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Autore: Gaian15    12/01/2020    1 recensioni
Si rassegnò definitivamente e ripose ciò che stava mangiando in un contenitore che finì in uno dei cassetti in legno del mobile. Sorrise tristemente nel guardare l'oggetto che aveva tra le mani, lui che per anni si era chiesto come sarebbe stata la sua vita con una donna al suo fianco, qualcuno che rimanesse sveglio fino a tardi ad aspettarlo la sera, che con tanta premura e tanto amore si sarebbe preoccupato di fargli passare una buona giornata a lavoro, anche solo con qualcosa preparato al momento, qualcuno che potesse stargli accanto sempre, anche quando tornava a casa stanco e non riusciva a riposarsi del tutto per via di un lavoro particolarmente impegnativo e importante era rimasto solo in compagnia dei suoi stessi demoni.
La verità però era una e lui -pur non volendolo ammettere- lo sapeva benissimo.
Genere: Poesia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il suo aspetto non era cambiato dall'ultima volta in cui l'aveva vista.

Era rimasta bella e semplice proprio come un tempo, adornata dai suoi molteplici colori, dai primi germogli appena visibili tra i fiori e dal suo cielo, che negli anni aveva imparato ad osservare ad occhio nudo la realtà di tutti i giorni, quella realtà che nella sua verità cela più dolore di quanto se ne riesce a vedere con uno sguardo. 

E tra tanti, tra molti altri, avrebbe dovuto mettere gli occhiali per riuscire a concepirla, pur sapendo che avrebbe fatto totalmente l'opposto, cambiandola, ignorandola, continuando a raccontarsi bugie pur di riuscire a ricucire un cuore ferito in profondità e con le cicatrici ancora ben in vista.

 

 

 

Il primo amore, una cosa così banale,  così indelebile da ricordargli ogni giorno della sua vita che le favole sono solo stronzate, che non esistono principesse in pericolo e non esistono principi pronti a salvarti.... e purtroppo aveva imparato a capirlo a sue spese.

 

«C'è la signora Chamack al telefono, vorrebbe accordarsi con lei per decidere un orario per l'intervista di settimana prossima.»

«Le dica di richiamare in un altro momento, sto cercando di correggere dei bozzetti.»

«Mi dispiace ma la signora insiste...»

«Attacchi.»

«Ma signore-»

«Le ho detto di attaccare.»

«Si subito, come vuole lei signor Agreste.»

 

Subito si affrettò a lasciare la matita sulla scrivania, vicino ai fogli sui quali stava lavorando, per poi stringere col pollice e l'indice il piccolo solchetto sul naso creato dagli occhiali da vista. Subito dopo però, si rimise a lavoro ignorando le parole della sua segretaria. Non gli ci era voluto molto tempo ad imparare come liquidare una conversazione apparentemente noiosa con poche semplici parole, accompagnate dai soliti gesti i quali sorrisetti e piccoli cenni con la testa, un grande insegnamento, suo padre sarebbe stato fiero di lui. 

 

Non appena finì di pensarlo represse una sorriso sconsolato. Se solo ci fosse stato lui seduto su quella sedia e con gli strumenti in mano probabilmente sarebbe stato meglio per tutti. Odiava quel lavoro, sopratutto da quando suo padre se ne era andato nella tranquillità della sua malattia e lo aveva lasciato al comando di tutto. Adesso dipendeva da lui, Adrien Agreste, l'immagine dell'azienda per la quale Gabriel aveva dedicato gli anni della sua vita. Quegli anni in cui, attanagliato dal dolore per la perdita di sua moglie, si era perso ogni cosa, ogni momento, ogni istante della vita del suo unico figlio.

Si  era ripromesso di essere diverso da lui, di riportare la luce all'interno di quello studio immerso nel buio, ma sopratutto, aveva promesso a se stesso e a sua madre che il lavoro non gli avrebbe impedito di crearsi una famiglia che fosse totalmente, completamente sua. 

 

Inutile dire che aveva fallito anche su quel fronte...

 

Proprio in quel momento, la stanza fu invasa dal leggero bussare di una donna che, dopo aver ottenuto il consenso del suo superiore, si apprestò ad entrare a passo spedito nello studio di quest'ultimo.

 

«Ecco a lei i bozzetti restanti per la settimana della moda di Milano.»

Una volta alzato lo sguardo serrò fermamente la mascella, scrutando la giovane con occhio quasi critico.

