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Autore: _Lightning_    11/01/2020    4 recensioni
[INCOMPIUTA]
«Mi sembrava che ne avessi bisogno,» sussurra Natasha, con voce velata, e Tony sorride appena a quello sfoggio di spavalderia che sanno entrambi essere inutile.
«Decisamente,» non la contraddice, ma aumenta un poco la stretta e sente la sua farsi quasi disperata a sottolineare quanto ne avesse bisogno anche lei.
Come se quell’abbraccio potesse alleggerire il dolore di entrambi, o fonderlo in modo da renderlo più comprensibile, meno oscuro.
Non sa se Natasha lo stia trascinando verso il basso per piantare un ormeggio sicuro, o verso l’alto, a fluttuare incerto a mezz’aria. Ma sfiora la terra con la punta dei piedi e rimane lì, in equilibrio, in bilico con lei.

In un universo in cui lo schiocco ha reciso e distrutto legami, chi è rimasto è costretto a ricostruirli, ritrovarli, o crearne di nuovi, con il costante interrogativo di quanto sia giusto andare avanti quando ci si è lasciati così tanto dietro.
[pre-Endgame // Hurt-comfort // IronWidow + Pepperony // PoV Tony]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
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Coraggio
II
 

“One day we'll dance on their graves
One day we'll sing our freedom
One day we'll laugh in our joy
And we'll dance”


[They Dance Alone (Cueca Solo) – Sting]


 
Febbraio 2019, New York

Il vento gelido che soffia dall'Hudson spazza via la nebbiolina che gli serpeggia davanti agli occhi, e Tony incamera l'aria fredda a pieni polmoni, sentendosi sul punto di accartocciarsi su se stesso come una foglia nel fuoco. Tenta di recuperare lucidità, di aggrapparsi alle sensazioni fisiche che sente attorno a sé, ma riesce solo a captare quelle interne al proprio corpo. Il suo stomaco sembra in preda alle palpitazioni, un essere vorace e scisso dalla propria volontà che tenta di fagocitarlo. Si àncora alla ringhiera delle scale antincendio fino a sentire il ferro corroso che gli si imprime nei palmi. Le sue meningi sussultano nella scatola cranica come maracas fuori tempo, e ha l'impressione di vedere doppio, o che ciò che lo circonda vibri leggermente. Prende grosse boccate d'aria fino a farsi girare la testa, a dirottare l'attenzione su quel fastidio momentaneo e non sul coacervo di input impazziti che lo sta soverchiando.

L'ultima, seria bevuta è stata una settimana fa, quando in un momento di debolezza si è scolato quasi mezza bottiglia di whiskey. Da allora, si è concesso solo dei flaconcini di liquore di contrabbando tramite Nat, troppo poco per ingannare a lungo il proprio corpo assuefatto. Si tasta le tasche dei pantaloni e individua l'ennesima fiaschetta che gli ha fatto scivolare in mano di nascosto pochi minuti fa, quando si è accorta, come da manuale, che la sua crisi d'astinenza stava raggiungendo picchi difficilmente controllabili. La stringe attraverso la stoffa e sente già le proprie mani che agiscono di loro volontà, tirandola fuori; sopprime il movimento e la ricaccia in fondo alla tasca, mordendosi l'interno del labbro in un moto irato. È Tony Stark, maledizione, e un tempo era anche Iron Man. Piegarsi in modo così arrendevole a un qualcosa di così gretto come un sorso d'alcol sa di sconfitta, ancor più della sabbia di Titano.

Punta lo sguardo davanti a sé, sulla città illuminata per metà. L'Hudson scorre pigro, privo di imbarcazioni e punteggiato da sottili lastroni di ghiaccio che viaggiano rilucenti verso la foce. Butta fuori un respiro rovente, che si condensa nell'aria in una voluta di vapore, e lascia che il gelo lo rinvigorisca attraverso il cappotto mezzo aperto che si è gettato addosso prima di uscire. Gli verrà una polmonite. È l'inverno più freddo di cui abbia memoria, e l'intera metropoli sembra ibernata sotto uno strato di neve. [1]

Fa fischiare un respiro attraverso i denti, che gli dolgono per l'aria polare, poi afferra repentinamente la bottiglietta, carica il braccio all’indietro e la scaglia lontano, verso il fiume addentato da moli e pontili. Non vede dove impatta, sente solo un tintinnio di vetri infranti che riecheggia fin lì, ma è abbastanza sicuro che nessuno di chi è rimasto si stia avventurando fuori a quest'ora della notte. Sente al contempo un doloroso strattone e un vuoto di sollievo allo stomaco per quel gesto avventato.

