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Autore: heliodor    13/01/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Più morta che viva
 
Aggrappata alle redini, Bryce teneva gli occhi sul sentiero e i sensi attenti, pronti a cogliere qualsiasi movimento o rumore proveniente dal denso fogliame del bosco.
Da due giorni stavano percorrendo la via costiera, muovendosi tra promontori scoscesi che si gettavano nelle acque turbolente del Mare di Cristallo a villaggi fantasma che sorgevano abbarbicati tra i fiordi.
Ne avevano superati due senza fermarsi e girando al largo, nel timore di fare incontri spiacevoli. La strada era disseminata di carovane e cadaveri che portavano i segni di una morte violenta e non dovuta agli stenti.
“Predoni, briganti” disse Brun con tono cupo. “Stanno facendo una strage.”
“Chi era questa gente? E che cosa ci faceva qui?”
“Profughi, strega dorata.”
“Di dove?”
“Malinor. Fuggono verso nord per trovare scampo da qualsiasi cosa li abbia costretti a scappare.”
“I Colossi?”
“Tu che cosa ne pensi?”
Bryce non aveva una risposta. Lungo la strada avevano incrociato due gruppi di fuggiaschi ma nessuno d loro aveva voluto scambiare più di due parole con loro. La gente era terrorizzata dalla vista di cavalieri che avanzavano diretti a sud e se proprio dovevano, si fermavano mettendo bene in mostra le armi di cui disponevano.
In quel caso, mazze e vanghe prese da chissà dove.
“Da dove venite?” aveva chiesto Brun con l’accento di Malinor.
L’espressione dei fuggiaschi, due uomini e tre donne, tra cui una ragazza gravida, si erano fatte meno tese, ma non avevano smesso di essere diffidenti. “Malinor. Anche tu sei di lì?”
Brun aveva annuito. “Fuggite dall’assedio?”
L’uomo aveva scosso la testa. “Non c’è stato nessun assedio, che io ricordi. L’orda è arrivata e i Colossi hanno distrutto quello che volevano. La città è in rovina.”
“E Mire? Il circolo? Che cosa hanno fatto? Dove sono?”
L’uomo si era stretto nelle spalle. “Fuggiti anche loro. O morti. Ora dobbiamo andare. Girano brutte voci su questa zona. Parlano di razziatori che uccidono gli uomini e rapiscono le donne per rivenderle come schiave a oriente della Coda del Drago. Io non voglio morire e non voglio che mia figlia finisca a fare la schiava.”
Brun e Bryce si erano fatti da parte e li avevano lasciati in pace. Dopo quell’incontro non ce n’erano stati altri e non avevano molta voglia di sentire altre notizie sul destino ultimo di Malinor.
Bryce sentiva crescere dentro di sé l’inquietudine. Ogni giorno che passava temeva che il suo fosse un viaggio inutile. Aveva tradito suo padre e l’alleanza per niente. E se Vyncent era morto insieme agli altri difensori della città…
Cercò di scacciare quel pensiero e di concentrarsi sui problemi che avevano.
“Ci serve acqua pulita e del cibo” disse.
“L’acqua la possiamo raccogliere dal fiume.”
“Non mi fiderei a berla adesso.”
“Perché?”
“Ricordi quando abbiamo trovato quel guado?”
Brun impallidì.
Era stato tre giorni prima. Cercavano un punto per attraversare il fiume ed erano saliti a monte per una decina di miglia. Mentre risalivano la corrente si erano imbattuti nei primi cadaveri. Erano così malconci che era difficile dire se fossero giovani o anziani. Solo dai vestiti era possibile capire se fossero uomini o donne.
Una donna stringeva ancora al petto un fagotto di cenci che Bryce non ebbe il coraggio di spostare. Un vecchio sedeva sotto un albero con la schiena appoggiata al tronco. Sembrava dormisse, tanto era serena la sua espressione.
“Di cosa sono morti?” chiese Brun.
“Stenti. Fatica. Malattie. Semplice dolore per quello che hanno perso. Non avevano più voglia di vivere.”
“Come si può morire se non si ha più la volontà di vivere?”
Io ne so qualcosa, si disse.
La maggior parte dei corpi era ammassata vicino al corso d’acqua. Erano così tanti che giacevano riversi nell’acqua che scorreva pigra a monte di quella zona.
