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Autore: BusyBird    06/01/2020    1 recensioni
Raccolta di storie brevi dedicate alla MarcoAce eo alla ThatchIzou.
1. Drunken Sailor :: MarcoAce & ThatchIzou [3091 parole]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Izou, Marco, Portuguese D. Ace, Thatch
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Drunken Sailor

Note: non trovo mai abbastanza storie dedicate all’ormai defunto Thatch e il bel Izou, quindi è mio dovere fare qualcosa! Ho trovato questa canzone che si chiama “Drunken Sailor”, e ho pensato: perché non scrivere qualcosa su questi due?

Quindi, buona lettura!

Canzone: QUI

[Prima storia per questa collezione dedicata alla ThatchIzou e alla MarcoAce.]

Plot: Marco ha fatto voto di “castità” e Thatch lo aiuta. Thatch, però, dovrebbe imparare a occuparsi dei propri problemi, prima di aiutare gli altri.

Rating: Giallo – per precauzione.

Warning: uso smodato di alcolici.

 

**

 

Parliamoci chiaro. Ormai Marco era al corrente delle attenzioni che riceveva da parte del comandante della seconda divisione, Ace. Proprio per questo, quindi, l’uomo aveva deciso di prendere le distanze dall’ultimo arrivato; non fraintendiamo, però! Marco adorava sentire gli occhi curiosi del più giovane su di sé. Essere desiderati era una bella sensazione, e Marco stesso si trovava spesso a indugiare qualche secondo di troppo su quel corpo così giovane e prestante. Marco sarebbe stato un bugiardo a dire di non essere interessato a sua volta – allora dov’era il problema?

Ecco, questo Thatch proprio non sapeva spiegarlo!

Ace passava molto del (poco) tempo in cui era sveglio a studiare i movimenti della fenice: lo osservava mentre dava ordini alla propria divisione; lo scrutava quando doveva studiare qualche carta importante. I suoi occhi erano sempre fissi sull’uomo a meno che non si trovassero nel bel mezzo di uno scontro o lui non stesse dormendo. Tuttavia, anche in quei casi, Ace lanciava occhiate fugaci al biondo: sia che la fenice si alzasse in volo per raggiungere un nemico; sia che Marco fosse l’ultima persona che lui potesse vedere mentre il sonno lo vinceva per l’ennesima volta. I suoi occhi avrebbero sempre trovato Marco, in qualsiasi contesto.

Anche quella sera era così.

Mentre le fiamme dei vari focolai ondeggiavano sulla spiaggia, illuminando i pirati, i forzieri carichi di tesori scintillanti e le monete d’oro impolverate che strabordavano dai sacchi logori, Ace aveva occhi solo per Marco. Nessuno avrebbe potuto notarlo, ma Thatch aveva buon occhio per queste cose – in realtà, poteva notarlo solo perché era letteralmente a due centimetri dal giovane.

Ace stava sorseggiando del liquore con lui, a pochi metri dalla riva, attorno ad uno dei focolari. A piccoli sorsi, Ace lasciava che l’alcol entrasse nella sua bocca e ne colasse un po’ lungo le labbra fino a raggiungere il mento e scendere lungo il collo. Ad ogni sorso, gli occhi di Ace continuavano a seguire Marco lungo la spiaggia, il quale si muoveva da un gruppo all’altro per parlare un po’ con tutti. Ad ogni goccia che colava, perdendosi sulla sabbia, Ace si estraniava dal mondo.

Ace seguiva le fiamme che ballavano sul corpo dell’uomo, che, forse involontariamente, aveva lasciato la sua la sua camicia abbandonata sulla nave. Pugno di Fuoco seguiva ogni singola ombra, ogni singola luce che si stagliava su quei muscoli – sulla schiena perfetta e sul petto tatuato.

Eppure, nonostante il desiderio fosse ben visibile in quegli occhi così giovani, c’era qualcosa smorzava l’entusiasmo tipico degli amori giovanili. C’era qualcosa che affievoliva, pian piano, quel fuoco che fino a qualche mese prima era stato così ardente da rendere i suoi sentimenti palesi agli occhi di tutti.

C’era qualcosa che stava soffocando il desiderio di Ace.

Ormai, quasi nessuno lanciava battutine al povero novellino – Marco ed Ace si parlavano normalmente, ma non c’erano più quei tocchi casuali fra i due; mancavano le chiacchierate che andavano avanti per ore durante la notte; non c’erano più spunti che potessero dar modo alla ciurma di parlare.