Traffica col taschino della camicia e ne tira fuori un piccolo blister di compresse, mandandone giù rapidamente una a secco sperando di non strozzarsi. Non è sicuro di non stare eccedendo la dose di diazepam, ma lo scoprirà probabilmente a sue spese. Per ora, avverte un soffuso effetto placebo che già gli rilassa i nervi, in attesa di quello vero e proprio che dovrebbe barattare la sua inestinguibile sete d'alcol con un'emicrania martellante e un fastidioso torpore. Spera che gli tolga anche da davanti agli occhi le immagini che trasbordano indesiderate dal loro limbo onirico.

Sta giusto godendo dei primi effetti benefici dell'ansiolitico, quando sente la porta antipanico dietro di lui che si apre con un cigolio di plastica e metallo penetrante, costringendolo a raddrizzare le spalle e a schiaffarsi in fretta e furia un'espressione da Tony Stark in volto. Si gira con un sopracciglio già incurvato e un commento pungente tra i denti, quando l'intento gli muore in bocca nel ritrovarsi davanti un Happy piuttosto esagitato.

«Tony! Ecco dove ti eri cacciato,» esordisce, stringendosi nelle spalle ampie a schermarsi dal gelo improvviso. «Rhodes stava dando di matto, là sotto, sei sparito senza...»

«Non posso neanche prendere una boccata d'aria senza ritrovarmi il team sanitario che non ho richiesto attaccato alle chiappe?» lo interrompe Tony, in modo molto più acido di quanto volesse.

Happy sospira pesantemente, con una delle sue espressioni a metà tra il contrito e il seccato in volto, e gli si si fa incontro con le mani affondate nelle tasche del cappotto. Almeno lui non sembra poi essere cambiato così tanto, con solo un po' di grigio in più a screziargli la barba e i capelli stempiati; porta uno dei suoi soliti, lineari completi neri con cravatta abbinata. C'è un che di rassicurante in questo fatto, in questa sua stoica immutabilità.

«Non vogliamo starti col fiato sul collo. È solo che...»

«Lo so,» taglia corto Tony, risucchiando un corto respiro e accusando i primi sintomi d'emicrania e intontimento. «Come al solito, sono artefice del mio destino,» dice con un gesto svogliato della mano, in una macabra battuta che gli esce spontanea.

Si poggia di nuovo coi gomiti contro la ringhiera e Happy gli si affianca, con più rigidezza e impaccio di quanto non sia abituato a esternare, ma comunque col suo solito modo di fare un po' bizzoso.

«Non mi aspettavo di vederti qui,» si pronuncia dopo un po', riecheggiando May.

«Era una questione di principio. O qualcosa del genere,» ribatte lui, storcendo un poco la bocca. «Non potevo darmi all'eremitaggio ancora a lungo.»

Happy si muove nervoso accanto a lui, con un colpetto di tosse a scuoterlo.

«Tony...» dice poi, a voce più bassa. «So che è stata dura per te, ultimamente… Rhodey mi ha accennato qualcosa. Mi sarei fatto vivo più spesso, davvero, ma con May le cose si sono messe sempre peggio, prima di mettersi meglio e...»

«Ti ho dato un compito, e lo stai portando a termine,» lo ferma subito Tony, senza rancore. «Mi è sembrato che May stesse... bene, per quanto si possa stare bene durante un revival di The Day After Tomorrow, quindi direi che hai fatto esattamente quello che ti avevo chiesto,» continua poi, forzando un sorrisetto.

«Già, a quel proposito...» Happy struscia i piedi sul pavimento in metallo e sembra imbarazzato, un'emozione che gli avrà visto esternare sì e no tre volte in vent'anni. «Io e May, se tutto procede secondo i piani, dovremmo... iniziare a convivere ufficialmente il mese prossimo,» annuncia poi, a mezza voce e parlando rapidamente.