«Proprio adesso stavo finendo di correggere quelli che mi hai portato stamattina, assicurati che vengano apportate tutte le modifiche necessarie affinché gli abiti vengano migliorati e valorizzati a dovere.»

Con sguardo intimorito, la donna si affrettò a rispondere.

«Come vuole lei, signor Agreste.»

 

 

 

Definitivamente, odiava essere chiamato da lei in quel modo, odiava che il suo nome dovesse uscire da quelle labbra con tanta formalità, tanta rigidità nel tono, seppure con sguardo dolce e sincero, quello sguardo che lui proprio non riusciva a sopportare.

 

Una volta afferrati i fogli -con un po' troppa forza- le lanciò un ultimo sguardo, scrutandola nuovamente ed infine rimettersi a lavorare.

 

Ma mentre si apprestava ad abbandonare la stanza, fu fermata da un'affermazione in particolare che le fece gelare il sangue nelle vene. 

 

«Sai, dovresti trattarti meglio, non hai proprio una bella cera, sei piena di occhiaie e guarda, stanno iniziando a crescerti i capelli bianchi, non sei più bella come quando eri ancora nel fiore degli anni. Ma lo capisco, deve essere dura per una donna del tuo calibro.»

 

Ma guardandola per bene, fu un dettaglio in particolare a richiamare la sua attenzione, uno ben preciso.

 

«Signorina Dupain-Chang vedo inoltre che ci siamo lasciate andare un po', sbaglio o è ingrassata?»

 

Subito nella stanza calò il gelo.

E lui serrò i pugni sotto la scrivania, quasi con foga.

 

«Ho fatto una supposizione e gradirei che mi rispondessi Marinette»

 

Lei non si voltò nemmeno a guardarlo, lo vedeva perfettamente nella sua mente con quel sorriso falso e ipocrita, pieno di astio e odio nei suoi confronti. E come dargli torto...

 

«Può essere, ma -con tutto il rispetto- non sono cose che la riguardano, la pregherei dunque di pensare al suo tenore di vita invece di stare a giudicare il mio, perchè in qualsiasi circostanza ho già qualcuno che mi ama anche con i miei chili di troppo.»

 

 

Il sorrisetto che fino a quel momento aveva mantenuto contro ogni suo volere scomparve immediatamente. Quelle parole gli avevano fatto più male di quanto gliene avessero fatto i fatti stessi. 

 

 

«Ora se vuole scusarmi, tornerei alle mie mansioni. Buona giornata signor Agreste.»

 

Se fino ad allora era rimasto cento passi indietro rispetto a lei, in quel momento sentì quella distanza raddoppiarsi.

Erano grandi parole buttate al vento con semplicità, rabbia, rancore, ma sopratutto erano parole di una donna ferita nel suo orgoglio di donna, parole che senza che fosse evidente, avevano esposto una parte di sè a quell'uomo che anni prima aveva avuto il coraggio di dichiararsi a lei con un sussurro pronunciato in ritardo. 

 

E così era andata, lui, Adrien Agreste, che aveva il mondo, qualsiasi cosa a sua disposizione, per un attimo si era privato di ogni cosa, anche del suo orgoglio, per confessarle ciò che custodiva nel profondo della sua anima, umiliandosi in questo modo.

 

Ancora non aveva capito -nel tempo- che la colpa di tutto ciò non era delle sue parole, ma del tempo in cui aveva finalmente trovato il coraggio di esporsi.... lei che aveva tanto amore da dare e lui che ai tempi non era ancora pronto a riceverlo, si erano ritrovati in due momenti completamente sbagliati per potersi appartenere.

 

E così adesso si ritrovava a 28 anni da solo, senza un padre, senza una famiglia, ma sopratutto senza quella donna che aveva capito troppo tardi essere fatta apposta per lui.

E quelle stesse parole che le aveva detto erano fonte di rabbia, tristezza, delusione e amarezza nel sapere che accanto a lei c'era un altro uomo, un uomo che non era lui e che non lo sarebbe mai stato, un uomo che aveva saputo valorizzarla in un tempo in cui lui non era ancora in grado di farlo, in un tempo in cui -semplicemente- non era ancora pronto a sè.

 

 

Si mosse in un attimo, premette quel pulsantino rosso accanto alla tastiera del computer e attese una risposta che non tardò ad arrivare.

 

 

«C'è qualcosa che posso fare per lei signor Agreste?»

