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Autore: Breed 107    10/05/2005    2 recensioni
Salve! Questa storia è il seguito di ''Qualcosa da desiderare'' e costituisce la seconda parte di una trilogia. Ora che Ranma ed Akane hanno confessato finalmente i propri sentimenti, nulla sembra impedir loro di essere felici... ma non è così.COMPLETA! "REVISIONATO" ANCHE ULTIMO CAPITOLO
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ranma Saotome
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

Capitolo nono

 

Aveva una fame pazzesca; al posto dello stomaco ancora indolenzito avvertiva una vera e propria voragine gorgogliante. Da quante ore non mangiava? Non se lo ricordava proprio, non rammentava nemmeno dove fosse.

Che mal di testa! Come era possibile che non ricordasse dove avesse dormito quella notte?! Che fosse mattina poteva capirlo anche senza aprire gli occhi, cosa che le risultava ancora difficile; avvertiva il calore del sole e sentiva il tipico cinguettio degli uccellini… Facevano un gran baccano, a dire il vero, che fosse rimasta a dormire all'aperto? Nel parco o lungo il fiume? Ricordava di sentirsi uno straccio, quello sì. E poi…

“Ehi, sveglia!” al suono di quella voce squillante gli occhi di Akari si spalancarono come per volontà propria. Accanto a lei una ragazza la stava guardando, le braccia incrociate al petto e i lunghi capelli sciolti sulle spalle.

“Dove… dove sono? Nel parco?”

“Mmm, no, però complimenti, come frase stupida da dire appena svegli non era male. Sei a casa mia.”

Akari batté le palpebre e si guardò in giro, confusa. In effetti era al coperto, in una stanza non molto grande e arredata con spartana praticità; in un angolo della camera spoglia faceva bella mostra di sé una spatola gigante. Ritornò a guardare la ragazza inginocchiata accanto a lei e finalmente rammentò dell'incontro avvenuto la sera prima o almeno sperava fosse la sera prima!

“Io… sono svenuta?”

“Sì, direi di sì. Avevi un febbrone da cavallo, ma durante la notte è passato, probabilmente eri stanca… Come ti senti ora?”

“Abbastanza bene, un po' stordita forse” fu in quel momento che il suo stomaco pensò di rammentarle la sua esistenza gorgogliando disperato. Imbarazzata, Akari, scattò a sedere, coprendosi il rumoroso guastafeste con entrambe le mani “Che vergogna! Scusa…”

L'altra scoppiò a ridere e con fare spiccio le assestò una pacca amichevole abbastanza forte da farla barcollare “Non occorre che ti scusi, la fame è sintomo di buona salute, dopotutto. Ti piacciono le okonomiyaki?”

“Sì, molto, ma non vorrei dare ulteriore fastidio!”

“Non c'è problema, cucinare un'okonomiyaki o due in più non mi ammazzerà di certo. Allora – la gentile ragazza si mise in piedi – il bagno è in corridoio, accanto al futon ti ho preparato uno yukata… è di Konatsu, ma lui non troverà nulla da ridire. Ti aspetto di sotto, non tardare.”

Akari la guardò uscire, più confusa di prima, poi osservò lo yukata piegato accanto al suo letto e batté le palpebre: era bianco, decorato con fiori lillà e petali di ciliegio… “Lui?” mormorò perplessa.

Quando, titubante e un po' vergognosa, Akari scese al piano di sotto trovò la ragazza di prima alle prese con una piastra dove sfrigolava un'okonomiyaki dall'aspetto invitante, mentre l'altra… o l'altro, a quanto pareva, stava spazzando il pavimento di quello che riconobbe come il locale dove sere prima aveva incontrato Ryoga.

Ukyo la vide e con fare incoraggiante le indicò uno degli sgabelli sistemati davanti alla piastra “Siedi pure qui, la colazione sarà pronta a momenti.”

“Io… grazie… Lei è la signorina Ukyo, vero?”

“Già. So che sei già stata qui, ma forse è meglio fare le presentazioni per bene. Allora, io sono Ukyo Kuonji la proprietaria e lui è Konatsu, il mio assistente.”