Brun era smontato da cavallo e si era avvicinato all’acqua con la borraccia.
“Che cosa credi di fare con quella?” chiese Bryce.
“Ci serve acqua. La stiamo finendo.”
“Non vorrai berla, spero.”
“Certo che la voglio bere” esclamò.
“Se fossi in te ci penserei bene prima di farlo. Potrebbe essere infetta. Quei morti sono lì da giorni.”
Brun esitò. “Non ci avevo pensato.”
“Risaliamo per qualche altro miglio e cerchiamo un punto dove l’acqua è ancora pulita.”
Impiegarono tutto il giorno per trovare il guado e riempire le borracce con acqua fresca. Nel punto in cui attraversarono i morti erano molti di meno.
Ce ne sono così tanti, pensò.
Malinor aveva più di un milione di abitanti, forse due. Quanti erano morti in quella fuga disperata? E quanti sarebbero morti nelle Lune successive? Bryce non riusciva a darsi una risposta.
E nemmeno le importava.
L’unica cosa che contava era che Vyncent non fosse tra quei morti.
Dopo aver riempito le borracce si erano rimessi in viaggio. Brun era taciturno, immerso nei suoi pensieri. Bryce voleva distrarsi dai suoi, sempre più cupi, sul destino di Vyncent.
“Occhi Blu non sarà stato contento di sapere che mi hai fatta scappare.”
“Capirà” disse Brun. “Gli ho impedito di commettere un grosso errore.”
“L’errore sarebbe stato uccidermi? Io non lo definirei tale, ma una mossa azzeccata.”
“Sarebbe stato pur sempre un assassinio.”
“Non in guerra.”
“Marq non l’avrebbe fatto in ogni caso” disse Brun sicuro. “Non è quel tipo di persona.”
“È un rinnegato” disse Bryce.
E lo sono anche io, si disse.
“Lo so che cosa è. Ma non ne sarebbe capace.”
“Lo sai perché è diventato un rinnegato?”
Brun rimase in silenzio per qualche istante. “Lui non ne parla volentieri.”
“Ma avrai sentito qualche voce che ne parlava.”
“Cerco di non ascoltarle.”
“Sembra che abbia ucciso una madre con la figlia.”
“Non dico che non si accaduto davvero, ma non è detto che Marq ne sia responsabile.”
“Glielo hai mai chiesto?”
“No.”
“Uno con la tua abilità potrebbe smascherarlo facilmente.”
“Non l’ho fatto perché non era necessario.”
“O forse non volevi scoprire che il tuo eroe è in realtà un assassino.”
“Quello che era non ha importanza. È affar suo.”
Bryce annuì. “Deve essere bello sapere sempre se quello che ti stanno dicendo è vero o falso.”
“A volte preferirei non avere questo potere. La verità è dolorosa.”
Annuì di nuovo.
Le mura di Malinor apparvero qualche giorno dopo aver superato i boschi e le colline che circondavano la città. Bryce era stanca dei villaggi e delle fattorie abbandonate e dei piccoli gruppi di disperati che si avvicinavano con cautela quando li incrociavano lungo la via.
Ogni volta che accadeva Brun evocava la lumosfera in modo cha la vedessero, in modo da scoraggiarli.
“Non so nemmeno io perché lo faccio” disse. “Viaggiando in compagnia della strega dorata non dovrei temere nessun incontro, per quanto brutto.”
Bryce avrebbe voluto condividere il suo ottimismo. Seguendo il suo consiglio non aveva usato il potere per una decina di giorni, quando si sentiva troppo stanca dopo le ore passate in sella.
Solo negli ultimi due o tre giorni aveva provato a evocare qualche incantesimo. Aveva iniziato con la lumosfera e poi era passata ai dardi magici.
Dopo essersi assicurata che tutto andasse bene, aveva evocato la lama magica.
“Il mio primo incantesimo” disse a Brun mentre consumavano la carne secca davanti al fuoco.
Lui l’aveva guardata con timore.
“Se ti aspetti qualcosa di epico” proseguì Bryce. “Rimarrai deluso. La prima volta che ho usato la lama magica mi sono quasi staccata il braccio. Avevo sei anni e non capivo esattamente che cosa stessi facendo. A dire il vero, nemmeno ricordo come andarono esattamente le cose.” Scosse la testa. “E tu? Qual è stato il tuo primo incantesimo?”