Tony batte stolidamente le palpebre e si fa un poco indietro, aggrappato alla ringhiera con più forza. Si sente come se qualcuno l'avesse stordito con una padellata sulla nuca. O forse quelli sono gli ansiolitici, non saprebbe dirlo.

«Convivere?» ripete, e non sta tenendo alta la sua nomea di genio, con quelle domande ridondanti.

«Sì... insomma, è già capitato che mi fermassi da lei, soprattutto i primi tempi, per non lasciarla sola, e... da cosa nasce cosa e... sì, insomma, mi trasferisco il mese prossimo,» conclude, annuendo a raffica con un lampo di sorriso esitante sul volto pieno.

«Oh,» proferisce soltanto Tony, e si sente ancora impallato, fuori fase.

May e Happy. Che convivono. Che, con tutta evidenza, fanno anche altro. Chiude il teatrino mentale che sta per aprire il sipario nella sua testa per preservare la propria sanità mentale, perché se c'è qualcosa su cui non vuole riflettere è la vita sentimentale e sessuale di Happy. O di May, se è per questo. Cos'altro diavolo si è perso, mentre era impegnato ad affogarsi nel whiskey? Soprattutto, quando è successo?

Happy è chiaramente convinto di averlo mandato nel pallone – cosa del tutto vera – perché si affretta a parlare di nuovo:

«Scusami, non c'era un modo delicato per...»

«No, no, è... è fantastico, davvero,» si affretta a rassicurarlo Tony, e gli affiora finalmente un sorriso oscillante alle labbra, sincero nonostante lo shock. «Solo che, nell'infinita moltitudine di eventi che avrei potuto prevedere, questo è decisamente... imprevisto,» s'incarta leggermente, come sempre quando si trova a fronteggiare situazioni in cui sarebbe richiesto un minimo di tatto da parte sua.

«Non che fosse programmato. È successo, e basta,» alza le spalle Happy, con la sua solita schiettezza e un briciolo, gli sembra, di allegria che sembra fuori posto in quel mondo. «Stiamo bene e non abbiamo alcun motivo per tirarci indietro. May è stata... molto chiara in proposito. Quando le ho chiesto se fosse davvero sicura, visto che... insomma, visto il contesto e i precedenti...» Happy tossicchia di nuovo, a disagio, con l’ombra inespressa di Ben sulle spalle. «... si è infuriata. Dico sul serio. Fuoco e fiamme,» sottolinea, con un ampio gesto delle mani paffute.

«Sì, ho presente,» ridacchia Tony, malinconico, e vede Happy che si rilassa un poco a quella reazione. «Mi sono beccato molte ramanzine firmate Parker,» sospira, serrando i palmi già congelati sulla ringhiera fredda e umida. «Felicitazioni, allora. Davvero, sono contento per voi,» sottolinea, annuendo quasi a permettersi di interiorizzare meglio quel concetto.

«Grazie,» risponde lui con un'alzata di spalle, e sotto la sua faccia perennemente distesa da un velo di irritato fatalismo, scorge un vivo guizzo di felicità.

È questo che vuol dire "andare avanti"? Tony se lo chiede fugacemente, per poi rimproverarsi all'istante e annegare quella considerazione inopportuna verso due persone a cui tiene.

Non è comunque mai riuscito a definire quella frase fatta che ha sempre sentito sulla bocca di tutti. Non l'ha mai percepita come propria. Lui non va davvero avanti, mai: si lascia sempre dei frammenti dietro di sé, fossilizzati in grotte e portali e pianeti lontani e strade buie e innevate. Una scia che lo accompagna e segna i suoi passi. Va avanti e si lascia sempre qualcosa indietro, qualcosa che gli pesa dentro nella sua mancanza. Non sa che farsene, di quei frammenti diseguali sparsi ovunque; se raccoglierli oppure lasciarli dove sono, ma in entrambi i casi sente quell'impulso innato che lo spinge a voler riparare sempre tutto, a incastrarli tra loro e dentro di sé anche se non combaciano. Vuole risolvere tutto e finisce solo per ingarbugliare la matassa, scombinare il puzzle o ficcarsi in vicoli ciechi.

«Sei finito in una rissa?» gli chiede in quel mentre Happy, riscuotendolo di colpo, e lui scrolla appena la testa per strapparsi a quell'odioso torpore indotto in cui è scivolato senza neanche accorgersene.

