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Autore: Storytime_Love    14/01/2020    0 recensioni
Varie storie, più o meno legate. Nella prima, Demoni a Natale, Magnus vorrebbe passare la più romantica delle feste con il suo Alexander ma l'arrivo di alcuni demoni rovina i piani. Il mio carceriere: Sempre in inverno i Malec rimangono bloccati in una baita rischiando la vita. Questo e altro porta il Clave a...
La frusta: Alec si trova in balia di un demone che cerca vendetta. Lord Bane: lo stregone di un universo parallelo ha sottomesso l'intera terra. Magnus vs Bane ne è il seguito. Team building: il calve organizza un weekend di gare. Liadara: Una strega sfrontata si trasferisce da Magnus. My boy: la più dolce, su un bambino molto speciale.
Tutte le storie sono stand alone anche se a volte vi sono dei rimandi.
In generale le scene più hard non sono mai troppo "esplicite"ma stuzzicano l'immaginazione. Buon divertimento!!
Genere: Fluff, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Bondage
Capitoli:
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Il mio carceriere

 

“Mai? Non sei mai andato a sciare? Nemmeno una volta?”
“Sai Magnus, non è che gli Shadowhunter facciano molte vacanze. A parte Alicante e qualche toccata e fuga con i portali non sono praticamente mai uscito da New York”.

Magnus Bane si alzò in piedi battendo la mani: “E' deciso! Domani andiamo in Svizzera”.
Alec sospirò: “Domani abbiamo la riunione del consiglio, lo sai”.
“Oh e va bene, devi sempre rovinare tutto. Facciamo sabato. Ma niente scuse!”
“Non so” tergiversò il ragazzo, “Non ho molta voglia di fare la figura dell'imbranato davanti a dozzine di bambini delle elementari...”
“Ogni tuo desiderio è un ordine! Niente bambini, anzi nessuno al mondo a parte noi”.

Sabato mattina, quando Alec suonò alla porta, Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, era pronto: giacca da snowboard a disegni geometrici bianchi, neri e giallo fluorescente con l'interno blu elettrico e pantaloni in tinta, scarponi bianchi, maschera nera e fascia per capelli multicolore.
Il ragazzo non aveva voluto farsi accompagnare a far compere perché “aveva già tutto” e ora entrò tutto fiero, con un sorriso più scintillante del solito: “Che ne dici? Non sembro già uno sciatore provetto? Il sotto era di mio padre, lo aveva lasciato all'istituto. Incredibile pensare che una volta fosse così magro!”
Indossava la solita giacca a vento nero, il berretto nero di lana a coste e un paio di improbabili pantaloni da sci elasticizzati anni '70, indovinate un po', neri anche loro. Magnus aprì la bocca per dire qualcosa ma quando Alec si voltò per farsi ammirare la richiuse subito. In fondo lui c'era vissuto negli anni '70, e anche se oggi nessuno sarebbe andato sulle piste così, quei vecchi pantaloni lo fasciavano proprio bene. Sì, sì, proprio un didietro da urlo...
“Sei perfetto! Andiamo”.
Con uno svolazzo aprì un portale nel salotto e con un unico passo si trovò davanti al suo chalet in montagna.
Alec lo seguì subito e rimase esterrefatto. Oltre alla piccola costruzione rustica non si vedeva assolutamente niente di artificale, solo neve e abeti a perdita d'occhio. E le montagne più alte e più spettacolari che avesse mai visto.
“Wow, sembra una cartolina!”
“Non male vero? Vengo qui quando ho bisogno di riflettere. O semplicemente per allontanarmi da vampiri fastidiosi e invadenti. Tutto intorno ho eretto una barriera di energia per tenere lontani i curiosi e impedire ai clienti di rintracciarmi”.
“Magnus, è fantastico! Solo non ci sono piste...”
Un battito di mani e la neve fresca sulla fiancata della montagna si appiattì come se vi fosse appena passata una schiera di gatti delle nevi.
“... ne impianti di risalita”.
“Se vuoi posso portare qui una seggiovia ma pensavo di usare i portali, molto più rapido” disse lo stregone mentre con altro rapido movimento faceva apparire due dischi di luce, uno accanto a loro, l'altro in cima alla pista.
Alec rise: “Sei matto ma ti amo! Andiamo!”
“Non ti manca qualcosa?” Un ultimo schiocco di dita e apparvero gli sci: neri con frecce d'argento per Alec, gialli fluorescenti con intarsi blu per lui.

L'inizio fu deprimente, almeno per Alec. Magnus invece si divertiva come un matto a vedere Alec a terra. Con un perfetto stile a sci uniti andava a fermarsi accanto al ragazzo, calcolando perfettamente la frenata in modo da coprirlo di neve. Dopo le prime due volte Alec decise di vendicarsi e gli tirò una manciata di neve. Si tolsero gli sci e cominciò una battaglia di palle di neve accanita e senza quartiere. Magnus adorava la risata di Alec ma come si suol dire, in guerra e in amore... Con un movimento delle dita materializzò una decina di palle di neve che andarono a colpire il ragazzo.
“Così non vale! Mi arrendo alla tua evidente superiorità bellica!”

“Al vincitore va la gloria e il trofeo” sentenziò lo stregone reclamando un bacio.
Si staccarono a corto di fiato, occhi negli occhi.
“Un premio di consolazione per lenire il dispiacere?” chiese Alec.

Quando si rimisero gli sci andò meglio, l'addestramento di Alec gli venne in aiuto: agilità, equilibrio e coordinazione erano doti essenziali per ogni Shadowhunter. Magnus si lasciava raggiungere e poi sfrecciava via. Non si sentiva così spensierato da anni.
La giornata era spettacolare, il cielo azzurro, la neve scintillante, il sole sempre più caldo. Troppo. Una lastra di neve si staccò dal picco e rovinò verso di loro.

Alec girava per la baita in preda allo sconforto.
Durante la valanga aveva avuto paura di morire. Poi aveva avuto paura che Magnus fosse morto. Erano finiti fra gli alberi, probabilmente lo stregone aveva battuto la testa contro un pino, o un abete o qualsiasi cosa fosse, e aveva perso conoscenza. Lo aveva sollevato di peso e portato a spalla fino alla baita. Per fortuna la porta non era chiusa a chiave.

L'interno era piccolo, almeno per gli standard di Magnus, ma arredato con il solito gusto scenografico e impeccabile. Di fronte all'enorme camino di pietra che faceva da padrone su un lato della stanza era sistemato un divano in velluto verde muschio con cuscini scarlatti ricamati a motivi floreali. Il tavolo da pranzo in legno dorato era affiancato da due panche rustiche, un folto tappeto color panna e due enormi dipinti ad olio creavano un'atmosfera calda e intima. Accanto al divano un mobile bar particolarmente ben fornito contrassegnava la casa come appartenente a Magnus Bane. Sulla destra Alec vide una cucina moderna ma confortevole. Restavano due porte. Aprì la più vicina, la camera da letto di Magnus.
Era incredibile. Tutta la parete di fondo era un'unica immensa vetrata che dava su chilometri e chilometri di foreste innevate che scintillavano al solo. Al centro della stanza troneggiava un enorme letto in legno coperto da piumone rosso, una moltitudine di cuscini e petali di rosa. Sul comodino, accanto alla lampada ricavata da un vecchio ramo contorto, Magnus aveva sistemato una bottiglia di champagne, due calici di cristallo e un vaso con una singola rosa bianca. Alec abbassò lo sguardo sul suo amante e la tenerezza ridivenne timore. Scostò il piumone e lo fece sdraiare. Provò a svegliarlo ma lo stregone emise un flebile gemito senza aprire gli occhi.
Alec si sedette sul bordo del letto e prese una mano di Magnus fra le sue. Era calda ma non bollente. Gli posò un bacio sulla fronte e decise di chiamare Jace: dovevano tornare a casa subito. Accese il cellulare ma non c'era campo – forse perché erano nel bel mezzo del nulla o forse per via della barriera magica. Mise la mano in tasca per prendere il suo stele ma la giacca era strappata e lo stele non c'era. Doveva averlo perso durante la slavina. Un bastoncino sepolto da qualche parte in un bosco innevato: peggio del proverbiale ago in un pagliaio.

L'uomo si svegliò con un mal di testa da record. Si guardò intorno: un letto soffice, mura di legno, mobili rustici ma di buon gusto... Niente di familiare. Dove diavolo era finito?
Si tirò a sedere ma tutto sembrò girargli attorno.

Subito un ragazzo con due fantastici occhi blu gli si avvicinò. Aveva un'espressione preoccupata: “Magnus ti sei ripreso? Dimmi, come stai? Tutto bene?”
L'uomo si concentrò. Niente. “Scusa, chi sei? E se è per questo... chi sono io?”
“Magnus, sono io, Alec, Alexander Lightwood... non mi riconosci? Oddio Magnus, dimmi che mi stai prendendo in giro...”
“No, io... no. Non ti conosco”. Fece una pausa. “Magnus? E' il mio nome?”
“Sì, certo. Sei Magnus Bane... il mio ragazzo”.
“Ragazzo? Mi dispiace ma ho veramente mal di testa, non riesco a connettere”.
“Riposati, dormi un po'... Ci sono io”.

Quando Magnus aveva ripreso conoscenza Alec aveva ringraziato l'Angelo: emergenza passata, ora potevano tornare all'istituto con un portale e chiamare un medico.
E invece...

