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Autore: Mirae    15/01/2020    2 recensioni
«È vero... è tutto vero», erano state le sue parole prima di andarsene e lasciarlo in quel luogo da solo, ma solo quando si era specchiato e si era visto nel frammento del vetro aveva compreso: era tornato il mostro di sempre.
Non l’aveva trovata nell’attico e quando era giunto in centrale, lei non c’era e lui aveva perso tempo a cercare di recuperare le piume insanguinate che la signorina Lopez aveva raccolto sul luogo della sparatoria, dove lui aveva ucciso Caino e provocato la morte dei suoi complici. E poi... poi aveva perso altro tempo prezioso andando a piagnucolare da Linda, sperando in qualche suo utile consiglio: dopotutto, non era solo la sua terapista, ma era anche amica di Chloe.
Era stata tutta colpa della sua indecisione se lei era fuggita a Roma, dove aveva incontrato quel ciarlatano di padre Kinley. Era stata tutta colpa sua se Charlie era stato rapito da un’orda di demoni disobbedienti e ora Amenadiel e Linda l’avrebbero odiato per l’eternità. Sì, era tutta colpa sua e per questo meritava di sedere su quel trono.
-EPILOGO ALTERNATIVO-
Genere: Sovrannaturale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ci sei quasi, Diavolo

 

L’uomo uscì dal camerino aggiustandosi i polsini della camicia: il sesso clandestino era più appagante di quello consumato in camera da letto; inoltre, le ragazze della Filarmonica erano così accecate dalla possibilità di far carriera, che erano disposte ad assecondare i suoi più torbidi desideri, a differenza della moglie che, ormai, pareva andare avanti solo per forza d’inerzia. Ingurgitò una pillola, poi si diresse verso un altro camerino: Rebecca era fantastica, certo, con la vita non esageratamente strizzata come nella maggior parte delle sue coetanee venticinquenni, ma con quel tanto di carne che bastava perché lui potesse mordicchiare e pizzicare come più preferiva, tuttavia i lobi delle orecchie erano così piccoli che faticava a morderli, così come i seni, i quali, pur essendo sodi, erano troppo piccoli per i suoi gusti e anche se sapeva dargli piacere, trovava che Jade fosse il suo completamento. Chissà se avrebbero mai accettato un rapporto a tre?

Intanto, Rebecca si rivestì e si guardò allo specchio: quel porco le aveva lasciato un succhiotto sul collo e per nasconderlo avrebbe dovuto usare quintali di correttore. Prima, però, aveva urgenza di togliersi lo sperma appicicoso che le era colato sulle gambe. Mentre si insaponava, si ritrovò a pensare per l’ennesima volta alla propria famiglia e alla probabile reazione dei suoi genitori alla scoperta di essere diventati nonni di una bambina nata fuori dal matrimonio: a lei avevano dato il nome di una che aveva partorito a sessant’anni e, invece, si era ritrovata madre ad appena vent’anni, lontana quasi tre mila miglia da casa. Selina, così l’aveva chiamata, aveva la pelle bianchissima – più della sua – e occhi e capelli scuri come quelli del padre: l’aveva colpita così tanto quel contrasto che non ci aveva pensato un attimo a sostituire il nome che aveva scelto in un primo momento – Katharina, come sua madre – con quello dell’antica dea lunare. Come a voler cancellare quei pensieri, chiuse il getto dell’acqua con uno scatto delle mani e si asciugò in fretta con l’accappatoio: erano quasi le diciannove e aveva prenotato la baby sitter fino alle venti: per fortuna, non abitava lontano dal teatro, ma, visto che come al solito era a piedi, avrebbe dovuto affrettarsi, se non voleva pagare gli straordinari alla ragazza.

Come al solito, appena uscita in strada, venne investita dall’alta temperatura e dalla fiumana di gente eterogenea che camminava in tutte le direzioni e in cui si mescolavano gli abitanti e i turisti: alcuni erano vestiti in modo quasi elegante, mentre altri sembrava avessero allungato una mano nell’armadio a occhi chiusi.

«Hey, bella, hai da accendere?» Le chiese una voce alle sue spalle.