 

 

No... 

non poteva fare niente al momento se non aspettare. 

Ancora una volta.

 

 

 

«Richiami la signora Chamack e fissi un appuntamento per mercoledì prossimo alle 13:30 a Places des vosges.»

«Come vuole lei.»

 

 

Ancora una volta, non era pronto.

 

 

 

 

 

Passavano i giorni e le ferite non facevano altro che infettarsi, raggrinzirsi e marcire nel silenzio delle sue menzogne.

 

 

 

 

«Nathalie ti pregherei di portare nel mio studio gli ultimi modelli revisionati il prima possibile.»

«Va bene signor Adrien, glielo farò portare quanto prima.»

«Ah e avvisa i nostri stilisti che entro le 12:00 mi appresterò ad ispezionare il loro operato, il grande evento si sta avvicinando e non possiamo assolutamente farci cogliere impreparati, ne va del nome degli Agreste.»

«Riferirò quanto prima.»

 

 

Erano notti che non riusciva più a prendere sonno, notti passate in ufficio a lavorare, creare, perfezionare ogni singolo dettaglio, anche il più insignificante, nonostante fosse un lavoro che aveva odiato fin da quando era appena un ragazzo, non poteva fare altro che impegnarsi in memoria di suo padre. 

Ma più ci pensava, più la consapevolezza di non avere qualcuno da cui tornare la sera lo tormentava da capo a piedi. 

 

 

 

 

Erano pressappoco passate le 12:15 ma lui si trovava sempre lì, immobile sulla sedia di quella scrivania nel vano tentativo di aggiustare l'ennesimo modello, con la pressione addosso e la stanchezza di quelle notti insonni che stava cominciando a farsi sentire. Perciò si rassegnò definitivamente e ripose ciò che stava mangiando in un contenitore che finì in uno dei cassetti in legno del mobile. Sorrise tristemente nel guardare l'oggetto che aveva tra le mani, lui che per anni si era chiesto come sarebbe stata la sua vita con una donna al suo fianco, qualcuno che rimanesse sveglio fino a tardi ad aspettarlo la sera, che con tanta premura e tanto amore si sarebbe preoccupato di fargli passare una buona giornata a lavoro, anche solo con qualcosa preparato al momento, qualcuno che potesse stargli accanto sempre, anche quando tornava a casa stanco e non riusciva a riposarsi del tutto per via di un lavoro particolarmente impegnativo e importante, era rimasto solo in compagnia dei suoi stessi demoni.

La verità però era una e lui -pur non volendolo ammettere- lo sapeva benissimo.

Era arrivato a provare invidia per i suoi stessi dipendenti. 

Loro che avevano una moglie, dei figli, o perlomeno qualcuno da cui tornare, qualcuno che sentisse la loro mancanza, ma sopratutto qualcuno che si accorgesse della loro assenza.

Più di tutto, Adrien invidiava quegli uomini che solo grazie all'amore delle loro donne erano degni di essere felici e sentire di meno il peso di tutto quel lavoro gravare loro sulle spalle.

 

 

 

 

Alle 14:00 decise che se avesse continuato a guardare quei fogli, che da varie settimane ormai adornavano il suo studio, avrebbe perso completamente il lume della ragione, si decise perciò ad incamminarsi verso i vari reparti per un'ispezione generale -anche se un po' in ritardo- dei vari operati. 

Fu compiaciuto nel sapere che mancava sempre meno al termine del lavoro e che avrebbe finalmente potuto prendersi un periodo di pausa per riposarsi da tutto lo stress che aveva accumulato durante le settimane addietro. Difatti, ogni anno all'arrivo della settimana della moda, in azienda era solito regnare un clima piuttosto caotico e soffocante in cui veniva messo in discussione il lavoro di tutto un anno. Erano settimane pesanti, piene di consegne, di scadenze e nelle quali c'era bisogno di grande inventiva e capacità direttive, doti che fortunatamente il giovane Agreste aveva ereditato da suo padre. Vi erano periodi interi in cui persino Adrien stesso era costretto a fermarsi fino al mattino presto per perfezionare i modelli che da lì a poco avrebbero dovuto presentare davanti a tutta l'Italia.

 

 

Proprio quando stava per inoltrarsi tra i vari stilisti, cominciarono a tornare alla luce vari ricordi e pensieri che avrebbe tanto voluto dimenticare. 

