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Autore: Melanto    06/01/2020    4 recensioni
[Midquel di 'Malerba']
Gli elementi principali dell'ikebana sono tre, chiamati in modi differenti e sintetizzabili in: Paradiso, Uomo e Terra.
Preso nel mezzo, tra ciò a cui appartiene e la fede da ritrovare, l'Uomo si curva e dibatte alla ricerca di un equilibrio ideale. Ma la ricerca può essere guerra, e se dopo tante sconfitte c'è chi riesce ad assaporare la pace delle prime vittorie, allo stesso modo c'è chi, dopo aver passato una vita intera a dominare, inizia a soccombere sotto il peso delle sconfitte nascoste.
Questa raccolta è fatta di vittorie e disfatte diluite nel Tempo, ma senza dimenticare...
...che non è il tempo a perdersi, siamo noi a perderci nel tempo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mori no Kokoro - Il Cuore della Foresta'
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Jikan - #7

Note Iniziali: ed ecco arrivare un momento che qualcuno di voi mi aveva chiesto dopo la lettura dell’Epilogo: ma Kaede e Nobu?!? XD
Eccoli qui! *-*

Le mie Mezzeseghe T_T Crescono. T_T No, pliz! Restate bambini scemi per sempre! PLIZ!!! *valle di lacrime*

Siamo a Marzo, sta per arrivare la fine dell’anno e l’inizio delle vacanze che termineranno a metà Aprile, circa, quando inizierà il nuovo anno scolastico. Shuzo ha iniziato la scuola di ikebana da poco più di due mesi, e i ragazzini stanno per affrontare il passaggio dal secondo al terzo anno di liceo.

Grandi cambiamenti nell’aria, grandi decisioni… e grandi serre. 😉

 

Buona lettura! :D

 

 

 

 

 

 

- #7: Le Grandi Serre -

 

 

 

«Vedi che mi fermo qualche minuto in più, stasera.»

«Perché? C’è da lavorare?»

«No, devo parlare con aniki.»

«Di cosa?»

«Di una cosa!»

«Cioè?»

«Di una cosa, Nobu!»

«Ma stai facendo il misterioso?»

«E tu che cazzo vuoi sapere?!»

«…boh, okay.»

«No, dai… scusa…»

«Il solito carattere di merda. Ci vediamo dopo.»

«Aspetta! Dai, ti ho chiesto scusa. Yuki?»

Ma quando si accorse che il ragazzo non visualizzava i suoi messaggi, Kaede tirò un lungo sospiro e si passò la mano nei capelli ricci che crescevano come un cespuglio di bosso appena potato sulla sommità della testa. Piegò il capo di lato e si mordicchiò l’angolo della bocca, mentre infilava il telefono in tasca e afferrava il grembiule per cominciare il turno pomeridiano al Mori no Kokoro.

«Sono proprio uno stronzo…»

«Abbiamo l’autostima a mille, vedo.»

Kaede sobbalzò alla voce di Shuzo, che restava con una spalla appoggiata alla porta della cucina. Niji-mama non era ancora arrivata e Kumi aveva appena infornato e poi raggiunto la sala del locale.

«Tutto okay?»

«Sì, a posto.»

«E quando è a posto ti dai dello stronzo?»

Kaede sbuffò. «Ti ci metti pure tu?»

«Io mi ci metto sempre, bamboccio.»

Che fosse quasi al terzo anno del liceo non faceva alcuna differenza, Kaede ormai si era abituato: tanto per aniki sarebbe sempre rimasto una mezzasega. Non gli rispose neppure e Shuzo non infierì.

«Piuttosto, come stai messo con lo studio? Non hai da recuperare in vista della fine dell’anno scolastico?»

«No, no. Ho tutte sufficienze. Sono a posto.»

«Vedi di non scherzare», venne ammonito con tanto di indice puntato. «Il prossimo è l’ultimo anno, devi prepararti agli esami. Niente stronzate. Se vengo a sapere che non ti applichi come si deve, te le suono a passo di valzer.»

Kaede sbuffò, alzando le mani in segno di resa. «Lo so, lo so. Me l’hai ripetuto ogni fottutissimo anno. L’ho imparata la canzone, aniki!»

«Bene. La prossima volta ti chiederò di cantarmi il ritornello, allora.»

«Senti…» Kaede lo fermò prima che se ne andasse, ma tenne il viso abbassato fingendo di dedicarsi al laccio del grembiule. «Più tardi ce l’hai un minuto o devi andare alla Kadouenshu?»

«Vuoi già cantarmi il ritornello?» lo canzonò Shuzo, e lui gli lanciò un’occhiata eloquente che lo fece ridacchiare più forte. «Sì, ho più di un minuto. Non ho lezione, stasera.»

«Okay, allora ti va se parliamo di una cosa, dopo?»

A Kaede non passò inosservato come Malerba strizzasse appena gli occhi, studiandolo. Però non chiese altro, dando invece un colpetto sul legno dello stipite.

«Certo. Ma ora sbrigati a metterti al lavoro, c’è gente al locale, avremo parecchio da fare. Sei pronto?»

«Sissignore.»

 

Shuzo non gli aveva staccato gli occhi di dosso, ma con discrezione. Come quando controllava i pivelli della gang cui doveva fare da scuola e balia i primi tempi. Vigilava. Seguiva Kaede nei movimenti quotidiani già rodati, che si mischiavano alla confidenza che ormai poteva permettersi con i clienti abituali, primi fra tutti i nonni: quella mezzasega era stata eletta a nuova vittima sacrificale dalla Banda Bassotti che non gli aveva risparmiato gli scherzi peggiori del repertorio, come aveva fatto con lui. Kaede doveva conquistare la fiducia, ed era sulla strada giusta, perché stava imparando a tener loro testa; o forse erano Abe e gli altri a non avere più l’età per poter dare da pensare a un ragazzino come Satou, nel pieno della fase più bastarda dell’adolescenza? Quella che comprendeva il liceo e ti faceva credere d’esser già maturo abbastanza da permetterti di poter tenere testa a un adulto, senza renderti conto che dovevi ancora macinarne di strada. L’arroganza della maggiore età che si faceva sempre più vicina, la follia delle nuove esperienze o la conferma di altre già assaggiate alle medie.