Ace osservava, ma ad ogni attenzione mancata da parte di Marco, ogni occhiata diventava più vuota e cupa; non brillava più di luce propria, ma solo grazie alle fiamme dei focolai che si riflettevano nelle sue iridi. Guardava Marco perché ormai vi era abituato e perché, si sa, la speranza era l’ultima a morire.

Thatch riconosce molto bene quegli sguardi che si incupiscono pian piano, nel tentativo di soffocare l’entusiasmo e la voglia di essere notato da quella singola persona. Thatch lo sa, perché è lo stesso sguardo che ha lui quando i suoi occhi puntano Izou per non lasciarlo più.

“Chiedigli di ballare,” propose Thatch riempiendosi nuovamente il bicchiere, “Marco è particolarmente stupido.”

Ace si voltò ad osservarlo di scatto, con gli stessi occhi di un cervo spaventato da un improvviso cacciatore. In quel momento, Thatch notò che era il turno di Marco di stare ad osservare, ma Thatch potette accorgersene solamente perché il biondo era vicino ad Izou.

Doveva ammetterlo: era una catena ridicola.

Gli occhi di Marco erano su Ace, quelli di Ace puntavano Thatch e Thatch era intento a adorare Izou, troppo impegnato a ballare per accorgersi del resto del mondo attorno a sé. La musica era assente, eppure Izou riusciva a danzare sulle note delle risate dei suoi compagni; sulle urla sgraziate di chi stava litigando per il pezzo di carne migliore; sul tamburellare sordo del cuore di Thatch. Ma tutto ciò che quest’ultimo provava era solo un eco di quell’amore che aveva sperimentato anni prima. Non avrebbe mai potuto cogliere quel fiore – non sarebbe mai stato capace di arrivare più vicino a quell’uomo più di quanto non lo fosse quando combattevano fianco a fianco.

“Stupido?” Chiese Ace riprendendosi dallo spavento iniziale. Nonostante ciò, le sue gote erano leggermente arrossate, e Thatch non sapeva dire se fosse colpa del liquore o dell’imbarazzo di essere stato colto con gli occhi sul bottino.

“Pensa di essere troppo noioso per un giovanotto come te – la verità è che è più iperattivo di me e te messi assieme. Non è ciò che ti aspetteresti da un uomo in crisi di mezza età,” spiegò Thatch con un sorrisetto stampato in viso. Marco era sempre stato molto attivo, sin da quando era piccolo: Vista parlava spesso di come Marco avesse rischiato di annegare, molteplici volte, per voler volare su un’isola e precedere la Moby-Dick; parlava fin troppo spesso delle volte in cui Marco avesse passato la notte a studiare mappe, tenendo in ostaggio qualcuno per avere compagnia. Per non menzionare tutte le volte in cui Vista raccontava della stamina ingestibile del comandante della prima divisione, e dei bordelli dai quali era stato cacciato più volte durante le soste.

Ace non sembrava molto convinto, e corrugò la fronte, confuso.

“Se tu ti girassi proprio ora, lo vedresti,” lo avvertì Thatch, che solo ora stava realmente mettendo a fuoco Marco. “Sembra un gufo: parla con Vista e contemporaneamente guarda la tua schiena,” precisò l’uomo concedendosi un sorso.

Alle spalle della fenice, Izou si toglieva la parte superiore dello yukata, svestendo le proprie braccia come si scarterebbe un pacco regalo: velocemente e indolore. Thatch non ebbe nemmeno il tempo di gustarsi la scena che Izou tornò a muoversi freneticamente fra i fuochi, in un misto di gesta tipiche di Wano e di altri balli non noti.

Quanto a Ace, lui non credeva affatto che Marco potesse essere così interessato alla sua schiena per via di un qualche sentimento represso, ma il giovane decise lo stesso di voltarsi di scatto, a tradimento. Forse fu per via di qualche bicchiere di troppo, forse Marco non stava realmente guardando lui, ma in quel momento Ace incrociò lo sguardo della fenice.

L’uomo stava in piedi di fronte a Vista, a torso nudo, col petto che si sollevava e si rialzava ad ogni respiro; i peli biondi brizzolati che scintillavano per via delle fiamme sulla pelle macchiata di blu dal tatuaggio e il sudore che scivolava ripido verso l’addome. E lo stava osservando – stava osservando Ace, e notando il liquore che gli gocciolava dalla bocca, Marco iniziò a seguire le gocce che dal labbro minacciavano di abbandonarsi alla gravità.