Brun fece spallucce. “La corda magica” disse. “Un giorno ero in riva al lago. Avrò avuto dodici o tredici. Sì, lo so, ero già grande. Forse è per questo che sono un incapace.”
Bryce scosse la testa. “Non l’ho mai detto. L’età del primo incantesimo non conta molto.”
“Dicono che quelli precoci siano i più abili e forti.”
“Sono dicerie. Vuoi sapere una storia divertente?”
“Ti ascolto.”
“Mio padre una volta mi raccontò del suo primo incantesimo.”
“Tuo padre? Il re di Valonde?” Fece Brun stupito.
“Ne conosci un altro?” chiese divertita.
“Scusa, non volevo interromperti.”
Bryce non era offesa né arrabbiata. “Come volevo dirti, una volta mi raccontò del suo primo incantesimo. Fu a quattordici anni.”
“Quattordici?” esclamò Brun sorpreso. “È impossibile.” Arrossì. “Scusa. Prometto di non interromperti più.”
“Che tu ci creda o meno, uno dei più forti stregoni viventi evocò la sua prima lumosfera a quattordici anni. Mi raccontò che ne fu così sorpreso da pensare per giorni che fosse uno scherzo di Gurran. Nessuno si aspettava che mostrasse di avere dei poteri e si erano tutti rassegnati al fatto che ne fosse privo.”
“Gurran?”
“Mio zio, il suo fratello maggiore.”
“Io credevo che a Valonde il primo nato ereditasse la corona.”
“È così.”
“Ma se tuo padre aveva un fratello maggiore…” Brun si bloccò. “Credo di aver detto troppo.”
“Lo zio Gurran doveva diventare re” disse Bryce. “Ma il destino ha voluto diversamente.”
“È morto?”
Bryce annuì grave. “Combatté nella rivolta di Vulkath.”
“Ne ho sentito parlare” disse Brun.
“Il motivo per cui ti ho raccontato questa storia dovrebbe esserti chiaro.”
“C’è speranza anche per un incapace come me?”
Bryce gli sorrise. “Non sei un completo incapace. E penso di aver fatto bene a lasciarti andare, quella volta.”
“Ti sto aiutando per sdebitarmi.”
“E dopo che l’avrai fatto che cosa farai?”
“Ancora non lo so.”
“Non puoi tornare con l’orda di Malag. Non dopo aver tradito la fiducia di Marq.”
Brun si strinse nelle spalle. “Non mi chiedi niente di loro?”
Bryce si accigliò. “Se anche lo facessi, mi diresti la verità?”
“Non tradirei Marq e gli altri. Mi hanno accolto bene.”
“Quindi ho ragione io.”
“Potresti costringermi. Sono sicuro che tu abbia già recuperato tutte le tue forze e che potresti battermi facilmente.”
“Potrei, in effetti” ammise Bryce. “Ma ho anche io un debito con te.”
Brun annuì. “Questo fa di noi alleati, amici o cosa?”
“Compagi di viaggio?” suggerì Bryce.
“Bene” disse lui.
Quando si rimisero in cammino, giunsero in vista di Malinor. A prima vista la città sembrava intatta. Le mura settentrionali non sembravano in cattivo stato e c’erano persone che si muovevano vicino alle entrate. Le parve di vedere anche dei mantelli e dei cavalieri.
Ci volle un’altra mezza giornata per raggiungere l’entrata settentrionale. Da vicino l’effetto fu molto diverso. Non c’erano guardie ad accoglierli né folle o fanfare. Ricordava il suo arrivo a Malinor a bordo della nave di Donorin e poi il trionfo che le era stato tributato dopo la vittoria a Orfar.
Quei ricordi le sembravano un sogno lontano dal quale aveva faticato a svegliarsi e che ora le appariva per ciò che era davvero.
L’ingresso era crollato e massi enormi li costrinsero a un lungo giro per passare coi cavalli. Appena in città vennero aggrediti dal puzzo degli incedi ancora attivi e dall’olezzo della carne in putrefazione. Decine di cadaveri erano ancora lì dove erano caduti. Alcuni il giorno dell’attacco e altri molto più di recente a giudicare dal buono stato in cui si trovavano.