«Io? Non ultimamente,» replica un po' disorientato, per poi seguire il suo sguardo interrogativo e rivolgere il proprio verso le nocche escoriate. «Oh, sì, questo... è il mio nuovo antistress,» alza le spalle, con vaghezza e un po' di riluttanza a entrare nello specifico. «Banner ha dato le direttive e Romanov mi ha costretto a metterle in pratica... è stata una congiura. Preferivo te come compagno di boxe, almeno avevi decisamente più riguardo per la mia faccia,» conclude, schioccando la lingua e alzando appena il mento per esporre un piccolo livido seminascosto dal pizzetto.

«Natasha, eh?» commenta Happy, facendosi serissimo. «Non fidarti: sembra innocua e poi ti mette KO quando meno te l'aspetti, parlo per esperienza personale,» lo avverte, con un finto cipiglio contrariato che gli strappa un sorriso.

«Lo so, è un osso duro,» replica lui, sbuffando una nuvoletta di vapore.

«Molto. Sta anche collaborando con May, ultimamente,» aggiunge Happy, dirottando sensibilmente la conversazione.

«Che intendi? Col FEAST?» lo incalza lui, interdetto.

«Non te l'ha detto?» corruga le sopracciglia lui, e Tony si trova costretto a scuotere la testa, ammettendo l'ennesimo fatto di cui è all'oscuro. «Gestisce l'associazione co-dipendente al FEAST che si occupa degli orfani della Decimazione,» spiega quindi il suo ex-autista, indicando col pollice oltre la propria spalla, in direzione dell'edificio.

«Lei?» chiede conferma Tony, quasi strabuzzando gli occhi. «Romanov? Natasha femme fatale Romanov, ex-assassina e spia del KGB, che si vota alla carità per i bambini bisognosi?» [2]

«Non chiedere a me,» si schermisce Happy, incassando la testa tra le spalle rotonde e tirandosene fuori. «Dico solo quello che vedo e riporto quel che mi dice May. E vedo e mi dice che sta facendo un ottimo lavoro,» conclude, con un sorrisetto sicuro di sé.

Tony mugugna una qualche risposta affermativa e si chiede se non stia avendo di nuovo un'allucinazione, stavolta audiovisiva e in technicolor. Conclude che il modo più diretto e rapido per accertarsene sia scovare Natasha e avviare un interrogatorio serrato, sperando di non trovarsi a invertire i ruoli come sempre, così si lascia infine riaccompagnare da Happy nel tepore dell'edificio, sfuggendo al gelo della città desolata.

 
§

 
La trova dove si è aspettato di trovarla, ma decisamente non come si era immaginato: lo stand al quale è appoggiata porta l'insegna "RESCUE: Kids!" a sgargianti lettere arcobaleno dipinte a pennellate, con l'impronta di decine di piccole mani premute nella vernice a incorniciarla. Lei invece è attorniata da una dozzina di bambini che sembrano intenti a tempestarla di domande, i due più piccoli aggrappati al suo vestito nero e quelli più grandi che si stringono a lei, e l'immagine si sovrappone comicamente a quella di tanti anatroccoli che si stringono alla loro mamma.

Tony si ferma di colpo, più spiazzato che divertito nel vedere Natasha che sorride in risposta a qualcosa che le sta dicendo una bambina, il busto appena chinato verso di lei per ascoltarla meglio mentre cerca al contempo di sfogliare quello che sembra un incartamento ufficiale. La osserva per qualche istante, indeciso se rompere il quadretto con la sua pesante presenza di eroe caduto e offuscato. Prima che possa fare dietrofront, gli occhi della donna lo trovano a colpo sicuro e lo trafiggono, segno che l'aveva già notato da un po'. Lo invita con un cenno della mano ad avvicinarsi.