Stette lì per un po', imbambolato, finché non si rese conto di essere stato colto in flagrante.

Con grande dispiacere di Ace, Marco distolse lo sguardo e, inesorabilmente, prese le distanze, allontanandosi e raggiungendo un focolare più lontano, perdendosi nella mischia.

“Vedi? E’ stupido,” ma Thatch, davvero, non sapeva se fosse rivolto a Marco o a sé stesso. Il comportamento di Marco era stupido; il comportamento di Thatch era stupido allo stesso modo.

Ace non aveva volpa dei drammi mentali di Marco; Izou non aveva colpa dei cocci del cuore di Thatch.

Si diceva che l’avanzare degli anni portasse saggezza, ma Marco e Thatch sembravano diventare sempre più idioti.

E quindi, la serata andò avanti così: Thatch e Ace bevevano – decisero di svuotare tutte le bottiglie abbandonate attorno al loro focolare, con l’aiuto di chi aveva decido di unirsi al loro angolino. Bevevano e si guardavano attorno come dei cuccioli smarriti, nel vano tentativo di trovare i loro soggetti preferiti – bevevano e lasciavano che l’alcol iniziasse a controllarli. Lentamente.

Non si accorsero di un Marco abbastanza preoccupato che si avvicinò a loro, perplesso; non si accorsero di Izou che abbandonava la scena, a notte fonda, per accucciarsi in una delle barche attraccate alla spiaggia.

Ace beveva, e provò anche una bevanda particolare, qualcosa di strano, qualcosa molto dolce ma che bruciava terribilmente in gola. Per un attimo, non riuscì nemmeno a biascicare parola: restò lì a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, con l’ugola che sembrava in fiamme. Prese lunghe boccate d’aria; il respiro si faceva pesante, ma ad ogni tentativo tutto sembrava tornare normale. Il bruciore svaniva e l’aria gelida della notte alleviava il braciere.

Ops, troppo forte per te?” Chiese Thatch ridacchiando, e solo ora Ace notò che l’uomo non aveva più il suo boccale, ma stava bevendo alla goccia direttamente dalla bottiglia. Era la stessa cosa che aveva messo fuori uso Ace, anche se Thatch non sembrava aver problemi: l’uomo beveva senza badare alle fiamme che gli si sprigionavano in gola ad ogni sorso.

“Ehi, basta, Thatch,” ordinò qualcuno alle loro spalle. Doveva essere Vista, ma Ace non riusciva a definire bene la voce. Era solo un’impressione, nulla di fondato.

Thatch, vuoi mandare Ace in coma etilico?” Chiese qualcun altro. Marco? Questo doveva essere certamente lui, ma Ace non si voltò a guardare e cercò di bere nuovamente dal calice che Thatch gli aveva riempito, fra una risata e l’altra. Stava riempiendo i bicchieri di tutti quelli attorno a loro, ma quello di Ace era pieno fino all’orlo, e bere nuovamente avrebbe riportato quell’inferno nella sua bocca.

“Ace, no!” Urlò qualcuno, e il boccale gli venne tolto di mano – non servì nemmeno tanta forza, poiché Ace lasciò andare al primo strattone; era troppo debole per ribellarsi a qualsiasi cosa.

Il ragazzo si sentì ricadere all’indietro, ma venne bloccato subito.

“Sei un’idiota, Thatch!” Urlò nuovamente questo qualcuno – si, era davvero Marco, pensò infine Ace. Eppure, c’era qualcosa di strano: la voce veniva proprio da dietro di lui; nasceva proprio alle spalle di Ace. Cercando di tenere lo sguardo fisso di fronte a lui, vide delle gambe più abbronzate ai lati delle sue, piegate, e delle braccia più muscolose distese sulle ginocchia, con le mani che reggevano il boccale di Ace.

“Andiamo! Almeno ora lo hai tutto per te!” Ridacchiò Thatch che intanto sembrava aver smesso di bere per osservare Ace e Marco.

Oh, quindi Marco era dietro di lui, ora? Rifletté Ace muovendo il capo contro il petto alle sue spalle – effettivamente, il calore emanato dal corpo dietro di lui era lo stesso di Marco. Era rassicurante lui.

“Guarda! Fa le fusa!”

