasto. Una mattina, stando attento a non farsi vedere da nessuno, prese Griff e uscì dal villaggio di nascosto. Fece camminare il grifone per un lungo tratto di foresta, per accertarsi di essere lontano da occhi indiscreti. Quando si sentì al sicuro, decollò e volò fino all’obelisco verde. Accese il terminale col suo innesto, aprì la lista delle Arche per il teletrasporto e selezionò le Isole dei Cristalli. Se la sua teoria era corretta, il tasto con l’icona della casa non avrebbe funzionato e quello con una tacca l’avrebbe riportato sull’Isola.

L’obelisco verde si attivò e, in pochi secondi, l’uomo e il grifone si ritrovarono davanti al terminale dell’obelisco corrispondente sulle Isole dei Cristalli: si trovavano in mezzo a una foresta in riva al mare, a Ovest dell’Arca. Lex tirò fuori la sfera dall’inventario e la aprì.

“È il momento della verità” pensò.

Colmo di aspettativa, premé il tasto con una tacca. Rimase però di sasso: non aveva funzionato. Nonostante avesse cambiato Arca, quel pulsante non faceva comunque succedere niente. A quel punto, si convinse quasi del tutto che fosse proprio rotto. Ma un’ulteriore verifica poteva farla: se davvero i tasti non funzionavano se ci si trovava già sull’Arca dove conducevano, il tasto con l’icona della casa non avrebbe dovuto azionarsi. Dunque lo premé; eppure, con sua enorme sorpresa, la pozzanghera si formò lo stesso e apparve lo scorcio del prato delle Isole dei Cristalli.

“Com’è possibile?” si domandò Lex, incredulo.

A quel punto, l’unica spiegazione sensata gli parve che il tasto con una tacca fosse davvero rotto. Però non ne era del tutto convinto. E se ci fosse stato dell’altro? Anzi, e se i posti che si vedevano attraverso il liquido non fossero state affatto delle Arche? Gli elementi del paesaggio che aveva intravisto dovevano sembrargli così alieni a ciò a cui era abituato per un motivo. Forse c’era davvero un limite alla fantasia a cui le Arche potevano spingersi: a pensarci bene, molte cose si ripetevano abbastanza spesso, da un’Arca all’altra. Perché la sfera lo portava alle Isole dei Cristalli, anche se ci era già? Era davvero quello il luogo di provenienza del proprietario defunto della palla di rame? Un sospetto si insinuò piano piano nella sua mente. Dapprima gli sembrò stupido, ma in fondo non poteva dimostrarlo a se stesso. Alla fine, si pose sul serio la domanda che gli era passata per la testa:

“E se fossero altri mondi?”

L’idea gli era venuta anche grazie alle fantasticherie di un vecchio che aveva conosciuto una volta sul Centro, l’Arca con le tribù più ostili e bellicose che conoscesse. Si erano visti solo per un giorno, per poi non rincontrarsi mai più, tanti anni prima; ma per quel poco tempo in cui avevano parlato, il vecchio aveva fantasticato qualcosa di così bizzarro che Lex non se l’era più scordato. Era convinto che le Arche fossero un universo parallelo a quello da cui veniva, in cui era stato portato dopo che l’avevano rapito e gli avevano cancellato i ricordi. Lex ci aveva riso su, ma ora quella possibilità gli pareva concreta. Non che i sopravvissuti avessero quelle origini, ma che ci fossero gli universi paralleli. Se non ricordava male, il vecchio del Centro l’aveva chiamato “il Multiverso”.

“Immagino che ora abbiamo un motivo in più per indagare” si disse Lex.

Comunque, non c’era più niente da vedere lì. La sfera era scarica e lui aveva effettuato la prova empirica che voleva fare. Soddisfatto, ma anche perplesso per tutte quelle incognite, Lex riattivò l’obelisco e tornò sull’Isola. Fece ritorno alla base dei Difensori con la stessa discrezione con cui era partito. Per fortuna, nessuno lo notò finché non ebbe lasciato Griff nella stalla. Sollevato, il biondo si diresse al suo alloggio; non gli rimaneva altro che aspettare ancora una manciata di giorni per tornare del tutto in forze, prima di partire per la sua spedizione segreta con Aurora.