Mentre Magnus dormiva Alec aveva finito di perlustrare la baita. L'enorme armadio in camera era quasi vuoto, c'erano solo una dozzina di pigiami dalle fogge più disparate, un paio di pantofole di peluche a forma di renna e un incongruo completo da sera con i baveri in paillette turchesi.
La porta che non aveva ancora aperto si rivelò essere il bagno. Anch'esso terminava con una parete vetrata ed era decisamente più grande del salotto. Conteneva un'immensa vasca a idromassaggio incassata nel pavimento in pietra, una doccia in cristallo trasparente grande abbastanza per due o forse anche quattro persone, un lavandino appoggiato su un lungo mobile quasi interamente ricoperto da barattoli di creme, unguenti, profumi, flaconcini di olii profumati e bottigliette di glitter colorato. A una parete erano appesi due accappatoi morbidissimi: quello rosso scuro aveva una M d'oro ricamata, quello nero una A... Alec sentì un'ondata di calore nel petto. Magnus aveva preparato tutta la casa per lui. Non riusciva ancora a capacitarsi che quell'uomo così straordinario fosse il suo ragazzo. Sperava solo che quando si fosse svegliato se ne sarebbe ricordato.

Magnus dormì per tre ore filate e quando si svegliò trovò il ragazzo bruno seduto sul suo letto a fissarlo. Fece un flebile sorriso, il loro discorso precedente era stato alquanto confuso.
“Come va? Adesso ti ricordi? Di noi voglio dire” disse Alec con evidente apprensione.

“No, io... no. Meglio se mi ripeti un po'”
Il ragazzo gli passò una mano fra i capelli.
“Ahi!”
“Hey, hai un bel bernoccolo” tentò di scherzare Alec mentre dentro di sé elencava tutte le possibilità: commozione cerebrale? Ematoma interno? Cosa poteva causare un'amnesia? Sarebbe passata da solo o poteva invece peggiorare?
“Niente di che, ho la testa dura. Credo”.
“Già, beh, vediamo... cosa ti ricordi? Sai di essere il sommo stregone di Brooklyn vero? Perché se te lo ricordi magari potresti aprire un portale così...”
“Uno stregone? Intendi come nel mago di Oz?” Poi capì: “Vuoi dire che sono un attore, faccio il mago in qualche film?” Voltò la testa verso lo specchio nell'angolo, “Sì, direi che è possibile. Sono decisamente attraente, lo charm non mi manca... ”
Alec provò a spiegare ma più parlava e più Magnus sembrava scettico. Isabelle sarebbe di certo riuscita a convincerlo, e anche Jace. Ma lui era troppo insicuro, impacciato, continuava a inciampare sulle parole.

Magnus - in mancanza di meglio si riferiva a se stesso così, ma chi diamine può credere che Magnus Bane sia un nome? - si era formato un'opinione precisa di quanto stava accadendo.
All'inizio aveva provato a dare ascolto al ragazzo ma era presto diventato ovvio che Alexander Gideon Lightwood era un povero pazzo, il che era un peccato perché era davvero un bocconcino appetitoso... Cianciava di magia, stregoni, vampiri e lupi mannari, diceva di essere un cacciatore di mostri che per pura sfortuna aveva perso la sua bacchetta magica.

Non che l'uomo avesse scordato proprio tutto, ogni tanto aveva qualche flash, come una fotografia. Ricordava una casa con soffitti alti, quadri antichi, mobili sontuosi ed eleganti. Era casa sua, ne era certo. Ricordava anche un adorabile gattino che mangiava da una ciotola d'oro. Quindi doveva essere ricco. Molto ricco.
E ricordava la sensazione di svegliarsi accanto alla persona amata - anche se non ricordava chi fosse - quindi probabilmente era sposato.
Ora si trovava in una piccola baita fra i monti, con un bernoccolo di tutto rispetto e con la sola compagnia di un ragazzo che indossava un maglione bucato! Se uno più uno fa due, era stato rapito e probabilmente a quest'ora sua moglie aveva ricevuto una richiesta di riscatto.

Quella sera Alec gli aveva messo davanti una ciotola di zuppa Campbell (orribile, sicuramente cucinare non era un suo talento) e gli aveva parlato per ore cercando di convincerlo della sua assurda storia. Ma oltre a essere delirante Alec era anche forte - nel pomeriggio Magnus l'aveva visto spaccare la legna e quei muscoli non erano lì solo per bellezza - quindi aveva deciso che la cosa più saggia fosse assecondarlo, fingere di concentrarsi e muovere le dita per “fare una magia”. Perlomeno il ragazzo aveva smesso di cercare il contatto fisico.

La mattina successiva Magnus venne svegliato dal sole fuori dalla finestra. Si alzò con uno sbadiglio e aprì la porta della camera. Alec era già vestito e gli rivolse un sorriso luminoso: “Buongiorno bella addormentata, come va la testa?”
L'uomo fece mezzo passo indietro e vide lo sguardo del ragazzo incupirsi.

“Ancora niente?”
Lui scosse la testa ma non rispose, girò su se stesso e rientrò in camera chiudendosi la porta alle spalle.
“Magnus, ti prego, parlami”.
La porta rimase chiusa. Alec poggiò la fronte contro il legno, strinse gli occhi e, in preda alla disperazione, tirò un pugno allo stipite.
Dentro la stanza Magnus indietreggiò mettendo il letto fra sé e la porta. Si chiese se il suo carceriere avesse un'arma.
Passò quasi un'ora, dal salotto non proveniva alcun suono. Magnus aprì la porta di uno spiraglio e guardò fuori. La casa sembrava deserta. Sul tavolo c'era piatto con dei biscotti e un biglietto. Sgranocchiò un frollino stantio e dispiegò il foglio: Ciao Magnus, sono andato a cercare lo stele. Torno fra un paio d'ore. Non ti preoccupare. Ti voglio bene. Alec
Magnus rabbrividì. Si guardò intorno e vide la sua tenuta da sci (adesso indossava un pigiama di flanella con fiocchi neve disegnati sopra). Si vestì in fretta e provò la maniglia senza molta speranza: sarebbe dovuto uscire da una finestra. Invece la porta era aperta. Il ragazzo era troppo sicuro di sé.
Fuori non c'era niente. Alberi, neve, cielo blu, picchi innevati ma nient'altro. Niente strada o sentiero, niente auto, niente case nemmeno in lontananza. Fin dove poteva vedere, solo natura incontaminata. Allontanarsi senza meta fra le montagne d'inverno pareva un suicidio, ma il suono del pugno sul legno della sera prima lo convinse a provare. Doveva scendere, se c'era un villaggio era a valle. Si mise in marcia fra gli alberi, zigzagando un po' nella speranza di far perdere le sue tracce.

Quando vide la porta della baita aperta Alec si rese conto di aver fatto un'errore enorme.
Mentre correva nella neve facendo appello a risorse che non pensava di avere continuava a maledirsi. Magnus era scappato. Era scappato da lui!

Per fortuna le tracce erano evidenti e ci mise poco a raggiungerlo. Magnus lo aveva sentito e aveva allungato il passo ma l'abbigliamento imbottito lo impacciava e l'allenamento da Shadowhunter aveva reso Alec agile e veloce. Prese Magnus per un braccio e lo fece voltare.
“Cosa diamine pesavi di fare?!” urlò. “Sei completamente impazzito? Dove credevi di andare?”
Alec era arrabbiato con se stesso, con la sua negligenza. Il suo unico amore aveva bisogno di aiuto e lui lo lasciava da solo. Avrebbe voluto prendersi a schiaffi da solo!
Ma questo Magnus non lo poteva sapere, vedeva solo un'esplosione di rabbia e occhi neri di tempesta. Però mentre camminavano verso la baita pensò che forse era stato troppo duro nel giudicare il ragazzo. Nonostante il suo tentativo di fuga non aveva alzato le mani su di lui. La sua rabbia pareva venata di sollievo e paura. Ma paura di cosa?

Il rimorso lacerava Alec. Più volte aveva aperto la bocca per scusarsi, spiegare, ma poi aveva scosso la testa e continuato a camminare.
Una volta alla baita si guardò intorno sperando in un'illuminazione. Lo sguardo si posò sul mobile bar. “Magnus siediti, scaldati un po', intanto preparo un paio di cocktail. Gin o whisky?”

L'uomo scosse la testa: “Sono stanco, se posso andrei a dormire”.
“Ma certo, scusa, vai pure. Buonanotte”. Magnus che rifiutava un drink, il cuore di Alec precipitò ancora più in basso. Cosa aveva combinato?
Quella sera, quando fu certo che Magnus si fosse addormentato, Alec uscì nel buio. La luna piena sembrava un portale nel cielo, i picchi in lontananza zanne appuntite. Mille demoni si ergevano fra lui e New York. In piedi nel silenzio della notte sentì una lacrima rigargli la guancia.

La mattina seguente, dopo colazione, Alec lo aveva chiuso a chiave in camera ed era uscito di nuovo. In preda allo sconforto Magnus si era lasciato cadere sul letto. Aveva scoperto che pensando a nomi di oggetti spesso vedeva qualche immagine. Libro: un polveroso tomo antico. Grattacielo: lo skyline di New York. Stelle: lui che indicava le costellazioni a qualcuno... Non erano passati neanche cinque minuti prima che il ragazzo tornasse e spalancasse la porta con un tonfo.
“Non posso!” disse con la voce alterata dal tormento interiore. “Per l'Angelo non posso lasciarti rinchiuso. Ti prego Magnus, dimmi cosa devo fare?”

Lui era stato zitto, ad aspettare.
“Io devo uscire, ma se tu scappi... là fuori non c'è niente... rischi di morire!”
“Non che mi piaccia stare rinchiuso come un pesce in un acquario” disse Magnus facendo cenno all'enorme finestra, “ma capisco il tuo punto di vista. Suppongo che se fossi al tuo posto anch'io ti chiuderei a chiave”.
Alec scosse la testa: “No, non lo faresti mai. Rinchiudere qualcuno di innocente è sbagliato, è inumano...” Si passò una mano nei capelli ribelli e riprese: “Forse non ti ricordi di me, ma io mi ricordo di te. Ti conosco e so, so, che ti te mi posso fidare. Ti prego, dammi la tua parola che non cercherai di andartene”.
Magnus aveva inclinato la testa e sorriso: “Certo. Starò qui buono, buono”.
Alec lo aveva guardato fisso per un attimo, aveva annuito, lo aveva ringraziato ed era uscito.
Era veramente stupido! Poco dopo Magnus, vestito di tutto punto, aveva aperto la porta. Eppure quello sguardo, così carico di fiducia illimitata, non lo lasciava in pace. Dannazione!
Era rientrato, si era tolto la giacca e si era seduto davanti al fuoco ad aspettare.

