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Autore: Ksyl    07/01/2020    4 recensioni
Alcuni mesi dopo la 2x24
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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18 Castle

Erano di nuovo di fronte alla tomba, questa volta con una consapevolezza diversa e qualche grado di mestizia in più, almeno da parte sua.
Kate era impegnata a posizionare nel migliore dei modi la composizione di piante, che aveva personalmente scelto, da lasciare come segno del loro passaggio – e del suo personale e tacito ringraziamento. Un gesto simbolico che però non riusciva a soddisfarlo pienamente.

Non riusciva quindi a leggerle in volto le emozioni che era impossibile non stesse provando, o forse tutto quell'operoso andirivieni serviva a nascondergli le profondità impenetrabili dentro le quali tendeva ancora a scomparire. Avrebbe voluto allungare una mano per aiutarla a riemergere, invece rimase fermo a osservarla. Ammirò il coraggio nel decidere di affrontare insieme a lui la radice dei suoi tormenti e comprese perché la sera prima si fosse tirata indietro. Aveva voluto che tra loro non ci fossero ombre e segreti. Era un gesto che lo faceva ben sperare per il futuro.
Continuava a chiedersi dove trovasse tanta forza, come fosse sopravvissuta da sola a un dramma del genere. Aveva cercato il suo aiuto, a un certo punto. Ne era felice, anche se non troppo soddisfatto delle modalità in cui gliel'aveva offerto. Ma colpevolizzarsi non avrebbe aiutato. Era andata così.

Kate si alzò in piedi, togliendosi dalle mani dei frammenti di foglie e qualche residuo di terra. Rimase in silenzio insieme lui a contemplare la lapide. Ligio alla promessa di non parlare a sproposito, attese che fosse lei a iniziare.
"Aveva una moglie e un figlio", esordì. "Non riesco a perdonarmi che una famiglia sia stata distrutta per colpa mia".

Si morse la lingua fino a farla sanguinare per non replicare che non era stata colpa sua. Perché non lo era. Era stata una tragica fatalità, per dirla con una frase fatta che, se espressa a voce alta, l'avrebbe fatta infuriare e basta. Anche lei era una vittima. Capiva però come il suo dolore, e tutto quello che a esso era collegato, si complicasse e si infittisse in presenza di una moglie e un figlio a cui Paul era stato brutalmente strappato. Non da lei. Da chi aveva volontariamente deciso di ucciderli, riuscendoci solo con lui.
Non sarebbe stato semplice per nessuno districare correttamente i confini della propria responsabilità, se pure era chiaro che, ufficialmente, lei non ne aveva avuta alcuna. Non si trattava di interpretazioni, era la realtà dei fatti. Se solo fosse stato semplice convincerla.

"E sono anche un po' arrabbiata", continuò, onesta fino all'osso. "Sono arrabbiata con lui. Perché scegliere di sacrificarsi a tal punto? Non ha pensato al resto? Perché, d'istinto, ha salvato me e non se stesso?"
Ascoltandola, si rimproverò per non essersi accorto, lui che si vantava di intuire i suoi stati d'animo con un radar quasi infallibile, della complessità abissale degli interrogativi con cui si dilaniava quotidianamente, dell'angoscia a cui non dava sfogo se non indirettamente. Il punteruolo con cui si puniva senza tregua.

Kate sorrise amaramente, prima di proseguire. "E ovviamente mi sento in colpa per avere questo genere di pensieri meschini. Come posso essere arrabbiata, proprio io che sono viva grazie a lui?", domandò, unicamente a se stessa.
"Penso che sia normale provare rabbia", azzardò.
Si voltò verso di lui di scatto. "Normale? Ti prego di risparmiarmi la lezioncina sulle varie fasi del lutto. Numero tre, rabbia. O forse era la numero due? Come sto andando, Castle?"