 

ArkCanon2 by RobertoTurati

Una settimana dopo, arrivò finalmente il giorno in cui Lex si sentì pronto a intraprendere il viaggio sulle “Isole dei Cristalli”, se ancora poteva considerarle tali. La tosse era scomparsa del tutto e adesso poteva fare ogni tipo di sforzo senza che gli mancasse il fiato. Anche grazie al riposo che si era preso per tutto quel tempo, si sentiva più in forma che mai. Perciò, verso mezzogiorno, andò davanti all’alloggio di Aurora e bussò alla porta.

«Chi è?» borbottò lei.

Lex alzò un sopracciglio, perplesso. La voce di lei gli sembrava mogia e abbattuta, quasi seccata. Cosa le era successo?

«Sono Lex» rispose.

La ragazza si limitò a mormorare un “oh” sorpreso. Poco dopo, la chiave girò nella serratura e la rossa gli aprì la porta. Come aveva intuito dal suo tono di voce, la trovò di pessimo umore. Si capiva lontano un chilometro: l’espressione di Aurora era stizzita, teneva gli occhi stretti e le labbra serrate. Inoltre, aveva le braccia incrociate e tamburellava di continuo l’indice sul braccio sinistro, che stringeva così forte da farsi sbiancare la pelle.

«Giornataccia?» chiese Lex.

Aurora sbuffò e scosse la testa, a occhi chiusi. Alzò una mano e disse:

«Guarda, meglio se non te ne parlo. Comunque, entra pure»

Lex varcò la soglia e Aurora richiuse la porta a chiave. Dopodiché, mentre il biondo rimaneva in silenzio perché era indeciso se affrontare o evitare la cosa, si sedé sul letto e iniziò ad agitare nervosamente le gambe. Dopo averla squadrata per un attimo, Lex sospirò e decise che era meglio aiutarla a sfogarsi: lasciarla venire con lui oltre il portale mentre era in quello stato non avrebbe portato nulla di buono. Dunque appoggiò la schiena al muro, con le mani congiunte e a riposo, e le chiese:

«Cosa c’è che non va? Sfogati pure. Non provare a nascondere che sei arrabbiata: si vede»

Aurora gli rivolse uno sguardo incerto:

«Ne sei sicuro?»

«Perché non dovrei? Ti ascolto. Coraggio, butta tutto fuori» la rassicurò lui.

La rossa sembrò pensarci su per qualche istante. Dopodiché, fece un respiro nervoso ed esplose:

«Si tratta di Yannis! Non fa altro che dire cattiverie su di te tutto il tempo!»

Lex intuì subito dove stesse andando a parare e non trattenne una risatina:

«Non è la prima volta che mi parlano alle spalle. È normale»

«Sì, ma lui ti parla alle spalle ogni singola volta che ci vediamo! Non sto scherzando! Va bene una volta, due, tre, ma dopo un po’ basta! Ormai non no più voglia di averci a che fare perché mi sono proprio stufata!»

«Immagino che l’abbia fatto anche stamattina» dedusse Lex, tranquillo.

Aurora annuì e alzò gli occhi al cielo:

«Sì! Guarda, oggi è stata proprio la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Allora, stamattina ti stavo cercando, ma Yannis è venuto da me. Ho provato ad andare via, ma mi ha fermata. Mi ha chiesto perché lo evito da giorni e se gliene volevo parlare. Ho fatto del mio meglio per restare calma e ragionevole e gli ho spiegato che mi dà fastidio che si parli male di un mio amico ogni santa volta che ci vediamo. Sai cosa mi ha risposto?»

Lex fece spallucce:

«Senz’altro qualche idiozia su di me o quello che faccio»

Aurora gettò le braccia in alto, esasperata:

«Altroché! Mi ha detto che sei strambo e che mi stai mettendo su una brutta strada. Ti rendi conto?! Allora mi sono davvero arrabbiata. Insomma, non andiamo mica in giro a fare casini! Non facciamo altro che parlare e fare teorie su questo posto! Cosa c’è di sbagliato? E sai cosa ha detto lui?!»

«Cosa?»