La carcassa di un cavallo si trovava proprio a ridosso dell’entrata. Qualcosa gli aveva squarciato il ventre, uccidendolo all’istante.
Si chiese a chi appartenesse quel cavallo e se fosse riuscito a lasciare la città in tempo.
Attraversarono le strade vuote in silenzio, guardandosi attorno con cautela prima di una svolta o di un passaggio ostruito dalle macerie.
Girato un angolo si imbatterono in una mezza dozzina di cadaveri che penzolavano dai rami di un albero malaticcio.
Poco più avanti una vasta zona era bruciata, radendo al suolo le case e le botteghe dei malinoriani. Lo spettacolo più strano fu la poppa di una nave che per qualche motivo si era fracassata al cento di una piazza. Disseminati per terra c’erano i poveri resti di chi doveva essersi trovato a bordo in quel momento.
“Come ci sarà arrivata qui?” chiese Brun. “Ho sentito parlare di una mareggiata che una volta affondò una ventina di navi nel porto e ne trascinò un paio fino oltre i magazzini, ma siamo ad almeno due miglia dal mare.”
Bryce sospirò e diede di sprone.
La cupola del tempio era crollata, seppellendo quelli che dovevano essersi trovati all’interno al momento dell’attacco.
Non aveva idea se qualcun fosse sopravvissuto e non le interessava. Se erano morti non poteva fare molto per loro e se erano sopravvissuti, a quest’ora dovevano essere già fuggiti.
Mentre si spostavano di strada in strada incontrarono qualche malinoriano che si aggirava come un fantasma tra i resti della città.
“Non andate da quella parte” disse una donna indicando la zona dove sorgeva la residenza dei malinor. “I soldati di Orfar catturano tutti quelli che vanno a razziare la reggia.”
“Orfar?” fece Brun.
La donna annuì. “La regina Skeli ha rivendicato per sé la città e ha mandato i suoi soldati. Uccidono tutti quelli che non ubbidiscono e portano via streghe e stregoni.”
“Dove?”
“E io che cosa ne so?” fece la donna indignata.
“Proseguiamo” disse Bryce. Sentiva dentro di sé l’urgenza di raggiungere la reggia.
“Hai sentito quella donna?”
“Io sì e tu?”
“Le sue parole erano bianche. Non stava mentendo.”
“E allora?”
“Allora potrebbe essere pericoloso andare alla reggia. Adesso. In pieno giorno.”
“Devo vedere una cosa di persona.”
“Non possiamo andarci dopo?”
“No.”
Dopo sarebbe impossibile, si disse. Ho fatto troppa strada per fermarmi proprio adesso che sono così vicina. La reggia… se c’è un posto in cui posso trovare delle risposte e sapere se lui sta bene o meno è quello. Non saprei in che altro posto cercare.
Brun scosse la testa e la seguì in silenzio.
La reggia apparve un po’ alla volta mentre si avvicinavano. E mentre ciò accadeva, Bryce sentì aumentare l’inquietudine dentro di sé.
Dei vi prego, si disse. Concedetemi almeno di vederlo un’ultima volta. Non vi chiedo troppo. Non vi ho mai chiesto niente e non vi chiederò altro per tutto il resto della mia vita.
Dietro di lei, Brun trattenne il fiato. “Che l’Unico ci aiuti. Che cosa è successo qui?”
Quella donna si sbagliava, pensò Bryce mentre smontava da cavalo e proseguiva a piedi. Qui non c’è niente da razziare. Non più.
La reggia dei malinor, l’imponente fortezza che aveva dominato la città per dieci secoli, era ridotta in macerie. Le otto torri che la sovrastavano erano crollate. Le mura che la circondavano polverizzate e il maschio che dominava tutto il complesso era spezzato a metà, i resti sparpagliati per quello che una volta era un rigoglioso giardino. Anche gli alberi e l’erba erano stati consumati dalle fiamme che dovevano aver devastato la reggia per giorni e giorni prima che tutto ciò che potessero bruciare fosse consumato.
Bryce barcollò per un paio di passi, le forze che venivano meno. Incapace di reggersi in piedi, si inginocchiò, la testa chinata in avanti e le mani raccolte nel grembo.
Solo allora si concesse di piangere.

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