A quella stessa età, lui ne aveva già fatte di cotte e crude, aveva tre condanne sulle spalle e una lista di capi d’accusa che sembrava infinita. Sarebbe stato a un passo dal morire, avrebbe ucciso con le sue mani, e il suo corpo sarebbe stato costellato di tatuaggi in breve tempo, come un foglio bianco che doveva essere riempito di tutto.

Per fortuna, sapeva che Kaede si sarebbe evitato il peggio che lui aveva preso in pieno viso, ma ciò non significava che sarebbe riuscito a scansare tutto e il suo sesto senso gli aveva detto fin dall’inizio che qualcosa di importante era nell’aria.

Avrebbe solo dovuto aspettare.

Lo aveva osservato, studiato, ma aveva atteso, senza mettergli alcuna fretta, tanto sapeva che sarebbe stato Kaede a cercarlo quando avrebbe deciso che fosse arrivato il momento di parlare.

Per questo, Shuzo aveva lavorato come sempre fino alla chiusura e ora se ne stava in veranda a fumare una sigaretta, con un piede che ciondolava giù dal legno dell’engawa.

Stava arrivando la primavera, l’hanami avrebbe scatenato la pioggia dei suoi petali di lì a qualche settimana e questo avrebbe significato solo una cosa: il vecchio anno scolastico sarebbe terminato e uno nuovo di pacca si sarebbe profilato all’orizzonte. Si diventava più grandi, si sentiva l’odore delle aspettative e a lui sfuggì un sorriso nell’aspirare una boccata dalla sigaretta.

«E anche oggi, il nonno di Jiro si è dovuto arrendere: se sperava di fregarmi è cascato male, sono troppo avanti per loro.» Kaede avanzò con passo baldanzoso e le scarpe da ginnastica nella mano. Indossava di nuovo il gakuran, ed era pronto ad andare.

«Non darti tante arie, bamboccio, o finisce che te lo farai mettere nel culo senza accorgertene.»

Kaede storse la bocca con supponenza e si appoggiò alla colonna di legno. Tergiversava un po’ nello spostare lo sguardo verso le piccole serre, e non aveva l’aria di voler andare via subito.

«Viene a prenderti lo spilungone?» domandò d’un tratto, mentre ciccava sul selciato.

«Sì, ma gli ho detto di passare un po’ più tardi. Posso sedermi?»

Shuzo accennò con il mento e Kaede appoggiò le scarpe sullo scalino di pietra, poi assunse una posizione speculare alla sua, con la schiena poggiata alla colonna e la borsa scolastica abbandonata accanto.

Che Kaede fosse nervoso era così palese che la prima cosa che fece fu di offrirgli una sigaretta. Il ragazzo l’accettò subito e lasciò che fosse lui ad accendergliela. Esalò la prima boccata con quello che si manifestò come un lungo sospiro.

«Senti, uhm… com’è che hai fatto tu? Perché lo sei, insomma, si vede. E poi con Izawa-san, ecco, cioè voi, non è una situazione equivoca, vi ho visti, vi hanno visti tutti al locale. Quindi, volevo capire, no, voi due-»

«Vuoi sapere se scopiamo?»

Da rosso che Kaede era diventato già, mentre cercava di articolare quel discorso senza capo né coda, il viso divenne quello d’un semaforo. Ci sarebbe mancato solo che gli fosse uscito il fumo dalle orecchie.

Shuzo storse le labbra in un sogghigno, mentre prendeva una nuova boccata dalla sigaretta. L’aveva detto, lui, che qualcosa di importante sarebbe venuto fuori.

«Sai sempre dire le cose con classe e maestà.» La manata di Mamoru lo colpì dietro alla nuca con uno schiocco che gli fece stringere gli occhi, ma non smettere di masticare una risata stronza. «Shuzo Mori tra i mille talenti è anche un poeta.»

Il boss gli passò alle spalle e scese dalla veranda con un saltello, lanciandogli un’occhiataccia sottile come lama d’ossidiana scheggiata.

«Oh, e che ho detto? È la verità.»

«Sì, ma c’è modo e modo.»

«Scusa, volevi che usassi un po’ più di sentimonto?» lo scimmiottò, sbattendo le ciglia e portandosi teatralmente una mano al petto.

Mamoru scosse il capo e raggiunse le piccole serre, borbottando un ‘deficiente’ che però rimase frammentato sotto ai denti.

Shuzo aspirò ancora e spostò lo sguardo su Kaede che stava recuperando una tonalità più normale. Deviava il suo sguardo e fumava con nervosismo. Lo aveva capito già da un po’ che quegli argomenti lo imbarazzavano, ma non aveva mai capito perché. Alla sua età, i ragazzi non facevano che parlare di chi portarsi a letto e come, o delle nuove, e più o meno vere, imprese sotto le lenzuola: la scopata dell’anno, la tettona dell’anno, chi aveva il culo più sodo, quanto in bocca sapevano prenderlo. Kaede, invece, deviava, minimizzava, dava a intendere che non gli interessava, ma in realtà diventava teso.

Ora sapeva perché.

«Comunque, sì, stiamo insieme. Siamo anche piuttosto palesi.»

«Sì, lo so, e non è di voi che volevo parlare. Insomma, io volevo sapere… cioè, tu quando ci sei arrivato?»

«Prima media.»

Kaede inarcò un sopracciglio, si passò una mano nei capelli, ma i ricci non si mossero dalla loro forma, perché troppo stretti. Aveva assunto un’espressione di colpa.

«Tu ci sei arrivato ora?»

«L’anno scorso…»

«Non è importante quando. C’è chi lo capisce prestissimo e chi ha bisogno di tempo. Non devi sentirti in ritardo per questo.»

«No, ma io-!» Kaede sollevò il capo di scatto pronto a darsi un tono più esperto o di disinteresse, ma ci ripensò all’ultimo, perché si era reso conto che lui non lo stava prendendo in giro.

«Cos’è che vuoi sapere, di preciso?»

Il ragazzo tergiversò ancora un istante, la sigaretta ormai finita aveva gli ultimi due tiri prima del filtro.

«Come si fa se… se c’è qualcuno che ti piace? Cioè non è come andare da una ragazza, okay? Ti guardano male.»

«E invece si fa esattamente allo stesso modo. Vai dal tipo, gli chiedi di uscire, e tanto potrai ricevere un sì o un no come risposta, insulto annesso. Non cambia niente. Sai quando cambia, invece?» Shuzo spense il proprio mozzicone nella piccola noce di cocco che usava come ceneriera. Kaede pendeva dalle sue labbra. «Quando la persona a cui vuoi chiederlo è uno spilungone che conosci da una vita e che, finito il liceo, partirà per un’altra prefettura.»