«Che farci domande su quest’isola è una cazzata, che piuttosto dovremmo renderci utili per la tribù e che ti sei bevuto il cervello, secondo lui è per questo che sei tornato ferito e malato»

Lex ridacchiò:

«Questa è bella»

Aurora strinse i denti, paonazza:

«A quel punto mi è proprio venuto il sangue alla testa. Sul serio?! Non sei andato su Ragnarok per indagare, eri lì per prendere un uovo di viverna! Stavi facendo qualcosa di concreto per aiutarci contro i Teschi Rossi! E non dovrei arrabbiarmi se qualcuno ti dà del fannullone senza avere idea di come stanno le cose?! Lex, come fai a non infuriarti? Ti ha dato del fancazzista! Ha detto proprio così!»

Il biondo, a sentire quelle parole, fece un sospiro divertito e si staccò dal muro. Le rivolse un sorriso amichevole e la rassicurò:

«Aurora, a me non frega proprio niente delle calunnie. Yannis può pensare tutto quello che vuole di me, non potrebbe importarmene di meno. Apprezzo che tu tenga così tanto a me, ma davvero: non preoccuparti. Sono solo parole, alla fine»

La ragazza fece un lungo sbuffo frustrato e si coprì la faccia con entrambe le mani, stremata. Era ancora rossa in viso, ma stava iniziando a calmarsi. Si concesse un minuto per tranquillizzarsi, poi si ricompose e concluse:

«Insomma, gli ho detto che forse è meglio se io e lui ci prendiamo un po’ di tempo e sono andata via. Sapendo cosa hai rischiato per la tribù, non mi sono andate giù quelle scemenze»

«Hai fatto bene ad andartene prima di scaldarti troppo. È meglio così»

Aurora annuì, mesta:

«Giusto. Grazie per avermi lasciata sfogare, Lex: mi sento molto meglio adesso»

«Figurati. Ricorda, se ti succede qualcosa del genere, sentiti libera di lasciarti andare con me»

La rossa gli sorrise: il suo sguardo era pieno di gratitudine. Il ragazzo la osservò per qualche minuto e constatò che si era rasserenata. Non era più rossa in viso, le braccia e le gambe si erano rilassate e il suo volto si era disteso. Era giunto il momento di rivelarle il motivo della sua visita. Con un sorriso complice, si schiarì la voce e le disse:

«Sai, credo proprio di sapere cosa ti solleverà il morale»

Aurora sembrò capire e sobbalzò, con gli occhi e la bocca spalancati. Lex annuì, compiaciuto:

«Esatto: oggi attraverseremo quel portale. Mi sento pronto»

«Grandioso! Non vedevo l’ora!» esultò lei.

Il biondo tirò fuori la sfera dal suo inventario e gliela passò; Aurora la prese al volo e gli rivolse uno sguardo sorpreso. Lex ammiccò:

«Voglio concedere a te l’onore, visto che l’hai scoperta tu. Mi sembra giusto»

Aurora non ci pensò due volte. Si alzò dal letto, si accostò a lui al centro della stanza, aprì la sfera e premé il pulsante con l’icona della casa. Il liquido azzurro si rovesciò sul pavimento e apparve la solita immagine nella pozzanghera trasparente. I due sopravvissuti si scambiarono un’occhiata determinata, dopodiché Lex si fece avanti, trattenne il respiro e saltò nella pozza. Attraversò il liquido e cadde nel vuoto; gli diede una sensazione molto strana: fu come tuffarsi di piedi in un sottile strato di acqua gelida, ma senza bagnarsi. Il sopravvissuto fece una breve caduta che gli fece sentire un vuoto nello stomaco, per poi atterrare sull’erba sottostante.

«Che strano» commentò.

Aurora lo seguì a ruota e atterrò accanto a lui. Fu scossa da un brivido: doveva aver avvertito anche lei quel gelo anormale per un secondo. I due sopravvissuti alzarono lo sguardo e osservarono il portale sopra le loro teste: si trovava a mezz’aria, come uno squarcio nello spazio. Poco dopo, come al solito, la pozzanghera si dissolse in pochi secondi.

«Bene, eccoci qua» affermò Lex.

 

CrystalISLAND 1 by RobertoTurati

Aurora si alzò lentamente, ignorando il dolore alle giunture dovuto ai due metri di caduta: per fortuna, il terreno erboso era soffice. Si guardò intorno: era nel mezzo della prateria coi cristalli bianchi che aveva visto nella pozza e, finalmente, poteva osservare bene il paesaggio. La distesa erbosa sembrava sconfinata: ovunque si voltasse, c’era una pianura disseminata di betulle e cristalli bianco-rosati che si perdeva all’orizzonte.

