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Autore: cartacciabianca    04/08/2009    3 recensioni
[ SOSPESA ]
In una New York devastata dalla Guerra tra sani e portatori, sono emersi un gruppo di patriottici eroi. Uomini e donne sottoposti a crudeli esperimenti allo scopo di sopprimere definitivamente il Virus e ogni suo esponente. Sono gli Angeli, nati dalle ricerche fatte sul precedente campione Zeus e protettori della specie umana. La battaglia per il dominio sul pianeta volge al termine dopo due anni di scontri sulla frontiera della scienza e della tecnologia meccanica. Due anni di sangue e vittime innocenti capitate nelle mani dei predatori più spietati.
"Mi sentii puntare sulla schiena qualcosa di estremamente freddo, sottile e affilato più di un rasoio.
Ingoiai a fatica, trattenendo il fiato e sollevandomi sulle punte degli stivali. Dalla mia bocca schiusa venne solo un flebile sospiro quando Alex affondò la lama tra le mie scapole traversandomi orizzontalmente da un capo all’altro. Un fiume di sangue mi bagnò la divisa, raccogliendosi poi sul terreno impolverato tra i miei piedi. Quel rosso vivo e accecante mi finì anche negli occhi, mentre il dolore risucchiava nel suo vortice la sensibilità del mio corpo.
Inclinai la testa da un lato scoprendo una parte di collo, sul quale Mercer posò appena le labbra.
-Sai… ora capisco cosa ci trovava quel Turner di tanto interessante in te- mi sussurrò all’orecchio dopo aver risalito il mio profilo di piccoli baci, minuziosi come graffi. –Quando sanguini così sei davvero eccitante- rise."

[Alex Mercer x nuovo personaggio + altri nuovi personaggi]
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5 - Ali

«Col passare dei giorni il mio corpo subiva continue mutazioni: sentivo le ossa spostarsi, la pelle ispessirsi, la schiena torcermisi senza che io dessi alcun comando, o meglio… senza che il mio cervello lo facesse. Il liquido caldo nel quale galleggiavo m’inebriava dall’esterno delle sostanze sufficienti a completare la mia trasformazione. L’aria di cui non necessitavo per respirare divenne una voglia inarrestabile, quasi fosse una droga. Desideravo poter tornare ad usare i miei polmoni, desideravo potermi staccare di dosso quelle sonde, scalciare via quelle orribili sensazioni e spezzare l’ampolla nella quale mi trovavo. La mia permanenza in quella cella di vetro divenne man a mano una terribile ed odiata tortura, ma la verità era parecchio triste da accettare: il sonno nel quale mi ero calata fin dal primo giorno della mia immersione, mi aveva fatta sua prigioniera. Non riaprii gli occhi per tutto quel tempo, sentendo sulle labbra il gusto amaro dell’acqua verdognola nella quale galleggiavo, mentre le sonde attorno al mio corpo nudo mi solleticavano in punti sempre differenti.
Sì, esatto… una tortura. E quando pensavo alla domanda “ma chi me l’ha fatto fare?” non riuscivo a darmi una risposta, perché ancora non conoscevo chi fosse davvero il responsabile di quella follia, al quale avrei spaccato la faccia una volta uscita di lì. All’epoca non immaginavo minimamente chi, o cosa, o quale entità superiore avesse ordinato tutto quello. Quando mi sforzavo di immaginare chi si celasse dietro la maschera di intermediario tra il governo e questi scienziati, mi compariva davanti al buio delle mie palpebre abbassate la faccia di quel… quel certo Lewis Martin, che una sera di qualche giorno fa aveva ordinato e coordinato la nostra cattura, come fossimo bestie, attirate nella sua trappola… lotteria di merda.

…William.

Pronunciai il suo nome nel sonno, ma quella dannata convalescenza subacquea non mi lasciava neppure sognare.
Ricordai i volti dei miei amici, tutti quanti.
Cosa avrei dato pur di rivederli tutti, davanti a me in carne ed ossa, e poterli abbracciare uno ad uno sentendomi finalmente in salvo, di nuovo a casa, circondata dalle persone che amavo e dal calore di una famiglia che non mi era stata data l’opportunità di godermi fino in fondo, strappata alla vita così giovane, condannata a quegli orribili esperimenti all’età di soli 21 anni.
Ma restava sempre e soltanto lui al centro del vorticare dei miei pensieri.
Il mio piccolo Willy…
Volevo ricordare i momenti migliori passati assieme, le notti, ma anche le giornate a passeggiare mano nella mano per Central Park, prima che l’epidemia lo trasformasse nel fronte della Guerra tra uomo e Virus. Avrei voluto costruire con lui una famiglia, passare il resto della mia miserabile vita con lui, a guardarci negli occhi fino a sera tarda e poi addormentarci insieme nel letto della sua stanza, nel suo piccolo appartamento di Brooklin. Ricordavo il trasloco, ricordavo la faccia di mia madre nel sapere che finalmente mi mettevo in salvo, che finalmente lasciavo Manhattan e mi scollavo dalla casa dei miei genitori. Ricordai il volto di mio padre, la storia che qualcuno mi raccontò su di lui, la sua trasmissione radio pubblicitaria sugli Angeli…

…Angeli.