La ragazza si immobilizzò, il sangue che si rifiutava di circolare nelle vene. Aveva dimenticato quella voce e aaveva sperato che anche lui si fosse dimenticato di lei e del loro patto. Deglutì a vuoto, poi, cercando di riportare il respiro a un livello normale, trovò la forza di guardarsi attorno: la via era trafficata, non correva alcun pericolo.

«Non fumo», gli rispose, riprendendo a camminare, senza voltarsi.

«Non fumo», le fece il verso la voce, con un tono stridulo, dietro di lei.

Doveva chiamare un taxi, ma per farlo, avrebbe dovuto fermarsi e lui l’avrebbe raggiunta. No, meglio continuare a camminare fino alla fermata del bus. Se era fortunata, magari ne trovava uno appena arrivato e lei avrebbe potuto salirci, facendo perdere le proprie tracce, ma lo sconosciuto fu più veloce di lei e le prese un braccio, bloccandola e strattonandola per farla girare: «Dove credi di andare, bellezza? Non sai che è maleducazione ignorare chi ti parla?».

Una folata di sudore e alito cattivo la invase.

L’uomo allungò la mano per accarezzarla, ma lei cercò di schivarlo, schifata: «Ti piaciono le manieri forti, eh?» si umettò le labbra.

«No, lasciami», provò a divincolarsi, ma l’uomo era più forte di lei e a ogni suo strattone, sembrava che l’avvicinasse sempre di più. «Lasciami, o urlo», provò a minacciarlo.

Una donna di colore, che stava uscendo in quel momento da un negozio, vide la scena e, a differenza di tutte le altre persone che pareva stessero fingendo che non stava succedendo nulla di grave, intervenne senza pensare alle conseguenze: «Togliele subito le mani di dosso».

«E tu, chi cazzo saresti?» Con un ulteriore brusco movimento, lo sconosciuto attirò a sé Rebecca.

«Non mi ripeterò: lasciala andare. Subito».

L’uomo scoppiò a ridere: «Altrimenti?»

Senza accorgersene, si ritrovò per terra, con la punta del naso a pochi millimetri da un chewigum pestato chissà quante volte. Provò a sollevare la testa, ma era bloccata dal ginocchio della donna.

Un poliziotto, che fino a quel momento era rimasto fermo all’angolo, si avvicinò col taser in mano e lo puntò al fianco della donna.

«Tutto bene, signore?» Gli chiese, mentre la ammanettava.

«Sì, credo di sì». Si rialzò con un certo sforzo, spolverandosi la giacca di finta pelle e riaggiustandosi il logoro cappello da cow boy che gli era caduto a causa del tafferuglio con la donna.

«Dovrebbe venire in centrale per verbalizzare l’aggressione».

Lo sconosciuto guardò verso la folla, dove si era mimetizzata Rebecca.

 

§ § § § § § § § § §

 

Approfittando del bel tempo e delle temperature che stavano aumentando di giorno in giorno, Chloe cercò di convincere Lucifer che fosse arrivato il momento per Alma di fare la propria conoscenza con l’oceano.

Carter e Rokwell, però, erano ancora latitanti: «No, no, no, no. No e poi no», si oppose, spegnendo la sigaretta nel portacere di vetro posto sul pianoforte.

«Sei paranoico, Lucifer. Anche ai carcerati si concede l’ora d’aria»», Chloe era piegata sul pianoforte, appoggiandosi con le braccia.

«Sì, ma sono “protetti” da una recinzione. In filo spinato».

«Lucifer, le stai obbligando a saltare le lezioni, non le fai uscire se non accompagnate. Stai esagerando».

Espirando, Lucifer appoggiò le braccia sulla parte superiore della tastiera: «Quando mio Padre mi cacciò dalla Città d’Argento, giurai a me stesso che non mi sarei mai più interessato alla vita dei fratelli che non mi avevano appoggiato e così ho fatto per migliaia di anni, e il risultato è stato che Kristiel, per cercarmi – per cercare di ricucire il nostro rapporto – è stata uccisa». Si alzò col bicchiere vuoto in mano, per andare a riempirselo di nuovo. Ne bevve un lungo sorso, prima di continuare: «Ho fatto una promessa alla mia gemella: proteggere sua figlia a qualunque costo. Qualunque», sottolineò, rimanendo in piedi, con la schiena appoggiata al bancone.