«È molto più vasta di quanto pensassi» affermò Lex.

Aurora gli rivolse uno sguardo incuriosito:

«Davvero?»

Il biondo annuì:

«In confronto alle Isole dei Cristalli, questo posto sembra enorme»

Iniziò a indicare tutti i punti cardinali e a spiegare quali biomi si vedevano da quella stessa prateria, sull’Arca a cui quel posto somigliava. Come avevano scoperto fin da subito, invece, da lì si vedeva solo prateria. Lex si mise i pugni sui fianchi e iniziò a riflettere:

«Se lo scheletro che hai trovato viene da qui, abbiamo parecchio da esplorare. Ci serve un punto di partenza»

«Hai già qualche idea?» domandò Aurora.

Il suo amico iniziò a rimuginare, camminando avanti e indietro e tenendosi il mento fra il pollice e l’indice. Nel frattempo, Aurora si ricordò di mettere via la sfera: sarebbe stata inutile fino all’indomani, era meglio avere le mani libere. Così fece per attivare l’innesto per rimettere la palla di rame nel suo inventario, ma rimase di sasso: per quanto cercasse di interagire col dispositivo, esso non reagiva.

«Cosa?»

«Che c’è?»

«Non funziona!»

«Cosa?»

«L’innesto non si accende! Com’è possibile?»

Lex fece subito una prova e constatò che neanche il suo innesto funzionava. I due sopravvissuti si scambiarono uno sguardo sbigottito.

«Come facciamo adesso?» chiese Aurora.

Lex allargò le braccia:

«Be’, è una complicazione, ma di certo non ci impedisce di esplorare. Dovremo solo organizzarci meglio del solito con risorse e attrezzi. Comunque, tornando a noi, sulle Isole dei Cristalli ci sono diverse tribù. Se questo posto è abitato, scommetto che c’è un villaggio in riva al lago di questa prateria. Se c’è gente ed è amichevole, ci facciamo ospitare e facciamo domande. Se questo posto è disabitato, ci accampiamo al lago e ci regoliamo sul da farsi»

Aurora annuì, concorde:

«Sembra un buon piano, ci sto»

«Molto bene, allora seguimi. Se la geografia è identica a quella delle Isole dei Cristalli, la sola differenza è il tempo che ci vuole ad arrivare là»

Lex si incamminò verso Nord-Est e Aurora lo seguì a ruota. Nella prateria, incontrarono solo animali pacifici: parasauri, stegosauri, triceratopi, anchilosauri, pachirinosauri e altri. I due sopravvissuti passavano accanto alle mandrie per non disturbarle; le bestie più vicine alzavano il capo e li guardavano con curiosità per qualche secondo, prima di tornare a pascolare. Non c’era ancora segno di predatori; Aurora sperava di non avvistarne, prima che si attrezzassero a dovere. Dopo un’ora di cammino, Lex individuò i resti di un accampamento. Ora avevano la conferma che c’erano persone in quel posto. La tenda non era in ottime condizioni, ma comunque ancora utilizzabile. Davanti a essa, c’erano le ceneri di un fuoco da campo spento, ai lati del quale c’erano due tronchi da usare come panchine.

«Diamo un’occhiata all’interno?» chiese Aurora.

«Perché no? Potrebbe esserci qualcosa di utile»

Lex scostò uno dei lembi della tenda e guardò dentro assieme alla rossa. A parte una piccola catasta di legna secca, su cui giacevano una pietra focaia e un acciarino, era vuota. Lex rifletté per qualche secondo, poi disse:

«Sai una cosa? Ci serve una creatura. Non so quanto è lontano il lago. Se un carnivoro ci trova lungo il tragitto, saremo indifesi. Tu resta qui, vado a cercare una cavalcatura»

«Vuoi lasciarmi da sola? Avevi detto che non volevi» protestò Aurora.

