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Autore: JoSeBach    07/01/2020    1 recensioni
*Attenzione: scena di suicidio nel primo capitolo!* (incompiuta)
Da quando Randall è precipitato in quelle rovine, Hershel non è più lo stesso: sembra vuoto, apatico, come se lui stesso stia affogando in quelle tenebre...
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Angela Ledore, Erik Ledore, Hershel Layton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Hershel Layton POV
Dopo un'ulteriore settimana sotto il controllo dei medici in seguito all'incontro con Erik, sono stato tranquillamente rilasciato, anche se alcuni medici erano contrari a questa decisione, ritenuta prematura. «State attenti. E Hershel, sappi che non sei solo.» mi rassicura l'uomo dal camice bianco. Non so se essere in costante compagnia sia una sicurezza o una condanna.

A ogni modo, ho parlato con i Layton riguardo la mia decisione sul percorso di studi: mi trasferirò a Londra e frequenterò l'Università Gressenheller, facoltà di archeologia. Come era prevedibile, i due non sono molto entusiasti della mia scelta: la perplessità di Lucille si legge negli occhi, mentre la fiducia di Arthur è nelle parole stesse. «Lo sai, figliolo―mi sorride compassionevole―Randall sarebbe felice di sapere che andrai alla Gressenheller, quindi leva quel muso lungo!» Vengo aggredito, il cespuglio vittima dell'attacco.
Il solletico mi scioglie, la risata sorge spontanea, sollevando gli animi, anche quello più depresso di mamma: non la smette di sorridere, strappando quasi i bordi delle labbra. In quell'istante ho dimenticato tutta la mia vita e i problemi. Ero libero.
Poi l'ilarità si spegne, come tutto ciò che vive. L'aria è di nuovo torbida di imbarazzo, oltre che di dubbio, i miei occhi fuggitivi dagli altri sguardi che sono invece curiosi e impertinenti, intrusi. O sono io l'intruso?

Mi alzo sollevando la sedia, non lasciando segni sul tappetto. La carne giace ancora sul piatto, ormai fredda, secca, contorta e torturata dal coltello al semplice scopo di distrazione. Ora si tratta solo di ricomporre i pezzi, sperando che tutto torni come prima, stupidamente.

I loro occhi mi fissano. Mi fanno paura. Se farai abbastanza silenz-
Vengo avvolto, il calore si diffonde improvvisamente caldo e lento. Mamma mi tiene stretto in una morsa confortante.
L'abbraccio mi scioglie, la mia rigidità evapora, le lacrime straripano in silenzio. Un altro paio di braccia si aggiunge, i muscoli più forti ma sempre rassicuranti.
«Siamo fieri di te.»

[...]

Al mio risveglio, l'alba lungi dal mostrarsi, mi ricordo che oggi sarà l'ultima giornata che trascorrerò qui a Stansbury. «Potrai salutare tutti prima di partire.», mi ha consigliato ieri sera Lucille. In realtà non so se posso effettivamente presentarmi di fronte a qualcuno che non sia mamma o papà. Sarò in grado?
Di buon'ora mi alzo dal letto e mi cambio, poi scruto il cielo fino al primo bagliore, lo spiraglio per il sole piccolo ma la luce accecante. In breve tempo il drappo blu oltremare disteso sull'atmosfera si incendia. Buffo pensare che venga bruciato da un colore più freddo.

Con la retina ancora segnata dalla presenza extraterrestre, scendo le scale e allestisco il tavolo e gli utensili, poi preparo la colazione: una semplice teiera con acqua calda, biscotti serviti su un piatto piano, accompagnati da delle zollette di zucchero, in caso di necessità, visto che non siamo amanti del dolce. Dalla mensola ancora esposta prendo una busta di Earl Grey. Fare colazione alle prime luci dell'alba è un rituale che solitamente mi porta pace, ma non oggi. Sarà probabilmente l'ansia di dover parlare con tutti gli abitanti-
Grazie per avermelo ricordato...

Un filo di luce evade dalla tenda che da ieri è in parte distesa, il bagliore raggiunge di nuovo il mio occhio e mi distrae. Poi dei passi attirano la mia attenzione. Sono due paia, lente, non tormentate. Come fanno ad avere così tanta fiducia?