Mentre frugava fra la neve smossa a mani nude, Alec continuava a ripensare alla loro situazione. La baita era tagliata fuori dal mondo, prima di tornare al luogo dell'incidente aveva provato a esplorare un po' ma senza allontanarsi troppo: se gli fosse successo qualcosa, se si fosse perso o peggio, cosa sarebbe successo a Magnus?
A farlo soffrire veramente però era lo sguardo dell'uomo che amava: al posto del desiderio vedeva disprezzo, al posto della fiducia, paura. La scintilla che amava tanto sembrava sparita. Se Alec accennava all'amore che li univa lo stregone si ritraeva disgustato. Era come stare con uno sconosciuto. Con uno sconosciuto che lo odiava.

Nei giorni seguenti Alec aveva provato a risvegliare i ricordi di Magnus in ogni modo. Gli aveva parlato della prima volta che si erano visti, di come Magnus lo avesse messo in imbarazzo flirtando davanti a tutti, del demone che avevano evocato e di come lui avesse quasi fatto uccidere Jace. Aveva raccontato del loro primo bacio, del primo appuntamento, ma lo stregone aveva solo alzato gli occhi al cielo. Alec non era stupito: Magnus era così incredibilmente bello, intelligente, affascinante, poteva avere ai suoi piedi qualunque uomo, donna o fatato, perché mai avrebbe dovuto credere di aver scelto un ragazzo come lui, uno così, così... normale. Di sicuro era una fortuna che non si sarebbe ripetuta: se Magnus avesse dovuto scegliere oggi fra stare con lui o con un Galg, probabilmente avrebbe scelto il Galg.

Ogni giorno Alec usciva e stava via ore. Tornava fradicio e infreddolito, a volte sconsolato, altre arrabbiato, ma sempre senza stele. Ma i problemi non erano finiti: la baita era pensata per qualcuno in grado di imbandire la tavola con la magia e in casa non c'era praticamente nulla da mangiare. Se solo avesse avuto il suo arco, ma Magnus lo aveva convinto che nemmeno il guerriero più zelante si porta le armi sulle piste da sci. Non avrebbe dovuto dargli retta.
Dovendo razionare il cibo Alec scaldava la zuppa in scatola per Magnus e si limitava a pulire la pentola, ma si rendeva conto che nonostante l'allenamento e la resistenza degli Shadowhunter stava diventando sempre più debole.

“Magnus non so come fare. Senza stele e senza portali siamo bloccati. Le scorte stanno per finire. Devi aiutarmi o... Nemmeno tu puoi sopravvivere senza mangiare!”
“Se almeno mi dicessi da che parte è il villaggio più vicino potremmo...”
“Non lo so! Te l'ho già detto un milione di volte. Sei tu che mi hai portato qui!”
“Certo, capisco. Scusa, mi ero dimenticato”.
“Non mi credi. Non c'è niente da fare, esco di nuovo. Devo trovare lo stele. Devo”. Sulla porta si voltò indietro: “Mi raccomando, non ti muovere, fuori si gela! Ci dovrebbe essere abbastanza legna ma se aspetti un attimo te ne porto ancora un po'”
Magnus cominciava ad affezionarsi al ragazzo. Era fuori di testa, certo, ma era premuroso, arguto, divertente... e dolce. Fare il sostenuto stava diventando difficile e quando Alec rientrò con le braccia cariche di legna lo fermò: “Ormai è tardi, fra poco farà buio. Il tuo stele lo cercherai domani. Anzi, domani ti aiuto anch'io”. Meglio che stare in casa a far niente.
“Prendo una torcia. Ma grazie, se non trovo niente stasera, domani andiamo insieme”.

Parte seconda - Scambio di ruoli

 

Erano passate già tre ore. Fuori era buio pesto. Magnus cominciava a preoccuparsi. E se il ragazzo non fosse tornato? Andò in cucina per prendere qualcosa da mangiare. C'era veramente pochissimo. Un'unica scatola di zuppa, qualche biscotto, fine. Zuppa e biscotti, le stesse cose che aveva mangiato in quei giorni. Che aveva mangiato lui. Ma Alec? Lo aveva mai visto mangiare qualcosa?
Guardò fuori dalla finestra. Nulla. E se gli fosse capitato qualcosa?

Magnus frugò in tutti i cassetti. Niente da fare, non c'era una seconda torcia. Ma c'erano alcune candele. Ne accese una e mise le altre nella tasca della giacca insieme all'accendino. Aprì la porta e uscì.
Le tracce si allontanavano in salita, poi fra gli alberi. Camminò per quasi venti minuti prima di vedere il ragazzo a terra.
“Hey, forza, svegliati” lo scosse. “Dobbiamo tornare a casa!”
Per fortuna Alec lo guardò con quei meravigliosi occhi azzurri e mormorò “Magnus... sei tu...”
“Sì, sì, sono io. Adesso però alzati...”
Ma Alexander aveva chiuso gli occhi. L'altro provò a scuoterlo ancora, a chiamarlo. Poi, sentendosi un po' stupido, giocò l'ultima carta: “In piedi! Sei o non sei uno Shadowhunter?”
Vide il ragazzo riaprire gli occhi e, con uno sforzo sovrumano, tirarsi su. Metà trascinandolo e metà sorreggendolo Magnus riuscì a riportare entrambi alla baita.
Fece sdraiare Alec davanti al camino mentre con un gesto della mano faceva avvampare il fuoco ormai spento. Non se ne accorse nemmeno, occupato com'era a sfilare i vestiti bagnati al ragazzo. Aveva le membra ghiacciate, le labbra blu, rischiava l'assideramento. Prese il piumone dal letto e glielo buttò sopra poi si alzò per preparare l'ultima scatola di zuppa.
“Magnus... non andare.. non mi lasciare... no, NO!”
“Sono qui, sono qui cucciolo, non ti preoccupare, non vado da nessuna parte”. Cucciolo? Ma da dove gli era venuta?
Ma Alec continuava a dibattersi, cercando di alzarsi, in preda a chissà quale allucinazione.
L'uomo sospirò e si sdraiò accanto a lui, passandogli una mano intorno alle spalle. Subito Alec si calmò, si accostò meglio e posò la testa nell'incavo della sua spalla. Strano come quel giovane corpo gli si adattasse alla perfezione, come sembrasse naturale stare così vicini.

Verso mezzanotte il ragazzo scottava da morire e alternava momenti di incoscienza a deliri febbricitanti. Magnus era riuscito a fargli mandar giù qualche cucchiaiata di zuppa e, per la prima volta, aveva considerato seriamente la loro situazione. Finora si era appoggiato ad Alec: in fondo ci si aspetta che sia il rapitore a occuparsi del vitto e alloggio della vittima, o no? Ma adesso il gioco delle parti si era capovolto, ora era Alexander a dipendere da lui. E lui non era pronto. Non c'era niente da mangiare e nessun mezzo di trasporto, non aveva il cellulare e quello del ragazzo era scarico.
Come erano arrivati fin lì? Forse li aveva accompagnati un complice di Alec, ma chi mai avrebbe lasciato un ragazzo di diciotto vent'anni da solo con la vittima di un sequestro, senza armi, senza alcun modo per tornare a valle o per comunicare.

Troppi pezzi del puzzle non combaciavano.
Alexander emise un gemito e Magnus si avvicinò per controllarlo e cambiargli la pezza bagnata sulla fronte. Guardando quel volto pallido, stravolto dalla febbre ebbe un altro flash. Era chino sullo stesso ragazzo che, anche in quel ricordo, era malato o forse ferito, ma questa volta era lui, Magnus Bane, a pregarlo di non lasciarlo solo, di tornare a vivere. Di farlo per lui.
Quindi era vero che si conoscevano. Che una volta si erano amati. Forse si erano lasciati e il suo compagno non si era rassegnato? Forse lo aveva tramortito e portato nel bosco sperando di riaccendere una fiamma ormai spenta? Ma questo non spiegava come fossero arrivati fin lì.
E a proposito di fiamma: quando aveva acceso il camino? Proprio non ricordava... Ma ora c'erano cose più importanti a cui pensare. Alexander doveva riprendersi. Aveva mille domande da fargli ma non era solo quello: aveva bisogno di rivedere quegli occhi di cielo. E per farlo guarire doveva per prima cosa trovare da mangiare. Per chissà quale perverso meccanismo, pur non ricordando niente del suo passato, ricordava come costruire trappole artigianali da bracconaggio. Non poteva immaginare di averlo imparato in Scozia più di cento anni prima. Frugò dappertutto ma non trovò né corda né spago. Però c'era un arazzo di lana grossa che forse poteva servire al caso suo. Con pazienza passò la notte a disfarlo e prima dell'alba piazzò alcune trappole nel bosco, con un paio di biscotti sbriciolati come esca.

Intanto, all'istituto, Jace stava impazzendo. Alcuni giorni prima aveva sentito freddo e paura irradiarsi dalla sua runa parabatai. Era successo qualcosa ad Alec. Lo aveva chiamato subito ma il telefono restava muto. Aveva cercato di rintracciare Magnus ma anche lo stregone era irreperibile. La sensazione era svanita e lui si era rilassato un po' ma aveva continuato a cercare il suo migliore amico. Nessuno l'aveva visto.
Il giorno dopo Alec non era ancora tornato e Jace aveva messo in piedi una squadra di ricerca. Aveva informato Izzy e Clary, certo, ma aveva allertato anche Simon e Luke. Avevano controllato tutti i posti più probabili e molti di quelli improbabili ma i giorni passavano senza novità.