Lex le rivolse uno sguardo rassicurante e spiegò:

«Non pensavo che avremmo trovato un accampamento. Ora possiamo usarlo come rifugio temporaneo. Se ci metto troppo a domare una bestia o non riesco a prenderne alcuna, avremo un punto in cui passare la notte. Inoltre, se accendi il fuoco, potrò usare il fumo come punto di riferimento: saprò come tornare»

Aurora ragionò sull’argomentazione di Lex e riconobbe che era una strategia valida. Dunque si sentì più sicura e acconsentì:

«Va bene, allora accenderò il fuoco e ti aspetterò»

Il biondo promise ad Aurora che sarebbe tornato da lei prima che facesse buio, se non avesse domato niente entro il tramonto. Aurora annuì e gli augurò buona fortuna. Ebbe l’impulso di raccomandarsi di stare attento, ma si trattenne: le sembrava un po’ troppo sciocco essere quella che lo diceva a lui. Mentre Lex si allontanava, però, le tornò in mente all’improvviso un certo dettaglio. Quindi lo richiamò:

«Ehi, aspetta! Come costruiamo la sella, senza gli innesti?»

Lex si voltò e la fissò interdetto per qualche istante. Poco dopo, però, fece spallucce e rispose:

«Ci arrangeremo: cavalcheremo la nostra bestia a pelo. Sarà scomodo, ma meglio di niente»

Aurora fece una smorfia insicura, ma si rendeva conto che non avevano molta scelta. Quindi lo lasciò andare. Fece un respiro profondo per motivarsi e andò a prendere legna, pietra focaia e acciarino dalla tenda. Non c’era un’esca per il fuoco nella tenda: avrebbe dovuto tentare con l’erba.

 

ArkCanon2 by RobertoTurati

Con sua grande delusione, Lex constatò che non valeva la pena di provare a domare i triceratopi di: non solo si stavano allontanando da dove lui e Aurora si erano accampati, ma stavano tutti mangiando; non aveva alcun senso provare ad offrire loro delle bacche, finché erano sazi. Ma non era ancora disposto a darsi per vinto. Decise di dare un’occhiata a una zona dove le betulle erano più fitte, più a Est. Per precauzione, prima di avventurarsi in quella parte della prateria, volle costruirsi una lancia. Sarebbe stato strano fabbricarla con le sue mani, abituato com’era alla costruzione automatica dell’inventario.

Dopo aver raccolto i materiali occorrenti in giro, si mise all’opera. Prese una pietra e la scheggiò con un grosso sasso fino a darle una forma più o meno appuntita, poi la assottigliò fino a renderla tagliente. A quel punto, strappò alcuni steli da un cespuglio, raccolse un lungo bastone e legò le due parti. Guardò con attenzione il risultato: non l’avrebbe mai salvato da minacce come un superpredatore o un erbivoro arrabbiato, ma almeno era decente contro le bestie piccole. Fatto ciò, si sentì pronto a dare un’occhiata fra le betulle.

Girò a vuoto per un’ora, prima di considerare l’idea di cercare altrove. Ma ecco che avvistò una creatura che lo convinse subito a fare un tentativo: un iguanodonte. Sarebbe stato perfetto per esplorare quelle Isole dei Cristalli “ingrandite”: agile, veloce, versatile e ottimo per il trasporto. Lex Cercò frutta e bacche e ne trovò presto. L’iguanodonte si stava guardando in giro annusando il terreno, segno che stava cercando da mangiare: aveva fame.

Lex iniziò la solita procedura di domesticazione: gettò il cibo da lontano e attese che il dinosauro lo mangiasse, incuriosito dalla sua offerta di cibo. Dopo un po’, uscì allo scoperto e continuò a lasciare le bacche per terra, stando a distanza e aspettando che l’iguanodonte si convincesse a mangiarle. Così trascorse un’altra ora e mezza e il dinosauro iniziò ad accettare il cibo direttamente dal palmo della sua mano. Ormai il sopravvissuto cominciava a pregustare l’emozione di cavalcare quell’erbivoro al galoppo attraverso la prateria.

Tuttavia, mentre lo accarezzava la prima volta, l’iguanodonte si irrigidì e arretrò, allertato da un ruggito. Lex impugnò la lancia e si guardò attorno, a occhi aperti. Tra le betulle apparve un carnotauro. Il teropode cornuto avanzava lentamente, sbavava e osservava guardingo la sua preda. L’iguanodonte si alzò in piedi per apparire più imponente e urlò, mentre indietreggiava. Lex si affrettò a nascondersi in una macchia di arbusti, appena capì che il predatore non badava a lui. Dal suo nascondiglio, osservò i due dinosauri: l’iguanodonte sembrava indeciso tra la fuga o il combattimento. Alla fine, con grande sorpresa di Lex, scelse di difendersi.