«Privandola dalla libertà?» Lo costrinse a riflettere.

«Sì», le rispose con voce roca, staccandosi dal bancone e andandosi a sedere al pianoforte, «se è il prezzo da pagare per farla vivere».

«Ma questa non è vita, Lucifer!» Cercò ancora di farlo ragionare.

«Ho preso la mia decisione», iniziò a suonare alcune note.

«Anch’io».

«Sono felice di averti portato dalla parte della ragione», Lucifer continuò a suonare.

«Non ho detto di essere d’accordo con te: se tu non vuoi venire, me ne farò una ragione, ma domani io mi prenderò un giorno libero e andrò a Long Beach con le ragazze. Chiederò anche a Linda e Amenadiel di unirsi».

Esasperato, Lucifer smise di suonare: «Non ti arrendi mai, eh, letenati?»

«No», lo guardò ridendo.

Lucifer si perse di nuovo in quello sguardo.

Chissà, un giorno sulla spiaggia, lasciando le marmocchie alle cure esclusive di Amenadiel, era proprio quello di cui lui aveva bisogno: «Forse hai ragione», le concesse.

Chloe strinse gli occhi: «Perché penso tu abbia un secondo fine?»

«Perché sei umana, letenati, e come tutti gli umani sei prevenuta nei confronti del Diavolo», le sorrise, alzando le sopracciglia.

 

§ § § § § § § § § §

 

Era domenica: quel giorno della settimana in cui la maggior parte degli abitanti di Los Angeles si svegliava senza il fastidioso suono della sveglia. James Gore non era tra questi: per lui la sveglia alle quattro del mattino era diventata un’abitudine. Come era diventata un’abitudine la corsetta al parco dopo aver trangugiato una tazza gigante di caffè. In ufficio tutti lo prendevano in giro per questa sua abitudine.

Quella domenica non faceva eccezione: si svegliò, si lavò, si vestì, bevve il solito caffè e uscì per la quotidiana corsetta al parco.

Non si trattava di una corsa solitaria però: a condividere il “piacere” dell’esercizio fisico c’era Pincopallo, suo pusher di fiducia.

Come al solito, i due corsero per alcune centinaia di metri, poi Pincopallo passò la borraccia a James, il quale se la portò alla bocca, mentre faceva scivolare una bustina sotto la manica della tuta. La ripassò al compagno. Dietro una curva, i due si fermarono e mentre Pincopallo faceva finta di correre sul posto, James si chinò per allacciarsi una scarpa: in realtà, prese alcune banconote nascoste nella scarpa e quando Pincopallo gli allungò una mano per aiutarlo a rialzarsi, questi gli passò il denaro. Fu in quel momento che James la vide.

Aveva il volto rivolto verso il suolo, con le mani legate dietro alla schiena alle caviglie, e i capelli neri macchiati di rosso, come un angolo della valigetta accanto al corpo.

Pincopallo scappò subito e anche James ebbe la tentazione di seguirlo, ma qualcosa lo trattenne: e se qualcuno lo avesse visto scappara? No, gli conveniva avvertire lui stesso la polizia. In fondo, lui era un semplice jogger che aveva scoperto un cadavere, che cosa mai poteva capitargli?

 

§ § § § § § § § § §

 

Tutto sommato, non era stata una cattiva idea fare un pic-nic sulla spiaggia, coinvolgendo anche Linda e Amenadiel.

Il cielo era coperto; ciononostante, Chloe e Linda avevano insistito per una crema solare ad altissima protezione: ovviamente, Lucifer e Amenadiel avevano rifiutato in modo alquanto energico di spalmarsi quella cosa addosso, adducendo alla loro natura angelica e a nulla erano valse le proteste delle donne. In realtà, Lucifer trovava la crema solare ridicola, soprattutto sul naso di sua nipote, la quale, dal canto suo, si stava divertendo a prendere in giro Trixie, che ricambiava di gusto. Il piccolo Charlie, invece, se ne stava beato nella culla coperta da un lenzuolino: «Mi spiegate come diavolo fa a respirare con quel coso?» Chiese al fratello e alla cognata.

«Guarda che non è sigillato. E poi lo protegge dal sole», lo tranquillizzò Amenadiel, ripetendo a memoria le parole della compagna.