Lei che negli anni della sua giovinezza aveva fatto carriera proprio nell'agenzia di Gabriel, era diventata una sua apprendista, la stagista più talentuosa in mezzo a tutte le altre, lei che aveva dimostrato di possedere una grande forza di volontà e una grande ostinazione verso i suoi obbiettivi, in quel preciso istante stava perfezionando uno dei suoi modelli migliori prima di un debutto nazionale. 

Solo allora si rese conto di tutta la strada che aveva percorso da quando era solo una ragazzina, essendo passata dal disegnare piccoli bozzetti sul suo quaderno rosa ad un debutto vero e proprio nel mondo dell'alta moda.

Vederla lavorare ogni giorno con energia ed allegria aveva ispirato ogni suo passo in quell'universo parallelo che da sempre sentiva come estraneo, eppure lei gli aveva dato una ragione per cui provare e impegnarsi veramente, non darsi per vinto e continuare ad andare dritto per quella strada tortuosa che la vita aveva avuto in serbo per lui. 

Lei che ogni mattina lasciava alla sua segretaria uno dei cornetti della balougerie dei suoi genitori solo per farglielo recapitare, per augurargli una buona giornata, lei che quando bussava alla sua porta gli si presentava davanti con un sorriso in grado di rassicurare, lei che nel tempo non aveva smesso di sperare nel suo perdono, e in fine lei che ogni giorno gli dava un motivo per svegliarsi il giorno successivo.

 

 

 

Afferrò con decisione la maniglia della porta, e in un attimo se la ritrovò davanti intenta a tagliare un ultimo pezzo di stoffa per completare quello che doveva essere il suo nuovo modello. Era bello, eccome se lo era, semplice, semplicemente nel suo stile...

 

 

E in un attimo gli passarono nella mente tutti i modelli che lei aveva disegnato e lui degnamente indossato, tutti i complimenti che le aveva rivolto nel vedere tanta passione e tanto impegno immersi nelle sue creazioni, ma sopratutto quel bagliore che le aveva sempre caratterizzato lo sguardo e che -segretamente- aveva sempre sperato potesse rivolgergli un giorno, seppur lontano.

 

 

L'accenno di un sorriso si fece spazio sul suo volto, ma lo ritrasse immediatamente per lasciare posto alla sua solita espressione seria e severa.

 

«Sono venuto a vedere come procedono i preparativi, tutti gli altri reparti sono sul punto di una revisione definitiva, spero di poter dire lo stesso di voi.» 

 

All'improvviso i volti degli stilisti si fecero più seri e ammutolirono in un colpo solo.

 

Non riuscendo a comprendere il significato di quell'insolito silenzio, decise di ripetere nuovamente la domanda.

 

« Ovviamente sarebbe un problema se -essendo ormai così vicini alla data di scadenza per la consegna dei modelli- non aveste ancora terminato il vostro operato. E sinceramente parlando spero di sbagliarmi.»

 

 

Ancora un volta ad attenderlo ci fu un silenzio tombale. 

A quel punto, un po' per via della stanchezza, un po' per il timore che dentro di sé stava iniziando a provare, iniziò ad alterarsi.

 

«Vi ho fatto una semplice domanda e se non vi dispiace vorrei anche avere una risposta da almeno uno di voi. Sono o non sono pronti questi modelli?»

 

Fu allora che la giovane corvina si fece avanti a tutti e con uno sguardo timoroso ma al tempo stesso determinato, diede finalmente una risposta ai dubbi di Adrien, e sfortunatamente per lui, trovarono giusta conferma.

 

 

«Signor Agreste, le chiedo scusa a nome di tutto il reparto per il disturbo, sappiamo quanto siete impegnato in queste settimane e quanto avete sacrificato per rientrare entro i termini stabiliti, ma sfortunatamente per noi ci sono state delle complicazioni che non siamo stati in grado di evitare per via dei fornitori di stoffa. L'ordine effettuato risultava non corretto e perciò abbiamo dovuto ordinarla nuovamente, ci vorrà qualche giorno perchè possa arrivare. Se lei potesse darci una proroga di qualche giorno le assicuriamo che sarebbe tutto quanto pronto per la data pattuita.»

 

 

 

Una volta appresa la notizia Adrien sarebbe stato capace di tornarsene nel suo ufficio, prenotare il primo volo disponibile per Dubai ed andarsene via, lontano da tutti quei problemi. Dopo tutto quello che aveva fatto per quell'azienda, tutto il tempo che aveva speso per riuscire a terminare il progetto e tutte le ore di sonno perse inutilmente pur di andare avanti, tutto sprecato nel giro di due ore. 