Poi la sera precedente, dopo quasi una settimana dalla sparizione di Alec, c'era stato il tracollo. Il freddo era ricomparso, ma più intenso, doloroso, e poco dopo Jace aveva cominciato a sudare e sentirsi debole. Suo fratello stava male. Molto, molto male.
Luke aveva avvertito il branco, Simon aveva chiamato Raphael, Izzy si era messa in contatto con Meliorn. Alec e Magnus parevano scomparsi dalla faccia della terra.
Jace aveva provato a trovarli usando la runa di localizzazione ma senza risultato. Rimaneva solo la runa parabatai per rintracciarlo ma Clary si era opposta fermamente: quando l'aveva usata Alec era quasi morto... Era stato proprio Magnus a tenerlo in vita. Avrebbero avvertito l'amica di Magnus, Catarina: se proprio Jace doveva rischiare che almeno chiamasse lo strega più esperta in magie di guarigione.

Alla baita Alec sembrava star meglio, la febbre era calata e lui era lucido, anche se era troppo debole per camminare, stava seduto, parlava, riusciva persino a scherzare.
Magnus si trovava sempre più spesso a gravitargli intorno. Quel ragazzo lo faceva sentire bene, completo. E poi era sexy da morire. Quando gli aveva tolto i vestiti bagnati non aveva potuto fare a meno di notare gli addominali scolpiti coperti da tatuaggi, la pancia piatta, le gambe lunghe e muscolose. Ora che il cibo non era più un problema e che lui non si sentiva più in pericolo la visione di quel corpo perfetto continuava invadere i suoi pensieri. Avrebbe voluto che la situazione fosse diversa, che si fossero conosciuti in modo normale, magari a una festa. L'avrebbe invitato fuori per un drink oppure a vedere un film. E poi forse avrebbe potuto sfiorare quelle labbra con le sue...

“Adesso basta Magnus Bane, smettila! Stai fantasticando sul tuo rapitore per la miseria! Cos'è, la sindrome di Stoccolma?” Ma per la verità quella era una versione a cui non credeva più nemmeno lui. Alexander era un bravo ragazzo, ne era certo. Come fossero finiti in quella assurda situazione però restava un mistero.

Alec aveva smesso di cercare di convincere Magnus dell'esistenza dei nascosti. Senza alcuna prova chiunque lo avrebbe preso per pazzo e lui di prove non poteva offrirne. Però le cose non andavano male, era quasi sicuro che lo stregone avesse cominciato a guardarlo con un'espressione più dolce. E qualche volta – ci avrebbe giurato – lo aveva sorpreso a lanciargli occhiatine incandescenti. Era certo che con un po' di pazienza la memoria di Magnus sarebbe tornata, pian piano i ricordi stavano riemergendo, aveva colto allusioni al gatto, ai ristoranti di New York, al giubbotto di montone di nero che avrebbe voluto avere dietro... bisognava solo aspettare. Non che la cosa gli dispiacesse: passare qualche giorno con Magnus Bane era comunque un regalo.

Poi quella sera era iniziata la tosse. Nel giro di poche ore era passata da qualche colpetto sporadico a violenti accessi che lasciavano il ragazzo senza respiro. La febbre era risalita, la testa pareva sul punto di esplodere e gli dolevano tutte le ossa come se fosse stato stritolato da un demone.

Magnus faceva tutto il possibile ma nella baita non c'era nessun medicinale. Con le erbe giuste avrebbe potuto preparare una tisana curativa, ne era certo. Aveva provato a cercare nel sottobosco intorno alla casa ma d'inverno non cresceva niente. Intanto il ragazzo continuava a peggiorare, erano passati due giorni e ora Magnus non riusciva più a svegliarlo nemmeno per farlo bere.
Il respiro rantolante era quasi una benedizione, confermava che Alec stava tenendo duro. Ormai Magnus aveva dovuto ammettere di essere perdutamente innamorato. Quel giovane perennemente spettinato aveva fatto breccia nella sua corazza, la sua dolcezza aveva spazzato via la diffidenza, e ora, prima ancora che potesse confessargli i suoi sentimenti, il destino glielo stava portando via.

Verso le due l'uomo, stremato dai giorni insonni, si appisolò con la testa sul tavolo. Si svegliò di scatto: non doveva essere passato molto tempo, il fuoco era ancora acceso. Silenzio. Era stato il silenzio a svegliarlo. Alec non respirava.
“Alexander!” Scattò in piedi e corse al letto di fortuna che aveva allestito vicino al fuoco. “Rispondimi! Non provarci nemmeno a morire! Svegliati!”
Magnus provò a fargli la respirazione bocca a bocca, il massaggio cardiaco (ma come diavolo si fa?) ma sentiva la disperazione crescere, le lacrime riempirgli gli occhi. “Alexander no, no!” Poi la rabbia prese il sopravvento. L'uomo posò le mani sul petto del ragazzo e fece appello a tutto il suo essere, alla sua essenza, al suo potere. Aveva gli occhi chiusi e non vide la luce sprigionarsi sotto i suoi palmi, però sentì il petto di Alec sussultare. Sentì la forza che fluiva da sé al ragazzo e fu assalito da un'ondata di visioni, ricordi, memorie. Alec che rideva, gli occhi scintillanti e la testa cosparsa di neve. Alec che veniva verso di lui il giorno del matrimonio, serio e risoluto. Alec forte e concentrato con l'arco teso fra le mani. Alec fra le sue braccia. Che lo baciava. Che lo trascinava in camera.
Alec che lo fissava con sguardo preoccupato: “Magnus, tutto ok? Dimmi qualcosa”.
Lo stregone si lasciò scappare una risata nervosa: “Tutto ok? Tu chiedi a me se è tutto ok? Credevo di averti perso. Credevo... Ma stai bene. Stai bene vero? Ho fatto in tempo...”
“Sto beniss...”
La risposta fu interrotta da un bacio violento, disperato.
Alec ci mise un attimo a capire: Magnus Bane era tornato. Ed era di nuovo suo. Prese il compagno per la giacca del pigiama e lo tirò a se. Finirono distesi sul letto, senza fiato, le mani che cercavano i bottoni, la pelle bollente.
Ansimante Alec si alzò su un gomito e lo guardò negli occhi da gatto: “Dimmelo ti prego, dimmi chi sei”.
“Ti accontento subito Shadowhunter: sono l'incommensurabilmente potente Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, Maestro indiscusso di Stile, nonché unico amante di Alexander Gideon Lightwood”.
Il ragazzo sorrise, il primo vero sorriso da tempo: “Mi piace questa definizione, soprattutto l'ultima parte. Ma credo che dovrai darmi una prova...”
“Vorrei, credimi, ma forse preferisci tornare all'istituto, ti staranno cercando...”
“Jace! Izzy! Staranno dando di matto. Puoi portarci direttamente lì?”
Magnus lo guardò storcendo il naso: “Mi sa che prima ci serve una doccia, e anche un cambio d'abito”. Schioccando le dita fece apparire vestiti nuovi per entrambi. Ah, la magia, che meraviglia!
“Quasi dimenticavo”, un altro piccolo movimento e Alec si ritrovò in mano il suo stele, bagnato ma intatto.
Alec sorrise: “Grazie. Adesso però la doccia che mi hai promesso”.

L'acqua scorreva lungo gli addominali di Alec, disegnando ragnatele lucenti sulle rune tatuate, le ciocche bagnate gli cadevano ribelli sulla fronte. Magnus si prese un momento per ammiralo, lasciò cadere l'asciugamano che aveva annodato intorno alla vita e si unì a lui. Alec gli lanciò un timido sorriso, fece scivolare le braccia dietro le sue spalle e lo trasse a se con una dolcezza quasi timorosa. Lo stregone gli mise una mano sulla nuca per attirarlo più vicino, l'altra scese fino all'incavo della schiena. Le loro labbra si sfiorarono liberando una scossa di elettricità magnetica, poi si unirono fameliche. La bocca di Magnus si soffermò sul collo di Alec, tracciò scie bollenti sulle sue clavicole poi tornò a salire, a reclamare il suo posto. Magnus sentì il sorriso di Alec contro le labbra ma dopo pochi secondi il suo cucciolo si scostò in cerca del bagnoschiuma.
“Adesso il dovere, ti dimentiche sempre del dovere”.

“Che ci vuoi fare, sono un ragazzaccio”.
Alec versò il bagnoschiuma e gli passò la spugna sul petto, piano, sulle spalle, poi giù lungo le gambe, fermandosi abbastanza per una carezza intima. Poi ancora su, glutei, schiena. Come faceva uno stregone ad avere un fisico così perfetto? Magnus gemeva piano e si godeva il momento: presto sarebbe venuto il suo turno. Gli prese la spugna e sorrise mentre le mani cercavano nuovi angoli da insaponare, le labbra nuovi punti da baciare.
Usciti dalla doccia Magnus gli porse l'accappatoio nero e infilò quello rosso. Per qualche tacito accordo né l'uno né l'altro avevano osato toccarli durante quei giorni disperati.
Alec passò una mano sulla A ricamata. “Ti amo, Magnus Bane”.
“Ti amo anch'io Alexander. Adesso e per sempre”.

Quando Clary irruppe nella stanza, Jace stava per attivare la runa parabatai. Catarina, in piedi al suo fianco, era pronta a intervenire in caso di emergenza. Entrambi si voltarono verso la ragazza trafelata.
“Fermi! Sono tornati! Sono qui!”