Kaede si tirò indietro e sgranò gli occhi. Non ebbe neppure la forza di arrossire, tanto dalla sorpresa, ma rimase a bocca aperta a fissarlo con le sopracciglia aggrottate che urlavano: ‘come cazzo hai fatto a capirlo?!’.

«Boom!» Shuzo gli mollò un colpetto alla fronte. «Sono un cazzo di dio! Un cazzo di dio, gioia, hai sentito?!»

«Sei un coglione», provenne con rassegnazione dalla piccola serra.

Kaede, ancora sconvolto, afflosciò le spalle e spense la sigaretta senza terminarla.

«…non so che fare.»

«Sì, che lo sai. Vi incontrerete e gli dirai come stanno le cose.»

«No, ma sei matto, aniki?!» Kaede scosse il capo con vigore. «E se dovesse andare male?! Se dovesse fargli schifo o se gli facessi schifo io? Come faccio a rischiare…»

Shuzo affondò il viso nella mano, gomito contro il ginocchio. In quella paura rivide smorfie conosciute e timori affrontati tante volte in lunghe chiacchierate notturne, o al telefono. Rivide errori fatti a fin di bene e scelte vigliacche.

«Facciamo che ti racconto una storia, ascoltala bene: mio fratello era innamorato del suo migliore amico. Lo è stato per quasi tutta la vita, si conoscevano dalle elementari, ma non gli ha mai detto nulla perché, be’, aveva paura, come te. Paura di perdere lui e la loro amicizia. Allora iniziò col dirgli che era gay e il suo amico lo accettò. All’epoca gli era sembrato un traguardo importantissimo, qualcosa che avrebbe potuto bastargli… Ma vedere la persona che ami uscire con altre ragazze, ascoltare i suoi racconti su come le ha baciate e come ci è andato a letto, credimi, ti fa un male fottuto. Mio fratello ci ha sofferto tanto e, quando ne parlavamo, diceva sempre: ‘sì, glielo dirò, prima o poi glielo dirò’. Aspettava, non so, forse la certezza che non sarebbe stato rifiutato, almeno come essere umano. E poi è morto. E il segreto se l’è portato nella tomba.»

Kaede abbassò la testa, si torturava le pellicine attorno al pollice sinistro, che ogni tanto mordicchiava. «E l’amico? È stata dura, per lui, perderlo?»

«Oh, sì. Puoi dirlo forte. Sai perché? Perché ha capito che il dolore che sentiva non era solo per la scomparsa dell’amico più caro che avesse, ma perché anche lui lo amava. Lo amava, ma era troppo tardi. E ha passato l’inferno nel sapere che anche mio fratello l’aveva amato. Due imbecilli che non facevano che dirsi palle: uno per troppa paura e l’altro perché non capiva niente.»

«Mi stai dicendo che devo rischiare?»

«Ti sto dicendo che mio fratello credeva di avere tempo. Non è così, non è mai abbastanza. Credi di fare del bene all’altra persona, ma fai male a te stesso e nessuno dei due ne uscirà illeso. I rimpianti sono gli unici nemici che non puoi battere, e se andrà male almeno potrai dire d’essere stato onesto e sarai pronto per guardarti attorno, o altrimenti Nobu non ti uscirà più dalla testa.»

«E… che ne è stato di quell’amico?»

«Sta bene, ora, ma ci sono voluti anni. Non è stato facile e alla fine anche lui ha trovato qualcuno con cui provare a essere felice. Ma entrambi sanno che se mio fratello fosse stato onesto, le cose sarebbero andate diversamente. Lui magari sarebbe ancora vivo, chi può dirlo?»

Shuzo osservò Kaede passarsi ancora una volta la mano nel riccio stretto dei capelli e pensò d’esser stato forse troppo duro, ma quando gli vide alzare la testa si sentì tranquillo dello sguardo che lesse nei suoi occhi scuri: per quanto complesso fosse e pieno di dubbi, aveva capito ed era più pronto a fare la sua mossa.

Shuzo l’aveva sempre saputo che Kaede era un ragazzo in gamba; dopotutto, si somigliavano.

Il trillo del campanello di una bicicletta seguì quasi simultaneamente quello di un messaggio arrivato sul cellulare di Satou. Il ragazzo lo estrasse in fretta dalla tasca del gakuran per sbirciare di chi fosse. Lui osservò ogni movimento e catturò il guizzo che gli passò negli occhi, irrigidendolo un istante o, semplicemente, facendogli capire che anche quel tempo – quello dell’attesa del confronto – era finito.

«È arrivato, vero?»

«Gli avevo detto che ci avrei messo un po’ di più, ma lui è sempre puntuale…»

«Tanto non credo ci sia più niente da dire. La prima lezione è finita, ti aspetto per la seconda.» Nel dirlo, passò più volte il medio della sinistra nel cerchio chiuso tra indice e pollice della destra.

Kaede divenne di mille colori, Mamoru gli lanciò un sasso che lo mancò per un soffio, andandosi a schiantare sul legno.

«La finezza!» gli urlò dietro con sguardo truce.

«Aniki!»

«Cosa?! Quello è lo step numero due, c’è bisogno che qualcuno glielo spieghi! E i porno non sono realistici!»

«Sei una figura di merda, cazzo! Una totale e disagiata figura di merda!»

«Ah sta’ zitto, moralista delle mie palle!»

Kaede si infilò al volo le scarpe e saltò giù dalla veranda, pareva volesse scappare a gambe levate da quella discussione che aveva preso la piega più storta di tutte.

«Grazie, per i dettagli facciamo un’altra volta!»

«Paura, eh?»

«Fottiti!» Kaede gli mostrò il medio, poi però infilò le mani nelle tasche. «E grazie.»

«Le mie consulenze non sono mica gratuite. Mi devi da bere… che so, un po’ di quel liquorino di tuo padre?»

«Non dargli retta, Satou.»

Shuzo lanciò un’occhiataccia a Mamoru, che era il solito guastafeste, e gli fece una smorfia. Appoggiato con la spalla all’ingresso della piccola serra, il fondatore del Mori no Kokoro aggiunse: «Anzi, se ti serve un posto dove poter affrontare il discorso con Nobuyuki, vai alle grandi serre.»

«Posso davvero, Izawa-san?»