 

 

Questo proprio non poteva accettarlo.

 

 

Lentamente si avvicinò alla postazione della giovane donna, esaminandola, ispezionandola nei minimi dettagli. Gli strumenti di lavoro sparsi sul tavolo insieme ai bozzetti da lui corretti e revisionati, le tracce appena visibili delle cancellature della gomma e varie mine spezzate immerse nella loro stessa grafite. E poi quell'abito. Quell'unico abito che risaltava per tutto l'atelier, con le sue balze leggere, le perline nere appena visibili sulla vita ed il corpetto ricamato in pizzo bordeaux, quel semplice, bellissimo abito. Una volta che vi si trovò davanti, senza dire una parola, riuscì a malapena a sfiorarlo con la punta delle dita, era morbido, fatto con una stoffa di buona qualità, leggera, soffice al tatto, quello sì che era un lavoro ben fatto, un lavoro adatto a quel tipo d'evento.

 

 

Poteva quasi dire di ritenersi soddisfatto.

 

 

Ma il solo pensiero che fosse lei l'artefice di tale capolavoro, la mente che stava dietro l'opera, lo faceva quasi ribollire di rabbia, quel tipo di collera che arriva piano piano e nella sua lentezza ti butta dritto dritto nelle braccia dell'Inferno.

 

 

Prese la parte superiore dell'abito e lentamente si mise ad accarezzarne la manica sinistra.

 

 

Tutto ciò che accadde dopo avvenne con il ritmo di un battito di ciglia. 

Tutto ciò che si riuscì a percepire fu l'eco di un suono sordo ma netto, preciso, un rumore quasi letale. 

 

 

Solo pochi secondi dopo si rese conto che la sua mano non si trovava più sul modello della giovane stilista, ma che nonostante ciò teneva ancora tra le dita quel piccolo pezzo di stoffa.

Poi senza rendersene conto fece la stessa cosa con la manica destra, con la cintura di perline, con lo scollo a V e tutti i ricami in pizzo presenti sul bordo della gonna. 

Successe tutto in un attimo, ma ciò che ne rimase alla fine fu il nulla.

 

 

La corvina, la quale era stata obbligata ad assistere a quello spettacolo straziante, percepì esattamente l'attimo in cui tutto il lavoro di quelle settimane e tutte le sue fatiche vennero fatte a pezzi in pochi semplici istanti.

Il suo cuore smise di battere. E fu proprio quella la goccia che fece traboccare il vaso che nel giro di poco si infranse definitivamente in mille pezzi.

 

 

Si diresse a passo spedito verso la sua postazione e senza riflettere sulle conseguenze del suo gesto gli diede uno schiaffo in pieno viso sulla guancia sinistra.

 

 

Tutti rimasero pietrificati ad osservare i due intenti a guardarsi negli occhi con odio e rancore, mentre il silenzio regnava imperterrito per tutta la stanza.

 

 

Poco a poco tutti gli stilisti si diressero verso la porta, volendo evitare altri inconvenienti ed avendo intuito la tensione, appena palpabile, tra i due.

 

 

Una volta rimasti soli, tra i mormorii dei suoi colleghi che si apprestavano ad andarsene, Marinette scoppiò in un pianto quasi disperato.

 

 

E lui davanti a quella scena, completamente impotente, non avendo nulla tra le mani per poter placare quello che si preannunciava l'inizio della tempesta, non potè fare altro che rimanere in silenzio davanti al fatto compiuto.

 

 

Non seppe neanche lei per quanto tempo rimasero in quelle posizioni, lei con le mani intente a coprire i suoi occhi, ormai lucidi per via delle lacrime, e con quel leggero filo di trucco sbavato a malapena sotto le palpebre, le labbra screpolate, la voce roca e impastata e sulle gote il segno appena visibile delle sue unghie.

Solo alla fine, prendendo coraggio e con la voce ancora tremante, alzò lievemente lo sguardo verso di lui, fermandosi poco prima di arrivare a guardarlo negli occhi.

 

«Io non ti riconosco più, posso sapere che ti ho fatto? Potrei sapere qual è la terribile ragione che ti ha spinto a questo repentino cambio di personalità nei miei confronti? Spiegamelo, perchè io da sola non riesco affatto a capirlo.» 