Tony sente la propria facciata d'indifferenza che viene lavata via un passo alla volta, le mani cacciate nelle tasche con fare falsamente indolente. Si ferma appena fuori dalla cerchia serrata di bambini, e non sa bene se rivolgersi a loro o ignorarli. Sono gli unici esseri viventi in grado di metterlo in seria difficoltà – preferirebbe degli alieni, davvero. Le uniche volte che ha avuto a che fare con loro era all'interno della sua armatura, per qualche tour di un reparto pediatrico o qualche sporadico Meet&Greet in cui si limitava a firmare quanti più poster e disegni possibili prima di farsi venire un tunnel carpale. Si acciglia lievemente nello scacciar via il ricordo di parole e desideri espressi troppo tardi, quel giorno di una vita fa in un parco assolato, frutto di un sogno troppo vivido per essere vero.

Uno dei bambini più grandi si volta, notandolo, lo guarda dritto negli occhi e lo indica non molto discretamente sussurrando qualcosa all'orecchio di una compagna; Tony distoglie lo sguardo, mandandolo a schiantarsi verso la parete di fondo in mattoncini rossi, come se li trovasse improvvisamente di sommo interesse. Sente ancora dei leggeri brividi lungo la schiena, ha delle occhiaie da zombie e, Cristo, non vuole farsi vedere in questo stato pietoso da chi forse lo considerava il proprio eroe fino a poco meno di un anno fa.

Natasha sembra percepire il suo impaccio perché con poche, precise frasi pronunciate a mezza voce e un'elargizione di volantini da distribuire, fa disperdere l'assembramento sedizioso in un batter d'occhio, spedendo a coppie i bambini a mischiarsi alla folla circostante in un guizzo di piedi rapidi e scalpiccii concitati, con qualche ultimo sguardo curioso che lo sfiora.

«Via libera, Scrooge,» [3] lo prende in giro, ora concentrata sulle carte che stava tentando di visionare.

Tony rilascia un secco sbuffo di risposta e si poggia accanto a lei con gli avambracci sul bancone dello stand, sbirciando i documenti. Sono permessi d'adozione, e tira appena le labbra in una piega dolceamara.

«Non mi sarei mai aspettato di vederti in versione mamma chioccia,» commenta, leggero ma con un nodo in gola al pensiero di tutti gli orfani dimenticati che non hanno trovato l'ala protettrice di May e Natasha. «O magari mamma orsa... credo sia più appropriato,» aggiunge, pungolandola dispettoso col gomito.

Natasha appone una firma ordinata a piè di pagina e inclina il viso verso di lui, scrutandolo dal basso verso l'alto in quel suo solito modo penetrante.

«È strano?» chiede guardinga, alzando appena le sopracciglia, e Tony scuote appena la testa, col nodo che si stringe.

«Inaspettato,» commenta poi, sincero.

Come la maggior parte delle cose che sta scoprendo stasera, in effetti.

«Non troppo, se ripenso al mio orfanotrofio in Russia. O al poco che ne ricordo,» [4] replica lei, con semplicità disarmante e una tinta quasi nostalgica nella voce, come se quello non fosse stato un periodo poi così brutto della sua vita.

Tony arriccia le labbra e annuisce gravemente in silenzio, prendendo quel tassello d'informazione con dita caute e riponendolo nella saccoccia etichettata "Natasha" a tintinnare con tutti gli altri, sparsi e scompagnati.

La osserva compilare un altro documento, su cui spicca la foto di un bambino con capelli rossicci, occhi scuri e lentiggini, e sradica i propri pensieri dalla direzione pericolosa in cui si stanno incanalando. Fissa invece la pila di scartoffie che ha in mano, e le altre che troneggiano sul bancone lì dietro. Sono centinaia, ordinatamente divise e catalogate, compilate in bella grafia e firmate quasi tutte da lei. C'è una dedizione, dietro quella semplice e metodica organizzazione di dati, che lo prende in contropiede e che gli riesce difficile associare a lei. Eppure, la cura che sta mettendo in ciò che fa sarebbe lampante agli occhi di chiunque, persino ai suoi che non la conoscono poi così tanto meglio di altri. Vede un piccolo spiraglio di possibilità, una piccola parola non detta in controluce, e lo imbocca d'istinto, pronunciandola tra le righe:

«Se vi servono fondi...» comincia prima di poterci ripensare, e si raddrizza appena sui gomiti, inclinandosi di lato e cercando i suoi occhi. «La September Foundation è per ora inattiva, visto che ero io a gestirla di persona e... e ultimamente mi è un po'... sfuggita di mano, ma...» incontra infine il suo sguardo, che si illumina d'interesse, e sa di non dover aggiungere altro.