«Buongiorno tesoro. Sei già sveglio, eh?» poi le pupille di lei puntano verso la tavola, le tazze e le miscele imbustate pronte. «Grazie, figliolo.» Un sorriso si spande sul suo volto. Un sorriso contagioso, che infetta papà e me. C'è davvero speranza?
Stavolta mi decido di mangiare e di bere a tavola con la mia famiglia. Pare che questo stia procurando loro sollievo, le loro spalle non più rigide e la postura appropriata. Non sono in vena di chiacchierare, perciò mi limito a ricordar loro che oggi saluterò Stansbury per l'ultima volta. «E non dovete preoccuparvi per me, starò bene a Londra.»

«Scrivici, sai.» mi dice la barba bianca.

«Anche voi. Fatemi sapere come state.» Non voglio sapere che fine farà il villaggio. Non più.
A colazione terminata spreparo la tavola, saluto i miei genitori e mi dirigo verso la porta d'ingresso (o di uscita?), incamminandomi verso la salita che avrei percorso anche oggi se non fosse accaduto l'inevitabile. Il campanile della scuola risorge dalla collina, proseguendo si riesuma anche il resto della struttura, sepolto solo dalla prospettiva. Forse sì, c'è speranza. Raggiungo i cancelli, poi i corridoi, varcando l'entrata, circondato da armadietti e sguardi indiscreti.

Non guardarli, non badarli, evitali.
Fosse possibile... Ma quegli occhi li ho visti anche stanotte, magari mi daranno un po' di tregua...
Stolto, lo sai bene quanto me che non la passerai liscia, che li senti in migliaia fissare sulla tua schiena, dardi sulle ferite, palpabili anche da sotto le spesse bende. Guardali, alcuni osano pure fissarti frontalmente, menomale il buonsenso li convince subito a correre ai ripari. Sei solo un coglione che spera di trovare la pace proprio dove non c'è... Miserabile...

Accedo all'aula di storia, cercando il professor Collins. Fortunatamente la campanella non è ancora suonata e gli studenti in classe sono scarsi, altrimenti sarebbe stato un macello.

Il professore sente i passi intrusivi e alza lo sguardo dal registro dove il suo naso era immerso, la sua firma chiara come sempre. «Layton?» Le lenti ingrandiscono i suoi occhi, che paiono sorpresi del mio arrivo, quasi increduli. Non so se questo dovrebbe rincuorarmi. Che cazzo ti salta in mente?! Se i tuoi compagni non ti perdonano, perché dovrebbe farlo lui, il professore più severo?! La montatura nera non riesce ad allontanarsi dalla garza attorno al collo. Testa di cazzo, non dovevi venire-- «Sono felice di rivederti. Stai bene ora?»

«S-sì,... grazie.» La domanda mi prende alla sprovvista. Davvero qualcuno è preoccupato per me?-- Muoviti, va' dritto al sodo. «Purtroppo, ho deciso di trasferirmi a Londra. Studierò archeologia al Gressenheller.»

«Archeologia? Non mi sembravi molto-- Oh...» Le lenti riflettono la realizzazione, le labbra giunte, supplenti delle mani. Nota i miei occhi nel vuoto. Non hai ancora capito che non dovresti essere qui-- «Quello che è successo non è colpa tua.»

La domanda sorge spontanea. «Perché.»

«Perché cosa?»

«Perché non dovrebbe essere colpa mia? Ero lì, potevo salvarlo e--»

Le mani si chiudono attorno alle spalle, fermando le mie lacrime. «Non tutto è prevenibile, Hershel. Randall era un ragazzo testardo, lo sai sicuramente meglio di me che fargli cambiare idea era un'impresa erculea, se non impossibile. Tu hai fatto il possibile per fermarlo, per salvarlo, ma non tutto è tua responsabilità. Di certo la sua scomparsa è una tragedia, ma non si deve versare altro sangue per questo.» Ora mi sorride, trovando sicurezza nelle parole che seguono. «Comunque, hai detto Gressenheller, giusto? Allora ti consiglio di seguire i corsi del dottor Schrader: oltre a essere un capacissimo paleontologo, si occupa anche della branca archeologica dell'università. Mi hanno parlato molto bene di lui, anche se a volte può essere una persona difficile.» Le spalle tese e sensibili avvertono una presenza, la mano destra del professore prova a risvegliarmi, sorridendomi. «Ti auguro ogni bene. Spero che tu troverai buona compagnia a Londra, e sii un bravo ragazzo come sei sempre stato.»