Fece qualche breve passo indietro aspettando invano una risposta che non arrivò mai.

 

«Sono in ritardo, torni alla sua postazione e pulisca a terra, dirò alla mia assistente di darle una mano.»

Proprio mentre si apprestava ad abbandonare la stanza con le mani dentro le tasche dei pantaloni, apparentemente indifferente all'attuale situazione si irrigidì in un secondo, sentendo come una scossa elettrica trapassargli la spina dorsale e un leggero tremore impadronirsi dei suoi arti.

 

«Non posso farlo.»

«Mi spieghi il perchè.»

«Non è un compito che spetta a me, io qua dentro sono pagata per disegnare e creare abiti per la sua stessa linea, perciò non mi occupo delle pulizie e in ogni caso non sono io la persona che dovrebbe raccogliere quanto sta a terra.»

 

Adrien era una persona paziente, sapeva come trattare con gente ostinata come lei, lo aveva già fatto in passato molte altre volte ed erano ormai erano diventate quotidiane discussioni come quella.

 

«Non è di certo colpa mia se quello che lei chiama "lavoro" l'ha svolto in maniera obbrobriosa e indecente, certamente era un capo inadatto ad un evento di tale importanza, avrebbe solo fatto sfigurare il mio marchio, evidentemente era quello che meritava.»

 

La giovane donna rimase pietrificata, colui che aveva davanti, quell'uomo che in passato era stato capace di farle battere il cuore e riempirle l'anima di calore, quel giovane uomo che nel periodo più brutto della sua vita l'aveva guardata in faccia e le aveva confessato quanto di più profondo ci fosse dentro di sè, promettendo di amarla ogni giorno della sua vita, finché non fosse morto di quello stesso amore, quell'uomo che le aveva giurato fedeltà a costo di violare ogni singola legge della natura... in un attimo aveva lasciato un posto ormai vuoto ad una macchina priva di ogni sorta di calore umano... e in un attimo aveva distrutto quanto di più bello avesse mai creato, quel progetto per cui non aveva dormito per giorni, non aveva mangiato, quel lavoro per cui aveva dato l'anima nonostante le difficoltà, nonostante i vari sforzi nel portarlo a termine e nonostante se stessa.

Definitivamente quell'uomo non era più un uomo giusto, ma un uomo perennemente, incondizionatamente distrutto dal dolore e dal rancore.

 

«Non posso più lavorare per te...»

 

Riuscì a dirlo in un sussurro appena percettibile, un sussurro che le era costato caro pronunciare.

 

E lui, Adrien, era paziente -molto paziente- ma sapeva anche lui che era arrivata l'ora, dopo tanta attesa, della resa finale dei conti. 

Perciò da quel momento, si dichiarò non responsabile delle sue stesse azioni. 

 

Il vaso che nei giorni precedenti era stato riempito tante e tante volte crollò... 

 

E alla fine, si polverizzò al suolo.

 

«Cosa vuol dire? Tu puoi ancora lavorare per me, non puoi abbandonarmi proprio adesso, proprio ora che la tua carriera sta per decollare, che la sfilata si avvicina e che gli altri stanno lavorando per te e si stanno dando da fare per darti un futuro... per darci quel futuro per cui abbiamo sudato tutti questi anni.»

«Ma non è quello che voglio io.»

«E cos'è allora quello che vuoi? Davvero, non riesco a capirlo.»

Prese un respiro profondo, ma sembrava come se avesse smesso di respirare da un momento all'altro, come se avesse dimenticato come fare per continuare a vivere... e tutto d'un tratto non vedeva più un futuro davanti ai suoi occhi, ma solo un grande, candida pagina bianca. Quasi non gli sembrò vero che per lui, che nel tempo aveva pianificato ogni singola mossa di quel percorso che avrebbero dovuto percorrere insieme, la fine fosse arrivata così in fretta, e pur sapendo che sarebbe arrivata non se ne era minimamente preoccupato. 

 

 

Allora lei lo guardò ancora negli occhi, ma stavolta con un lieve velo di tristezza nello sguardo, titubante avvicinò una mano verso il suo viso, proprio come quando erano ancora ragazzi incasinati nei loro amori complicati, come quando sarebbero stati capaci di mollare tutto per una frase sbagliata nel momento meno opportuno, senza sapere cosa fosse realmente un dolore cresciuto nel silenzio di una camera da letto o di un ufficio, talmente vuoti da sentire l'eco di quel sentimento ormai maturo. Si guardarono ancora... e lei si rese conto di non essere più capace di interpretare quegli occhi che anni prima l'avevano fatta innamorare così tanto di quella che adesso non era nient'altro che l'ombra di un uomo. 