“Alec è qui? Sta bene?” saltò su Jace. “Perché se sta bene lo ammazzo!”
“Clary, tesoro, c'è anche Magnus?” intervenne Catarina.
“Sì, ci sono tutti e due. Sono all'ingresso”.
Quando arrivarono nel salone dell'istituto Izzy stava contemporaneamente abbracciando e sgridando il fratello: “Ci hai fatti preoccupare da morire. Fatti vedere, perché sei così magro?”
Clary si rifugiò fra le braccia di Magnus: “Ragazzi, cosa vi è successo, come state?”
“Bene biscottino, adesso bene”.
Jace prese Alec per un braccio: “Era Christopher? E' tornato? Vi ha fatto del male?”
“No, tranquillo, siamo solo andati a sciare”.
“A sciare? Ma la runa... So che stavi male, pensavo stessi morendo”.
“Beh, non ci sono andato lontano. E' bello rivederti, rivedervi tutti. Siamo venuti un attimo a tranquillizzarvi ma siamo veramente stanchi, credo che dovremmo andare a casa...”
“Cosa vuol dir non ci sei andato lontano?” cercò di capire Isabelle, ma venne sovrastata da Jace: “Mica vorrai sparire di nuovo con lo stregone? Starai scherzando? Casa tua è l'istituto, e da qui non ti muovi”. La tensione e la paura degli ultimi giorni avevano fatto riemergere tutti i pregiudizi che gli erano stati inculcati dalla nascita: in realtà stimava Magnus, gli stava anche simpatico, ma Alec era troppo importante, era il suo parabatai, suo fratello, il suo migliore amico.
A quelle parole sferzanti Magnus si era irrigidito ma Alec era stato più veloce e con un passo si era messo fra lui e Jace: “Lo stregone mi ha salvato la vita! E, se la cosa non ti fosse ancora chiara, il mio posto è con lui, casa mia è al suo fianco”.
Per Magnus vedere qualcuno dare una tirata d'orecchi al biondino era sempre un piacere, ma che fosse stato proprio Alec era quasi incredibile. E lo aveva fatto per difendere lui! Nessuno lo aveva mai protetto, nemmeno da bambino. Sorrise: davvero Alexander non cessava mai di stupirlo.
Ignaro di tutto Alec fece un respiro profondo e continuò: “Scusate ragazzi, non voglio litigare, sicuramente non adesso. So che vi abbiamo fatti preoccupare ma non avevamo modo di comunicare, davvero. Appena possibile vi spiegheremo con calma, però adesso, vi prego, lasciateci andare a casa. Abbiamo bisogno di stare... sì insomma... insieme”.
Mise un braccio sulle spalle del compagno e si rivolse a Catarina che era rimasta un po' in disparte: “Se per te non è un problema magari domani potresti venire a dare un'occhiata alla testa di Magnus, ha preso una bella botta”.
“Non serve, cucciolo, sto bene. Ogni ricordo è tornato al suo posto”
Alec e Catarina lo ignorarono.
“Certo sarò lì in mattinata”.
“Va bene, se serve a farvi smettere di farmi da chioccia mi farò visitare...” capitolò Magnus alzando gli occhi al cielo. Poi si rivolse all'amica: “Non troppo presto però, stanotte abbiamo da fare”.

Sdraiati fra le lenzuola, con le dita intrecciate, Alec e Magnus traevano forza l'uno dalla presenza dell'altro.
Fu lo stregone a rompere il silenzio.

“Sai, ho sempre odiato mio padre per avermi reso quello che sono. Diverso, un mostro con occhi da gatto, sempre temuto, deriso o emarginato. Avrei dato qualunque cosa per poter vivere una vita normale”. Fece una pausa, si voltò verso il ragazzo e passò un dito lungo il contorno del suo viso. “Oggi, per la prima volta, gli sono stato grato. Se non avessi avuto la mia magia ti avrei perso. Alexander, ti stavo perdendo”.
“La magia è solo una parte. Sentivo il tuo coraggio, la determinazione, la generosità”. Avrebbe voluto aggiungere l'amore ma la timidezza lo bloccò. “Io sono qui per merito tuo. Mi hai salvato la vita, ancora una volta. Sono io che... A volte mi chiedo come fai a...”
“Cosa...?”
“Sono io a essere inutile. Quando avevi bisogno di me non sono stato capace di fare niente. Siamo quasi morti di fame! Non ero lucido, riuscivo solo a pensare che non ti ricordavi di me, che senza di te, io...” Sospirò cercando le parole giuste, come poteva spiegargli ciò che significava per lui? Il desiderio di stare insieme, di conoscere ogni suo pensiero, di proteggerlo da tutto e da tutti. Ma anche l'importanza di sentirsi apprezzato e magari anche desiderato. Di vedere l'Alexander forte, agile e sicuro riflesso nei suoi occhi, ed erano occhi fantastici. Era impossibile condensare tutto in poche parole, i sentimenti che non riusciva a esprimere parvero crescere fino a fargli male al petto. “Non mi lasciare Magnus” esplose, “ti supplico, non mi lasciare mai”.
Lo stregone si appoggiò a un gomito e gli rivolse una strana occhiata e un mezzo sorriso: “Sciocco, sarebbe impossibile. Non hai ancora capito? Anche se dovessi perdere la memoria mille volte, anche se entrambi perdessimo la memoria, ci ritroveremmo sempre, e ogni volta mi innamorerei di te. Ancora... e ancora... e ancora”. Dopo ogni ancora Magnus lo baciava, baci lunghi dolci e pieni d'amore.

 

Parte 3 - Un giro di vite

 

Gli uomini e le donne entrarono in silenzio e presero posto attorno al grande tavolo in cristallo. Solo quando tutti si furono seduti Imogen Herondale si alzò in piedi.
“Bene, siamo tutti presenti. Ho convocato questa riunione perché è ora di affrontare il problema della sede di New York”.

Un uomo di mezz'età, tarchiato e leggermente sovrappeso si lasciò scappare un gemito. Gli occhi dell'inquisitrice lo incenerirono ed egli parve rimpicciolire sul suo scranno.
La donna annuì: “Pur non avendolo espresso in maniera elegante, credo che la reazione del signor Brookwell rispecchi quella di molti. New York. Sembra che tutti i problemi dell'ultimo anno nascano lì. E il motivo è semplice”.
Fece una pausa per assicurarsi di avere la totale attenzione dei membri del Conclave e riprese: “Come tutti sapete l'addestramento dei nostri giovani inizia molto presto. A dodici anni la maggior parte dei ragazzi ha ricevuto la sua prima runa ed è pronto per partecipare alle missioni più semplici. Questo fa sì che quando i giovani raggiungono il loro pieno potenziale fisico abbiano già una discreta esperienza e siano in grado di elaborare strategie, guidare missioni e gestire le emergenze. Dopo il periodo di servizio attivo, con la saggezza maturata nel tempo, molti di noi,” e fece un gesto onnicomprensivo rivolto ai presenti, “si trasferiscono ad Alicante e a lavori di maggiore responsabilità”.
“E' la tradizione e ha sempre funzionato egregiamente” intervenne una donna dall'aspetto arcigno.
“Vero. Ma non dimentichiamoci che i ragazzi degli istituti sono poco più che adolescenti. Hanno bisogno di regole chiare e disciplina, e a volte serve un giro di vite per la loro stessa sicurezza”.
Fissò lo sguardo su Maryse Lightwood: “Forse saprete che qualche giorno fa uno dei nostri più promettenti Shadowhunter ha rischiato di morire. E non in battaglia, ma a cause delle azioni sconsiderate di uno stregone. Ma peggio, ha rischiato di morire a causa dell'eccessiva fiducia che sia lui che altri giovani di quell'istituto ripongono nei nascosti!”
Mormorii di disapprovazione serpeggiarono per la sala.
“Alexander Lightwood aveva già disonorato se stesso, la sua famiglia e tutto il clave abbandonando sull'altare Lydia Branwell, la figlia di una delle più rispettate famiglie di Alicante. E lo aveva fatto per lo stesso stregone, Magnus Bane”.
I commenti si fecero più accesi e Imogen dovette picchiare il pugno sul tavolo per riportare la calma. “Silenzio prego. Silenzio!”
Fissò i membri del Conclave uno per uno prima di proseguire.
“Ma il problema non è circoscritto a Alexander. A New York sono molti i giovani che intrattengono rapporti di amicizia con i nascosti. Fra questi Isabelle Lightwood - l'altra vostra figlia, vero Maryse? - ha dimostrato un certo attaccamento per un Seelie di nome Meliorn, mentre la nuova arrivata, Clary Fairchild...”
“La figlia di Valentine!”
“Sì, proprio lei. Non solo la ragazza ha per miglior amico un vampiro, ma guarda a Lucian Greymark, un lupo mannaro, come a un padre. Il loro esempio è stato seguito da molti altri giovani che, pur in maniera meno eclatante, hanno legato con i nascosti di New York”.
Le reazioni spaziarono fra l'indignazione dei vecchi conservatori e i commenti favorevoli di alcuni membri più progressisti.
“Capisco che alcuni di voi possano non vedere problema ma vi prego di riflettere su questo: il nostro lavoro è mantenere l'ordine e la sicurezza nelle città. E' perciò necessario che non vi siano né favoritismi né legami fra chi ha il compito di imporre la legge e le persone che essi devono tenere sotto controllo”.
Il discorso dell'inquisitrice fu molto convincente e presto il Conclave giunse a una decisione unanime. Fu emanata una direttiva specifica per New York che vietava ogni relazione sentimentale fra gli Shadowhunter e i nascosti e che scoraggiava fortemente di instaurare amicizie personali con appartenenti alle altre specie.

Fu mandata Maryse Lightwood a informare i membri dell'istituto. Quando tutti furono presenti lesse il comunicato, ripiegò il foglio con cura e aggiunse: “I vostri telefono privati sono stati schermati da chiamate e messaggi provenienti da nascosti. Oggi comunicazione sarà filtrata dal centro operativo. La sanzioni per chiunque fosse sorpreso a violare il decreto saranno molto severe, e in casi estremi potranno comprendere il trasferimento ad altra sede, il rimpatrio forzato ad Alicante o addirittura la derunizzazione. Ritenetevi avvisati”.
Clary fu la prima a farsi avanti: “Maryse la prego, non è possibile! Luke è l'unico padre che io abbia mai conosciuto e Simon... Simon è diventato un vampiro per causa mia! Sono stata io ad avvicinarlo a questo mondo, a metterlo in pericolo... Ha dovuto lasciare la sua famiglia, la sua vita i suoi amici... Non posso abbandonarlo!”