Non stava facendo le fusa, ma ci stava andando vicino - Ace si rigirò in quel confortevole riparo, stendendosi sulla sabbia e col capo poggiato su una delle cosce dell’uomo, allacciando le braccia attorno al suo busto. Per un po', strusciò il viso contro lo stomaco di Marco, contento e non tanto convinto di essere ancora sveglio. Doveva essere per forza un sogno, niente di più.

“Ti ho fatto un favore!” Thatch? Si, era lui.

“Tu non capisci…” Marco? Mmh, si, decisamente.

Il discorso si fece via, via più animato, ma Ace si sentiva troppo stanco per prestarci attenzione; la cosa peggiorò quando una mano ampia e calda iniziò ad accarezzargli il capo, districando i capelli con estrema gentilezza.

Ace non riusciva più a capire cosa gli altri attorno a lui stessero dicendo. Nessuna parola sembrava avere senso.

Il sonno arrivò presto, ma le sue braccia restarono salde attorno a Marco.

 

“Quel ragazzo stravede per te,” Thatch non credeva sarebbe stato in grado di avere una conversazione seria in quel momento, ma quale occasione migliore? Molti di loro erano già addormentati sulla sabbia; altri si erano accucciati nelle scialuppe. Qualcuno era persino sulla riva dove il mare poteva raggiungerli senza problemi – l’infermeria sarebbe stata piena di malati il giorno dopo.

“E tu non sei da meno! Ci manca poco che lo mangi vivo!” Thatch era sempre bravo a punzecchiare, dando voce a ciò che era sempre sotto gli occhi di tutti, ma abbastanza nascosto da non essere così palese. Thatch però sembrava avere abbastanza tempo libero da accorgersi di qualsiasi cosa fuori posto.

“Non è questo il punto!”

Onestamente, Thatch si chiedeva con che coraggio Marco potesse ribattere in quel momento: se ne stava tranquillo con Ace fra le sue gambe, accarezzandogli il capo con la mano dalla quale sfrigolavano fiamme blu e gialle. Che fosse un modo per evitargli un’emicrania lancinante?

“Ace è giovane.”

“Marco, sei un pirata! Davvero ti preoccupi di una cosa simile?” Ace era giovane, era un dato di fatto, ma era abbastanza grande da decidere da sé cosa volesse per la propria vita.

“Siamo entrambi comandanti,” ritorse l’altro, che di darla vinta a Thatch non ne aveva voglia.

“Non sono abbastanza ubriaco per le tue pessime scuse,” intervenne qualcuno che li stava raggiungendo dalla riva.

“Oh, grazie, Vista!”

L’uomo stava camminando a piedi nudi verso di loro: con una mano reggeva gli stivali fradici per non farli sporcare di sabbia; l’altra era ben radicata attorno al collo di una bottiglia. A quanto pare, Vista era uno dei pochi che ancora non era stato completamente sconfitto dai festeggiamenti, e si accorse immediatamente di dove Ace fosse.

“Tutti contro di me sta sera?” Chiese Marco, continuando a muovere le sue dita sul capo di Ace, giocando con qualche ciocca mentre le fiamme rendevano più tranquillo il sonno del ragazzo.

“Tranquillo,” rise Vista sedendosi di fronte a entrambi sulla sabbia gelida, a gambe incrociate. Il fuoco ormai iniziava ad estinguersi, e solo la tenue fiamma bluastra di Marco riusciva a farsi valere nell’oscurità. “Anche Thatch ha bisogno di una piccola spinta nella giusta direzione,” eh?

Il comandante della quarta divisione quasi si strozzò con quel prezioso nettare, e sputandolo sul focolaio di fronte a sé lo estinse. L’unica fonte di luce in quel punto era ormai la fenice.

“Oh, questa sembra un’ottima idea,” intervenne Marco ridacchiando e scolandosi il boccale che prima era stato di Ace. “Sarei un fratello orribile a non ricambiare il tuo favore,” disse ad alta voce, scambiando un’occhiata divertita e poco raccomandabile con Vista.

Ma Thatch non sapeva a cosa i due si stessero riferendo, davvero. O forse, era fin troppo preso dall’alcol che gli scorreva in corpo – non era facile pensare quando la testa iniziava a scoppiare (stava invidiando davvero tanto la bella testolina di Ace che veniva protetta dal calore di Marco).