«G-grazie...» Mi limito a chinarmi in segno di rispetto e lasciare l'aula. La tensione è tanta da eliminare il disagio dei corridoi, i miei pensieri rivolti a chi incontrerò poi. Lascio l'istituto, la campanella mi dà l'ultimo saluto e augurio.

Parlare con Angela sarà un'impresa tanto impossibile da non essere considerata come ammissibile. Quando avrò tempo le scriverò una lettera. Non è il momento di pensare a come e quando.
Procedo verso la casa della famiglia Ascot. Sì, loro: anche se abbiamo già avuto una specie di conversazione durante la mia convalescenza, voglio andarmene chiudendo ogni questione. In verità mia intenzione sarebbe quella di salutare Erik, ma probabilmente non sarà al mercato a fare la spesa.

Con tutta sorpresa ritrovo il giovane maggiordomo fuori dalle porte della villa, gli occhi fissi verso la collinetta con l'albero sulla sommità; una giacca rovinata lo copre dagli agenti atmosferici a cui non è abituato, una mano nascosta in tasca, l'altra tiene una leggera valigia. Non sembra felice di vedermi (e chi non lo sarebbe?), ma sembra avere ancora un po' di speranza. Lo sguardo non dice che sia interessato della mia presenza, eppure mi rivolge la parola. «Ciao, Hershel.―le labbra accennano un sorriso. Non ricambio―Sai, volevo proprio parlart-»

«Mi trasferisco.»

Gli occhi, solitamente vuoti, gelano all'affermazione. «C-come?»

«Me ne andrò a Londra.»

Una risata imbarazzata emerge, interrompendomi. «Stai scherzando, spero. Ho bisogno che tu venga con me--»

«Partirò oggi stesso, questo pomeriggio, subito dopo mezzogiorno.»

Panico si dipinge nel volto e nei gesti, aggredendomi afferrandomi le braccia. «Tu non puoi andartene, non ora!»

«Erik--»

«Come faremo a trovare--»

«Te l'ho già detto:--»

«LUI È VIVO! Se non altro, troviamo il suo corpo.»

Sbuffo. «Non c'era nulla da fare allora, e non c'è nulla che si possa fare. Lascia perdere, è inutile. Stansbury ha già trovato il capro espiatorio ed è in pace.»

«Hershel, io so che la sua scomparsa non è causa tua. Ma se sei colpevole di tradimento è perché ORA lo stai abbandonando, lo stai lasciando a morire--»

«Sarò chiaro, Erik: mi dispiace per il dolore che provi, ma sappi che niente mi farà cambiare idea. Non più.» Ignoro i richiami, lasciando alle spalle la sua delusione e la valigia dimenticata a terra.

[...]

Ora è mezzogiorno e un minuto e non ho intenzione di attendere oltre. Direi che sia arrivato il momento di lasciare Stansbury. Ma' e pa' sono pronti per partire, le mie valigie e molti dei miei libri già caricati nel bagagliaio. Alphonse mi arriva incontro, un sorriso conciliatorio raro da vedere.

«Grazie, Alphonse, grazie di tutto. Sono in debito--»

«Figurati! Avevi solo bisogno di una spalla su cui piangere, tutto qui. Piuttosto buona fortuna.»

Estendo il mio braccio, pronto per una stretta di mano. Lui esegue, i suoi occhi tristi. Salgo in macchina, le parole che mi erano rimaste in bocca finite. In un paio di minuti il motore si accende, creando delle vibrazioni rilassanti se sottoposti a una breve esposizione, ma me le farò piacere. Ci allontaniamo dalla casa...
Sono serviti quasi tre anni per legare così tanto con questa città come una casa e sono bastate poche settimane per distruggerla, insieme alle speranze.
In lontananza avvisto una sagoma femminile, che agita il braccio in segno di saluto, credo.

Siamo abbastanza lontani da vedere tutta la cittadina nascondersi dietro le colline che la circondano, le colline da cui siamo evasi.
Mi sento un fuggitivo, un codardo, ma so che non c'è altro che si possa fare per ora. «Pensa fuori dagli schemi e tutto ti sarà più chiaro.» mi dicono spesso.
Forse potrei... non lo so: dopo aver lasciato il trofeo davanti alla lapide mi sento più vuoto di quando ho visto la montagna, più vuoto della bara sepolta.
Non so quale sarà il mio futuro, ma una cosa è certa: non tornerò a Stansbury.

Addio, Randall. Addio, Stansbury.
  
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