«È un'offerta seria?» chiede quindi lei, assottigliando di poco gli occhi ora brillanti e scrutandolo fra le ciglia.

«Tutte le mie offerte sono serie. Possiamo discuterne con May anche ora,» aggiunge lui, quasi offeso, con un cenno del mento verso lo stand principale del FEAST. «Però magari... magari prima fammi vedere come... come funziona, che progetti avete, e tutto il teatrino,» aggiunge in fretta, schiarendosi appena la voce e pensando che dovrebbe almeno sapere cosa sta per finanziare, a prescindere da chi lo gestisce.

Natasha trattiene un sorriso, si sporge oltre il bancone e afferra a colpo sicuro un dépliant da una pila ordinata sul tavolo, porgendoglielo con un gesto deciso. Lui lo accetta in silenzio, prendendo a scorrerlo con dita ancora poco collaborative. Lei gli si accosta, premendo di proposito il braccio contro il suo e intercettando il tremito che lo attraversa. Abbassa la voce, nonostante attorno a loro vi sia un sostenuto brusio di fondo.

«Hai bevuto?» chiede, infilando a tradimento una mano nella tasca vuota in cui custodiva il flaconcino d'alcol.

Tony sospira secco, con le righe di testo che si intersecano tra loro per un istante.

«Cos'è, devo essere per forza ubriaco per comportarmi da persona perbene?» replica un po' tagliente, e riesce a rimettere a fuoco le lettere strizzando gli occhi.

Si scosta da lei, che ritira svelta la mano e scuote appena la testa, ma non insiste e sembra dare per buona la sua parola, già fin troppo palesata dai suoi movimenti scattosi e dalla fronte madida nonostante il diazepam. Rimane lì accanto e gli lascia modo di scorrere il programma che, deve riconoscerlo, è ben fatto e neanche troppo dispendioso da mettere in pratica. Case-famiglia, reti d'adozione, rifugi e orfanotrofi, mense collettive... lei e May si sono davvero date da fare, nel corso di quest'anno. Se è stato davvero un anno, realizza poi.

«Da quanto ci lavorate?» chiede con noncuranza, girando una pagina che ora non sta davvero leggendo.

«C'era già un progetto embrionale gestito dal FEAST... ho solo proposto di renderlo indipendente per metterlo più in risalto,» alza le spalle lei, schivando la domanda e fornendogli però parte della risposta.

Tony la fissa di sottecchi in silenzio e chiude poi il libretto, chiedendosi se ritorcerle contro le sue stesse tattiche porterà a un risultato concreto. Natasha trattiene visibilmente un sospiro a quello sguardo prolungato, ma lo sostiene senza vacillare.

«Tre mesi, più o meno,» replica quindi, senza distogliere le pupille dalle sue, in un quieto invito ad abbassarle che Tony non raccoglie.

«Da quando sei tornata?» chiede, senza più giri di parole. «O meglio, da quando Rogers ti ha "trovata"?» si corregge, e nel momento in cui pronuncia quell’ultima frase capisce troppo tardi di aver rotto l'equilibrio e aver tirato la corda fino a farsela scappare di mano, perché il volto di Natasha torna imperscrutabile.

«Chiedilo a Steve, no?» lo invita, senza alcuna inflessione e una smorfia scaltra, tornando poi a guardare il dépliant con un gesto rapido del capo che le scuote la chiama biondo-rossiccia e che sembra molto un'esternazione di vittoria.

Tony si lascia scappare un sospiro e abbandona l'argomento, decidendosi ad aspettare un altro frangente più propizio, ma determinato a capire dove diavolo si sia cacciata Natasha per quasi cinque mesi, dal momento della sua scomparsa al Complesso. Scrolla le spalle e la spintona appena di lato, a comunicarle che le dà vinto questo round, ma non il match.

«Quell'ora sul ring è ancora in ballo,» borbotta poi, risentito.

«Non mi sembri più così nevrotico,» lo rimbecca lei, serafica, e sa che ha notato le sue pupille più dilatate del normale. «E non mi sembra che il tuo catastrofismo fosse giustificato,» continua, di nuovo con un sottile compiacimento, non sa se per aver avuto ragione o per il modo in cui si è saputo gestire lui.

