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Autore: hollien    05/01/2020    3 recensioni
Raccolta di drabble, flash-fic e one-shot (AU e non) dedicata alla coppia L/Light.
#O1: Key - L nega con una languida scrollata di capo. «Non una chiave», fa una sorta di pausa drammatica prima di affermare quasi con fare solenne: «ma la chiave.»
#O2: Lost - «Watari.» Non solleva la testa quando lo chiama. «Qualsiasi cosa ci accada da qui a breve, ti prego di cancellare tutti i dati che abbiamo raccolto sul caso.»
#O3: Undercover - Light ha sempre desiderato prendere parte ad una missione sotto copertura, ma tutto si aspettava fuorché quel tipo di copertura.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: L, Light/Raito | Coppie: L/Light
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scleri pre-capitolo: Hello, everyone. Buon 2020 a tutti quanti! Spero che abbiate festeggiato il Capodanno come si deve, bevendo come spugne e capottandovi per terra. (?) No, scherzo. Bisogna sempre bere con responsabilità. (??)
Ma lasciando perdere i miei stupidi vaneggiamenti e il mio abuso di punti di domanda, cosa ci può essere di meglio di iniziare l'anno con una bella flash-fic super depressiva? TUTTO Niente, direi. So che mi vorrete male, ma penso che procederò in alternanza, ovvero scriverò prima una cosa super fluffuosa, da diabete di tipo decimo - quello che dovrebbe avere L, per intenderci; dopodiché procederò con una angst, drammatica o che dir si voglia. Spero che non finirete per detestarmi, ecco. 
Ci tengo a ringraziare ancora una volta Star_of_vespers e Wolstenholme per aver recensito il capitolo precedente. Ringrazio inoltre coloro che hanno inserito la Raccolta tra le preferite/ricordate/seguite. Siete tutti speciali. <3
Bando alle ciance, spero che possiate gradire anche questo nuovo capitolo e, beh, non frenatevi con i commenti. Saranno tutti ben accetti! 

Titolo: Lost.
Rating: Verde. 
Avvertimenti: Flash-fic, Missing moments. 
Disclaimer: I personaggi di Death Note non mi appartengono, ma se mi appartenessero L avrebbe tolto il quaderno dalle mani di Light nel momento stesso in cui ha cominciato ad urlare a squarciagola. Io lo avrei fatto solo per non farmi usurare ulteriormente i timpani, ecco

 





 



Of sweet and rust



#O.2: Lost

 


Fissa con minuzia il biscotto con gocce di cioccolato che trattiene verso l’alto e che tiene incastrato tra le dita longilinee, le labbra semi-schiuse in un chiaro segno di meditazione. Esercita una leggera pressione e, quando lo fa, quest’ultimo si spezza a metà, provocando delle briciole tutt’intorno alla sua postazione.
L abbassa pigramente le braccia e abbandona la frolla sul vassoio, il quale contiene i restanti manicaretti che Watari gli ha procurato in mattinata; dopodiché s’issa sulle gambe e fa per congedarsi dalla sala principale del Quartier Generale, senza dare spiegazioni.
Ritiene che non ce ne sia bisogno, non quando gli sguardi dei membri della Task Force sono inchiodati al monitor per osservare con peculiare interesse i due “piccioncini” mentre si scambiano tenere effusioni all’ingresso dell’edificio – effusioni palesemente fittizie, almeno da una delle due parti.
L sa che dovrebbe continuare a tenerli sotto stretta sorveglianza, tuttavia decide di non farlo perché non ne trova il senso. Non più.
L’unico che prova a fare domande quando lo scorge con la coda dell’occhio avvicinarsi alla fotocellula che attiva le porte automatiche è Matsuda, ma, essendo una persona condiscendente di natura, riesce a scollarsi di dosso la sua attenzione indesiderata in pochi secondi.  
Mentre si avvia a 
placidi passi lungo i corridoi labirintici dello stabile che lui stesso ha fatto costruire per ragioni di sicurezza, si chiede come facciano i suoi sottoposti a non accorgersi della falsità che stilla da ogni poro di quella pelle ambrata.
È così evidente che è diventato faticoso persino guardarlo attraverso uno schermo, in particolar modo i suoi occhi; ma non si permette di giudicare il loro selettivo obnubilamento, non quando anche lui è caduto rovinosamente vittima della sua trappola.
Non incolpa Light, no.
È stato lui ad accantonare la verità per uno sprazzo di illusoria felicità. È stato lui a farsi tramutare da ragno in larva, finendo a poco a poco per farsi imprigionare dalla tela intricata e inoppugnabile del suo predatore.
Si lambisce il collo con i polpastrelli, consapevole del fatto che quei fili verranno presto tirati con così tanta veemenza che lo lasceranno senza ossigeno nei polmoni.
Lo sa di per certo perché, sebbene sia ancora distante, ha già cominciato a sentire il loro rintocco rumoreggiargli incessantemente nelle orecchie.
Non se ne accorge nell’immediato, ma ad un certo punto si ritrova nella sala dei monitor dove un Watari visibilmente impensierito si volta verso di lui, chiedendogli cosa gli prenda.
Non l’ha mai visto così, ma francamente nemmeno lui si è mai sentito in quel modo.
Vuoto e sconfitto.
«Watari.» Non solleva la testa quando lo chiama. Preferisce tenere le iridi plumbee ancorate al pavimento piastrellato. L’unica cosa che mantiene salda è il rituale tono di voce da datore di lavoro che si rivolge ad un suo dipendente. Era stato necessario adottare quelle misure per salvaguardare le proprie identità. «Qualsiasi cosa ci accada da qui a breve, ti prego di cancellare tutti i dati che abbiamo raccolto sul caso.»  
Le dita di Watari, le quali sono accostate ai braccioli della sedia girevole, subiscono una contrazione di fronte alla sua dichiarazione.
Non fa domande, tuttavia. Watari non mette mai in discussione le sue decisioni a meno che non sia realmente necessario.
Il suo mentore si fa leva sulle braccia e si alza per poterlo raggiungere. Ancora una mano alla sua spalla, in un gesto che esprime la sua vicinanza per qualsiasi cosa stia succedendo o che dovrà inevitabilmente succedere.   
L serra i lembi marmorei l’uno contro l’altro, i muscoli che fremono sotto quel tocco ricco di affetto paterno.
Riconosce che, come tanti genitori, Watari ha sbagliato più di una volta con lui e con i bambini che tutt’ora stanno crescendo all’interno dell’orfanotrofio, ma riconosce anche che, senza una guida come la sua, lui non sarebbe rimasto altro che un piccolo vagabondo nella periferia di Parigi.   
L adagia il capo corvino al suo petto, sbrigliando le emozioni che ha cercato disperatamente di sopprimere in quegli ultimi due giorni – o, per meglio dire, da tutta la sua esistenza.
Le braccia di Quillish Wammy non tentennano. Lo circondano in un abbraccio e, arrivati a quel punto, non c’è più niente che L possa fare per frenare lo zampillare di lacrime amare, le quali gli feriscono il volto come un ferro arroventato pressato sulla pelle.
«L’ho perso, Wammy» mormora in un verso soffocato, stringendo angosciosamente fra i polpastrelli la stoffa della sua giacca. «Light non c’è più.»








 
   
 
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