Il ragazzo si inchinò con grazia davanti ad Akari che, perplessa, ricambiò quel gesto tanto formale “Piacere. La ringrazio anche per lo yukata…”

“Non mi ringrazi signorina, è stato un piacere. Come si sente?”

“Bene, grazie.”

“Su, Akari siediti… posso chiamarti Akari, vero?” l'altra ragazza annuì sorridendo e sedette al banco. Pochi minuti dopo, Ukyo le servì una fumante e fragrante okonomiyaki che Akari mangiò di gusto, sotto lo sguardo divertito degli altri due “Da quanto non mangiavi? Eri affamata!”

Akari arrossì imbarazzata, mangiando le ultime briciole, poi sorseggiò il tè freddo che Ukyo le porse, ringraziandola con lo sguardo “Tutto ieri, ero troppo impegnata a cercare il signor Hibiki” spiegò.

“Credevo foste andati insieme dai Tendo, almeno così mi ha detto Konatsu.”

“Sì, eravamo lì entrambi, ma ecco…”

Akari era combattuta: doveva raccontare ad Ukyo quello che era successo? Tutto quello che era successo? Avrebbe dovuto dirle anche di ciò che aveva sentito involontariamente, quello che Ranma aveva detto a Ryoga… Sapeva che la ragazza di fronte a lei era una delle fidanzate di Ranma, Akane gliene aveva parlato proprio mentre si recavano nel piccolo ristorante quella sera.

“Sai, solo un paio di giorni fa il tuo fidanzato mi ha raccontato una storia e nonostante un certo talento nel farlo, ecco, qualche particolare della storia non mi è piaciuto molto – Ukyo sorrise senza allegria – ora ho come l'impressione che anche tu abbia una storia da raccontarmi che non apprezzerò… Vero?”

Non occorreva avere un grande intuito per indovinare il disagio della sua ospite, era facile leggerglielo in viso, nei suoi occhi grandi e colmi di tristezza. Akari le dava una sensazione di trasparenza, quasi si trovasse a cospetto di una fonte limpida. Poteva leggerle dentro e questo era sconcertante per certi versi, poiché in fondo, quella ragazza era per lei un'estranea.

“Io… sì, credo che tu abbia ragione Ukyo, non tutto quello che ti dirò ti farà piacere, ma forse non dovrei essere io a parlartene. Il signor Ranma dovrebbe…”

“Il signor Ranma ultimamente mi evita con accuratezza, Akari – ribatté caustica Ukyo, incrociando le braccia al petto in un gesto stizzito – e scommetto che questo ha a che vedere con quello che sai, perciò dimmi tutto e facciamola finita una volta per tutte.” Akari parve studiarla per alcuni istanti forse ancora indecisa, poi con un sospiro rassegnato cominciò a raccontare quello che era accaduto in quegli ultimi giorni.

Konatsu si allontanò con discrezione; non che quello che la graziosa Akari avesse da dire non gli interessasse, anzi, ma la sua presenza forse avrebbe costituito motivo d’imbarazzo per lei. Non si sarebbe allontanato molto, comunque; la sua Ukyo avrebbe avuto presto bisogno di aiuto, di una spalla su cui piangere. E quella spalla sarebbe stata la sua, nonostante le lacrime fossero per un altro.

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Nabiki batté le palpebre, confusa “Come hai detto, scusa?” chiese, osservando il viso di sua sorella minore.

Akane aggrottò le sopracciglia “Ho detto che ho trovato questa lettera per te sul vialetto di casa, tornando dalla mia corsa. Sembra ci siano delle foto dentro” le porse la busta chiusa per la seconda volta, ma Nabiki continuò a fissarla, immobile. “C'è qualche problema?” le chiese, lievemente spazientita.

“No, nessun problema” Nabiki parve riscuotersi e finalmente le prese la lettera da mano. Senza nemmeno guardarla la infilò in una tasca posteriore degli shorts che indossava “Uno dei miei informatori, sai com'è”disse poi, ammiccando furbamente all'indirizzo di Akane che contrariata scosse il capo; sua sorella non andava mai in vacanza dai suoi lucrosi affari, pensò allontanandosi verso il bagno dove si sarebbe concessa una lunga doccia.