“Non hai scelta mia cara. Avete esagerato e ora tutto l'istituto ne paga le conseguenze.”
Poi si rivolse all'assemblea in attesa: “Potete andare. Alec, Isabelle e tu Clary, restate”.
Jace aveva messo un braccio attorno alle spalle di Clary e non accennava a muoversi.
“Jace, anche tu” ordinò la donna indicando la porta.
Il ragazzo fece per protestare ma Clary lo spinse lievemente: “Vai. Ci vediamo dopo”.

Quando furono soli Maryse li guardò uno ad uno: “Vi renderete conto che questo provvedimento si è reso necessario a causa vostra, per via dei vostri legami con i nascosti”.
“I nascosti, come li chiami tu, sono nostri alleati” saltò su Isabelle. “Senza di loro non avremmo mai fermato Valentine né...”

“Silenzio! Noi siamo qui per controllare i demoni e supervisionare la attività delle razze inferiori. E' il nostro compito e voi lo state compromettendo”. Prese un bel respiro e continuò: “Avrete modo di rifletterci a lungo poiché per voi la situazione è un po' differente. Non vi è permesso uscire dall'istituto né avere alcun contatto con i nascosti se non durate le missioni. Missioni che dovranno essere approvate da me”.
Alec guardò sua madre, la determinazione gli illuminava lo sguardo di riflessi d'acciaio: “Devo andare da Magnus. Devo parlargli, subito”.
“Assolutamente no. Tutti i nascosti verranno informati a tempo debito. Tu in particolare non dovrai più vedere Magnus Bane”. Poi addolcì la voce guardando il figlio: “Ti ha quasi ucciso”.
Facendo appello a tutta la sua pazienza Alec cercò di mantenere il tono neutro: “Mamma, ti ho già spiegato...”
“Sì, mi hai spiegato. Mi hai spiegato che Magnus ti ha portato in un posto isolato, da cui era impossibile tornare senza il suo aiuto e dove nessuno poteva rintracciarvi. E dove sei quasi morto. Dovrei forse ringraziarlo? Ma ora basta discutere! Gli ordini sono ordini: attenetevici. Conoscete le conseguenze”.
Detto questo girò sui tacchi e si allontanò senza voltarsi indietro.

Clary scoppiò in lacrime e Jace, che era rientrato appena aveva visto uscire Maryse, corse ad abbracciarla.
“Vedrai che non durerà, appena si saranno calmati un po' allenteranno la presa”.

“Ma Simon... è tutta colpa mia. Come farà...”
“Simon è in gamba”, rispose Jace. “Ma non ditegli che l'ho detto: negherò tutto. E poi c'è Luke con lui. Se la caverà alla grande, vedrai”.
Clary si asciugò lacrime e fece un mezzo sorriso.
Isabelle intanto camminava avanti e indietro furiosa: “Come osano! Ci hanno messi in castigo come bambini! Non possiamo uscire di casa? Ma stiamo scherzando? Vado dove mi pare e mi vedo con chi voglio. Mamma non si è mai curata di noi e ora...”
Alec era immobile, distante, immerso in chissà quali pensieri e Jace si trovò a dover ricoprire la scomoda, e per lui inusuale, posizione di paciere del gruppo: “Izzy devi calmarti, ragionare. Ora il Conclave è sul piedi di guerra, cercano qualcuno da usare come esempio. Non dargli questa soddisfazione”.
Clary si era ripresa e annuì: “Dobbiamo aspettare l'occasione giusta. Simon e gli altri ci hanno sempre aiutati, presto il clave avrà bisogno di loro e allora dovranno cambiare idea”
Izzy la interrupe: “No, Clary, tu non sai come sono, come ragionano. Il Conclave userà i nascosti come ha sempre fatto. Quando gli serviranno esigerà la loro collaborazione, come se gli fosse dovuta. Come se per un nascosto rischiare la vita per i nephilim fosse un onore. Poi, passata l'emergenza, addio. Non capiscono e non capiranno mai”.
“Non è così, non possono...”
“Mi spiace piccola, ma Izzy ha ragione” la bloccò Jace. “Ho visto membri del Conclave buttare piatti e bicchieri solo perché li aveva toccati un lupo mannaro o uno stregone. Per loro non sono solo razze inferiori, sono empi” .

Ancora discutendo si diressero tutti verso la sala comune, solo Alec rimase in piedi da solo a fissare il vuoto.

 

Parte 4 -Non ho scelta

Ormai Jace e gli altri uscivano quasi unicamente per lavoro e limitavano il più possibile i contatti con tutti i nascosti.
Isabelle, Clary e Alec erano praticamente agli arresti domiciliari. Maryse non li aveva persi di vista un attimo e non aveva autorizzato nessuna loro missione.

Passata la rabbia iniziale le ragazze si erano rassegnate alla vita in istituto. La storia di Isabelle con Meliorn era finita da un pezzo e Raphael, di cui il Conclave non sapeva niente... beh, forse era un bene che non potesse incontralo. Clary, finiti gli allenamenti, passava il suo tempo scrivendo lettere chilometriche a Simon, dipingendo o chiacchierando con Jace.
Chi non riusciva a riprendersi era Alec. Senza la scintilla di Magnus a illuminarlo, il mondo sembrava coperto da una ragnatela polverosa. Si era buttato sul lavoro per tenere la mente occupata, seguiva ogni caso come se ne andasse della sua vita, era perennemente in contatto con Jace pronto a fornirgli aggiornamenti o informazioni utili e la sera si allenava fino allo stremo delle forze nella speranza di stancarsi abbastanza per riuscire a dormire. Ma appena chiudeva gli occhi i ricordi dei momenti passati con Magnus lo assalivano impedendogli di riposare.
Durante le prime settimane aveva combattuto. All'insaputa degli amici ogni giorno chiedeva colloquio a sua madre o si recava dall'inquisitrice, presentava prove dell'affidabilità di Magnus e degli altri nascosti, citava precedenti che aveva trovato spulciando vecchi libri polverosi e diari dimenticati. Sempre senza ottenere niente. Imogen Herondale aveva messo in chiaro che, se anche un giorno il Conclave avesse deciso di allentare il divieto, avrebbe tollerato solo normali amicizie con i nascosti: mai e poi mai avrebbero permesso a uno Shadowhunter di frequentare uno stregone. A quel punto la donna aveva rabbrividito disgustata e aveva aggiunto: “Avresti dovuto sposare Lydia quando potevi, adesso è tardi. Per il tuo bene, farai meglio a rassegnarti”.
Da quel giorno aveva smesso di riceverlo.

Essendo l'unico del gruppo che poteva uscire liberamente dall'istituto, Jace faceva da corriere per le lettere che si scambiavano Clary e Simon, a volte incontrando direttamente il vampiro, altre usando Maya come intermediaria.
Prima di uscire chiedeva sempre anche ad Alec se avesse un messaggio per Magnus ma l'amico scuoteva la testa: “No, lascia stare, non saprei cosa scrivere”. Poi un giorno aveva strappato un pezzo di carta e scarabocchiato qualcosa, lo aveva piegato in due e glielo aveva consegnato. “Solo questo... se lo vedi dagli questo”.

Jace aveva guardato il fratello e a un suo cenno d'assenso aveva aperto il biglietto. Vi era una sola parola: ASPETTAMI.

Magnus Bane era infuriato. La magia gli si condensò fra le mani e lui la spedì a schiantarsi contro il mobile bar, fracassando le bottiglie e proiettando schegge di vetro ovunque. Chairman Meow si era rintanato sotto il divano e lo guardava con apprensione. Quando aveva ricevuto il messaggio del clave non era riuscito a crederci: … in accordo con i principi costituenti... volto a riportare l'ordine... divieto assoluto... tutti i nascosti dovranno tassativamente... Aveva appallottolato il foglio e lo aveva ridotto in cenere. E pensare che una volta ci avrebbe riso sopra. Certo, New York gli era sempre piaciuta, ma poteva benissimo vivere altrove: il Perù era sempre una possibilità, o Milano, adorava Milano. E Tokyo in quegli ultimi anni vibrava di novità. Inoltre fra poco quei vecchi burocrati sarebbero andati in pensione, bastava aspettare. Cos'erano dieci o vent'anni per un immortale? Niente, un sospiro nel vento.
Ma ora non era più così. Ora c'era Alexander. Ogni giorno era importante, meraviglioso, imperdibile. Come osava il Conclave mettersi tra loro!
Più volte aveva chiesto sue notizie Jace ma il biondino si limitava a scuotere la testa e sospirare.
Alec stava male ma lui non riusciva a essere triste, la rabbia soffocava ogni altro sentimento. Il Conclave gliel'avrebbe pagata. Era o non era il Sommo Stregone di Brooklyn?
Per giorni aveva ipotizzato, sezionato e poi scartato varie idee, poi era arrivato il biglietto: ASPETTAMI.
Cosa diavolo voleva dire?
Quello sì, lo aveva spaventato. Alec era fatto così. Rifletteva sulle cose incessantemente, ne analizzava ogni aspetto, ogni conseguenza. E poi, quando tutto quello che si era tenuto dentro diventava troppo, faceva qualcosa di avventato. Sorrise ripensando al matrimonio, Alec era sceso dall'altare, lo aveva raggiunto in mezzo alla navata, lo aveva preso per il bavero della giacca e lo aveva baciato davanti a tutti. Era stato un primo bacio indimenticabile. Ma poi c'era la volta che aveva rischiato la vita per rintracciare Jace con la runa parabatai ed era quasi morto, e ancora, pochi giorni fa, quando era uscito al gelo di notte per cercare lo stele. No, quella singola parola vergato in fretta su un foglio di quaderno non lo tranquillizzava affatto. Era ora di agire, prima che Alec facesse qualcosa di stupido.