Il carnotauro abbassò la testa e partì alla carica; investì l’erbivoro e lo mandò a sbattere contro una betulla. Prima che si riprendesse, fece per azzannarlo alla gola, ma l’iguanodonte sferzò l’aria con l’artiglio del pollice destro e gli graffiò la pelle sotto la gola. Il carnotauro gemé e arretrò. L’iguanodonte si alzò e urlò ancora. Frustò il muso del carnotauro con una codata, ma il predatore rispose subito con lo stesso attacco: lo colpì sul muso e lo fece cadere.

Il carnotauro morse la gola dell’iguanodonte e iniziò a soffocarlo. L’erbivoro prese a scalciare e, alla fine, riuscì a spingere via il carnivoro. Ormai era esausto e faticò ad alzarsi. Il teropode, furioso, sbuffò e caricò un’altra volta. Incornò il fianco dell’iguanodonte e lo scaraventò via. La preda volò dritta verso il cespuglio dove Lex si era nascosto.

Il biondo imprecò e rotolò fuori dal nascondiglio, un attimo prima di essere schiacciato. L’iguanodonte cadde sul cespuglio e rotolò sull’erba. Quando riuscì ad alzarsi, fra un gemito e l’altro, decise di darsi alla fuga. Il carnotauro partì all’inseguimento ma, quando passò davanti a Lex, lo notò e si fermò. Dopo averlo studiato con interesse per qualche secondo, il predatore socchiuse la bocca e gorgogliò, famelico. Il sopravvissuto capì che aveva trovato una preda molto più facile ed esclamò:

«Oh, cazzo!»

Il carnotauro abbassò il capo e lo caricò. Lex si tuffò di lato e lo schivò. Il carnotauro investì una betulla e le corna si incastrarono nel tronco. Lex si diede subito alla fuga, ma sentì ben presto i pesanti passi del carnotauro dietro di sé. Il rumore delle falcate si faceva sempre più vicino. Lex corse all’albero più vicino e vi si arrampicò più in fretta che poté. Si appostò su una forcella appena in tempo.

Quando il carnotauro travolse l’albero come un ariete, la scossa fu così forte che Lex perse l’equilibrio; si aggrappò ai rami un istante prima di cadere. Ora pendeva nel vuoto e cercava di issarsi sulle fronde con tutte le sue forze. Il carnotauro cercava di afferrarlo, ma addentava solo l’aria. Per non farsi prendere, Lex sollevava le gambe, ma sentiva che le sue dita iniziavano a perdere la presa. Spinto dalla disperazione, fece un ultimo sforzo e riuscì ad avvolgere una gamba intorno al ramo. Riuscì a mettersi a cavallo del ramo e tirò un sospiro di sollievo.

Tuttavia, il carnotauro andò su tutte le furie e iniziò a prendere l’albero a testate. Lex non resisté ai continui scossoni e precipitò. Quando si alzò, il suo sguardo spaventato incrociò quello spietato e famelico del teropode e fu come paralizzato dal terrore. Con un gorgoglio, il carnotauro gli si avvicinò, ma il terreno prese a tremare; Lex sentì un tonante rumore di passi che riconobbe subito.

“Non può andare peggio di così” pensò, atterrito.

Dalle distese aperte della prateria, giunse un tirannosauro. Tuttavia, Lex ritrovò la speranza, appena vide che quell’esemplare era sellato: apparteneva a qualcuno. Il carnotauro esitò, mentre il tirannosauro emetteva ringhi intimidatori. Alla fine, il teropode cornuto si voltò dall’altra parte e scappò. Lex tirò un sospiro di sollievo. Quando il tirannosauro tornò da dov’era venuto, il sopravvissuto lo seguì: sperava di stabilire un primo contatto coi sopravvissuti locali, sempre che fossero amichevoli.

Quando uscì dalla macchia alberata e tornò nella prateria, vide un uomo in abiti di tessuto che aspettava il tirannosauro. Lex lo squadrò: lo sconosciuto sembrava un quarantenne, aveva la pelle bronzea, barba e capelli corti e neri, brizzolati qua e là, e gli occhi castani. Aveva un piccolo arsenale di armi con sé: un arco ricurvo e un’ascia sulla schiena, una spada e la faretra alla cintura e un pugnale nello stivale destro. Dallo sguardo, non gli sembrava un tipo pericoloso, per cui Lex decise che poteva tentare il dialogo. Ma, prima che aprisse bocca, lo sconosciuto gli disse qualcosa di incomprensibile:

«Vam tluclapag azimef, elutidamjv?»