«Basta che ti ricordi di chiudere il cancello quando avrai finito.»

«Ottima scelta. Niente può andare male alle grandi serre.»

Kaede spostò lo sguardo su entrambi e poi rivolse loro un inchino di ringraziamento. Si caricò la borsa a tracolla e corse a recuperare la bicicletta parcheggiata accanto al cancelletto d’ingresso. Pochi minuti e si lasciò loro e il Kokoro alle spalle.

Shuzo era riuscito a carpire, per un istante, la testa di Nobu che svettava sopra tutto e tutti, prima che il cancello venisse richiuso.

Sorrise.

Mezzeseghe che, da tre quarti di sega, stavano davvero per diventare seghe intere a tutti gli effetti. Poco alla volta, un passo dietro l’altro, mentre si perdevano e trovavano nel tempo anche loro.

Non aveva idea di cosa avrebbe risposto Nobu quando Kaede si sarebbe fatto avanti, perché lo spilungone era molto riservato e non si tradiva facilmente, ma lui sperò che andasse davvero per il meglio. Erano i suoi ragazzini, quelli, mica voleva vederli con i cuori infranti!

«Beata gioventù…» gli sfuggì con un tono che avrebbe fatto compagnia a quello del vecchio Abe, ma dentro pensava davvero che fossero beati in quell’età così leggera e pesante al tempo stesso. Dove ti scontri con i primi grossi ostacoli, ma che non è ancora definitiva come la maturità che aspettava tutti alla fine del liceo. Lui, poi, la sentiva ancora più nostalgica e distante perché non l’aveva mai vissuta in maniera normale.

Il tocco deciso di dita che si infilavano nei suoi capelli, spingendo leggermente la testa di lato, lo fece voltare e sollevare lo sguardo. Lasciò che la mano si intrecciasse ai capelli più volte nell’andare e venire di quella lunga carezza.

Mamoru aveva un sorriso morbido come pasta mochi e gli occhi stretti appena un po’.

«Ci pensi ancora.»

«Perché, tu no?»

«Sempre», sospirò Mamoru e Shuzo catturò una punta di colpevolezza negli occhi.

Appoggiò la testa contro di lui e chiuse gli occhi, prendendo respiri lunghi e profondi. Godeva delle mani tra i capelli, scivolavano dalla tempia alla nuca, e godeva della primavera a un passo, con la sua aria nuova.

«Ma nella sfortuna,» riprese Mamoru, «non dimentico neppure d’esser stato fortunato, perché ho incontrato te.»

«Non è la stessa cosa.»

«Non deve esserlo. Siete due persone diverse, è giusto che sia così.»

Forse avrebbe dovuto smetterla di sentire quella punta di egoistica felicità quando Mamoru diceva di essere felice di aver incrociato la sua strada, quando sottolineava la differenza tra lui e suo fratello. Eppure, non smetteva di essere lì, lo faceva sentire – almeno un po’ – unico ai suoi occhi, qualcuno che non poteva essere sostituito, come sempre sarebbe stato Yuzo per entrambi. Poteva sperare di essere altrettanto importante, anche solo per un attimo velocissimo, prima di tornare a piantare bene i piedi per terra.

«Maaaa…»

Shuzo sentì tirare con forza i capelli, tanto da sollevare la testa. Mamoru adesso aveva un tono di rimprovero e il sopracciglio inarcato.

«Ahio! Ahio!»

«…devi imparare a dire le cose come si deve.»

«Che ho fatto?!»

Il sopracciglio di Mamoru raggiunse angoli acutissimi. «Scopare?»

«Ah! Ancora con quella storia?!» Shuzo si liberò della stretta con una manata, mentre il compagno prendeva posto proprio dove Kaede era rimasto seduto fino a qualche momento prima.

«Certo che riprendiamo quella storia. Hai dei modi di merda.»

«Perché? Perché ho chiamato le cose con il loro nome?»

«Ah, perché quindi noi scopiamo?»

«Certo che sì.» Shuzo sollevò i palmi delle mani e le spalle. Ma l’espressione truce di Mamoru gli fece alzare gli occhi al cielo e portarsi una mano al petto. «Scusa, preferisci che dica che ‘facciamo l’ammmore’

«E lo stai anche chiedendo?»

«Gioia, è la stessa cosa.»

«No che non lo è.»

«Invece sì, e posso dimostrartelo. Scommettiamo? Se vinco, stanotte farai tutto quello che voglio. E ovviamente starai sotto.»

Allo stesso modo, Mamoru storse le sue labbra, lasciandosi sfuggire un mezzo sbuffo sorridente. Aveva l’atteggiamento sicuro che l’aveva conquistato e la certezza di non poter mai perdere. Lo faceva impazzire quando lo guardava così, e sperò di poter rivedere quello stesso sguardo anche la notte; gliel’avrebbe fatto tirare fuori a costo di usare unghie e denti.

«Ma se perdi, allora sarai tu a fare quello che io vorrò. Andata.»

«Perfetto.» Shuzo ammiccò e cambiò posizione. Ne assunse una più composta, gambe incrociate a mo’ di indiano e schiena dritta. Le braccia erano abbandonate sulle cosce e le dita intrecciate. «E quindi, insomma, la grande differenza sta che dire ‘scopare’ è ridurre tutto al sesso, mentre dire ‘fare l’amore’ eleva la faccenda sul piano sentimentale, giusto?»

«Giusto.»

«Okay, allora rispondi a un paio di domande: con chi scopi?»

«Con te», rispose pronto Mamoru.

«Perfetto. E di chi sei innamorato?»

«Ma che domande! Di t-» Mamoru si bloccò, e lui, nello stesso momento, sciolse un sorriso, mentre distendeva le braccia nell’aria e faceva scrocchiare lentamente le dita.

«Sai, mi pare entri in gioco quella cosa chiamata proprietà transitiva, no?» Shuzo si sporse, affondò con piacere il colpo di grazia riuscendo finalmente a catturare il suo sguardo infastidito. «Non è come lo chiami ciò che importa, ma con chi lo fai. E con te io scopo e faccio l’amore allo stesso tempo, ogni volta. Sono la stessa cosa.»

Adagio, prendendosi solo mezzi sbuffi come risposta, Shuzo infilò le ciabatte e si alzò, scendendo dall’engawa. Nel passargli accanto per andare a sistemare le piccole serre gli strinse la spalla, avvicinando le labbra all’orecchio.

«E vedrai come te lo dimostrerò, stanotte.»