Nabiki la guardò allontanarsi per poi ritornare in camera sua. Chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò alla finestra: era spaventata. Già… era una sensazione strana, nuova quasi; di solito Nabiki non provava paura. Di solito aveva il controllo ferreo delle proprie emozioni, già. Di solito era lei a condurre il gioco, ma stavolta…

Prese la busta chiusa e lesse il proprio nome scritto con i caratteri ordinati che ormai conosceva: aveva fissato la prima lettera, quella trovata la sera precedente, per ore nel tentativo di riconoscere quella grafia, ma non era venuta capo di nulla. Soppesò l'involucro e con un sospiro si risolse ad aprirlo, anche se sapeva benissimo cosa vi avrebbe trovato: una foto le scivolò tra le dita e lei la fissò con rabbia crescente. Naturalmente la ritraeva, ma non era questo ad irritarla, piuttosto il momento in cui quella foto era stata fatta… Era un primo piano del suo viso teso, scattato quando la sera era guardata in giro dinanzi al portone di casa nel vano tentativo di scorgere qualcuno. Non aveva visto nessuno, ma evidentemente qualcuno stava osservandola.

Depose la foto sulla lucida superficie della scrivania ed incrociò le braccia al petto, nel tentativo di calmare il tremito incontrollato delle mani: chiunque fosse voleva innervosirla, forse spaventarla o per lo meno mostrarle di poterla controllare in ogni momento. Non aveva idee su chi potesse essere il misterioso fotografo: non aveva nemici veri e propri, ma molti debitori e altrettanti clienti non sempre soddisfatti delle sue pretese. Nessuno di questi era però maggiormente sospettabile rispetto agli altri. Quello che ora le faceva davvero rabbia era che, se l'intento di quel maledetto fosse stato sul serio innervosirla, intimorirla… beh, c'era riuscito in pieno, accidenti a lui… o lei!

Già, non poteva escludere che fosse una donna l'artefice di tutto, magari una delle rivali di Akane, però per quanto i loro piani in passato non fossero stati privi di qualche arguzia, Nabiki proprio non se le immaginava Ukyo e Shan-po appostate a fotografarla, anche se… Tra le corteggiatrici di Ranma ce n'era una particolarmente instabile, capacissima di ricorrere a certi trucchetti: non ne era per nulla certa, ma valeva la pena dare un'occhiata.

Così, dopo aver nascosto la foto nel cassetto della scrivania, uscì dalla sua stanza diretta a casa Kuno.

--- --- ---

 

Akane sospirò di sollievo, avvertendo la carezza dell'acqua sulla pelle rovente. Riempì nuovamente il piccolo catino con acqua gelida e lo riversò sul capo, bagnando i capelli. Nonostante il brivido che la percorse per quell'abbraccio gelido, il contatto con l'acqua la fece sentire molto meglio, meno tesa. Ma fu una sensazione fuggevole, poiché proprio il pensiero dell'acqua fredda le riportò alla mente il motivo di tanta tensione… Ranma…

Aveva provato a lungo a scacciarlo dai propri pensieri, ma ormai era giunta all'amara conclusione di non esserne capace. Tutto la riconduceva al ragazzo, ogni angolo di quella casa, persino le gocce d'acqua che ora le solcavano il corpo, tutto non faceva che sussurrarle il nome del ragazzo che amava.

“Dove sei?” mormorò, quasi senza rendersene conto “Razza di stupido, cosa credi di aver risolto scappando?” serrò gli occhi, imprecando e gettò il catino in un angolo sfogando su di esso la rabbia che provava, soprattutto nei confronti di se stessa.

Cosa avrebbe fatto se Ranma non fosse tornato? Cosa ne sarebbe stato di lei?