Lex rimase sconcertato: quel tizio aveva davvero parlato in una lingua che non capiva? Questo era assurdo: non era mai successo su nessun’Arca. Inoltre, nel suo diario, Mei-Yin notava che tutti i sopravvissuti parlavano la sua lingua, nonostante muovessero la bocca in modo strano. Lex aveva sempre presunto che l’innesto facesse da traduttore automatico. Dunque cosa c’era di diverso, in quel posto? L’innesto non traduceva perché non funzionava? Disorientato, mormorò:

«Cosa?»

Lo sconosciuto gli rivolse uno sguardo mortificato e si schiarì la voce:

«Oh, chiedo scusa. Ora che ti ho sentito parlare, posso farmi capire»

«Eh?»

«Sei ferito, straniero?»

Quelle parole lasciarono Lex ancora più perplesso. Era impossibile che quell’uomo avesse visto lui e Aurora arrivare col portale. Non poteva neanche sapere se erano giunti lì con gli obelischi. In ogni caso, i sopravvissuti non avevano mai avuto un senso di appartenenza o di patriottismo nei confronti della loro Arca; non che lui ricordasse, perlomeno. Lex volle fare chiarezza:

«Perché mi dai dello straniero?»

«Be’, è ovvio che lo sei. Chiunque non abbia il colore e il volto degli Arkiani, viene da fuori»

«Da fuori? Cosa intendi, esattamente?»

Questa volta, fu lo sconosciuto a fare un’espressione confusa:

«Hai battuto la testa?»

«No, è che non capisco quello che dici: tecnicamente, non si può venire da “fuori” un’Arca. Appari su un’Arca e basta. Certo, puoi spostarti da un’Arca all’altra con gli obelischi, ma è impossibile uscirne. A proposito, che posto è questo? Le Isole dei Cristalli? Mi sembra uguale, ma molto più immensa»

Lo sguardo dello sconosciuto diventava sempre più disorientato a ogni parola che Lex diceva. Alla fine, iniziò a innervosirsi:

«Di cosa stai parlando? Straniero, se mi stai prendendo in giro, smettila e vattene: sono impegnato»

Dopo quel monito, l’uomo fece per allontanarsi, ma Lex lo trattenne, deciso a venirne a capo:

«Per favore, spiegami cos’è questo posto!»

«Non sono in vena di scherzi»

«Non sto scherzando! Voglio davvero sapere dove mi trovo!»

«Allora te la faccio breve: ti trovi su ARK, io sono un Arkiano, ed è chiaro che tu sei uno straniero, perché c’è una certa categoria di stranieri che ha la pelle chiara come la tua. Non capisco perché parli di arche. E cosa hai detto che si può fare, con gli obelischi? Non servono certo a viaggiare»

«Come no? È la loro funzione. Non l’hai mai visto? Non conosci nessuno che li usa? Dunque, c’è un terminale sotto ogni obelisco: puoi usarlo per andare da un’Arca all’altra»

Lo sconosciuto scosse la testa, stizzito:

«Stai delirando. E mi stai facendo perdere tempo. Ti saluto»

Lex si arrese e lasciò perdere le domande. Per cui si concentrò sulla sua priorità del momento: trovare vitto e alloggio per sé e Aurora.

«Aspetta! Non sono solo, c’è una mia amica con me. L’ho lasciata in una tenda mentre cercavo di domare una creatura. Se posso chiedertelo, puoi prestarmi il tirannosauro?Prometto che dopo te lo restituirò. Dimmi solo se c’è un posto dove possiamo passare la notte e ci sistemeremo»

«Il tirannosauro no, mi serve per sorvegliare i triceratopi. Un amico mi ha chiesto di prendermene cura per lui»

«Oh, capisco»

«Però posso prestarti un triceratopo. Comunque, vedo che sai come si domano le bestie, qui su ARK. Sei qui da molto?»

«Sono apparso su Ragnarok, dieci anni fa»

«Ragnarok?»