Si aspettò d’essere mandato a cagare per direttissima, magari di dover schivare una manata, ma quando si allontanò, tutto quello che udì fu un mezzo borbottio ingrugnito che gli fece alzare i pugni al cielo in segno di vittoria: «Detesto quando ha ragione.»

 

Nobu non nascose la sorpresa nel momento in cui vide Kaede uscire dal cancello posteriore del Kokoro, tanto da mettere in ombra anche l’espressione scazzata con cui aveva voluto giocare la carta del senso di colpa nei confronti dell’amico. Il messaggio glielo aveva mandato da nemmeno un minuto, si era aspettato di dover attendere almeno una mezz’ora, se non di più, invece Kaede era appena uscito spingendo la bicicletta e lasciando che il cancello si richiudesse sui suoi passi con un tonfo.

«Ma non avevi detto che avresti fatto tardi?»

«Mi sono liberato prima del previsto.»

Nobu ingoiò la sorpresa, indispettito dal tono e dalle sue rispose evasive. Proprio non glielo voleva dire di cosa doveva parlare con aniki. Quest’ultimo e Kaede, da quando lavoravano entrambi al Kokoro, erano diventati ancora più stretti nei rapporti. Kaede si lasciava guidare da Shuzo e gli chiedeva pareri su tutto. E dire che c’era stato un tempo in cui non ne aveva voluto sapere, in cui lo detestava come fosse il peggior nemico. Ora non sapeva fare un passo senza di lui.

Nobu si era riscoperto geloso, perché vedeva scalzata la propria posizione di migliore amico, colui che sapeva sempre tutto. Adesso non sembrava essere più così: Kaede e Shuzo parlavano di cose in cui lui non poteva più inserirsi. La sua esclusività era stata cancellata e non gli era andata a genio. Neanche un po’. Per riflesso, si era buttato negli allenamenti di basket alla ricerca di consolazione e, sì, anche un pizzico di ripicca: magari, vedendolo un po’ più distante e assente, Kaede si sarebbe posto qualche domanda, gliene avrebbe poste a lui. Magari sarebbe riuscito a parlargli come lui stava cercando di fare da un po’ di tempo senza però trovare il coraggio necessario, e invece il suo migliore amico non chiedeva nulla, gli lasciava tutto lo spazio di cui aveva bisogno.

Devi allenarti? Bravissimo, non perdere tempo! Hai le selezioni per l’università! Devi studiare! Devi diventare un campione!

Incoraggiamenti a tutto andare e mai una volta che se ne fosse uscito con un egoistico ‘molla gli allenamenti, cazzo, e andiamo a fare qualcosa insieme!’. Probabilmente, la sua presenza non era più così importante. Neppure la loro amicizia.

Magari Kaede aveva sviluppato altri interessi che li stavano separando e, una volta finito il liceo, ognuno sarebbe andato per la propria strada. Telefonate sporadiche, cartoline d’auguri. Fine.

Eppure, nonostante tutto, lui continuava a presentarsi puntuale agli appuntamenti, anche quando era palese che prima o dopo non avrebbe fatto la differenza. Lui non faceva più alcuna differenza nella vita di Kaede.

«Gli altri sono alla tavernetta del nonno di Daichi, andiamo.»

«Prima passiamo alle grandi serre.»

Lui alzò gli occhi al cielo e gonfiò le guance, ma trattenne lo sbuffo. Sempre le grandi serre, sempre qualcosa che aveva a che fare con aniki e le sue dannate piante.

«Dobbiamo proprio? Non hai staccato con il lavoro?»

«Sì, devo proprio, okay?»

Fino a qualche anno prima, Nobu aveva avuto per Shuzo lo stesso rispetto che ne avevano gli altri. E anche adesso sapeva di dovergli qualcosa e sapeva che, se avesse avuto bisogno di un consiglio, sarebbe sempre potuto andare da lui. Aveva impedito che Kaede finisse in casini troppo grandi e pericolosi. Eppure… quella gelosia che nutriva nei suoi confronti gli faceva risultare tutto fastidioso e la sua presenza troppo ingombrante nell’amicizia che aveva con Satou.

Poi si dava del cretino, sapeva che non era colpa di Shuzo e che, soprattutto, non c’era interesse verso Kaede: punto primo perché era un ragazzino, e punto secondo perché stava con Izawa, era noto. Era solo lui che si faceva mille film e paranoie e inventava anche le cose che non esistevano. Nella sua testa ingigantiva tutto.

L’aveva detto, era un cretino.

Ma Kaede lo era ancora di più.

«Come ti pare», replicò mimando un moto di disinteresse, nella speranza che l’altro dicesse finalmente qualcosa, ma Kaede aveva labbra cucite e ogni parte di sé proiettata in una sola direzione. E lui, che continuava a ripetersi di essere cretino, ci si sentiva ancora di più perché invece di piantarlo lì, lo seguiva.

Insieme, breve fila indiana, pedalarono verso le grandi serre senza dirsi nulla, ma stando l’uno dietro l’altro. A esser dietro era sempre lui; lui che seguiva e inseguiva, che gli guardava le spalle, perché a prescindere da ogni altro sentimento, il rispetto che nutriva per la sua posizione di leadership nel gruppo veniva per prima. Kaede era il capo, anche se non erano più ragazzini delle medie ma iniziavano tutti a pensare con le proprie teste, mettendosi sullo stesso piano. Ai suoi occhi, però, rimaneva come il capitano della nave su cui veleggiavano; e avrebbe potuto essere amico strettissimo, ma prima di ogni altra cosa sarebbe stato sempre quello a cui affidare anche la vita.

Il rispetto tra ragazzi era una cosa seria, come un marchio. Lo imparavi fin da subito, ti rimaneva addosso.

Davanti al cancello d’entrata delle serre smontarono entrambi dalle biciclette.

Kaede aprì un battente, e lo lasciò così. Loro entrarono, bici alla mano. Le poggiarono accanto alle porte chiuse delle strutture di legno e pvc che aveva avuto l’onore di vedere dall’interno più volte. Kaede gliele aveva mostrate con occhi pieni di una meraviglia che non gli aveva mai visto. Che si fosse innamorato di quel posto era stato lampante, e anche a lui era piaciuto moltissimo.