«Quale sole?» Lo derise il fratello.

«Linda?» si rivolse alla bionda, la quale sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

«Le nuvole trattengono solo i raggi infrarossi, mentre riflettono e lasciano in parte passare le radiazioni solari, quindi, danno solo un apparente senso di temperature più basse, ma i raggi UVA e UVB che lasciano passare sono ugulamente pericolosi», spiegò la donna in modo scientifico. Vedendo, però, i due uomini guardarla in modo piuttosto perplesso, tagliò corto: «Fa tutto parte della creazione di vostro Padre: chiedete a lui».

«Ti posso assicurare che non ha alcun interesse per la  meteorologia», la rassicurò Lucifer.

«E col diluvio universale, come la mettiamo?» Obiettò la psicoterapeuta.

«Oh, quello! È stata nostra madre», intervenne Amenadiel, cercando di assumere un tono di voce sicuro.

«Non prendetela sul personale, ragazzi, ma vostra madre era davvero psicopatica».

Nonostante amasse rimandare agli altri l’immagine di una persona al limite del menefreghismo, Lucifer si sentì in colpa per quello che la madre aveva fatto all’amica un paio d’anni prima. Diavolo, l’aveva quasi uccisa! Decise, quindi, di rivolgere la propria attenzione a Chloe, quando il suo cellulare squillò.

«Ah! È solo il Detective Stronzo!» Rifiutò la chiamata e ripose il telefonino nella tasca della giacca, mentre da un’altro taschino estrasse la borraccia del whiskey.

«Lucifer!» Lo rimproverò Chloe, facendogli andare di traverso il sorso della bevanda. «Non voglio che chiami Daniel in quel modo, soprattutto di fronte alle bambine: è il padre di Trixie».

«Tranquilla, mammina: la maestra ci ha spiegato che lo stronzo è la cacca ed è un concime naturale e serve per far crescere le piante. Quindi, è come se Lucifer considerasse papà una persona molto importante», sottolineò l’avverbio.

«Veramente...»

L’occhiataccia della donna lo fece desistere.

Il cellulare tornò a squillare.

«Ah, ma è peggio di una zecca. Posso dire zecca? Almeno sottovoce?» Strizzò l’occhio alla donna.

«No, non puoi. E rispondi, per favore! Potrebbe trattarsi di lavoro», gli ingiunse.

«Appunto. Nulla di importante».

«Lucifer!»

«Oh, avanti, letenati: ci siamo presi una giornata libera», la implorò.

«Sbagliato! IO mi sono presa una giornata libera, non tu. E poi potrebbe trattarsi di Rockwell».

«Non volevi che ne stessi lontano?»

«Ma io oggi sono in vacanza: non posso impedirti qualche colpo di testa», gli strizzò l’occhio.

«Perché ho l’impressione che sia solo una scusa per farmi rispondere?»

«Perchè il tuo sesto senso non sbaglia quasi mai», gli concesse. «Lucifer, davvero saresti disposto a lasciare uscire da solo Dan, sapendo che potrebbe succedergli qualcosa?» Si era avvicinata a lui così tanto che avrebbero potuto baciarsi, invece, Chloe si limitò ad accarezzargli una guancia.

Come un cagnolino, Lucifer piegò la testa di lato, appoggiandosi alla mano dell’amata.

Chiuse gli occhi un attimo, poi espirò, rialzando la testa: «D’accordo, lo richiamo».

 

§ § § § § § § § § §

 

Maze era furibonda: non solo si era fatta scappare Hank Rockwell quando ce l’aveva già tra le mani, ma un poliziotto l’aveva arrestata per aggressione e, dopo averla sbattuta in carcere, le aveva addirittura sequestrato il cellulare, impedendole, di fatto, di avvertire qualcuno. Ora si trovava nell’aula di un tribunale, affiancata da un avvocato sconosciuto che avrebbe dovuto farla uscire su cauzione. Poco più basso di lei, aveva occhi e capelli scuri, naso dritto e quando parlava, una fila di denti bianchissimi faceva bella mostra di sè nella bocca piccola. Peccato parlasse poco. Aveva appena accennato alla base razzista del suo arresto, quando il vice procuratore lo bloccò: «Non dica sciocchezze, avvocato Pearson, la moralità dei poliziotti di Los Angeles è indubbia, a differenza della sua assistita: a noi risulta che prima di diventare cacciatrice di taglie, lavorasse come barista in un night club e dividesse l’appartamento col suo datore di lavoro, e forse anche qualcos’altro».