Lex sospirò, frustrato, e alzò una mano per dirgli di lasciare perdere:

«Scusa, è una delle Arche di cui parlo. Ognuna ha il suo nome. Conosco questo posto come le Isole di Cristallo, per esempio. Ma è chiaro che è un posto diverso, per quanto identico»

L’uomo allargò le braccia, con aria sconfitta:

«Be’, è vero che sulla nostra isola ci sono molti cristalli, ma per noi è solo ARK. Proprio non ti capisco, straniero»

Lex sospirò:

«Non fa niente. Toglimi una curiosità: il tuo innesto funziona?ۛ»

Lo sconosciuto alzò un sopracciglio:

«Funziona? In che senso, scusa? Non fa niente. Noi Arkiani ce l’abbiamo dalla nascita, ma non ce ne facciamo nulla»

«Sul serio? Per voi non funge da inventario e fabbricatore?»

Per accertarsi che stessero quantomeno parlando dello stesso innesto, Lex sollevò il braccio sinistro e mise in mostra il suo. Appena lo vide, però, lo sconosciuto trasalì e urlò, sconvolto:

«Cosa?! Com’è possibile che uno straniero sia nato con l’innesto? Cosa sei tu?!»

Lex allargò le braccia, esterrefatto:

«Ehi, calmati! Sono un uomo normale, come te! Dalla tua reazione, pare che solo voi “Arkiani” abbiate l’innesto, in questo posto. È così che fate la distinzione tra voi e gli stranieri? Con l’innesto nel polso?»

Lo sconosciuto sbottò, rassegnato:

«Basta! Ti supplico, basta così! Mi stai facendo venire mal di testa! Se vuoi un triceratopo, prendilo e fa’ quello che devi»

Dopo lo sfogo iniziale, si prese un attimo per respirare a fondo e darsi una calmata. Dopodiché, abbozzò un mezzo sorriso:

«In quanto al sistemarvi: se volete, potete stare una notte a casa mia. A mia figlia piace conoscere gli stranieri, sarà contenta»

«Bene, grazie! Una notte è giusto quello che ci serve: io e la mia amica non vogliamo disturbare»

«Allora siamo d’accordo. Il mio villaggio è facile da trovare: è in riva al lago. Da qui, devi andare sempre verso Nord, non puoi sbagliare»

Dunque, Lex ci aveva azzeccato, sui possibili luoghi in cui potevano trovare insediamenti umani. Fu sollevato dal fatto che quel posto somigliava alle Isole dei Cristalli anche da quel punto di vista. Il biondo sorrise e disse:

«Ti ringrazio! Allora ti raggiungeremo al lago»

«D’accordo. A proposito, straniero, come ti chiami?»

«Lex»

«Piacere. Io sono Drof Ydorb»

I due si congedarono e Lex andò a scegliere un triceratopo.

 

CrystalISLAND 2 by RobertoTurati

Erano passate ore e di Lex non c’era ancora traccia. Aurora non era affatto tranquilla: l’idea di essere di nuovo da sola nella natura selvaggia non le piaceva per niente. Le dava fastidio stare in attesa, senza poter fare niente, ma d’altro canto non aveva senso allontanarsi dal punto di ritrovo. Per fortuna, però, la sua attesa fu ripagata: nel tardo pomeriggio, sentì la voce di Lex che la chiamava. Lo vide arrivare in sella a un triceratopo. Gli corse incontro e lo accolse con entusiasmo:

«Grandioso! Dove hai preso la sella? Sei riuscito ad attivare l'innesto?»

Lex scosse la testa e spiegò:

«Non l’ho domato io. È di un uomo che è stato abbastanza disponibile da prestarmelo» spiegò.

«L’hai incontrato per caso?»

«Non proprio. Ho trovato un iguanodonte, sono stato attaccato da un carnotauro e in quel momento passava lui: mi ha salvato. Ora devo raggiungere il suo villaggio per restituirgli il triceratopo»

«Fantastico! Così possiamo farci ospitare!»

«Sì, ci ha offerto di dormire a casa sua stanotte. Avremo modo di fare il punto della situazione e organizzare il resto dell’esplorazione»

Aurora esultò, contentissima, quindi montò sul triceratopo e lasciò che Lex lo conducesse verso Nord-Est, in direzione del lago nella prateria.

   
 
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