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La vecchia Obaba soffiò via il fumo ispirato dalla sua fine pipa e ne guardò le aggraziate volute, osservandole con disattento divertimento: era ancora presto per aprire il ristorante e, come le capitava da un po' di tempo a quella parte, si annoiava oltre ogni dire. Da quando il futuro marito si era allontanato da Shan-po, la sua vita era diventata infatti tediosa all'inverosimile… E questo non faceva che confermarle ciò che già aveva supposto più di una volta: desiderava che quel ragazzo diventasse un membro della sua famiglia quasi più per se stessa che per la sua dolcissima nipote. Già, quel ragazzino che riusciva a stupirla ogni volta aveva portato una sferzata di vitalità nella sua vita, almeno fino a quello sciagurato matrimonio.

Non era stata una buona idea, provocare quel disastro quel giorno, si ripeté aspirando una generosa boccata di fumo. Non che biasimasse Shan-po per aver impedito le nozze, ma un'amazzone avrebbe dovuto ricorrere a sistemi più… onorevoli, ecco. Lanciare cibo esplosivo contro la giovane Tendo non era stata una trovata né onorevole, né fruttuosa.

Il matrimonio non si era tenuto, questo sì, ma il futuro marito aveva cominciato ad evitare sua nipote e le poche volte che la ragazza aveva provato ad avvicinarlo era stata scacciata a malo modo, senza troppi riguardi.

Gli occhietti piccoli e furbi della vecchia amazzone si aggirarono placidi per il locale per poi fermarsi sulla figura elegante di Shan-po; la ragazza, il volto atteggiato ad un'espressione greve, stava sistemando dei piccoli vasi sui tavoli, in cui, più tardi avrebbe messo dei fiori, appena quell'imbranato di Mousse fosse rientrato con i fiori, naturalmente. La lontananza da Ranma aveva sortito i suoi effetti sulla sua nipotina adorata: era sempre triste e taciturna e a volte i suoi occhi apparivano più lucidi del normale.

“Shan-po.”

“Sì, bisnonna?”

“Perché oggi non prepari del ramen e lo porti al futuro marito? Le vacanze scolastiche sono quasi finite e non avrai ancora molte occasioni per vederlo a lungo.”

I grandi e particolari occhi di Shan-po si abbassarono cupamente, come a voler celare il proprio sconforto, tentativo inutile naturalmente, avendo a che fare con la sua esperta ava “Non cledo che… Shan-po non può” disse in un soffio, le piccole manine che torturavano il bordo della casacca color lavanda che indossava, la sua preferita poiché si intonava alla perfezione con il colore dei suoi vaporosi capelli.

“Piccina, è passato molto tempo, il futuro marito non è tipo da serbare rancore per tanto. Se non lo vedi, non gli dai la possibilità di perdonarti…” provò con pazienza Obaba, cercando di assumere un tono più dolce possibile anche se in realtà nel proprio intimo la vista di sua nipote tanto dimessa la infastidiva.

Shan-po aggrottò le sopracciglia e scosse il capo testardamente “Lanma non ha peldonato… e Shan-po non può vederle Lanma, fa tloppo male…”

Obaba batté le palpebre e saltando agilmente da un tavolo all'altro si avvicinò alla giovane che continuava a non guardarla “Male? Non avrà osato torcerti un solo capello?!” chiese allarmata, ma l'altra scosse il capo.

“No, bisnonna ma… Shan-po non vuole vedele ancola labbia nei suoi occhi. Fa male… qui” si poggiò una mano sul cuore e si morse ancora di più le labbra, avvilita.

Obaba era davvero perplessa: cosa era mai successo a sua nipote? Non la riconosceva quasi più! Da dove proveniva tanta rassegnazione e tanto sconforto? Non era degno di un’Amazzone, tanto meno per una ragazza solitamente volitiva e determinata come lei.

“E' normale che sia ancora arrabbiato, ma ti ripeto, non puoi evitarlo ancora a lungo. Rammentati del tuo dovere, Shan-po.”

“Bisnonna non può capile… Lanma ha sconfitto una divinità pel Akane… cosa cledi che potrebbe fale a Shan-po?” le parole erano uscite a fatica dalle labbra della ragazza che ora stava compiendo uno sforzo più che visibile per non piangere. Obaba sospirò consapevole di cosa intendesse dire sua nipote. Quando Mousse le aveva raccontato quanto accaduto in Cina, la situazione le era parsa disperata.

