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Autore: Ksyl    13/01/2020    4 recensioni
Alcuni mesi dopo la 2x24
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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20 Castle

Riemerse disorientato dalla pesante coltre di sonno che gli ottundeva la mente, senza riuscire a ricordare dove si trovasse. Dopo un primo sommario esame interiore, nessun indizio venne in suo soccorso per fargli decifrare la situazione.
Provò ad aprire gli occhi, ma abbandonò presto l'idea, serviva un tipo di sforzo che non era in grado di produrre. Che forse non sarebbe mai più stato in grado di produrre.
Un rumore ritmico attrasse la sua attenzione: era pioggia? Poteva essere qualsiasi cosa. Prima di riuscire a darsi una risposta soddisfacente, tornò di buon grado a sprofondare nelle invitanti braccia dell'incoscienza.

L'appagamento durò solo per un brevissimo, piacevole momento - così gli parve. Una leggera ma persistente sensazione tattile oltrepassò la barriera del sonno e si intrufolò nel mondo onirico che aveva appena iniziato ad abitare con sommo compiacimento. Provò a scacciarla, senza riuscirci. Il sogno si interruppe, prima che riuscisse ad afferrarne i lembi indefiniti e decifrarne lo svolgimento. Qualcuno gli stava accarezzando la fronte, realizzò con stupore. Doveva trattarsi di un residuo allucinatorio. Il tocco si spostò con delicatezza dalla fronte ai capelli. Fu costretto a sollevare le palpebre, per capire l'origine dell'interferenza.

Quello che riuscì a intravedere, dopo qualche infruttuoso tentativo, gli fece spalancare gli occhi a forza. Kate era a pochi centimetri da lui, seduta a gambe incrociate sopra le lenzuola– tirate tutte dalla sua parte – intenta a fissarlo con sguardo severo. Indossava quella che doveva essere una delle sue camicie, a giudicare dalle dimensioni, e nient'altro.

Si portò le mani al petto con fare teatrale.
"Vuoi farmi venire un attacco di cuore?", bofonchiò con voce impastata e il cervello che stentava a dare segni di connessione. "Non sai che fissare la gente mentre dorme è la prima causa di morte per spavento?"
La sentì ridacchiare. Lo avrebbe fatto anche lui, se non fosse stato vittima di una persistente spossatezza di cui ignorava l'origine. Come faceva Kate a essere tanto vitale al mattino presto? Era mattino presto? Aveva perso la cognizione del tempo e non gli interessava recuperarla. Voleva solo continuare a dedicarsi a quello che stava facendo – qualsiasi cosa fosse – , prima che lei lo svegliasse.

Le fece segno di raggiungerlo sotto le coperte, districandole da sotto al suo corpo per farle spazio. Kate non si mosse.
"Ho ordinato la colazione. E il pranzo. Un mix dei due, insomma. Sta per arrivare, non puoi continuare a dormire in eterno", lo informò.
"Cinque minuti", la pregò, senza darle retta.
Dopo qualche secondo di tentennamento sentì le lenzuola sollevarsi e il mondo tornare a essere quel rifugio beato nel cui si era fin lì crogiolato e da cui era stato strappato a forza. Gli si sdraiò accanto dandogli le spalle, intrecciando le gambe tra le sue. La prese tra le braccia e affondò il naso tra i suoi capelli, gesto che gli parve stranamente familiare. Non riusciva a immaginare niente di più paradisiaco di trascorrere la giornata a letto con Kate Beckett... Alt.

Aprì gli occhi di scatto, questa volta mettendo finalmente a fuoco l'intera situazione, se pure con enorme ritardo. Una parte della sua mente doveva aver continuato a dormire, mentre l'altra aveva agito in modo autonomo, senza nessuna comunicazione attiva tra loro. Si appoggiò a un gomito, scostandosi da lei, improvvisamente ben sveglio. Le scosse una spalla, costringendola a voltare la testa verso di lui. Ottenne, come era prevedibile, una reazione di protesta.
"È un sogno, giusto? Uno di quelli che faccio sempre. Non sei davvero qui con me, sei solo il frutto delle mie solite fantasie. Conosco questo copione, non ci casco".
Lo osservò profondamente sbigottita. Le lesse negli occhi anche il sospetto, non così ben dissimulato, di trovarsi di fronte a un uomo dall'equilibrio mentale compromesso. "Castle, sei impazzito?"