Si rammaricò di aver parlato con condiscendenza. Aveva ragione, si sarebbe irritato anche lui.
"Ti chiedo scusa", disse a bassa voce. Era difficile scegliere il giusto approccio, lei gli si sarebbe rivoltata contro in ogni caso, a meno che non avesse optato per il silenzio totale. Rispettava il suo desiderio di non ricevere della consolazione a buon mercato, ma non era sicuro che seguirla sulla strada dell'autopunizione, senza provare a fermarla, fosse saggio. Non lo sapeva. Doveva improvvisare.
"Non voglio farti nessuna lezione", aggiunse. "Ogni esperienza dolorosa ha le sue regole e nessuno può sindacare su tempi e modi. Penso solo che se tu fossi morta per salvare me – e mi sento male solo a ipotizzarlo – sarei lacerato dalla perdita, mi mancheresti fino a farmi perdere la ragione e sì, sarei anche arrabbiato. Con me stesso, con la situazione e probabilmente anche con te. Per non esserci più. Per aver scelto di lasciare in vita me".

Si era espresso in modo istintivo, viscerale, sicuramente inopportuno. Non era la sua tragedia, non poteva davvero sapere che cosa avrebbe provato al posto suo, se non una sensazione di gelo totale. Forse si era spinto troppo oltre.
Si aspettò una reazione forte, invece Kate rimase zitta scuotendo la testa. Era già un successo. Non pretendeva di convincerla di colpo, gli bastava che non gli tirasse un vaso in testa - di cui il luogo era provvisto in abbondanza - in mancanza di armi.
"Ha agito in modo sconsiderato, ignorando le regole previste per casi del genere. Dovevamo salvarci entrambi o almeno provarci".
"Sarebbe stato possibile?". Kate lo guardò senza capire. Cercò di spiegarsi meglio."Nella situazione in cui eravate, credi che si sarebbe potuto comportare diversamente per far sì che sopravviveste entrambi? Ha davvero compiuto un errore di valutazione?"
Kate rimase immobile così a lungo che gli venne voglia di toccarla e scuoterla piano per provocare una reazione qualsiasi.

"Non lo so". La sua intera persona parve afflosciarsi. "Ho studiato a lungo i dettagli e, onestamente, non so se sarebbe potuta finire diversamente. Forse saremmo morti entrambi o forse no".
"Chi era più esposto dei due?", insistette.
"Lui", rispose senza indugiare. "Era lui quello sotto tiro".
"Quindi forse non è stato un errore. Forse ha valutato correttamente le condizioni e si è reso conto che saresti potuta sopravvivere solo tu. O nessuno dei due".
"Castle, non serve che ti inventi supposizioni per indorare la pillola".
"Non lo sto facendo. Sto solo ricostruendo i fatti in modo oggettivo, come mi hai insegnato a fare".
"Non sono fatti. Sono solo ipotesi infondate che ti stai sforzando di mettere insieme soltanto per farmi sentire meglio".
"Hai detto che c'è stata un'indagine ufficiale, giusto?"
Annuì assorta.
"Qual è stato il verdetto?"
"Niente di più di quello che ti ho già raccontato".
Non aveva nessuna intenzione di rendergli il compito più facile. Lasciò perdere, per il momento. Avrebbe voluto mettere le mani su quel rapporto e leggerselo da cima a fondo, sottolinearlo e riprenderlo punto per punto. Era sicuro che avrebbe trovato la giusta chiave di lettura. Purtroppo non sarebbe mai successo. Anche quello doveva essere riservato.

Tornò a concentrarsi sulla tomba, da cui non si erano mossi.
"Come mai è seppellito proprio qui?"
"Sua moglie, Linda, ha deciso di tornare a vivere vicino alla sua famiglia, dopo essere rimasta sola. E ha voluto che fosse sepolto nel villaggio in cui è cresciuta. Lui non aveva altri parenti".
"L'hai incontrata?"
"È venuta a trovarmi all'ospedale".
Ospedale? Si diede dell'idiota per aver dato per scontato che, non essendo morta, ne fosse uscita incolume e che le sue ferite fossero solo emotive. Si era trovata in mezzo a un conflitto a fuoco, non in una scampagnata nei boschi.

"Sei... sei stata colpita?"
Perché aveva la sensazione di trovarsi di fronte a un immenso puzzle composto di minuscoli pezzi fumosi che continuavano a saltar fuori modificando il quadro generale, dandogli la sensazione che non sarebbe mai riuscito a comprenderlo del tutto? Si sentiva soffocare.
Kate scostò un lembo della giacca leggera e aprì un paio di bottoni della camicia che indossava sotto per mostrargli una lunga cicatrice rossastra che andava dallo sterno fino alla scapola destra. La sensazione di soffocamento peggiorò. Non volle approfondire la dinamica dei fatti, non era ancora pronto a farlo. Si stava già straziando abbastanza immaginando intollerabili scenari di lei riversa sanguinante sul marciapiede con Paul morto accanto a lei. O sopra di lei. Non avrebbe sopportato di spingersi oltre in quella dolorosa confessione che pareva non avere mai fine.