 

 

E lui che aveva provato così tanto dolore e non era stato capace di perdonarla, di lasciarsi il resto alle spalle e continuare una vita che da allora non aveva che perdere peso, si rese conto che quella donna era stata davvero una rovina per lui, come quell'amore che l'aveva tenuto ancorato ad un mostro che aveva preso le sembianze della madre in quei pochi ricordi che custodiva gelosamente e che non riusciva a lasciar andare via con il resto.

 

 

Rifiutò quel gesto gentile.

 

Raccolse una delle maniche che poco prima aveva lasciato cadere insieme al resto di quei pezzi di puzzle e lo posò su uno dei tavoli lì vicino. Voleva andarsene, provare ancora una volta a nascondersi dietro i suoi stessi occhi, nascondersi da quel cuore per evitare di provare ancora dolore.

 

 

«Non so neanche perchè te lo sto per dire...»

Iniziò lei nel silenzio di quella piccola stanza, col sole alle spalle, quella flebile luce appena visibile dalla finestra e che in quel preciso momento la illuminava da capo a piedi, ma non completamente...

 

«... io aspetto un bambino Adrien.»

 

E solo allora gli sembrò come di sentire dieci, cento se non mille calci sempre nello stesso punto, proprio lì dove potevano fargli più male tutti insieme, calci, pugni, schiaffi, graffi che in qualche modo sperava gli potessero lasciare dei segni permanenti su quella pelle ormai insofferente. 

 

Fu proprio quello il momento in cui ammise con sincerità a sè stesso che quel genere di dolore che mai aveva provato in vita sua, mai forte come in quell'attimo, gli aveva fatto più male di quanto gliene avesse fatto lei anni orsono, che tutto ciò che aveva provato in quel momento, rabbia, astio, orgoglio, erano il niente in confronto alla morsa che, sempre più velocemente, si apprestava a stringergli il cuore. 

 

Si fermò un momento a pensare, capendo subito che non ci fosse più niente su cui dover riflettere. Tutte le volte in cui aveva sperato, tutte le volte che aveva sognato di poter vivere al fianco di quella che davanti ai suoi occhi era rimasta, per tutti quegli anni, la donna più bella al mondo, quella che un giorno sarebbe diventata la sua anima gemella e avrebbe posto fine a quell'eterna lotta contro il passato che da anni lo aveva abbandonato alla parte più oscura del suo essere, quella giovane donna che lo aveva riportato in vita quando, dopo essere caduto una volta di troppo, non era stato più in grado di rialzarsi e combattere per una vita che era sua di diritto e che gli era stata strappata in modo atroce da quel mondo che ai suoi occhi appariva solo crudele e ingiusto, ingiusto e crudele... troppo male concentrato in un unico corpo.

 

 

Con un nodo in gola e con le mani nelle mani, la guardò ancora una volta, ma stavolta il suo sguardo aveva una meta ben precisa.

 

«Da quanto lo sai?»

 

Per un attimo gli parve di vederla incerta... fatto sta che incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo dal suo, rivolgendolo con finto interesse verso una delle macchine da cucire lì vicino.

 

«Due settimane...»

«E quando pensavi di dirmelo?»

 

Non seppe nemmeno come fece a mantenere ferma la voce, nè come fece lui stesso a rimanere immobile nel mentre che la donna che per anni aveva amato, che aveva aspettato, gli stava comunicando quella che forse era la notizia più bella della sua vita. 

Un nuovo inizio per lei, ma la fine di una storia per quel povero, piccolo uomo.

 

«Non è facile come credi... bisogna fare degli accertamenti e ci vuole del tempo. Ho ricevuto i risultati ieri pomeriggio.»

«Perchè non me l'hai detto stamattina quando ci siamo visti?»

 

Iniziò a tremare lievemente, forse per la leggera brezza che si preparava ad accompagnarli verso un rigido inverno, uno dei più freddi a Parigi, gli alberi spogli, la neve candida che si preparava ad aderire a terra, il sole che man mano che il tempo passava iniziava a nascondersi tra le nuvole e le panchine diventate d'un tratto completamente vuote... 