Le grandi serre. Così le chiamavano. E spesso aveva carpito qualche discorso tra aniki e i nonni o Izawa in cui dicevano fossero magiche. Magari era vero, a giudicare dall’effetto che avevano fatto su Kaede, e anche lui non ne era rimasto indifferente, trovando nell’enorme distesa divisa tra viti, filari di tè, serre e piante qualcosa di indefinibile che ogni volta gli faceva trattenere il fiato per alcuni istanti.

Anche ora, che avrebbe dovuto odiare la devozione che Kaede riversava su di esse, si sentì strappare l’aria dai polmoni per un paio di respiri, tre, mentre il tramonto sgocciolava il finale e il cielo si era fatto già scuro. Nonostante il buio, o forse proprio a causa di esso, quel posto sembrava avere un ascendente maggiore di quando era investito dal sole. Un ascendente che, nel suo caso, era anche inquietudine.

Kaede, invece, ci si muoveva a suo agio, consapevole di dove andare e toccare. Accese la luce del grande lampione esterno, posto su uno dei lati della serra. L’oscurità si schiarì, ma allo stesso tempo creò nuove ombre che prima non c’erano state.

Il suo miglior amico prese posto sulla staccionata accanto alla serra; si sedette sulla sommità e mise mano al tabacco per farsi una sigaretta.

Nobu osservò per un po’ la sua testa bassa, concentrato su ciò che stava facendo. Si era aspettato dovesse intrattenersi in qualcosa di urgente, ma sembrava che tutta l’attenzione di Kaede fosse solo sulla cicca.

Iniziò a spazientirsi.

«Come fai a fumare dopo una simile salita?»

«Abitudine», sorrise. «Forse ho i polmoni migliori dei tuoi, campione.»

Nobuyuki si emozionava sempre quando era Kaede a chiamarlo così. Presagiva un futuro di successi, dandoli per scontati, e questo lo faceva sentire ‘bravo’ ai suoi occhi. Uno che poteva farcela. Ma in quel momento, che era già irritato, lesse quel complimento come una presa in giro.

«Non sono ancora campione di niente, piantala di ripeterlo.»

«Lo diventerai. Manca poco, ormai. Solo qualche giorno e inizieremo il nostro ultimo anno.» Kaede sparse parole e fumo che Nobu seguì come se la sua voce fosse divenuta solida abbastanza da essere visibile. Voce di fumo. «Passerà in fretta», concluse esalando verso il cielo la nuova boccata, affinché non fosse lui a respirare il suo fumo passivo. Poi lo guardò, ma la luce del lampione che pioveva dall’alto creava troppe ombre, perché Kaede c’era proprio sotto. Lui, invece, aveva la luce dritta in faccia.

«Siediti.»

«Sto in piedi», s’affrettò a rispondere. «E poi non mi hai detto che siamo venuti a fare, qui. Cioè, non mi dirai che volevi solo fumarti una sigaretta?!»

«Ora ci arrivo, ma prenditela con calma anche tu. Dai, siedi.»

«Ho detto che sto in piedi. Poi lo sai che se mi siedo devo stare curvo per parlarti. Meglio se resto qui.»

«Ehi, non infierire dandomi del tappo!»

«Non ti do del tappo!»

Anche se nascosto dalle ombre, Nobu vide quel mezzo sorriso sulle labbra di Kaede. Lo stava prendendo in giro e non ne capiva il perché. Non capiva il perché di quella conversazione, della sfacchinata per arrivare alle grandi serre, non capiva niente.

«Dovrai iniziare a studiare seriamente per gli esami di ammissione alla Aichi University.»

«Lo so.» Il pensiero della scelta universitaria che si avvicinava fino a respirargli sul collo, il fatto che avrebbe lasciato Obuchi per provare a seguire una possibile carriera sportiva, lo fecero sospirare. «E tu? Hai deciso dove andrai?»

L’interpellato sorrise più apertamente, inspirò ancora dalla sigaretta e poi la spense anche se era arrivato solo a metà. Sfregò le mani tra loro, come dovesse togliersi della terra e appoggiò i palmi sulle cosce, con le dita rivolte verso l’interno.

«Resto qui.»

«Che vuoi dire?»

«Quello che hai sentito.» Kaede sollevò le sopracciglia in due archetti divertiti mentre sorrideva. «Non l’avresti mai pensato, eh? Non sei il solo. Anche papà m’ha guardato come stai facendo tu; credeva che me la sarei data a gambe da Obuchi.»

«Non andrai all’università?!»

«Andrò al College Botanico delle Tecnologie Orticole; ne hanno aperto una succursale a Shizuoka City da qualche mese.» Kaede sciolse un sorriso fiducioso e soddisfatto. «Ho scoperto che lavorare con le piante mi piace. Ma, soprattutto, mi piace coltivare e controllare che tutto proceda bene.»

Alla sorpresa, negli occhi di Nobu, si sostituì un moto di collera inaspettato. «È a te che piace o te l’ha detto aniki?!»

«Aniki? E che c’entra?»

«C’entra sempre visto che fai tutto quello che dice!»

«Ma piantala. Lui nemmeno lo sa!» Kaede agitò una mano. «L’ho detto solo a mio padre… e a te. Non lo sa nessun altro. Siete i primi.»

Una vampata di vergogna colpì Nobu in pieno viso. La riconobbe nel calore che bruciò le guance e lo costrinse a spostare il viso a terra e infossare le mani nelle tasche della divisa scolastica. Ebbe la sensazione d’essersi esposto troppo.

«Strano, eh, che proprio io alla fine scelga di rimanere. Voi ve ne andrete, anche Daichi e Jiro, prima o poi. Shota forse sarà il primo di tutti; lo sai, no, che vorrebbe tentare con la polizia. Voi andrete, io rimarrò.»

Aveva un’espressione divertita, ma non dispiaciuta. Era felice di rimanere e Nobu non riuscì a capire perché. Proprio lui che aveva sempre detto che avrebbe lasciato quel paese di merda, che aveva progetti troppo grandi, l’idea perenne di fare soldi in fretta e tornare per sbatterli in faccia a chi l’aveva preso in giro e gli aveva ostentato un benessere sociale che lui non poteva raggiungere né uguagliare. Ma quel ragazzino pieno di rancore non c’era più da tempo, anche se aveva cercato di trovarlo sempre nei modi di rispondere bruschi e che lo irritavano ma che, allo stesso tempo, glielo facevano riconoscere.

Quello era Kaede.

Ma era anche questo?