Le passò un braccio sulle spalle tirandola a sé e la baciò sui capelli, mentre lei si richiudeva la giacca, incrociando le braccia davanti al petto. La sentì abbandonarsi contro di lui. Forse aveva sbagliato a credere che fosse meglio, addirittura più rispettoso, concederle spazio, evitando così ogni contatto fisico. Forse era quello di cui avrebbe avuto bisogno fin dall'inizio e lui glielo aveva negato.
"E come è andato il vostro incontro?"
Si staccò da lui, lanciandogli un'occhiata dal significato molto evidente. Non ci sarebbe cascata.
"Non mi ritiene responsabile di quanto accaduto. So che vuoi saperlo solo per dare sostegno alla tua tesi della mia non colpevolezza. In realtà è stata molto gentile con me, pur nella tragedia che stava vivendo. È una donna straordinaria. Questo però non cambia le cose". La voce le si spezzò.

Gli venne d'improvviso un'idea folle che lei avrebbe sicuramente bocciato, ma valeva la pena provarci.
"Perché non andiamo a trovarla? Hai detto che vive qui vicino".
Non l'avrebbe guardato con lo stesso raccapriccio nemmeno se le avesse proposto un omicidio di massa da compiere insieme a lui.
"Stai scherzando, spero! Credi abbia voglia di rivedere chi le ha stravolto la vita?", rispose con veemenza.
"Hai appena affermato che è stata gentile e che non ti ritiene responsabile".
"E io ti ho già risposto che questo non cambia le cose. Io sono responsabile, a prescindere dall'opinione di chiunque. Se non ci fossi stata io..."

Bisognava strapparla da quel circolo vizioso a qualsiasi costo. Sarebbe stato difficile e ci sarebbe voluto tempo, molte ripetizioni del medesimo concetto e una certa forza d'animo, ma ci sarebbero riusciti. Non era giusto che vivesse in una prigione mentale che si era costruita da sola, unicamente perché nessuno era stato in grado di aiutarla nel modo corretto.
"Kate, Paul era sotto tiro, sarebbe comunque morto anche se fosse stato da solo o insieme a un'altra persona. Forse avrebbe cercato di salvare chiunque perché era fatto così, o perché questo è quello che fanno i partner. Se la situazione fosse stata capovolta non avresti tentato di salvarlo? O salvare me?"
Alzò la testa scioccata, come se lui avesse osato profanare qualcosa di sacro. "Che cosa c'entri tu adesso?"
"Abbiamo lavorato insieme e abbiamo affrontato situazioni pericolose, anche se non identiche a questa. Sarebbe potuto accadere anche a noi".
"Assolutamente no, non sai di cosa stai parlando", ribatté perentoria.
"Perché no?"
"Perché è una cosa diversa", tagliò corto. "E tu non eri addestrato. Io sì".
"Hai sempre cercato di evitare che mi ficcassi nei guai per via della mia inesperienza, te lo concedo". Glielo concesse solo per amore di discussione. "Ma in caso di emergenza – un'emergenza vera, di cui nessuno di noi fosse stato responsabile – avresti agito per salvare chiunque fosse coinvolto e solo in ultimo te stessa. Perché sei fatta così".
E lui l'amava anche per quello, realizzò in un'improvvisa epifania che lo fece tremare dentro – non aveva mai considerato la faccenda entro quei termini, anche se ora gli apparivano molto più che ovvi.
"Non stai cogliendo il punto della situazione", protestò lei con evidente frustrazione. "E non lo capisci perché a te non importa che Paul sia morto, sei solo felice che sia io quella rimasta in vita", concluse brusca.