«Immagino che il viceprocuratore abbia prove di quanto appena affermato», intervenne Pearson, guardando il rivale con aria di sfida.

«Le ricordo, avvocato Pearson», si intromise il giudice, «che questo non è un vero processo, ma una semplice udienza per stabilire un’eventuale cauzione e a questo riguardo, la Corte la fissa a cento mila dollari. Il prossimo caso», battè il martelletto, segnando la fine dell’udienza.

Maze fece spallucce: «Non è un problema».

«Ci vediamo al processo, signora Smith», il vice procuratore la sorpassò, dedicandole un sorrisetto di superiorità.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Signorina Lopez, Detective Stronzo», esordì Lucifer, appena arrivato al parco.

Daniel alzò gli occhi al cielo, stizzito: «Non cambi mai, vero?»

«Ti sbagli Daniel: la mia vita è eterno cambiamento. Che cosa abbiamo qui?» Si sporse verso la vittima, mentre Daniel sospirava: non sapeva ancora per quanti giorni (più probabile, ore) sarebbe riuscito a sopportare ancora Lucifer. E peccato se avrebbe litigato con Chloe. Tuttavia, gli rispose: «Rebecca Lapp, originaria di Weidmanville, contea di Lancaster, Pennsylvania».

«Pennsylvania? Che cosa ci faceva così lontano da casa?»

«Suonava alla Filarmonica di Glendale», lo ragguagliò.

Ella si intromise: «Forse il periodo di Rumspringa le era piaciuto e aveva deciso di non aderire più alle regole amish», scosse la testa, dispiaciuta per la morte brutale.

Daniel strabuzzò gli occhi: «Come fai a sapere che era Amish, Ella?»

«La contea di Lancaster è famosa per ospitare una delle più grandi comunità amish del Paese e Lapp è un loro cognome tipico», spiegò in vece sua Lucifer, aggiungendo: «Weidmanville non è molto lontano da Hellam, dove c’è uno dei Sette Cancelli della residenza che mi ha “regalato” mio Padre. Strana scelta per quella gente stabilirsi vicino casa mia», scosse la testa, inginocchiandosi accanto al corpo della ragazza.

«È Rebecca sarebbe stata una delle tue “vittime”?» Lo derise Daniel.

«Ammetto che è divertente cercare di tentare quelle persone, ma no», spiegò, calcando sull’ultima parola, «non ho mai visto questa ragazza prima d’ora».

«Comunque», contiuò Ella, «credo sia stata uccisa con la custodia del suo strumento musicale, ma ne saprò di più dopo l’autopsia», concluse, rialzandosi e togliendosi gli occhiali speciali.

«Non è morta per soffocamento??» Lucifer additò la posizione della povera ragazza.

«Perché allora colpirla alla testa?» Obiettò Dan.

«Per tramortirla, magari?» Lo beffeggiò ancora Lucifer.

«Effettivamente, è un’ipotesi», gli concesse Daniel. Chiese quindi a Ella di poter avere i risultati quanto prima, ma la donna si limitò a rispondergli solo con un cenno del capo.

«Quello che non capisco», continuò Daniel in macchina, «è perché tramortirla e poi legarla in quel modo: che messaggio voleva mandarci l’assassino? Sei tu l’esperto di punizioni: che cosa ne pensi?»

«Per risponderti, dovrei sapere di quale peccato si è macchiata, anche se non concepisco la morte come punizione: nessuno ha diritto di prendersi la vita di un’altra persona», riflettè Lucifer, guardando la strada davanti e serrando la mascella.

«Uhm, interessante: il Diavolo che è contrario alla pena di morte», sorrise scuotendo la testa. «Non sei tu quello che dice sempre che bisogna sempre prendere ciò che desideriamo?» Si voltò a guardarlo e questa volta Lucifer ricambiò lo sguardo: «Sì, ma io mi riferisco a qualcosa di concreto, come un oggetto, o un lavoro, per esempio. La vita non è niente di tutto questo: è la reificazione del processo vitale. Non esiste come realtà indipendente1. Inoltre, è un dono di mio Padre, e in quanto tale, solo il diretto beneficiario ne può disporre a proprio piacimento. Va da sé che a ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria».