I messaggi di fuoco di Magnus raggiunsero i più influenti nascosti di New York. La mattina dopo si presentarono tutti alla sua porta, senza eccezioni: vampiri, stregoni, lupi mannari, goblin, folletti, persino la regina dei seelie.
Magnus li accolse con un sorriso e dei drink. Una volta che tutti si furono accomodati cambiò tono.

“Tutti noi pensavamo di aver fatto un passo avanti. Che finalmente, dopo secoli, il clave avesse cominciato a considerarci, se non loro pari, almeno alleati degni di rispetto. E ora questo. Sapete a cosa ha portato la divisione delle razze nell'Europa degli anni '40? Ma noi non staremo a guardare. Non possiamo lasciare che ci trattino come paria!”
Luke, facile a infiammarsi, fu subito dalla sua parte: “Il branco non può tollerare un simile trattamento! Dobbiamo fermarli!”
“A cuccia lupo, non siamo in grado di portare avanti una guerra contro i nephilim e lo sai. Il tuo branco finirebbe sterminato. La mia congrega non si unirà alla battaglia” sentenziò Raphael.
La regina Seelie sorrise: “Conosco Magnus da tempo. Non è così avventato”. Poi si rivolse allo stregone: “Dicci cos'hai in mente”.
“Sua altezza ha ragione, così come ha ragione Raphael. La guerra aperta sarebbe un suicidio. Ma ha ragione anche Lucian: dobbiamo fermarli e dobbiamo farlo ora, prima che la situazione ci sfugga di mano”.
“E quindi?”
“Semplice: resistenza passiva. Se siamo collaboriamo tutti potremo forzargli la mano”.
Raphael si era fatto attento: “Esattamente cosa intendi?”
“Semplice. Non li aiuteremo più, smetteremo di essere al loro servizio. Basta portali, basta pozioni o contro-incantesimi. Non forniremo nessuna informazione, non parteciperemo a nessuna riunione e non risponderemo a nessuna domanda. In nessun caso. Finora ci hanno tenuti in scacco perché non siamo mai riusciti a trovare un accordo fra noi, ma oggi è diverso. Se un nascosto verrà minacciato gli Shadowhunters si troveranno davanti un fronte unito”.
Simon rise: “Grande! Funzionerà di certo! Ho sempre detto che sei un figo!”
“Un figo... Suppongo di doverlo prendere come un complimento” disse Magnus.
“Noi siamo con te” asserì Luke.
“Non si sono mai resi conto della nostra forza. E' ora che imparino la lezione. I seelie approvano la proposta”.
Anche Raphael annuì: “Può andare. Lo faremo”.
Magnus sorrise compiaciuto. Non aveva idea di cosa stesse accadendo in quel preciso momento ad Alicante.

Alec fu fatto entrare nella stanza. Attorno al tavolo di cristallo il Conclave era già riunito.
“Ebbene? Spero tu non ci abbia fatto perdere tempo prezioso per lamentarti ancora una volta delle nuove direttive, perché in tal caso...”

“No. Niente del genere”. Alec fece un respiro profondo. “Sono qui per chiedere formalmente che mi vengano cancellate le rune”.
Maryse si alzò di scatto: “Alexander, sei impazzito?”
Anche gli altri erano rimasti a bocca aperta: mai, da quando erano stati creati i nephilim, uno Shadowhunter aveva intenzionalmente rinunciato al suo status. Le derunizzazione era la punizione suprema, il massimo disonore.
“Alexander Lightwood, forse non ti rendi conto di cosa stai dicendo. Cosa comporti esattamente quello che chiedi” disse Imogen Herondale con voce dura. “Non solo non avrai più i poteri delle rune, ma non potrai più entrare nell'istituto o venire ad Alicante. Sarai bandito per sempre dalla nostra società”.
Alec annuì: “Non ho scelta”.
“Benissimo. Se questa è la tua decisione, presentati fra una settimana. Convocherò i fratelli silenti”.
“Imogen ti prego, non puoi, mio figlio...”
“Seduta Maryse. Tuo figlio ha deciso”.

Nei giorni seguenti Izzy notò che suo fratello era più taciturno del solito. Una sera, a cena, decise che era ora di chiarire: “Hey Alec. Cosa ti rode? Dillo alla tua sorellina”.
Lui alzò lo sguardo dal piatto che non aveva toccato: “Niente di nuovo. Il solito”.
“Non mi freghi, ti conosco da quando sono nata, sai? E' da lunedì che sei più strano del solito. Ti fermi imbambolato a fissare stanze vuote, non parli, non ti sei neppure allenato...”
“Non ne avevo voglia, è vietato anche prendersi un paio di giorni di pausa?”
“Siamo solo preoccupati per te, non tagliarci fuori” disse Clary sporgendosi in avanti.
Jace guardò le ragazze poi di nuovo Alec: “Se c'è qualcosa che ti rode, sputa il rospo”.
“Beh, suppongo che tanto prima o poi avrei dovuto dirvelo comunque... Me ne vado”.
Attorno al tavolo calò il silenzio.
“Lasci New York?” chiese Clary. “Chissà, forse è la scelta giusta. Ricominciare da capo intendo. Ma dove pensi di andare?”
“E' una pazzia! Hai già chiesto il trasferimento? Si può ancora annullare” saltò su Izzy.
Jace lesse la determinazione nei suoi occhi e annuì: “Siamo parabati, legati per sempre. Dove vai tu vado anch'io. Clary?”
Alec alzò una mano: “No, calma! Non lascio New York, lascio solo l'istituto. Pensavo di trasferirmi da Magnus per un po'”.
Isabelle guardò il fratello come se gli fossero spuntate le corna: “Credi che te lo lasceranno fare? Ma non li hai sentiti? Se metti il naso fuori dall'istituto finisci come minimo in Siberia!”
“Provare a rivedere Magnus, poi, vorrebbe dire...” Jace si bloccò. “Alec dimmi che non è vero. Dimmi che non ci stai neppure pensando!”
Le ragazze lo guardarono confuse ma Jace le ignorò: “Sei fuori di testa? Lasceresti tutto per lui? Tutto quello che sei? Tutto quello che siamo!” Si voltò verso Izzy: “Spiegaglielo tu! L'istituto è la nostra vita, siamo nati per essere Shadowhunters, soldati, guerrieri, lui non può...”
Isabelle cominciava a capire e si girò lentamente verso il fratello in cerca di una conferma. O meglio, di una smentita.
Lui la guardò e sorrise tristemente: “Non posso fare altro”.
“Jace, non ho capito, cosa sta succedendo?” chiese Clary.
“Succede che questo cretino vuole farsi togliere le rune. Abbandonarci per sempre”.
Clary si portò una mano alla bocca: “Ma... ma non può... Io ho vissuto da mondana per tutta la vita eppure oggi non riuscirei a tornare indietro. Ho sempre sentito un vuoto dentro, sempre. Essere una Shadowhunter mi ha reso intera. Alec, tu hai sempre vissuto qui, gli amici, la famiglia, i successi... tutta la tua vita è qui”:
“Non solo” le spiegò Jace. “Quando hai un parabatai gli doni una parte del tuo spirito. Senza la runa sarebbe incompleto per sempre. E io con lui”.
Alec abbassò gli occhi: “Lo so, ci ho pensato. Jace, non voglio farti soffrire, è solo pensando a te che ho tenuto duro finora. Ma tu hai Clary, le missioni, so che anche Isabelle ti starà vicino... Sei sempre stato il più forte: ce la farai”.
“Non è per me che mi preoccupo!”
Alec si alzò in piedi e quasi gridò: “Ma non capite? Il vuoto che ho dentro adesso è mille volte peggio di qualsiasi altra cosa! Così non riesco a vivere. Non posso!” Poi si calmò e con voce bassa e stanca aggiunse: “Nemmeno per te Jace. Mi dispiace”.
“Il biglietto... Aspettami. Voleva dire questo? Avevi già deciso?”
Alec annuì: “La legge vale per gli Shadowhunter. Finché resto uno Shadowhunter avranno il potere di esiliarmi, rinchiudermi, qualsiasi cosa, ma se non lo sono più non avranno più alcun potere”.
“Magnus lo sa?” intervenne Isabelle.
“No. E vi prego di non dirglielo. Lui... Ma per me è davvero l'unica scelta possibile”.

Ad Alicante l'atmosfera era tesa. L'iniziativa di Magnus si era fatta notare e creava non pochi problemi. Per l'inquisitrice era diventata una questione di principio. Cedere ai nascosti avrebbe voluto dire perdere potere, influenza, credibilità. Nei confronti delle razze inferiori, delle giovani leve ma soprattutto degli altri membri del clave. Ma alcuni membri del Conclave cominciavano a dubitare della decisione presa.
A New York c'erano alcuni covi di vampiri fuori controllo, nessuna novità, solo che questa volta nessuno sapeva dove si ritrovassero né da dove venissero. Nessuno aveva visto niente.
Le missioni più semplici si complicavano. Nessuno violava gli accordi, ma spesso i cacciatori scoprivano che qualche mannaro aveva inavvertitamente cancellato le tracce che stavano seguendo o che il demone che inseguivano era in realtà un mutaforme burlone.
I seelie agivano in maniera diversa. La regina aveva dato ordine che rispondessero ad ogni domanda degli Shadowhunters nella maniera più ambigua possibile. Non potendo mentire avevano sviluppato un rara abilità nel rigirare la realtà e dare risposte facilmente malinterpretabili.
In più, ogni volta che serviva un portale o un incantesimo, per quanto piccolo, diventava sempre più difficile ottenerlo. La resistenza aveva valicato i confini di stato, molti stregoni si erano convinti che presto la politica il clave avrebbe segregato tutti i nascosti, e sempre più numerosi avevano aderito alla politica di non cooperazione.
Si rischiava una guerra, sostenevano i detrattori di Imogen Herondale, e per che cosa? Un paio di ragazzini che volevano rotolarsi nel fango con i nascosti? Che facessero pure, crescendo gli sarebbe passata.