Una volta resasi conto delle sue parole, lasciate ad aleggiare tra loro, si volse a guardarlo piena di orrore. "Scusami. Ho detto una cosa imperdonabile, non so come mi sia uscito".
Si avvicinò e le prese la testa tra le mani. La guardò negli occhi, sorridendole. "Certo che sono felice che sia tu quella rimasta in vita. Non avrei mai potuto baciare qualcuno con quei baffi".
Kate ridacchiò, miracolosamente. E si lasciò abbracciare di nuovo.
"A volte ho delle reazioni un po'... eccessive. Non riesco a controllarmi", ammise con ammirevole sincerità.
Gli sembrò un uccellino troppo fragile per volare e insieme l'essere umano più forte che avesse mai incontrato. Non le avrebbe mai confessato un paragone tanto azzardato, perché lei lo avrebbe insultato nei secoli a venire a causa delle sue fantasie maschiliste.
La baciò delicatamente sulle labbra. Smise subito, prima di dare spettacolo in un luogo poco consono, davanti alla tomba di un uomo che pareva osservarli divertito.
"Anche quando volevi uccidermi appena atterrato?".
Rise ancora, sorprendendolo. "No, in quel caso era una reazione molto più che appropriata". Tornò seria. "Questo non significa che andremo da Linda. È la peggiore tra tutte le tue idee più folli".

...

Andarono, invece. E lui non aveva fatto nessuna pressione, non c'era da far pressione su una cosa del genere. Doveva sentirsela o meno.
Probabilmente Kate l'aveva fatto solo per una sorta di tendenza all'autopunizione di cui non riusciva a liberarsi. Doveva sembrarle solo un altro modo per espiare la sua colpa.
Lui era invece certo che le cose sarebbero andate molto diversamente rispetto a come il suo impreciso metro di giudizio ritenesse, e, anzi, la trovava un'ottima occasione per fare il primo di una serie di passi utili a uscire dal baratro dentro al quale era scivolata per colpa del trauma.
Passarono prima a comprare dei doni per Linda e il bambino – per non arrivare a mani vuote e avere qualcosa con cui rompere il ghiaccio, le disse per convincerla, anche se lei era concentrata su altro che non gli svelò e lasciò quindi che svuotasse l'intero negozio di giocattoli senza battere ciglio.

La casa era una villetta di piccole dimensioni, all'esterno molto pittoresca, situata nella parte collinare del villaggio poco distante dal camposanto.
Dopo averle chiesto per l'ultima volta se volesse farlo, rassicurandola che se ne sarebbero potuti andare nel momento stesso in cui si fosse sentita a disagio o non fosse più riuscita a gestire la situazione, bastava che lo avvisasse con un cenno discreto, si avviarono lungo il vialetto piastrellato che portava all'ingresso.
Kate si voltò un'ultima volta verso di lui, che annuì per darle coraggio – anche se era certo che non ne avesse bisogno – e poi bussò decisa.

La porta si aprì di colpo dopo qualche breve istante di attesa e una donna minuta si palesò davanti a loro.
Li guardò prima incerta e poi sempre più stupefatta, quando ebbe compreso l'identità dei suoi visitatori. Di una, almeno.
"Kate!", esclamò con accento inconfondibile. Li fissò entrambi alternativamente, quasi sotto shock. Lui le sorrise con un po' di imbarazzo. "Che cosa ci fai qui? Perché non mi hai avvisato che saresti passata? Avrei pulito la casa da cima a fondo!".

Non aveva ancora concluso le sue entusiastiche esternazioni che già si era buttata su di lei per abbracciarla con trasporto. Kate venne presa in contropiede, ma non si ritrasse. La ricambiò, un po' commossa. Molto commossa. Lo era anche lui, che tossicchiò discretamente, per non lasciare che le emozioni lo travolgessero. Era solo uno spettatore, le protagoniste erano le due donne, non doveva dimenticarlo. Ma non era semplice assistere a uno spettacolo del genere che superava le sue più ottimistiche previsioni.
Si staccarono dopo un lungo, intenso momento. Kate si voltò nella sua direzione, per non escluderlo.
"Non vi ho presentati. Lui è Richard Castle. È..."
Già, che cos'erano? Era curioso di sentire la definizione che avrebbe usato.
"So benissimo chi è Richard Castle e mai avrei pensato di trovarmelo sulla porta di casa" , la interruppe energicamente la donna, stringendogli la mano. "Ho letto tutti i suoi libri, signor Castle. Perché non ha più scritto niente su Nikki Heat? Ormai ho perso le speranze!"
Questa volta dovette frenare un attacco di tosse molto più esplicito. Anche per un uomo dotato di fervida fantasia come era lui sarebbe stato difficile immaginare una svolta del genere, involontariamente comica.