«Chiaro. Ora non ci resta che andare a casa di questa Rebecca e cercare di scoprire qualcosa sul suo passato», sospirò Daniel, tornando a prestare la propria attenzione alla guida del mezzo.

La palazzina, all’incrocio tra Lafayette Street e Colorado Street, non era molto lontana dal Carr Park, ma a causa del traffico Dan impiegò dieci minuti per raggiungerla. Bianca, a due piani, ricordava certi tristi motel. Contava quattro unità abitative: due al piano terreno e due al piano superiore. All’appartamento affittato da Rebecca si accedeva dal ballatoio. Era chiuso a chiave, ma per Lucifer fu un gioco da ragazzi aprirlo, facendo alzare gli occhi al cielo a Dan. La stanza, che i due uomini catalogarono come un soggiorno, era ordinata, se non fosse stato per qualche gioco sparso.

«Ah, bambini!» Si lasciò sfuggire Lucifer, mentre si guardava attorno.

«Che cos’hai contro i bambini?» Gli chiese il compagno.

«Non mi piacciono. Sentimento condiviso anche da molti umani, mi pare», sottolineò, per evitare giudizi non richiesti.

 Dan colse l’antifona e continuò l’ispezione dell’appartamento: dal soggiorno si accedeva alla cucina a vista: anche qua sembrava tutto in ordine. Così come in bagno e nella camera da letto.

«Sembra quasi che nessuno ci abbia mai abitato», osservò Dan, «ma forse quelli della Scientifica riusciranno a trovare qualcosa di più», proferì, speranzoso.

In quel momento entrò una donna con i bigodini in testa: «E voi chi siete? Parenti di Rebecca? O gli ultimi amanti? O forse siete solo dei miserabili ladri? Fermi dove siete: vado a chiamare la polizia», esordì, senza quasi riprendere fiato.

«Siamo noi la polizia» – riuscì finalmente a prendere la parola Dan – «sono il detective Espinoza, dell’LAPD», si presentò Daniel, «e lui è il signor Morningstar, nostro consulente civile».

«Oh!» La donna rimase incantata dallo sguardo magnetico che gli rivolse Lucifer. «A ogni modo, Rebecca non c’è, come potete vedere. Ieri sera è passato suo fratello: ha provato a bussare parecchie volte qua, ma non trovando nessuno è venuto da me. Del resto, la baby sitter mi aveva smollato la bambina perché il suo orario di lavoro era terminato e Rebecca non era ancora tornata. In realtà, era tornata da poco, ma c’era un uomo che la stava aspettando; si sono spintonati un po’, poi lei è andata verso il supermercato all’angolo e lui l’ha seguita. Era buio, ma ho visto chiaramente che era vestito come un cowboy. Pochi minuti dopo, è arrivato un tizio alto, con i capelli biondi e gli occhi verdi e si è presentato come il fratello di Rebecca».

Dan e Lucifer si scambiarono uno sguardo allarmato: era chiaro che l’uomo con cui Rebecca aveva litigato prima di morire fosse Rockwell e che il sedicente fratello fosse Carter.

«La figlia di Rebecca è ancora da lei?» Chiese Dan.

«No, certo che no. L’ho data al fratello di Rebecca: mi ha detto che lei li stava aspettando in macchina».

«Quell’uomo le ha mostrato un documento?» Insistette Dan.

«Che motivo avrebbe avuto di darmelo? Mica sono una poliziotta, io!»

«Lei ha consegnato una bambina, una minore che aveva in custodia a un perfetto sconosciuto?» Daniel si stava adirando.

«Non era uno sconosciuto: era suo fratello», insistette la donna. «Del resto, Rebecca non è rientrata, quindi è ovvio che sia partita con la figlia e il fratello», li sfidò con lo sguardo.

Anche se a differenza di Dan, Lucifer sembrava molto calmo, a quel punto strinse i pugni, facendosi forza per non mostrarsi o, peggio, afferrare il collo di quella donna, quell’insignificante anima umana del tutto inutile.