Jace, Isabelle e Clary ne discutevano da ore ma alla fine avevano deciso. L'unico che poteva far cambiare idea ad Alec era Magnus. Epoi, aveva il diritto di sapere.
Andò Jace: era l'unico che potesse uscire indisturbato dall'istituto.

Quando Magnus aprì la porta il ragazzo rimase stupito dal suo abbigliamento. Aveva visto lo stregone indossare smoking con le paillette, pantofole di peluche a coniglio e persino una giacca interamente fatta di specchietti ma mai lo avrebbe immaginato in pelle nera, borchie e maglietta militare (seppur con strappi fatti ad arte).
Magnus seguì il suo sguardo: “Oh, questo? Ho appena partecipato a un piccolo consiglio di guerra, niente di che”.
Velocemente Jace spiegò il piano di Alec e fu lieto di vedere lo stregone rabbuiarsi. Aveva temuto che Magnus approfittasse dell'occasione per avere Alec tutto per sé.
“Appena ho letto quel biglietto ho capito che avrebbe fatto qualcosa di stupido” sentenziò Magnus. “Dovete fermarlo. Il clave cederà ma abbiamo bisogno di più tempo”.
“Abbiamo?”
“I nascosti. Non penso ti sia sfuggito che nessuno collabora più con voi Shadowhunter... serve solo più tempo, alla prima vera emergenza il Conclave dovrà scendere a patti”.
“Vampiri e lupi mannari che lavorano insieme, non ne avevo idea. Pensavo fossero solo, non so, offesi”.
“Beh, almeno i muscoli non ti mancano...” mormorò Magnus.
Jace fece finta di non aver sentito: “Comunque quanto al tempo, beh, non ne avete. Alec andrà dai fratelli silenti lunedì”.
“Avete aspettato che mancassero due giorni per dirmelo?! Cosa credete, che io faccia magie?” Alzò le spalle: “Cosa che in effetti faccio, e anche piuttosto bene, aggiungerei...”
“Ce l'ha detto solo oggi. L'ho lasciato che riempiva un paio di scatoloni con le sue cose”.
Magnus prese a camminare per il salotto, facendo rimbalzare una piccola sfera crepitante da una mano all'altra. “Più pressione” disse comprimendo la sfera. “Serve molta più pressione”.
“Vuoi parlargli tu? Credi che ti starà a sentire?”
“Chi Alexander? No, certo che no. Quando decide qualcosa è testardo come un mulo. E se pensa di proteggere qualcuno non lo smuoverebbe nemmeno un titano. No, mi riferivo del clave. E con quella gente la logica non serve. Dai retta a me, ho conosciuto la mia dose di dittatori”.
Parlarono a lungo e alla fine della serata nessuno dei due era soddisfatto. Il piano era azzardato, Jace era disposto a rischiare e sapeva che lo stesso valeva per gli altri, ma si trattava di giocarsi il tutto per tutto all'ultimo momento. Se non avesse funzionato...

Lunedì mattina, alle prime luci dell'alba, Alec guardò la sua stanza per l'ultima volta. Era esattamente come l'aveva trovata quando si era trasferito lì da bambino, non l'aveva mai personalizzata, non c'era niente di cui avrebbe potuto sentire la mancanza. Casa sua era nell'attico di Magnus, solo lì si sentiva in pace e riusciva davvero a rilassarsi. E di sicuro dormiva meglio accanto a Magnus che in quel letto freddo e vuoto. Raddrizzò le spalle e uscì.

In piedi, davanti alla porta della sala riunioni di Alicante, Alec estrasse il suo stele. Un'altra ultima volta. Cos'era senza? Inutile, ecco cos'era, ne aveva avuto la prova in montagna. Ma Magnus valeva questo e altro.
Senza esitazione abbassò la maniglia ed entrò.

Il Conclave era già riunito e dietro di loro stava una figura solitaria, un uomo alto, magro, vestito unicamente di una tunica incolore con il cappuccio che nascondeva tutto il viso tranne le labbra cucite.
Il Console si alzò in piedi: “Alexander Gideon Lightwood, consapevole delle conseguenze e senza alcuna coercizione, hai liberamente deciso di spogliarti delle rune che ti rendono uno Shadowhunter?”
Alexander fissò l'uomo dritto negli occhi: “Voi mi ci avete costretto, privandomi della libertà che è diritto di ognuno. Io ho scelto di non sottostare ai vostri soprusi. Quindi sì, ho deciso”.
L'uomo si guardò intorno, le espressioni dei presenti erano divise, le fazioni si facevano sempre più definite. Fu Imogen a prendere la parola: “Bene. Togliti la maglia”.
Con un unico movimento fluido Alec si sfilò la maglietta nera e la lasciò cadere a terra. I tatuaggi che lo marchiavano come uno Shadowhunter erano solcati da innumerevoli cicatrici a testimonianza delle battaglie combattute per difendere il mondo dai demoni.
Il fratello silente si avvicinò, alzò il suo stele e in quel momento le porte si spalancarono di colpo.
Magnus, elegantissimo nel suo tuxedo preferito, fece un piccolo gesto di saluto ad Alec, un cenno con la testa in direzione di Maryse e, superando il ragazzo, avanzò verso il centro della sala.
“Come ha fatto a entrare! Fuori di qui! Portatelo subito fuori di qui!” gridò l'inquisitrice balzando in piedi.
Con un singolo movimento quasi noncurante Magnus fece apparire una cortina magica fra sé e il Conclave.
“Come ho fatto? Da sempre i nephilim si avvalgono dei migliori stregoni per innalzare le loro barriere. E da sempre, il migliore sono io” disse facendo un inchino. “Ma, come certo indovinerete, non sono qui per vantarmi...”
“Magnus basta, vattene finché puoi” bisbigliò Alec cercando di non farsi sentire dai membri del clave.
Lo stregone si voltò un attimo: “Ssh cucciolo, non ti preoccupare e lasciami lavorare”.
Cercò di sembrare sicuro: Alexander non poteva sentire il suo cuore che batteva all'impazzata né vedere il rivolo di sudore che gli colava lungo il collo.
Ma il ragazzo conosceva Magnus, aveva imparato a distinguere quel suo modo di nascondere la tensione sotto una patina di arguzia, di mascherarla con sorrisi che non raggiungevano gli occhi e movimenti più affettati del solito. Sapeva anche che qualsiasi intromissione da parte sua avrebbe solo peggiorato la situazione: uno stregone che irrompe ad una riunione del Conclave rischia l'arresto e quella barriera poteva essere vista come un atto di guerra.

“Ebbene” riprese lo stregone rivolto all'assemblea, “pare che qui vi sia un piccolo problema. Per l'esattezza direi un eccesso di intolleranza e sete di dominio. Ma di chi, mi chiedo? E perché?” Fece spaziare lo sguardo sulle persone riunite e lo puntò su Imogen.
“La legge è severa ma è la legge. E la nuova legge stabilisce...”

“Ah sì, la nuova legge. Una legge che priva i giovani della propria libertà, che discrimina i nascosti rendendoli legalmente indegni. Una legge che sembra fatta apposta per fomentare una rivolta. E' questo che volete? Una guerra contro stregoni, vampiri, fatati e mannari, per una volta uniti contro un nemico comune?”
Intorno al tavolo nessuno fiatava. “Ma non solo”. Magnus si volse un attimo verso Alec poi tornò a guardare il Conclave. “Cancellando le rune di Alexander Lightwood, privandolo del suo diritto di nascita, voi create un martire. Un simbolo per altri giovani come lui, giovani che hanno combattuto contro Valentine, che hanno imparato quanto è pericoloso considerarsi superiori, quanto è facile che questo sentimento sfugga di mano e si trasformi in odio. Davvero siete pronti a questo?”
Come in risposta a un segnale sulla porta apparvero un decina di giovani Shadowhunter. Jace, Isabelle e Clary formavano la punta, dietro di loro Lydia Branwell, Andrew Underhill e parecchi altri. Non dissero niente, fermi, in silenzio dimostravano la loro solidarietà.
Magnus alzò un sopracciglio: “Allora, cosa vogliamo fare?”
“Io non... Forse...” il Console balbettava, la prospettiva di una guerra sembrava sempre più probabile e sempre più assurda.
“Ci sarebbero centinaia di morti” disse qualcuno.
“Non alzerò le armi contro mia figlia” sentenziò il signor Branwell.
“Abbiamo già perso troppi uomini a causa di Valentine”.
“Che scopino con chi gli pare, qualche fatina ce la siamo fatta tutti” fu il commento di un uomo dalle guance rubizze e la voce tonante.
Magnus gli strizzò l'occhio mentre Imogen Herondale lo fulminava con lo sguardo. La donna cercò di prendere la parola ma il Console aveva ritrovato la sua sicurezza e la prevenne: “Silenzio! Non una parola: direi che ha già fatto abbastanza danni”.
Poi si rivolse al Conclave: “Propongo di abrogare seduta stante il decreto riguardante l'istituto di New York, in attesa di poterlo ridiscutere con calma. Qualcuno è contrario?”
Prima ancora di sentire le risposte Isabelle era saltata al collo di Jace gridando: “Ce l'abbiamo fatta!”
Clary batteva le mani e Underhill dispensava pacche sulle spalle a tutti.
Quando tutti si furono calmati un po' Magnus si schiarì la voce. “E per quanto riguarda Alexander?” chiese.
“Portatevelo via, sparite dalla mia vista” tuonò il Console, ma un sorriso gli incurvava le labbra. Quella dimostrazione di amicizia e solidarietà aveva smosso qualcosa che credeva morto da tempo.
Magnus raccolse la maglietta da terra e la porse ad Alec. Adorava vederlo senza vestiti, ma non era qualcosa che desiderasse condividere.
“Andiamo” disse prendendolo sotto braccio, “siamo stati qui fin troppo”.

 

   
 
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