La lotta del futuro marito contro Sa-fu-lan da un lato le aveva confermato le sue capacità eccezionali come combattente, dall’altro le aveva fatto pensare con terrore che il momento di una scelta per il ragazzo fosse vicino, la scelta per la ragazza che aveva il suo cuore. Intuiva che non sarebbe ricaduta su Shan-po. Poi però il mancato matrimonio e il tempo trascorso senza che se ne preparasse un altro le avevano dato ancora qualche speranza, ma era evidente che sua nipote invece non ne nutriva più alcuna.

Comprendeva cosa la ragazza temesse, cosa la spaventasse. Ranma poteva farle del male, non battendola come aveva fatto con Sa-fu-lan, ma con molto di meno, una parola, una frase detta con vero odio e risentimento. Ecco cosa temeva di più: se Ranma aveva avuto la forza di sconfiggere una divinità per amore di Akane, cosa gli avrebbe impedito di dire a lei la verità sui propri sentimenti, in nome dello stesso amore? Quel ragazzo avrebbe fatto l'impossibile per amore di un'altra ed ora che i rapporti con Shan-po e le altre spasimanti si erano allentati in maniera brusca, perché avrebbe dovuto continuare a tentennare?

Per quanto però Obaba comprendesse la situazione difficile di sua nipote, l'idea che si arrendesse era semplicemente inaccettabile, inconcepibile.

“Ascolta figliola, tu sposerai Ranma, questo è quanto. Ora basta con le esitazioni, basta con le schermaglie e gli scherzi, ora è tempo che tu agisca. Più passa il tempo, più Ranma si avvicinerà ad Akane e questo non devi assolutamente permetterlo. Non è in gioco solo la tua felicità: il tuo nome ed il tuo onore dipende da questo. Ranma deve essere tuo” la fissò negli occhi, a voler accentuare la forza delle sue parole che all'orecchio di Shan-po ebbero tanto il suono di un ultimatum. Forse non quel giorno né l'indomani, ma capiva di non aver più molto tempo da perdere. Annuì con un gesto del capo, continuando a restare in silenzio.

Fuori, poggiato alla porta appena accostata ben attento a non farsi scoprire, Mousse sospirò; il buon udito compensava la sua vista disastrosa, quindi non gli era stato difficile ascoltare quanto si fossero dette le due amazzoni.

Non era sorpreso, prima o poi quella fase statica in cui avevano vissuto dal mancato matrimonio in poi era destinata a finire si disse rassegnato. Shan-po quindi avrebbe portato il suo ultimo attacco a Ranma, ma ciò che angustiava il giovane cinese non era quello. In fondo era da tanto che assisteva ai vari tentativi della sua adorata, ma quello che lo preoccupava era il risultato che tale attacco avrebbe ottenuto.

Al pari dell'eterno disperso, anche il miope Mosse aveva capito molto più di quanto avesse visto all'interno di quella grotta nel monte Hooh: Shan-po non avrebbe mai sposato Ranma e questo le avrebbe definitivamente fatto a pezzi il cuore. E non era questo che lui voleva, anche perché ciò non avrebbe automaticamente fatto sì che Shan-po decidesse di sposare lui. Il suo sogno d'amore era destinato ad infrangersi proprio come quello della sua amata Shan-po. Attese ancora qualche minuto prima di rientrare nel ristorante, dove fu sgridato da Obaba per essere in ritardo e per non aver comprato i fiori.

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Certo che casa Kuno era proprio immensa, pensò Nabiki seguendo Sasuke per gli infiniti corridoi; il piccolo ninja le aveva raccomandato di seguirlo attentamente per evitare che finisse in qualche camera piena di trucchi e trabocchetti, di cui la magione sembrava traboccare. Aveva chiesto di poter parlare con Kodachi d’affari ed ora il tirapiedi tuttofare di Kuno stava portandola nel salotto dove la signorina di solito riceveva.