Credeva che a cambiare e crescere sarebbe stato solo lui, mentre il suo migliore amico gli aveva dimostrato giorno per giorno che anche un carattere spigoloso come il suo potesse trovare la quadra nella vita per non graffiarla di continuo.

E magari sarebbe stato felice a Obuchi… ma lui non ci sarebbe stato, se non qualche volta.

Kaede sarebbe stato felice… senza di lui.

Io resto, tu parti, la nostra amicizia finisce.

«Forse dovresti andare anche tu.» L’egoismo prese il sopravvento assieme alla gelosia. «Provare altrove, trovare una strada fuori da Obuchi.»

«E perché se è qui che voglio restare?» Kaede lo guardava senza capire quell’insistenza a un passo dalla supplica. Parti anche tu. Parti anche tu con me. «Così quando tornerete potrete sempre trovarmi, lo saprete. Anche tu. Mi troverai qui.»

Ma Kaede non riusciva a capire che non era il ‘dove’, ma il ‘come’ l’avrebbe trovato. Quanto sarebbe cambiato in sua assenza? Le persone che avrebbe conosciuto e qualcun altro sarebbe arrivato a prendere il posto dei vecchi amici, e il suo.

«L’idea che tu sappia sempre dove potrai trovarmi, mi piace.»

Detta così piaceva anche a lui. Da morire. Gli dava una certezza che, se entrambi fossero partiti per andare a studiare fuori, non avrebbero avuto. Avrebbero finito per disperdersi come i petali di ciliegio dell’hanami che stava per esplodere. Hanami che anticipava l’inizio del nuovo anno scolastico e accorciava il tempo in cui sarebbero rimasti liceali scemi.

Si appoggiò di spalle alla staccionata su cui Kaede restava seduto. Tirò indietro i capelli che dalla prima liceo aveva deciso di portare più lunghi e arrivavano a incorniciare il viso. Si torturò il labbro inferiore con gli incisivi che l’apparecchietto aveva quasi rimesso a posto; lo avrebbe tolto tra qualche anno, ma nessuno lo sfotteva per il suo sorriso di metallo perché era troppo alto e si era irrobustito; faceva un po’ paura.

«A te non sta bene?»

Sollevò una spalla alla domanda di Kaede, ma non si volse a guardarlo. Teneva gli occhi fissi sulle mani dalle dita lunghe e la presa forte, per trattenere il pallone da basket.

«Non deve stare bene a me.»

«Yuki…»

Nobu sussultò perché il respiro della voce di Kaede gli era arrivato caldo sulla guancia, come l’eco di una carezza. Si ritrovò a masticare il cuore sotto i denti e a buttarlo giù prima di girarsi.

Kaede lo fissava, sporto in avanti e tenendosi alla staccionata, ma i suoi occhi rimbalzarono impazziti per un istante e poi si fermarono sulla bocca.

«…sto cercando di dirti una cosa.»

Quale?

Il pensiero rimase intrappolato sotto i denti assieme al cuore. Poi un movimento appena percettibile e lui si tirò indietro, perché gli era sembrato che Kaede si fosse avvicinato.

Magari l’aveva fatto sul serio, magari voleva dirgli il motivo per cui erano lì. E lui ne aveva avuto paura per una frazione di secondo perché aveva pensato che, invece…

Riuscì a staccare lo sguardo dalla bocca di Kaede solo per scoprire nei suoi occhi qualcosa di altrettanto inatteso che cambiò la prospettiva di tutto.

Ferito.

Per quel gesto di tirarsi indietro.

Kaede gli oppose l’abbozzo di un sorriso nel deviare lo sguardo. Saltò giù dalla staccionata con abilità.

«Va be’, facciamo un’altra volta. Si è fatto tardi, poi chi se lo sente Shota?»

Una frattura netta nel momento che avevano creato e di cui lui si rese conto solo quando vide Kaede dargli le spalle, con le mani nelle tasche. Gli sfilò davanti come sempre, con l’atteggiamento arrogante che gli era usuale e che credeva di conoscere.

Appunto, credeva.

Era rimasto indietro, e Nobu non sapeva rispondersi perché. Dentro e fuori era andato avanti, era cresciuto, eppure pretendeva che Kaede restasse intrappolato in qualcosa riconducibile ai suoi ricordi, quando il mondo erano solo loro due e inseparabili.

Ma stavano per separarsi, invece. Lui stava per partire e Kaede non ne era arrabbiato neanche un po’, anzi, non faceva che tifare per lui e chiamarlo ‘campione’ anche se non era ancora niente più che un pivello.

Lo chiamava campione, sarebbe rimasto dove avrebbe sempre potuto trovarlo e l’aveva portato alle grandi serre perché doveva dirgli qualcosa…

 

«Lo sai cosa dice aniki di questo posto? Che è magico. Cazzo, io non ci credevo, pensavo esagerasse. E invece… forse lo è davvero. Forse qui funziona tutto sul serio.»

 

Nobu drizzò la schiena al ricordo della prima volta che era stato lì con Kaede. Galvanizzatissimo, l’amico gli aveva detto quella frase. Anche a lui erano piaciute, ma niente di più; aveva pensato che Kaede si stesse facendo influenzare troppo. Non aveva capito nulla e solo adesso si ricordava di essere stato il primo del loro gruppo a venir portato fin lì. Solo loro due.

Lui veniva sempre per primo e la sensazione di arrivare, invece, troppo tardi gli esplose nel petto.

«Tra un anno me ne vado!» esclamò a un tratto, piantandosi a gambe larghe dove si trovava, e pugni stretti lungo i fianchi.

Più avanti, Kaede si fermò e gli rivolse la tre quarti. «Come se non lo sapessi. Non fai che ripeterlo. Tra pochi giorni potrò segnarmelo sul calendario per fare il conto alla rovescia. Manco a Capodanno!» rise, tornò a camminare.

«Quindi mi lascerai andare e non mi dirai nulla?!»

Stavolta, il ragazzo si girò completamente.

«E che ti dovrei dire? Non stai mica partendo per la guerra, Nobu! Se tutto va bene, vai a conquistare la fama e un bel gruzzolo! Ti dovrei fare gli auguri e dirti di ricordarti degli amici!»

Rise ancora più forte, e anche se era lì, Nobuyuki vide chiaramente che stava scappando.

Lo raggiunse in poche falcate coperte dalle gambe lunghe come quelle delle cicogne, lo sovrastò con tutti i suoi centonovantadue centimetri.

«Mi devi dire qualcosa.»