Continuò, imperterrito. "So come vanno queste cose, mi sveglierò felice e convinto che vada tutto meravigliosamente bene e invece tu non sarai qui, distruggendomi l'umore per il resto della giornata. È meglio che te ne vada subito, prima che le illusioni si frantumino di fronte alla triste realtà", concluse con fare declamatorio.
Intercettò un movimento repentino e la fermò prima che gli lanciasse contro un cuscino.
"Me ne andrò davvero se non smetterai di comportarti in maniera idiota, Castle. Non è stato divertente già la prima volta in aeroporto, quando non credevi che fossi io, adesso è solo ripetitivo. E noioso. Stai perdendo colpi".
Già, il loro incontro in aeroporto. Avrebbe dovuto indagare meglio, se non fosse stato propenso a dedicarsi ad altre attività ben più impellenti.
Le baciò il punto morbido appena dietro la mandibola.
"Avresti dovuto avvertirmi che la regola delle stanze separate era stata cancellata, così non mi sarebbe parso strano averti nel mio letto".
"Siccome la destinazione delle camere non è mai stata decisa, potrebbe essere il mio letto e tu un ospite".
"Se così fosse significherebbe che mi hai invitato a rimanere".

Ricordava che la questione non si fosse mai posta in questi termini, non aveva dimenticato nessun istante di quella notte. Nessuno aveva avuto intenzione di dormire altrove, ma gli piaceva l'idea di stuzzicarla. Dopo averci fantasticato sopra per molto più tempo di quanto le avrebbe mai confessato, svegliarsi con lei accanto in carne e ossa era un'eventualità talmente fuori dall'ordinario da faticare ad abituarsi. Anzi, non avrebbe proprio voluto abituarsi. Mai. Nei secoli dei secoli. Voleva conservare intatto l'incanto di quel mattino.
"Che cosa devo fare per indurti a zittirti?", la sentì borbottare, pur senza che tentasse in modo convincente di sottrarsi ai suoi baci. "Ammettere che ho sempre voluto sedurti per via del tuo fascino irresistibile, fin dal primo giorno al distretto?"
"L'hai detto, finalmente. Anche se era ovvio dal modo in cui ti vestivi". Le baciò la gola pulsante.
"Non mi vestivo in nessun modo...", protestò oltraggiata. "Sei tu che hai sempre voluto che finisse così, non io. E forse hai dimenticato quanto fossi insopportabile all'inizio".
Tornò a stendersi, appoggiando la testa sul cuscino e, contemporaneamente, la tirò verso di sé. "È vero", le sussurrò all'orecchio, resistendo alla tentazione di mordicchiarle il lobo. "Non che fossi insopportabile. È vero che ho sempre voluto che finisse così. Era in cima alla mia lista dei desideri. Vuoi vederla?"
Era sempre pronto a produrre prove che lo favorissero ai suoi occhi.
Si voltò verso di lui. "No, grazie, preferisco continuare a considerarti una persona sana di mente".
Gli era sempre piaciuto quel tratto dispotico in lei, ma le attuali circostanze glielo facevano apprezzare a un livello che non avrebbe mai sognato di raggiungere. E qual era il problema? La lista esisteva eccome. La portava sempre con sé.
Nella pausa che seguì, Kate si sporse verso di lui e lo baciò con decisione sulle labbra. Doveva averne abbastanza di ascoltarlo blaterare e quindi doveva aver deciso di passare a maniere più drastiche, per ottenere un po' di silenzio. Lui non se ne sarebbe di certo lamentato. Perché perdere tempo in cose di nessuna importanza, con un clima esterno tanto inospitale – la pioggia si era fatta più fitta e battente – e un'intera suite a loro disposizione? Condivideva completamente le idee che lei gli stava illustrando non verbalmente e in rapida successione.

"Che ore sono?". D'accordo, doveva stare zitto, ma c'era un'ultima questione di cui occuparsi. Alzò la testa per controllare se ci fossero orologi alla parete o qualche altra fonte di informazioni temporali. Non aveva idea di dove fosse il suo telefono, né gli importava recuperarlo. Kate parve spazientirsi per l'interruzione.
"Quasi mezzogiorno", rispose sbrigativa. "E stai finendo i tuoi cinque minuti. Tra poco arriverà il pranzo. Se non avessi continuato a parlare..."
Era già così tardi? In effetti non ricordava quando si fossero addormentati, lui di sicuro doveva avere perso i sensi, perché per nessun altro motivo si sarebbe concesso di estraniarsi da lei. Da loro.