Non era stata spesso in quella casa, nonostante i suoi rapporti commerciali con il padrone di casa ed ora che ne attraversava le grandi sale ed i lunghi e silenziosi corridoi, la curiosità era tale da farle mettere da parte, momentaneamente, la rabbia e la ansia che l'avevano spinta a cercare Kodachi. Non aveva alcuna prova che fosse stata proprio lei a spedirle quelle due lettere, ma era pur sempre un punto di partenza o qualcuno da escludere, nel caso.

Il salottino dove finalmente giunsero era molto grazioso. Più piccolo rispetto alle sale che aveva visto, era però molto ben arredato, probabilmente per mano dalla stessa Kodachi; Nabiki inarcò un sopracciglio: forse la ragazza non aveva tutte le rotelle a posto, ma non si poteva negare che avesse del gusto, si disse osservando il mobilio di stile occidentale e i pochi ma appropriati ornamenti. Sasuke le fece cenno di sedersi sul piccolo divano chiaro e le disse di aspettare lì, Kodachi sarebbe giunta a momenti.

Era in attesa da circa cinque minuti quando le giunse il suono di una risata divertita; si alzò in piedi, pensando che la sua ospite fosse finalmente giunta, ma la ragazza che entrò ridendo dalla porta lasciata aperta dal ninja non era Kodachi Kuno. E non era nemmeno una giapponese.

Lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle in morbide ondate dorate e grandi occhi verdi si puntarono leggermente sorpresi su Nabiki, altrettanto stupita di vedere una straniera in quella casa, poi rammentò ciò che Kuno le aveva detto pochi giorni prima sull'arrivo degli amici di suo padre dalle Hawaii, amici americani.

La ragazza, ripresasi intanto dalla sorpresa, s’inchinò al cospetto di Nabiki con un gesto un po' impacciato “Piacere…” disse poi in un giapponese stranamente accentato.

Nabiki la osservò curiosa: probabilmente sua coetanea, era molto carina; il viso aveva qualcosa di simpatico, forse il piccolo naso leggermente all'insù o le efelidi che spiccavano appena sulla pelle ambrata appena scurita dal sole hawaiano. Ara anche alta, forse non altissima per un’americana, ma lo era certo più di Nabiki ed aveva un bel sorriso, ampio e quasi contagioso.

Nabiki stava per risponderle quando nel salotto giunse anche Kuno Tatewaki, naturalmente ignaro della presenza della sua compagna di scuola. “Piccola Angie, ti avevo detto che non mi saresti sfuggita a lungo! Eccoti qui, infatti, mio piccolo fiore!” asserì con tono divertito prima di abbracciare la ragazza di slancio da dietro, lasciando Nabiki completamente di stucco. Non che fosse difficile immaginarsi Kuno fare il cascamorto con una ragazza graziosa come quella straniera, ma ciò che aveva dell'incredibile fu il risolino divertito con cui la ragazza accettò l'abbraccio del ragazzo.

Nabiki batté le palpebre, confusa. Aveva uno strano presentimento… strano e parecchio brutto.

“Ehm, tesoro… hai visite…” sussurrò la ragazza, facendo un cenno con capo verso Nabiki che per poco non strabuzzò gli occhi.

'Tesoro?! Tesoro?! Da quando Kuno è il tesoro di qualcuno?!' pensò mentre il ragazzo pareva finalmente accorgersi di lei.

Fulmineo e con le guance in fiamme, si staccò dal suo piccolo fiore, indietreggiando di qualche passo “Oh, Tendo… cosa… cosa fai qui? Cercavi me?” chiese, visibilmente imbarazzato. E questa era la stranezza numero due per Nabiki: non lo aveva mai visto in imbarazzo con lei, né con nessun’altra ragazza.

“No, in verità volevo parlare con Kodachi. E' lei l'amica di tuo padre?” chiese sarcastica, incrociando le braccia al petto.

Kuno si grattò la nuca (a Nabiki rammentò quasi Ranma…) sorridendo poi come un ebete idiota “Lei ecco… è la figlia dell'amico di nostro padre. Si chiama Angel Ensigns… e parla un po' la nostra lingua, anche se non conosce tutte le parole.”