Cosa sono gli angeli?
Uomini con delle bianche ali piumate attaccate alle scapole; ali magnifiche, chiare, ma a volte anche scure, nere come la pece; dev’esserci comunque una differenza tra le ali bianche e quelle nere. Si può capire molto di una persona solo dal colore della pelle, lanciando pregiudizi, perciò cosa dovrebbe essere differente quando si parla di angeli? Ma è davvero questo un angelo? Una vittima di discriminazioni e razzie, oppure una Sacra Entità? Angelo è l’immagine di un essere superiore che sta a metà tra cielo e terra, tra Dio e gli uomini, tra l’infinito e il finito…
Ma perché chiamano noi Angeli? Perché quest’appellativo che non credo di meritarmi tanto… non credo di aver fatto mai del volontariato, aiutando vecchiette ad attraversare la strada e sfamando poveri anziani che non riescono a tener dritta una forchetta; spalare strade dagli scarti di città, lottare per l’ambiente contro il surriscaldamento globale, il buco nell’ozono o l’abbattimento delle foreste. Non mi passata per la testa neppure l’idea, la soffusa idea di fare la raccolta differenziata!
Quindi… qualcuno mi spieghi perché “angeli”.
Quello che ci stanno facendo, i liquidi che ci hanno iniettato ci faranno crescere le ali, forse?! Scusate tanto, ma in che modo un paio d’ali piumate salveranno la terra dal Virus e annienteranno Zeus??? Necessitavo di avere delle risposte, ma non le avrei certo trovate standomene così allungo chiusa in un barattolo.
Quando mi svegliai, ricordo di aver visto attraverso quel vetro i miei vecchi amici, di aver intravisto l’immagine di William e Susan che mi sorridevano. Poggiai una mano sulla superficie trasparente e accarezzai il loro riflesso che sparì in quell’istante. Poi mi guardai attorno, constatando di essere l’unica sveglia tra tutti i cetrioli come me.
E solo allora realizzai che qualcosa non tornava, che non sarei dovuta essere lì, che quei bastardi avevano ammazzato il mio ragazzo trucidando una folla d’innocenti, tra cui la mia unica amica. Bastò questo pensiero a far scaturire in me la rabbia necessaria per reagire e combattere…»