Tuttavia, il discorso non andò mai avanti. Restarono lì a bere con gli altri compagni, intrattenuti dal profondo russare di chi si era già abbandonato, finché Thatch non crollò sulla sabbia, rovesciando alcune bottiglie ancora mezze piene.

What shall we do with the drunken sailor?” Canticchiò Marco riuscendo a scostare Ace senza svegliarlo, attirando l’attenzione dei pochi svegli.

Put him in the bed with the captain’s daughter!” Rispose Vista saltando in piedi

Fortunatamente, Thatch non era poi così pesante; l’unico problema sarebbe stato trovare la scialuppa in cui Izou si era rifugiato per la notte, sperando di non buttare Thatch con qualcuno che non fosse il bel pistolero di Wano.

 

 

**

 

Thatch aveva freddo.

Dovevano mancare poche ore all’alba, poiché si intravedeva un po’ di luce attraverso le palpebre chiuse.

L’uomo avrebbe continuato a dormire, ma sentiva delle dita gelide sbottonargli la casacca per poi raggiungere le spalle, braccia esili, anch’esse congelate, abbracciarlo e, quasi immediatamente, un corpo ancor più snello fu subito attaccato al suo.  Lo sconosciuto si mise comodo contro Thatch, borbottando qualcosa mentre prosciugava il poveretto di tutto il suo calore.

Dovevano trovarsi su una delle scialuppe a giudicare dal movimento lento e monotono della superficie sulla quale si trovavano; avanti e indietro, avanti e indietro, senza mai allontanarsi. Le onde del mare cullavano la costruzione in legno, ma l’odore salmastro era corrotto da uno strano profumo dolciastro, quasi pescato ed estremamente delicato. E c’era un solo uomo in tutto l’equipaggio che si imbellettava con certe cose…

Aveva quasi paura di aprire gli occhi – di certo era un’allucinazione, niente di più.

O magari qualcuno aveva deciso fosse una buona idea spostarlo in quella stessa scialuppa durante il sonno.

“Ti sento pensare, Thatch,” mugolò Izou iniziando a muovere le mani su e giù lungo la schiena di Thatch, il quale non si era nemmeno accorto di essersi irrigidito come un pezzo di marmo. Se quello era un tentativo per farlo rilassare, non ci stava proprio riuscendo.

Izou, sei freddissimo,” fece notare l’uomo che nonostante avesse il corpo bollente, stava venendo pervaso dai brividi – di freddo e non. Non aveva affatto voglia di aprire gli occhi, onestamente, era fin troppo certo che se lo avesse fatto, si sarebbe trovato solo (o vittima di una qualche sirena). La testa gli faceva malissimo.

Il pistolero strusciò il naso congelato contro il petto villoso di Thatch, cercando conforto, “e tu sei caldo. Zitto e lasciati sfruttare.”

Realistico, questo sogno – anche il freddo lo era; persino gli odori e il corpo vicino al suo sembravano fin troppo reali. La voce assonnata e irritata di Izou non era da meno.

“Puoi chiedere ad Ace o Marco,” cercò di protestare Thatch. Se era il calore quello che Izou voleva, c’erano candidati migliori in giro.

L’altro uomo sospirò, quasi scocciato, prima di mordere Thatch sulla clavicola, facendolo sussultare – poi, si aggrappò all’uomo intrecciando le proprie gambe con le sue, usandolo come una fonte di calore vivente, iniziando a baciare il punto in cui lo aveva morso. Lentamente. Indugiava su ogni bacio, lasciando che il freddo anestetizzasse la parte.

Forse spinto dalla curiosità di scoprire se si trattasse di un sogno, Thatch aprì gli occhi abbastanza per vedere l’immagine sfuocata di un Izou scomposto che lo stava viziando: i capelli corvini erano scompigliati, e nascondevano quasi per intero il viso dell’uomo; lo yukata era indossato solo per metà, e la sopravveste rossa, che solitamente indossava come una cintura, era adagiato sulle sue spalle come una coperta.

Sogno o no, Thatch pensava che gli sarebbe piaciuto svegliarsi in quel modo ogni mattina, avendo Izou tutto per sé.

Sorrise il tanto che poteva, visto che era ancora stanco per essere completamente attivo, e strinse a sé l’altro uomo, il quale sorrise contro di lui, compiaciuto e contento.

Ci sarebbe stato tempo per chiarire la questione; ora volevano solo riposare e sperare che il dopo sbornia fosse stato misericordioso abbastanza con loro.

 

 

   
 
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