“Ma qualcosa mi dice che tu le stai dando lezioni private, razza di dongiovanni da strapazzo, vero?”

“Non ti permetto un tono tanto confidenziale Nabiki Tendo! – Kuno incrociò le braccia al petto a sua volta, visibilmente infastidito – E ti sarei grato se non mostrassi in modo tanto palese la tua gelosia. La trovo volgare e fuori di luogo.”

Gelosia?! Gelosia?! Per un istante Nabiki desiderò possedere la forza di sua sorella Akane per poter malmenare quel pallone gonfiato! Gelosia, tsè… non era gelosia, ma salvaguardia dei propri interessi! Se Kuno cominciava a fare il cretino con un'altra ragazza che non fosse Akane o Ranma, i suoi affari erano in pericolo!

Represse a stento un'offesa poco adatta ad una ragazza e sbuffando tornò a sedersi sul divano, volgendo lo sguardo altrove “Non lusingare te stesso fino a questo punto Kuno, solo mi chiedevo cosa dirà mia sorella quando le racconterò di Angie…” probabilmente ad Akane non avrebbe fatto né caldo né freddo, soprattutto ora che aveva altro a cui pensare, ma Kuno nella sua testa bacata era pur sempre convinto di essere il padrone del cuore di sua sorella.

Infatti, l'espressione del ragazzo s'incupì molto, tanto che la stessa Angel, a cui molte delle parole scambiate dai due erano sfuggite, gli si avvicinò “Tutto bene?” gli chiese, poggiandogli graziosamente una mano sulla spalla.

“Sì, tutto bene – la rassicurò lui prima di volgere i suoi occhi grigi su Nabiki, squadrandola con malcelata antipatia – ci rivedremo tra qualche giorno a scuola, Tendo.”

“Non vedo l'ora, Kuno” ribatté acida lei, non volgendosi nemmeno dalla sua parte quando trascinando la bionda Angel per una mano lasciò la stanza.

Quando finalmente Kodachi si presentò, indossando un bellissimo kimono rosso decorato con petali neri ricamati anche sull'obi, Nabiki aveva quasi dimenticato il motivo della sua visita. Senza nemmeno salutarla, la padrona di casa le domandò di quali affari volesse discutere e le ci vollero alcuni istanti per fare chiarezza nella sua testa.

“Io ecco… ecco… volevo parlarti di alcune foto…”

Kodachi strinse le mani tra loro ed un bellissimo sorriso radioso le si dipinse sul volto “Oh, foto del mio adorato Ranma! Mio fratello mi ha accennato al fatto che tu, Nabiki Tendo, volessi propormene l'acquisto – con fare giulivo la ragazza avanzò fino ad una piccola poltroncina piazzata davanti al divano e vi sedette – le hai ora con te? Posso vederle?”

Nabiki la osservò con attenzione, cercando di concentrarsi quel tanto da capire se Kodachi stesse nascondendole qualcosa “In verità si tratta di foto mie, raffiguranti me. Ne sai qualcosa?”

Kodachi la guardò stranita sulle prime, poi visibilmente disgustata “Cosa dovrei mai farmene di foto tue, Nabiki Tendo? Sei pazza?”

“Senti un po' chi parla… Ho ricevuto delle foto, questa mattina e ieri e mi chiedevo se tu…”

Kodachi sbuffò, senza nemmeno darle il tempo di finire la frase “Ti ripeto che non so che farmene di foto tue! Insomma, hai foto di Ranma da darmi o no?” le chiese poi spazientita e Nabiki notò che stava frugando nell'ampia manica del suo kimono, probabilmente alla ricerca del suo affilato nastro o di qualche altro aggeggio pericoloso.

“Quante ne vuoi?” le domandò rassegandosi. Come aveva sospettato, Kodachi non aveva nulla a che fare con le foto inviatele, ma dal momento che era arrivata fin lì, non c'era motivo per cui non vi guadagnasse qualcosa… e poi, aveva alcune domande da porre, domande su quella giovane straniera e sulla natura dei suoi rapporti con Kuno Tatewaki.

