Il gatto
Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;trattieni le unghie della zampa,
e lasciami sprofondare nei tuoi begli occhi striati
di metallo e d'agata.
Quando le dita indugiano ad accarezzare
la tua testa e il dorso elastico
e la mano s'inebria del piacere di palpare
il tuo corpo elettrico,
vedo la mia donna in spirito. Il suo sguardo
come il tuo, amabile bestia,
profondo e freddo, taglia e fende come un dardo,
e, dai piedi fino alla testa,
un'aria sottile, un minaccioso profumo
circolano attorno al suo corpo bruno.
(Charles Baudelaire)
Mi adottaron da piccolo, cinque o sei mesi.
Oscar cinque anni, André sei.
Madamigella tanto a lungo insistette, col padre severo, ch’egli infine acconsentì.
“Perché proprio nero? Porta sfortuna, non lo sai?” – l’ammonì il Generale.
Ma ella non volle sentire ragioni, scelse il colore, e lì io capitai.
Fui amato, vezzeggiato, la tenera Nanny dolcemente mi cullò, latte tiepido mattina e sera mi donò.
Coi nuovi padroncini giocai, lunghe ore di diletto con loro passai.
Duellaron di spada, e io li guardai.
A cavallo montaron, e da lontano li scrutai.
Trascorsero gli anni, divennero adulti, io invecchiai.
Dinanzi al camino alla sera riposai, delle loro carezze sempre mi beai.
Vissi a lungo e felice, nel palazzo maestoso, Oscar e André per sempre amai.
La loro Sorte infelice di vedere mancai.
Ora li aspetto quassù, di vivere quel grande amore concesso non gli fu.
Soffrirono, patirono e, infine, perirono, i padroncini che tanto diletto mi regalarono.
A breve, nuovamente, li incontrerò.
Saranno felici, qui non esiste rango, tutti uguali dinanzi alla Morte,
che tutto cancella, anche la malasorte.
Il loro amore per sempre vivrà
Nel posto dove fine ogni cosa ha.