«Ohi, fai poco il gradasso con me, Yuki. Sarai alto, ma io posso ancora metterti al tappeto.» Kaede sogghignò. «Di’, non vorrai mica litigare? Poi dici che ho io il carattere di merda. Tu pure sei strano forte.»

«Quello strano sei tu. Da un po’ di tempo parli meno del solito e sei irritabile di più. E ora mi porti qui e non mi dici cosa dovresti dire! Non te ne faccio andare se non lo butti fuori!»

«Oh, certo, e credi di potermi fermare?» Kaede sollevò il mento; gli occhi scuri sottili come lame. «Io sono a posto. E tu pure, mi sembra. Quindi se hai qualcosa da dire, sei tu a doverti fare avanti, se proprio ci tieni.»

«Certo che ci tengo!»

Lo afferrò per il braccio prima che potesse superarlo e poi fu collisione scoordinata di teste e nasi. E labbra.

Si scontrarono come le macchinine al luna park in un gesto dettato dalla paura e dalla fretta, le stesse che l’avevano fatto ritrarre quando era stato Kaede ad avvicinarsi. Ora sì, ne era certo.

Nobu non fece niente che non fosse tenere la bocca appoggiata all’altra. Solo questo. Un bacio a stampo come nemmeno all’asilo, ma era l’unica cosa a essergli venuta in mente; tutto il resto gli era parso insensato e pericoloso.

Sulla pelle gli si trasmise un fastidioso sapore di tabacco e fumo di cui si accorse solo dopo i primi tre o quattro secondi. Poi si separò, con la stessa decisione con cui si era avvicinato, e le labbra schioccarono come ventose.

Dall’alto di quel metro e novanta, Nobu vedeva tutto e niente, appannato dalla fretta e dalle emozioni tutte insieme, tutte forti e arrabbiate che gli stavano dicendo che, sì, aveva appena baciato il suo migliore amico, ma che invece di scappare a gambe levate o scusarsi restava a fissarlo con espressione incazzata.

Nemmeno Kaede si mosse o si scompose o andò in panico. Non cercò di divincolarsi, ma si limitò a fissarlo come lo stava fissando lui; e aveva l’espressione severa, un sopracciglio inarcato.

«Baci una vera merda.»

«Non mi pare che tu ti sia impegnato più di tanto! Non posso mica fare tutto io!»

«Be’, prova a tirare fuori la lingua la prossima volta e vedrai.»

«Oh, ha parlato l’esperto!» Nobu alzò occhi e braccia al cielo. «Ti sei portato a letto una ragazza e già vuoi fare quello che ne sa più di tutti?!»

«Andiamo, ancora con questa storia?! Non siamo andati proprio a letto! E poi, secondo te, perché credi che lo abbia fatto?»

«Non ne ho idea, visto che neppure ti piaceva! Ma qualsiasi sia stato il motivo, spero sia stato almeno illuminante!»

Nobu se lo vide arrivare addosso con l’irruenza che conosceva bene, capace di far indietreggiare anche lui, che lo superava di dieci centimetri buoni, se non qualcosa di più. Ma Kaede era forte, lo era sempre stato, e sembrava non avere paura di nulla. Era quello che era entrato nel covo di un assassino come il Ratto quando era un ragazzino, cosa ci si poteva aspettare da lui se non un temperamento tanto deciso?

Era anche per questo che gli piaceva.

Era per quegli occhi, ora spalancati, che sembrava volessero divorarlo per intero, era per i tratti spigolosi e marcati, era per come si prendesse sempre cura di lui. Era per come facesse tanto il gradasso, ma fosse spaventato dal futuro e dal fatto che tutti avessero una strada e che toccasse sceglierne una anche a lui.

«Oh, sì. Lo è stato.»

Kaede sembrava sul punto di mollargli un pugno; Nobu lo temette perché ormai non sapeva più che aspettarsi, ma nel momento in cui cercò di mettere un passo di distanza, venne afferrato per la nuca e tirato giù.

Furono di nuovo labbra contro labbra, e poi le bocche s’aprirono per accogliersi l’un l’altro in quello che fu un bacio. Un bacio vero. Di quelli umidicci che aveva scambiato con Saotome della I° Sez., che facevano rumore, che erano sensuali e un po’ cannibali. E belli, ti toglievano il fiato ma non saziavano, e se si separarono fu solo per respirare, guardarsi negli occhi con i visi ancora vicini in cui tutto si poteva leggere con chiarezza.

Dopo un bacio così, niente si poteva fraintendere.

«Non… sì, non male.»

Kaede sghignazzò. «Te l’avevo detto.»

«Adesso vorrai vantarti come al solito…»

«No. Voglio baciarti ancora.» Il sogghigno perse la piega di scherno per assumerne una divertita. Negli occhi brillò qualcosa che Nobu vide bene perché illuminata a giorno dal lampione: poteva chiamarla ‘emozione’? Sentiva di averla anche nel proprio sguardo, e gli aveva messo lo stomaco sottosopra e sottovuoto.

Non aspettò che fosse Kaede a muoversi, lo anticipò e non aveva smesso di sentirsi un idiota per come si era comportato e per aver pensato male di Shuzo, ma almeno era un idiota felice.

E ora che i baci con Kaede divenivano troppi da calcolare, ora che poteva stare tranquillo perché nessuno glielo avrebbe portato via, ora che tutto si faceva più stretto tra mani che aggrappavano e braccia che avvolgevano, anche Nobu riuscì a capire quanto magiche fossero le grandi serre.

Una magia che partiva in sordina e poi esplodeva tra le mani, sulle labbra, dentro al cuore.

 

 

 

 

 


 

 

Note Finali: …ç_ç ♥

Piccolini ç_ç sono cresciuti. Be’, con quel cacacazzi di fratello maggiore acquisito a caso non avrebbe potuto tergiversare ancora troppo a lungo, o gli avrebbe fatto fare una figura di merda delle sue pur di sputtanarli XDDDD

E quindi, siamo arrivati anche a questo momento che nell’Epilogo vi aveva sorpreso: sì, Kaede e Nobu stanno insieme e, come sapete, non sarà una cosa da poco! :D

Un bel dolcetto fluffettoso in questa vostra calzina della MelaBefana! XD

 

E intanto, vi anticipo che nel prossimo aggiornamento… avremo un gradito (lo so! XD) e lolloso ritorno ♥ Stay tuned!!! XD

 

 

   
 
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