Le accarezzò languidamente un fianco tornito, prima di spostarsi più in basso. La pelle era così vellutata che non avrebbe mai smesso di volerla toccare per il resto della giornata. O della vita. "Perché hai ordinato il servizio in camera? Visto che hai voluto a tutti i costi svegliarmi, potevamo dedicarci ad altre attività molto più proficue che non, banalmente, mangiare". Lo pensava davvero. Era un'attività sopravvalutata. Avrebbero dovuto smettere di toccarsi per almeno tre volte al giorno, di lì in avanti? Per non parlare di qualche ora di sonno, che andava ad aggiungersi al conteggio. Nessuno poteva pretendere tanto.
Rise. Forse le aveva fatto il solletico, chissà se lo soffriva. "Ti ho svegliato perché avevo fame. Di cibo", precisò, mentre gli faceva scorrere lentamente le dita sulla schiena, strappandogli qualche brivido.
Si convinse di averle fatto cambiare idea, ma era solo una mossa diversiva. Prendendolo alla sprovvista, gli bloccò le mani, che si erano fatte impazienti, e si mise a cavalcioni sopra di lui, impedendogli di muoversi.
"Dobbiamo nutrirci, Castle. Non possiamo morire di inedia solo perché sei troppo pigro per alzarti".
"Non è il modo peggiore che mi viene in mente per morire", rispose accarezzandole le natiche sotto i lembi della camicia. "Perché non chiami per far ritardare la consegna? Oppure possiamo lasciare che abbandonino il carrello fuori dalla porta".

Kate si mordicchiò il labbro. Era tentata, ma non ancora convinta. Le slacciò un bottone guardandola intensamente negli occhi.
"Dannazione, Castle, sei un uomo insopportabile", gemette, cedendo. "Al diavolo il pranzo". Si sporse su di lui per raggiungere il telefono. La intercettò e la fece piegare su di lui per baciarla a lungo, facendole dimenticare tutto il resto, fame compresa. Non riusciva a pensare a niente di meglio che iniziare in quel modo ogni giornata del resto della sua vita. O i pomeriggi, per essere più precisi.

"Come facevi a sapere che sarei arrivato con quel volo?", le domandò, parecchie ore più tardi. Stava ancora piovendo, non sembrava avere alcuna intenzione di smettere. Il clima perfetto. Avevano pranzato, alla fine. Uno spuntino molto rapido, prima di tornare di nuovo in quel letto che continuava ad attrarli magneticamente verso di sé. Non erano usciti, era l'ultima cosa che gli sarebbe mai venuta in mente di proporre e del resto nessuno dei due aveva espresso il desiderio di lasciare quello che si stava velocemente trasformando in un comodo e ben fornito bunker a prova di qualsiasi calamità.

Erano sdraiati uno di fronte all'altro, lei un po' più assonata di quanto lui non fosse. Per questo aveva colto l'occasione di farle quella domanda a bruciapelo. Era un tentativo di farle dire la verità mentre se ne stava rilassata e con la guardia abbassata.
"E tu hai davvero prenotato un biglietto per tornartene a casa, dopo quella prima cena, come hai sostenuto di aver fatto?", gli chiese a sua volta, dimostrandogli che Kate Beckett non veniva mai presa in contropiede.

Le appoggiò la mano sulla guancia, accarezzandogliela. Iniziava a preoccuparsi del fatto che non gli fosse possibile smettere di toccarla. E più si concedeva di cedere alla tentazione e più la brama aumentava. Poteva diventare pericoloso? Avrebbe avuto bisogno di un programma per disintossicarsi? L'avrebbe infastidita, a un certo punto? Per il momento sembrava non esserlo, anzi, era spesso lei ad accorciare la distanza, in una danza armoniosa perfettamente equilibrata.
Voltò appena la testa per baciargli il palmo della mano, senza mostrare nessuna intenzione di rispondere al suo quesito molto più che lecito. Si era tenuto la curiosità per giorni, ma era arrivato il momento di sapere.
"Ti rispondo se prima mi rispondi tu".
Gli sorrise maliziosa. Di spavento e di inedia non sarebbe certamente morto, ma forse tutti quei sorrisi abbaglianti a lui generosamente rivolti prima o poi l'avrebbero ucciso.
"Come hai fatto a non capirlo? A volte sei così ingenuo, Castle".
Alzò la testa. "Che cosa significa? Che sono stato vittima di un complotto?"
Annuì con aria misteriosa. "Certo. La CIA ti ha fatto il lavaggio del cervello, ti prelevato dopo averti narcotizzato e infine ti ha messo su un aereo, dietro mia richiesta, perché io potessi approfittare lungamente di te. Mi pare la risposta più logica, non credi?"
Si animò. "Permettimi di usarlo per la trama di uno dei prossimi romanzi, ti citerò come fonte. Ma prima dovrai spiegarmi meglio i tuoi rapporti con la CIA, perché io ero sicuro che la tua missione segreta avesse a che fare con loro".