«Ho ancora tempo per rovinare tutto... dammi fiducia: sono un esperto,» sogghigna appena lui, sentendo però un nodo di tensione in meno nelle viscere e una scintilla di calore in più a scaldarlo.

Natasha non risponde, ma la scorge alzare gli occhi al cielo, e il lieve scappellotto che gli rifila sulla nuca è più che esplicativo e gli strappa uno sbuffo divertito.

«Posso già avviare le procedure per il finanziamento,» le comunica poi, riprendendo il suo modo di fare noncurante. «È in linea con gli obbiettivi della September... e credo che avrebbe anche la benedizione di mia madre,» scherza un po' malinconico, sapendo però di dire il vero.

«Le sarebbe piaciuto molto,» concorda Natasha, con insolita delicatezza.

«Già. Anche a Pepper,» replica lui a bassa voce, senza pensare, con gli occhi che si fanno subito più liquidi nel captare di nuovo le foto di quei bambini.

Non è quello che voleva dire, né ciò a cui si riferisce davvero, e quel desiderio inesaudito di una vita fa lo scotta in tutta la sua irrealizzabilità. È la prima volta che pronuncia il suo nome e quasi non se n'è accorto: gli invia tardivamente una fitta sorda e indistinta che parte dal cuore e si irradia lungo le arterie. Come se qualcuno gli avesse tolto un chiodo dal petto. Doloroso, ma necessario.

Quando alza cauto lo sguardo, Natasha lo sta fissando con un sorriso sottile, appena intuibile che sa d'incoraggiamento. Si trova a ricambiarlo esitante, con un sospiro di sollievo che quasi lo scioglie sul posto.




 

Note:

[1] Gli inverni a New York sono notoriamente rigidi, ma questo è un velato accenno al fatto che, con un'umanità dimezzata, si assisterebbe comunque a cambiamenti climatici sostanziali per via delle emissioni drasticamente ridotte, almeno nel primo anno dallo schiocco.
[2] A dispetto di quanto possa sembrare assurdo, questo fatto era previsto nella prima bozza di Endgame, ed è stato eliminato dalla sceneggiatura per una questione di tempo e gestione del minutaggio, venendo convertito nell'impegno che Natasha mette nella coordinazione dei rimanenti Vendicatori.
[3]
 Riferimento al personaggio di A Christmas Carol di Dickens, notoriamente bisbetico e misantropo.
[4] Le informazioni sulla prima infanzia di Natasha sono estremamente lacunose, e mi sono presa la libertà di riempirle con questo fantomatico "orfanotrofio", a tappare il buco tra la morte dei suoi durante un incendio a Stalingrado (1928) e il suo ingresso nella Stanza Rossa. Non tengo volontariamente conto di altri eventi canonici nei fumetti.
NB. Le benzodiazepine causano spesso intontimento e minano la concentrazione, di qui l'atteggiamento più flemmatico di Tony in alcuni passaggi della seconda parte del capitolo.


Note dell'Autrice:

Cari Lettori, ormai contare su degli aggiornamenti regolari è un'utopia, quindi torniamo alla cara, vecchia abitudine di postare completamente a random :')
Questo, in un certo senso, può essere considerato un capitolo di svolta, seppur abbastanza statico... e dal prossimo entriamo nel vivo della "cosa".

Piccolo appello, che vi assicuro non sono solita fare: ho notato che siete relativamente in molti a seguire questa storia e, davvero, ogni commento è gradito per sapere cosa ne pensate <3 Non m'importa assolutamente nulla del numero di recensioni in quanto tale, né tantomeno della loro lunghezza, ma è bello ricevere un riscontro e conoscere i pareri di chi legge, negativi o positivi che siano. Sto spendendo molto tempo e impegno su questa storia, che oggettivamente è un po' un salto nel buio per trama e argomenti trattati, quindi avere delle opinioni sulla gestione dei personaggi/sviluppo generale mi renderebbe davvero felice e mi darebbe qualche spunto di riflessione per eventuali miglioramenti :)

Chiudo la parentesi accollosa, e grazie a prescindere a tutti coloro che leggono, seguono e a chi ha recensito gli scorsi capitoli <3
Alla prossima settimana,

-Light-


 
   
 
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