Quasi rendendosi conto dello stato d’animo del compagno, Dan si frappose tra lui e la donna: «Mi servono i suoi dati, per eventuali approfondimenti delle indagini», le disse, aprendo il taccuino.

«Perché? Io non ho fatto nulla», si oppose lei.

«Preferisce essere arrestata per intralcio alla giustizia?» Intervenne Lucifer.

«Con quale accusa?»

«Ma ha aproblemi di udito? O forse ha qualche carenza cognitiva? L’accusa è non aver fornito i suoi dati alla polizia».

«Oh, beh, in questo caso: mi chiamo Jane Valdez e abito nell’appartamento 4C».

Il cellulare di Lucifer squillò: «Maze! L’hai trovato?» L’investì, uscendo dall’appartamento.

«Sì. L’avevo fermato, ma un poliziotto mi ha arrestato per lesioni e adesso devi pagare centomila dollari per la mia cauzione».

«Che cosa?»

 

§ § § § § § § § § §

 

«Vi sto dicendo che quel tizio era Hank Rockwell, non Justin Bieber!» Nonostante il giudice avesse già fissato la cauzione e Lucifer stesse firmando l’assegno, Maze continuava la propria difesa.

«Justin Bieber? Sul serio?» Soppiò a ridere Lucifer, riponendo la penna nel taschino.

«Chi ha registrato l’arresto?» Si informò Daniel.

«L’agente Dromer Saftig», gli rispose il collega, al che, Lucifer ridacchiò di nuovo, pronto a una delle sue solite battute, facendo alzare gli occhi al cielo a Daniel: «Il sognatore succulento?2»

«Ora capisco perché i tuoi fratelli ti hanno cacciato all’inferno», gli disse, infatti, sottovoce.

«Veramente è stata mia madre, per sua ammissione».

«Tua madre? Dio ha una moglie?» Sbarrò gli occhi.

«L’aveva, ma poi l’ha ripudiata e qualche millennio dopo ha incaricato me di spedirla in un altro universo», sintetizzò il diavolo, omettendo che per un certo periodo aveva posseduto il corpo di Charlotte.

«D’accordo», Daniel alzò le mani, «conosco questo Saftig: vado a parlargli». Si incamminò, ma venne raggiunto da Lucifer e Maze, entrambi con intenzioni poco amichevoli.

Daniel li superò, fermandosi davanti a loro: «Intendevo dire che ci vado da solo. Tu», si rivolse a Maze, «devi andare a casa, quella che hai indicato sul modulo di rilascio e tu», girò la testa verso Lucifer, che per tutta risposta si mise le mani in tasca e si sporse verso di lui, «raggiungi Chloe e aggiornala sul caso Lapp».

«Non posso», gli risposero in coro.

«Come sarebbe a dire: non posso?» Sospirò: prima o poi (ma più probabile prima) quei due l’avrebbero mandato in manicomio.

«Non posso starmene chiusa in casa, sapendo che Rockwell è alla mia portata», spiegò Maze, ma Dan le illustrò che no, allo stato attuale delle cose, Rockwell non era alla portata di nessuno e che lei era stata arrestata per percosse e che non c’era traccia del suo tentativo di difendere una ragazza da un possibile omicida. La donna sbuffò: «E va bene», si arrese alla fine. Se non altro, fu quello che sperò Dan.

Avrebbe dovuto essere il turno di Lucifer dare spiegazioni, almeno a giudicare da come Daniel si frappose al Diavolo, ma questi non diede segno di cogliere, anzì, si mise nella stessa identica posizione, facendoirritare ancora di più il poliziotto: «Quale parte della frase “ci vado da solo” non è chiara?»

«Stiamo parlando dell’uomo che ha impedito l’arresto dell’assassino di mia sorella». Lo sguardo di Lucifer era duro.

«Appunto: Chloe si è raccomandata che tu ne stessi lontano, perciò...» gli indicò l’uscita con il braccio destro teso e il palmo in alto, piegando leggermente la testa.

Per tutta risposta, Lucifer gli regalò uno dei suoi sorrisi strafottenti: «La letenati è in vacanza oggi, quindi non può impedirmi colpi di testa. Sono le sue parole», si affrettò a specificare.