Gli fece una smorfia esasperata. Era stata lei a iniziare il gioco, non poteva biasimarlo perché le stava dando corda. "E potevi approfittarti di me senza bisogno di tutta questa messinscena, Beckett. Ci saremmo potuti chiudere nel tuo appartamento o nel mio. O nella suite di un albergo, senza migliaia di chilometri nel mezzo. E senza sprecare tutti questi anni".
"D'accordo, basta così. Non si è trattato di niente di trascendentale. A un certo punto ho intuito che saresti potuto farti vivo e conosco qualcuno che è stato in grado di dirmi esattamente quando".
Non poteva essere più sorpreso. O sconvolto. "Hai davvero hackerato il sito della compagnia aerea per spiarmi. Ci avevo visto giusto, allora". Era stata una delle fantasiose ipotesi che aveva sparato a caso, prendendoci in pieno, a quanto pareva.
"Non sei l'unico ad avere agganci, Castle".
"Perché non mi hai detto che lo sapevi? Durante le nostre telefonate hai sempre fatto finta di niente". Anche nell'ultima, quella ricevuta appena prima di imbarcarsi – adesso capiva il tempismo - quando aveva tenuto la bocca chiusa con enorme fatica.
"E tu perché non me lo hai chiesto? Non sarebbe stato più semplice?"
"Perché mi avresti detto di no", ammise un po' triste. Era la verità. "E io non avrei sopportato di starti lontano. Sono stato costretto a farlo per troppo tempo".
"Sei stato tu il primo ad andartene", commentò asciutta.
Le prese una mano e se la portò alle labbra. "Perché sono stato un idiota. Ero geloso. E non sapevo ancora di amarti".

Gli lanciò un'occhiata allarmata. Anzi, quasi impaurita.
No, no, no. Che cosa aveva fatto? Adesso sarebbe fuggita, si sarebbe ritratta, si sarebbe nascosta in uno dei pertugi che non aveva ancora scovato. Doveva farsi venire in mente qualcosa. Velocemente. Le tenne stretta la mano con decisione, cercando disperatamente di uscirsene con un diversivo.
"Non c'è bisogno di rispondermi 'Anche io'",chiarì fingendosi calmo, cercando di frenare l'imbarazzo che gli stava montando dentro a ondate gigantesche, sperando che prendesse la sua uscita come una delle sue solite battute, anche se non lo era. Ma c'erano cose più importanti di cui occuparsi e la prima tra tutte era non farla allontanare per colpa della sua uscita inopportuna. La più inopportuna di tutte. Quella per cui avrebbe certamente vinto un premio per la stupidità. "Basta un 'Grazie'.

Fu deliziato dall'essere riuscito a farla scoppiare a ridere. Pericolo scampato, poté ricominciare a respirare.
Non aveva avuto intenzione di esprimersi in quel modo, niente era più lontano da lui, ma le parole gli erano rotolate fuori prima di rendersi conto che erano sempre state lì pronte a spiccare il volo. Non voleva spaventarla. Ed era troppo presto. Erano tutti scrupoli legittimi, ma non rendevano meno veri e urgenti i suoi sentimenti.

"Che risposta sarebbe 'Grazie'?" Non aveva ancora smesso di ridacchiare. "È questa la tua idea di romanticismo? Dovresti rivedere i tuoi standard".
Le disegnò i contorni del visto con le dita. L'aver dirottato tutto verso l'umorismo non gli impediva di sentirsi comunque esposto e vulnerabile, nonostante la scappatoia che lui stesso le aveva offerto. Avevano sfiorato qualcosa di potenzialmente catastrofico, che avrebbe potuto cancellare tutti i progressi fatti fino a quel punto. Era felice di esserci riuscito, ma c'era anche il suo cuore da tenere in considerazione. Non voleva che fosse fatto a brandelli.