Le fece un sorriso smagliante. Avrebbe voluto abbracciarla anche lui, per ringraziarla dell'accoglienza che aveva spazzato ogni genere di imbarazzo con un colpo ben assestato.
"Mi chiami Rick. Le assicuro che Nikki tornerà presto. Diciamo che per un certo periodo ho avuto qualche problema a rintracciare la mia Musa". Guardò Kate intenzionalmente, facendole l'occhiolino.
La donna soppesò le sue parole guardandoli con aria accigliata, prima di realizzare la verità. "Tu sei Nikki Heat", esclamò al colmo dello stupore, indicando Kate con un dito.
Poteva sentire il rumore dei neuroni del cervello di Kate che inorridivano tutti contemporaneamente e tramavano per annegarlo nell'oceano con una pietra legata al collo. Molte pietre, anzi.
"Non esattamente. Castle si è ispirato a me solo per qualche dettaglio lavorativo", puntualizzò.
"Nei romanzi c'è ben più che qualche dettaglio lavorativo", commentò Linda allusiva.
"Questo perché Castle ha molta fantasia e si è inventato tutto il resto".
"Quindi voi due non state insieme?"
Kate scosse la testa sibilando un "Assolutamente no" che venne subito contrastato dal suo "In un certo senso", che gli uscì ridendo.
In quel clima di ilarità surreale, vennero invitati a entrare.

Si ricordò solo a quel punto di aver tenuto in mano fiori e altri doni con i quali si erano presentati. Li porse alla donna, che li accettò con qualche protesta.
Una volta oltrepassata la soglia rimase indietro, ritenendo più educato lasciare sole le due donne, che si accomodarono chiacchierando in salotto, scomparendo dalla sua vista.

Aveva ragione di credere che sotto l'eccessiva allegria di Linda si nascondesse una profonda tristezza, che le aveva letto negli occhi e che la donna tentava di combattere con notevole determinazione e vivacità, impedendosi di esprimerla apertamente. Di certo non lo avrebbe fatto con un estraneo come lui.
Sperò che lei e Kate riuscissero a incontrarsi a metà strada, in un posto privato e protetto dove scambiarsi mutuo conforto. Ne avevano bisogno entrambe, forti in egual modo e ferite dalla stessa terribile tragedia.

Si guardò intorno. La casa era in penombra, le tende erano quasi tutte tirate, l'atmosfera cupa e sospesa. Non doveva essere facile per nessuno abitare lì.
Colse con la coda dell'occhio una piccola figura accovacciata sull'ultimo gradino della scala che portava al piano di sopra e che lo stava spiando senza troppo successo. Quando alzò lo sguardo, lo vide ritrarsi spaventato e fuggire altrove.

Doveva trattarsi del figlio di Paul, Christopher. Kate gliene aveva parlato sommariamente per aiutarlo a orientarsi nella scelta dei regali da acquistare. Si era stupito quando lei aveva menzionato la sua età; era stato convinto, in base a nient'altro che l'aspetto di Paul sulla lapide, che il figlio dovesse essere almeno un adolescente. Invece era ancora un bambino, piuttosto timido e schivo, a quel che poteva vedere.

Non voleva intimorirlo e ancor meno intrufolarsi nel suo spazio privato, imponendogli la presenza di uno sconosciuto. Si finse indaffarato a disporre i pacchetti colorati e molto appariscenti – aveva scelto personalmente ogni dettaglio, mettendo a dura prova la pazienza di tutti, soprattutto quella del commesso che li aveva aiutati - ai piedi delle scale.
Sentì il bambino tornare ad avvicinarsi cauto al suo punto di osservazione precedente. Sperò che prima o poi, spinto dalla curiosità, si convincesse a venire di sotto.