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Libero. Era libero. Per la prima volta in vita sua era veramente libero; il leggero senso d’euforia che lo pervase, lo fece sorridere per la prima volta da molti giorni. Alzò al cielo i suoi occhi grigio-blu e sospirò; gli sembrava persino più facile respirare adesso, come se si fosse liberato di un enorme peso che lo aveva gravato fino a quel momento.

Allargò le braccia, avvertendo la piacevole ruvidezza della roccia sulla pelle nuda ed il suo sorriso si fece più ampio.

Libero…

Il sole stava tramontando e nella foresta spirava una brezza piuttosto fresca, ma la roccia su cui se ne stava steso gli trasmetteva il calore accumulato in tutta l'assolata giornata, un calore benefico ed estremamente piacevole che gli strappò un vero e proprio gemito di piacere.

Libero…

Si era allenato per ore ed ora stanco stava riposando, godendosi con soddisfazione la pesantezza delle membra affaticate, l'aria pura, il silenzio intervallato solo dal canto di qualche uccello… e la sua libertà totale.

Libero.

Basta con il caos della sua vita, basta con le pressioni, i matrimoni improvvisi, i nemici che sbucavano da per tutto; basta con i vecchi maniaci (oh, sì Santi Numi!), basta con le liti, basta alle fidanzate onnipresenti, alle vecchie mummie rinsecchite, ai ricatti di Nabiki…

Libero dall'eccessiva bontà di Kasumi, dalla paura di non sembrare il più virile tra gli uomini, dal dovere rimediare agli sbagli degli altri. Libero da tutto questo.

Libero dagli oneri, dalle menzogne, dalle responsabilità… e libero da Akane. Già, anche da lei era libero…

Ora non doveva più preoccuparsi per lei, niente più notti angosciate a temere che potesse capitarle qualcosa, basta aver paura di non essere mai alla sua altezza, di non essere mai troppo sensibile per lei, mai troppo in gamba. Niente più liti per orgoglio, niente più cucina venefica! Niente gelosie e ricatti morali, né schermaglie…

Ora la vita era finalmente, totalmente, decisamente> nelle sue mani. Ora solo lui poteva decidere di se stesso. Nessuno che gli dicesse chi sposare, chi combattere, chi odiare… chi amare.

Con un sospiro di stanchezza, si tirò su a sedere e con un gesto svogliato della mano scostò il codino umido di sudore dalla spalla su cui era ricaduto; lasciò vagare gli occhi per la vallata che si stendeva al di sotto di quel dirupo roccioso su cui si era fermato a riposare.

Libero…

“Ecco, ripetilo ancora una volta che magari te ne convinci Saotome” si disse con un soffio di voce, mentre qualcosa gli scivolava lungo il viso reso più affilato dalla vita dura da accampato. Una lacrima, calda e luminescente.

La piccola stilla si scavò una via, lasciando una scia sullo strato di polvere che gli ricopriva la guancia; la lasciò correre, così come lasciò correre le altre che seguirono quella prima, piccola e luminosa lacrima. Era libero. Bell'affare…

Poteva amare chi voleva, così aveva pensato, no? Certo, come no… Peccato che fosse solo lei che voleva.

Sempre e solo lei.

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Alcune piccole note: prima di tutto Angel; nata, come detto, dalla mia mente deviata, è un personaggio secondario che però a modo suo avrà un'influenza su questa fic e ancor di più nella prossima. Capirete. Il nome che ho scelto per lei non è un caso, diciamo che è un omaggio ad una persona importantissima per me [spero che tu capisca che mi sto riferendo a te amicona mia!].

Nota numero due: nel manga e nell'anime di Ranma, la parlata di Shan-po non è così disastrosa come quella descritta da me, anzi verso la fine lei parla proprio come il resto dei personaggi, però per motivi di 'affetto' ho deciso di adottare quel linguaggio così particolare che ho letto anche in molte altre fictions. Non so, mi ci sono affezionata, ditemi che ne pensate!

  
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