Oppure per la tensione, l'agitazione che si apprestava ad accompagnare ogni sua frase che sapeva, alla fine, l'avrebbe condotta verso un futuro di consapevolezza verso se stessa e verso quella piccola creatura che si riduceva, allora, a un ammasso di cellule, ma che nonostante ciò lei aveva iniziato ad amare nell'esatto momento in cui, guardando quel test diventare positivo, si era sentita mamma per la prima volta.

 Perciò prese coraggio per lei e per quel suo grande amore che sapeva, un giorno non molto lontano, sarebbe stato presto ricambiato.

 

«Perchè stavolta voglio tenerlo...» aveva detto in un sussurro appena percettibile.

 

Dal canto suo Adrien si era ritrovato a strabuzzare gli occhi, senza più sapere cosa dirle, inizialmente credendo di aver sentito male, rendendosi poi conto dell'effettivo significato di quelle tristi parole.

 

«Cosa intendi con "voglio tenerlo" ? Marinette, te lo chiedo per favore, rispondi sinceramente alla domanda che ti sto per fare...»

 

Prese la rincorsa decidendo di rischiare. 

Un bel respiro.

Due.

Tre.

 

«È la prima volta?»

 

Lei non rispose. Si avvalse così della facoltà di nascondersi, per quanto possibile, agli occhi dell'autenticità dei fatti stessi. Dal fatto che aveva sofferto e non poco, che aveva combattuto contro tutto e tutti per riuscire a dimenticare quella parte della sua vita che per tanto tempo l'aveva tenuta lontana da sé stessa e ancorata a qualcosa a cui nemmeno la scienza poteva porre rimedio... dal fatto che non importa quanti scheletri avesse nell'armadio, perchè i suoi mostri, quelli veri, quelli malvagi, continuava a conservarli nella testa.

 

 

Un lieve sospiro passò attraverso quelle amare labbra, bagnate da quelle lacrime dannate che aveva iniziato a versare nel suo religioso silenzio, con le mani fredde, prive di quel calore talmente familiare, talmente suo da non riconoscersi più nemmeno lei, che non sapeva il perchè di tanta esitazione.... 

 

 

Poi finalmente parlò, e ogni cosa, in un modo o nell'altro, venne alla luce.

 

 

«Ne ho già persi due. Non è stato per niente facile andare avanti con la mia vita, perchè la consapevolezza di non poterci fare niente mi ha lacerata giorno dopo giorno, e per tutto questo tempo non ho fatto altro che sentirmi in colpa, responsabile della loro stessa morte solo per un mio errore, un qualcosa che se evitato mi avrebbe permesso di stringerli tra le mie braccia e di non lasciarli più andare... tu non hai idea di quanto faccia male l'idea di perdere un figlio in questo modo per poi svegliarti e realizzare che effettivamente il tuo letto è vuoto, ma lo sei anche tu.... non puoi capire quanto sia crudele perdere qualcosa che hai cercato così tanto.»

 

 

 

La giovane sorrise nostalgica, ripensando a quanto, in quell'anno, la sua vita fosse stata stravolta in mille modi diversi.

 

 

 

Lo guardò un'ultima volta, ma stavolta lo guardò per davvero, riuscendo a scrutare ogni singolo particolare di quell'anima, che nel profondo riusciva ancora a definire sincera. Quell'anima che, voleva credere, fosse ancora degna di un lieto fine.

 

Quel lieto fine che si augurava tutti i giorni e che forse sarebbe arrivato anche per lei, un giorno. 

 

 

« Dicono che la terza volta in genere sia quella buona, quindi sta a te decidere. Sono disposta a tutto, ma ti prego, dammi questa possibilità.»

 

 

 

 

Poi fu il buio. 

 

 

 

 

«Fuori.»

«Adrien...»

«Ho detto fuori...»

«Adrien per favore, ascoltami, ti prego.»

«Ti ho detto di andartene da questa stanza e da questa azienda, se i tuoi problemi personali ti rendono incapace di svolgere il tuo lavoro da oggi non ritenerti più una mia dipendente. Sei gentilmente pregata di tenerti a debita distanza da tutto ciò che riguarda me e i miei stilisti. 

Non voglio rivederla mai più signorina Dupain-Chang,mai più, spero di essere stato esaustivo.»

 

E col buio arrivò il suono sordo di un cuore diviso a metà, il silenzio.

 

«Cristallino, signore.»

 

E col silenzio, la tempesta vera e propria.

   
 
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