Continuò a ignorarlo, trafficando con i pacchetti per liberare due spade laser – Kate lo aveva accusato di averle comprate soprattutto per se stesso, non aveva avuto tutti i torti.
Rimase ostinatamente girato quando avvertì del movimento alle sue spalle, finché non scorse una manina allungarsi fulminea per prenderne una. A quel punto si voltò con tutta calma e si presentò con un gran sorriso.
"Tu devi essere Christopher, giusto?". Aspettò che annuisse, un po' esitante. "Allora questi doni sono tutti per te. Non vuoi scartarli per vedere che cosa c'è dentro?". Annuì con più vigore, incapace di resistere all'invito che gli era appena stato rivolto.

Non fu difficile conquistare la sua fiducia, una volta che si fu convinto che il goffo adulto che gli era piombato in casa non rappresentava nessuna minaccia, ma era un ottimo compagno di giochi con gli stessi gusti e la stessa propensione al gioco.
Era un bambino molto educato e composto, quasi trattenuto, gli sarebbe venuto da dire. Non che lui potesse vantare chissà quale esperienza pedagogica, si trattava solo di una intuizione.
Con qualche accorgimento e un po' di pazienza riuscì a coinvolgerlo nelle attività che gli propose, finché la casa non si riempì di salti, tonfi, grida e risate, che interruppero Kate e Linda, fino a quel punto impegnate in una fittissima conversazione che avrebbe pagato per ascoltare.
Linda gli lanciò più di un'occhiata di gratitudine, senza scomporsi quando combinarono qualche danno, presi dall'euforia del gioco. Anche Kate non ebbe niente da ridire davanti all'esplosione di caos che avevano generato nel giro di pochissimo. Non sembrava più la casa di prima e non aveva idea di quanto ci sarebbe voluto per ripristinare l'originario ordine impeccabile, osservò divertito.

Kate aveva avuto ragione, rifletté quando l'energia cominciò a scemare e Christopher mostrò i primi segni di stanchezza. Si sedette, facendosi spazio tra tutti i giochi che avevano portato per lui e che ormai giacevano disseminati sul pavimento e gli altri tesori che il bambino aveva voluto mostrargli, uno dopo l'altro, andandoli a recuperare nella sua cameretta, nella quale era stato infine invitato.
Aveva avuto ragione nel rinfacciargli, senza nessun filtro, se pur scusandosi subito dopo, che la tragedia che si era abbattuta sulla famiglia di Paul l'avesse colpito solo a livello mentale. Ne aveva certamente compreso la portata devastante, quanto l'avesse piegata, distruggendo le sue certezze, mettendo in discussione perfino il suo posto nel mondo. Le aveva falciato l'esistenza fin nella fondamenta. Aveva capito tutto questo e molto altro. Ma per lui, che era arrivato solo dopo, era contato unicamente che lei fosse viva per raccontargliela. Il resto si sarebbe potuto rattoppare e poi, grazie al tempo e alle strategie più adatte, guarire. Gli era spiaciuto, umanamente, per le altre persone coinvolte, che erano state per lui solo figure sullo sfondo, mere ipotesi.

Adesso era tutto diverso. Ora che non erano più estranei a cui tributare qualche pensiero di superficiale vicinanza e simpatia si rendeva conto di quanto la morte di Paul avesse fatto esplodere la vita di chiunque fosse coinvolto. Linda, Christopher, Kate e chissà quanti altri. Era una ferita ancora aperta, ben lontana dal rimarginarsi. Stavano solo barcamenandosi per sopravvivere, se pure con ammirevole coraggio.
Kate non era responsabile, non per come credeva di essere, ma adesso era in grado di mettere a fuoco meglio i suoi tormenti. Non era semplice sollevarla dalla sua pena, nonostante le ottime intenzioni di tutti. Le sue e quelle degli psicoterapeuti che l'avevano incontrata. Era una situazione complessa, piena di sfumature dolorose annidate ovunque, pronte a risvegliarsi e rimettere in moto la sofferenza. Una sofferenza che non era ancora possibile metabolizzare e superare, nemmeno con uno sforzo sovrumano. Si poteva solo imparare a camminarle accanto, sperando un giorno di riuscire ad accoglierla, frammento dopo frammento, in durissimo percorso di accettazione.