Proprio come era successo quel mattino, quando era stato immerso nel sonno, sentì le dita di lei intrufolarsi gentilmente tra i suoi capelli. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e impedirle di parlare, implorarla di dimenticare quello che aveva sentito, ma non poteva. Non poteva fare niente.
"Sono felice che tu sia venuto fin qui e che abbia deciso di non ripartire". Si espresse con una dolcezza che non gli sfuggì. Le era grato. "E sono felice di questo", gli indicò la stanza, i loro indumenti sparsi a terra, gli avanzi del pranzo lasciati intonsi sul carrello. "E per il resto..." lo guardò negli occhi. Non era in grado di leggere niente nei suoi. "Per il resto, grazie" aggiunse con aria intimidita e un po' divertita.

Fu il suo turno di scoppiare a ridere, contagiandola con la sua stessa ilarità.
"È la peggior dichiarazione di sempre", ammise lui, ancora ridacchiando. L'imbarazzo era evaporato, il peggio era stato evitato e la sua risposta l'aveva molto più che rincuorato. Gli faceva sperare che tutto fosse possibile. L'amava sul serio. Ammetterlo apertamente, anche se per errore, era stato una liberazione.
"Non voglio ferire i tuoi sentimenti, ma lo è davvero", convenne Kate sorridendogli comprensiva.

Le baciò le dita una a una. "Che cosa vuoi fare adesso?"
"Dobbiamo fare qualcosa? Non stiamo bene qui?", rispose con espressione decisamente allusiva. Erano finiti i tempi delle metafore, per quel che poteva vedere, e la cosa gli andava benissimo.
"Intendevo in senso più figurato, per il futuro. Il nostro".
Lo guardò dubbiosa. "È una stramba proposta di matrimonio? Perché a questo punto non sono più sicura di cosa aspettarmi da te, sembri confuso su quale sia il modo più corretto di esprimerti riguardo a questo genere di argomenti". Le morse piano la nocca di un dito.
Non gliel'avrebbe fatta passare liscia nemmeno se si fosse scusato in ginocchio per averle detto che l'amava nel peggior modo possibile.
"Ti assicuro che d'ora in avanti mi esprimerò nel modo più classico, così da non avere più dubbi a riguardo. Proposta di matrimonio compresa, anello di diamanti compreso". E tutto quello che ne sarebbe derivato.
"Speravo in qualcosa di più fantasioso, tipo del fil di ferro al posto dei diamanti. Non sono troppo scontati?"
C'era del filo di ferro? Se lo sarebbe fatto procurare.
"Sei una donna impossibile da soddisfare".
"Non sottovalutarti così, Castle. Le prove di questa notte dimostrano il contrario". Gli fece l'occhiolino.
Che lei potesse prodursi con grande disinvoltura in discorsi del genere mentre se ne stava distesa svestita accanto a lui, completamente rilassata e a suo agio era qualcosa a cui stentava ancora a credere. Ancor più stupefacente era realizzare che, da quel che gli fece capire, non ci fosse nessun altro posto in cui sarebbe voluta stare.

C'era ancora tanto di cui parlare. Avrebbe voluto chiederle quali fossero le sue intenzioni per il giorno dopo, le settimane successive, se stesse meglio, se i suoi demoni la stessero lasciando in pace. Sarebbe voluta tornare a casa a un certo punto o avrebbero invece continuato a vivere nella loro bolla accogliente che tagliava fuori il resto del mondo, proteggendoli da tutto il negativo esistente all'esterno?

Era più di quello che aveva osato sperare, più di quanto avesse mai teorizzato. Sicuramente di più di quello che sarebbe successo se fosse rimasto al distretto, seguendola nei casi, salutandola la sera e dandosi giusto il permesso di presentarsi con qualche caffè per vederla sorridere. Come aveva fatto a vivere senza questo? Come poteva non averlo mai messo in conto, non aver combattuto, non aver insistito?

Troppi pensieri, troppe riflessioni. Soprattutto troppe domande. Era indubbio che molte non avessero ancora avuto una risposta, così come era evidente che ci fossero ampie zone ignote che forse gli sarebbero rimaste precluse per sempre ed era certo che altri interrogativi sarebbero sorti. Forse non avrebbero mai smesso di farlo. C'erano ancora vastità oceaniche da penetrare, ferite da rimarginare, lacrime da asciugare. Non adesso. Era finito il tempo dei tormenti interiori, di camminare in bilico sul dramma. Era il momento di vivere la vita che voleva e di raccogliere i doni che l'Universo gli stava inviando a profusione.

La prossima scadenza sarà l'ultima! Grazie, Silvia

   
 
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