«Le sue parole», Dan annuì con la testa, usando il tono di voce di chi non ci crede.

«Le sue testuali parole: lo sai che io non mento mai».

«Resta il fatto che io le ho promesso che ti avrei impedito i colpi di testa, quindi, se non ti dispiace...», gli indicò di nuovo l’uscita.

«Sì, mi dispiace». Lucifer lo oltrepassò.

Dan guardò costernato la schiena del Diavolo, mentre riabbassava il braccio e la mano sbatteva contro la coscia. Scuotendo la testa, si affrettò a raggiungerlo, prima che l’avventatezza del compagno compromettesse il loro lavoro.

Dromer Saftig, poliziotto quarantenne figlio di un immigrato norvegese e un’attricetta californiana, stava riordinando alcuni documenti, quando venne affiancato da Lucifer: «Dimmi, sacco di ambizioni non realizzate, perché hai arrestato la mia amica, permettendo a un assassino di fuggire?

Dromer chiuse di scatto il cassetto, volgendosi verso il tizio che aveva osato insultarlo, ma commise l’errore di guardarlo negli occhi, rimanendo ipnotizzato.

Daniel sopraggiunse in quel momento. Anche se ora sapeva che quello non era un giochetto da quattro soldi ma era davvero il Diavolo all’opera, la tentazione di strattonarlo era forte. Tuttavia, cercò di restare calmo e ascoltare la versione dell’agente.

«Non so di chi stia parlando», si stava giustificando l’uomo.

«Hank Rockwell, ricercato per omicidio dalla polizia di Flagstaff e di Los Angeles. Lo stesso uomo che ieri stava aggredendo una ragazza». Anche se gli occhi di Lucifer erano rimasti umani, Saftig sentiva che quello sguardo gli stava letteralmetne bruciando l’anima.

«Mi dispiace, ma quel nome non mi dice niente», continuò a giustificarsi.

A questo punto, la rabbia ebbe il sopravvento su Lucifer, ma Dan, che nel frattempo gli era avvicinato, gli aveva messo una mano sul braccio nel tentativo di calmarlo, evitando che lo prendesse per il colletto: «Ah, il nome Hank Rockwell non ti dice niente? Hai sentito, detective Espinoza? Quest’uomo ha la scrivania proprio sotto la foto di un ricercato, ma non sa chi sia».

«Agente Saftig, si rende conto del guaio che ha combinato? Non solo ha favorito la fuga di un ricercato, ma ha arrestato una cacciatrice di taglie nello svolgimento del suo lavoro, oltre ad aver avallato la falsificazione dei documenti. A causa di ciò, una ragazza ha pagato con la vita. La dichiaro in arresto, Dromer Saftig: ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio».

«Ehi, un momento, aspettate», balbettò, mentre Daniel lo girava, costringelo a piegarsi sulla scrivania e amanettandogli le mani dietro la schiena, «quella ragazza è riuscita a scappare, mentre l’uomo che dite chiamarsi Rockwell mi seguiva in centrale per verbalizzare l’arresto di quella negra».

A quell’insulto, Lucifer scattò, ma Dan fu veloce a frapporsi tra i due, mettendogli le mani sul petto: «Tranquillo, amico, il razzismo è un’aggravante», cercò di calmarlo.

 

 

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N.d.A.: Non ho davvero scusanti per il ritardo col quale pubblico questo capitolo. Per questo motivo, ringrazio tutti quelli che hanno aspettato con una pazienza davvero infinita, tanto quelli che leggono lasciando un segno del loro passaggio, quanto coloro che preferiscono leggere in silenzio. Grazie soprattutto a chi ha insirito la storia tra seguite/preferite/ricordate. La mia pagina facebook: The Mirae's Dream







1  Ernst Mayr, cap 6, What is tha meaning of "life" The nature of life, Carol E. Cleland, University of Colorado, Cambridge University press, 2010 DO; Hardback ISBN 978-0-521-51775-1, Paperback ISBN 978-0-521-73202-4

2  In realtà, mi sono presa una licenza poetica, poiché in norvegese sognatore si traduce con drommeren (stando a Google Traduttore). La traduzione di saftig, invece, dovrebbe essere corretta, ma in tedesco significa succoso.

   
 
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