Christopher gli si arrampicò in braccio, esausto per via di tutta quell'eccitazione fuori programma. Si commosse, era un gesto spontaneo e innocente, un segno di fiducia che sperò di essersi meritato. Erano andati subito d'accordo e il bambino non lo aveva lasciato un istante, richiedendo sempre la sua attenzione, che gli aveva concesso generosamente. Era lì per lui. Aveva cercato di farlo felice per quelle poche ore che gli erano state concesse.
Non credeva che quell'improvvisato legame tra loro dipendesse dal fatto che gli mancasse un padre e lo cercasse in ogni figura maschile che gli si presentava alla porta, era un tipo di spiegazione psicologica spicciola che non teneva in considerazione la dignità dei destinatari.

Da quel che Kate gli aveva raccontato, madre e figlio dovevano essersi trasferiti lì da poco. Era un grosso cambiamento per un bambino tanto piccolo al quale doveva essere stato difficile comprendere il motivo per cui la loro vita fosse stata stravolta e, soprattutto, perché il padre non fosse più tornato a casa. Forse era abituato alla sua assenza, per via della sua professione, ma come spiegare a un bambino l'ineluttabilità della morte? Era durissima da digerire anche per lui, rifletté, interessandosi alle figure di un libro illustrato che gli stava mostrando.
Voleva fare di più per tutti, dare un contributo significativo, ma si sentiva impotente e incapace di trovare soluzioni brillanti. Sospirò, prima di iniziare a leggere dal punto in cui Christopher gli aveva indicato. Avrebbe voluto aiutare Kate, farla stare meglio, farla tornare quella di prima, almeno in parte. Avrebbe voluto far parte della vita di Linda e Christopher, ma sapeva che non sarebbe stato possibile, lui non era nessuno per loro. Era dentro a una tragedia che non lo riguardava. Rischiava di compiere passi falsi – sapeva bene di averne già fatti molti -, risultare inopportuno, creare disagio. Era una situazione che non contemplava soluzioni immediate e la cosa lo frustrava, imponendogli una cautela che non gli apparteneva.

Kate e Linda, forse insospettite dal silenzio prolungato dopo ore di grida e scorribande, vennero a vedere che cosa stesse succedendo. Christopher raccontò entusiasta di tutte le loro attività in un buffo miscuglio di due lingue diverse e qualche parola inventata, senza prendere fiato e provocando ilarità generale. Si fece convincere a seguire la madre solo con la promessa di una fetta di torta.
Kate rimase nella stanza e si sedette silenziosamente accanto a lui, la schiena contro il muro e le ginocchia raccolte contro il petto. Appoggiò la testa sulla sua spalla. Fece un piccolo sospiro pieno di stanchezza che riuscì a cogliere solo grazie al silenzio assordante che aveva sostituito il baccano da cui era stato circondato e a cui si era ormai assuefatto.
Non c'era bisogno di parlare, provava anche lui lo stesso miscuglio di malinconia, rabbia e sconforto che proveniva da lei in grandi ondate avvolgenti. La sentiva più vicina di quanto non fosse mai accaduto da quando l'aveva conosciuta, anche più della sera prima sulla spiaggia e quel mattino, davanti alla tomba di Paul.
Andare lì aveva fatto bene a entrambi, per quanto pesante potesse essere stato. Lui era riuscito ad accostarsi più intimamente all'intera situazione, capendola molto meglio. Sperò che questo l'avrebbe aiutato a starle accanto nel modo più adatto.

"Sei bravo con i bambini", disse Kate piano. Era una semplice constatazione, espressa senza stupore o il sarcasmo che si sarebbe aspettato e che per questo lo prese alla sprovvista.
"È una proposta? Perché sono aperto a ogni proposta di questo tipo, giusto perché tu lo sappia". Aveva volutamente spostato il fulcro della conversazione, buttandola sulle loro solite scaramucce, perché anche lui qualche volta aveva bisogno di ricorrere ai suoi meccanismi di diversione. Era ancora scosso da tutto quello che era successo e non era pronto a parlare di quanto fosse in pena per Christopher e per tutti.
Kate si prese la testa tra le mani e grugnì. "Finirò con l'ucciderti davvero, Castle, se non smetterai di farmi impazzire".
"Ti ho già fatto impazzire se stai pensando a me in veste di padre, ammettilo".
"Non sto assolutamente pensando a te in nessun..."
Fu costretto a interromperla, baciandola di nascosto, o a quel punto l'avrebbe ucciso sul serio e avrebbe convinto Linda a occultare il cadavere in giardino.

   
 
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