Spalancai gli occhi, che divennero improvvisamente bianchi, vuoti; irrigidii i muscoli e un’aurea nera, probabilmente di un rosso molto profondo, avvolse il mio corpo. In quell’istante sentii la sirena di un allarme attivarsi impazzita, e attraverso il vetro del mio barattolo vidi una decina di scienziati fare irruzione nel laboratorio, sparpagliandosi ai comandi delle macchine; altri rimasero a guardare allibiti lo spettacolo.
Ed io, ero l’unico soggetto in scena.
Strinsi i pugni, e sul vetro davanti ai miei occhi saettò una crepa. E così un’altra, e un’altra ancora, e poco a poco la superficie cedeva, e ad ogni spacco in più, i tubicini che percorrevano le mie gambe si afflosciavano, galleggiando molli nel liquido verdognolo della mia vasca.
Sentii le grida di terrore delle donne e degli uomini presenti, e quello fu il segnale: l’aura attorno al mio corpo s’ingigantì tingendo tutta l’acqua di nero e, con un’ultima crepa, il vetro andò in frantumi.
Il liquido nero si rovesciò sul pavimento della sala, investendo gli scienziati e spazzandoli via come un’onda dell’oceano che s’infrange sulla spiaggia.
Galleggiai nell’aria senza che i miei piedi toccassero suolo, ammirando passivamente quello spettacolo. Era come se qualcun altro possedesse il mio corpo ed io potessi solamente stare a guardare attraverso i miei occhi.
Un brivido di freddo mi scosse da parte a parta, ma avvertii distintamente alcune ossa della mia schiena scricchiolare sonoramente, e quel suono malsano rimbombava nel laboratorio lasciando stupefatti e attoniti gli scienziati presenti.
L’acqua che si era sparsa a terra, andò a defluire in alcuni tombini piazzati tra i grandi pannelli del pavimento, e questo restituì completa libertà di movimento agli scienziati che erano rimasti travolti dall’onda.
Un uomo col camice zuppo mi venne incontro e s’immobilizzò esattamente di fronte a me, fissando qualcosa oltre le mie spalle.
-È fatta…- mormorò costui che aveva una lente degli occhiali spezzata. –Ce l’abbiamo fatta!- gioì poi voltandosi verso i suoi compagni.
Una gran massa di gente si radunò attorno a ciò che restava della mia vasca contenitore, e tutti mi guardavano allo stesso modo estasiato ed incredulo, complimentandosi ancora e ancora, stringendosi le mani, abbracciandosi e parlottando aumentando la confusione.
Da lassù e completamente immobile dinnanzi a quella scena, non riuscii neppure a voltarmi, per smentire le domande che mi stavano torturando da tempo. E ancora lo scricchiolio continuava, sulla mia schiena, precisamente all’altezza delle scapole. Percepii un qualcosa di umido e denso traversarmi la pelle percorrendo la linea della spina dorsale. Riuscii con difficoltà a muovere un braccio, così da avvicinare la mia mano a quel punto. Sfiorai il liquido con due dita, dopodiché lo guardai allibita: era sangue, e gocciolava attorno a me dal grosso foro che avevo sulla schiena.
Guardai a terra, dove della luce proiettava sul pavimento un’ombra davvero insolita della mia figura.
E fu allora che ricordai di quando Lewis Martin ci aveva chiamati Angeli.
E capii quale fosse davvero il mio destino.
Erano delle ali che avevano un che di originale, diverso da quelle che mi aspettavo, però restavano sempre delle ali. Non riuscendo a voltarmi, ad ammirarle com’erano, contemplai la loro ombra: cinque artigli ciascuna, affilati, lunghi, e a sostituzione delle candide piume che mi aspettavo di trovarvi v’era una gelatinosa, rossa e viscida membrana sbrindellata, quasi inesistente, che non pensavo potesse tenermi sospesa a mezz’aria in quel modo. Di fatti, i cinque artigli per ala che avevo contato si erano aggrappati possentemente ai bordi taglienti e ancora intatti della vasca, quasi fossi rimasta incastrata e penzolante come una marionetta i cui fili si erano annodati. Fu allora che mi accorsi di possedere come un secondo paio di braccia, di poterle controllare senza difficoltà, di poterle sbattere, muovere, e così provai, ma durò ben poco.
Era estremamente faticoso, e ad ogni mio tentativo di muoverle, quelle ali sembravano scricchiolare come arrugginite, troppo deboli per potermi solo sostenere. Non riuscendo più a tollerare il dolore alla schiena, e perdendo ormai troppo sangue dalla schiena, sulla quale si era aperto il foro d’uscita delle ali, mi accasciai di peso sull’altare rotondo che era rimasto intatto, con qualche frantumo di vetro qua e là.
Respiravo a fatica, e mi raggomitolai spaventata di ciò che avevo visto succedere. Mi tagliai con alcune schegge di vetro che penetrarono la carne della mia schiena e delle gambe quando toccai terra. Sanguinavo, e quando gli scienziati lo notarono, alcuni si avvicinarono e mi caricarono su una speciale barella, altri fecero scattare un allarme d’emergenza per tutto il piano.
Prima di lasciare il laboratorio, mi accorsi che Lucy, Harry, Phil ed Emmett, ancora galleggianti e dormienti nelle loro vasche, rannicchiati in una raccapricciante posa fetale, avevano sviluppato le mie stesse caratteristiche, dando però meno segni di ribellione.
-È prematura, dobbiamo portarla in sala e operare oggi stesso- sbottò una donna mentre accompagnavano la mia barella di corsa.
-No, non possiamo metterla ancora sotto i ferri, sarebbe rischioso. Aspetteremo- analizzò uno scienziato.
In quell’istante un artiglio della mia ala destra, che era rimasta a penzoloni fuori dal lettino, prese di sua iniziativa il controllo e, tagliente, saettò fulmineo e tranciò di netto il corpo di uno dei medici, dividendolo letteralmente a metà dai fianchi in giù. Quello non fece neppure in tempo a gridare, che entrambe le parti del suo corpo piombarono a terra in una pozza di sangue assurda.
-Dannazione!- sbraitò un uomo, mentre la donna di prima si allontanava spaventata.
-Dobbiamo immobilizzarla! Presto!- propose qualcuno fuori dal mio campo visivo.
-No, portiamola in sala!- disse di nuovo lo stesso dottore.
-Cristo! Guardate come ha ridotto Maurice! Dobbiamo sedarla!- furono le sue ultime parole, perché di nuovo le mie ali (che sembravano fare di testa loro) ripeterono una scena già vista…
-Via, via di qui!- gridò la donna, e scapparono tutti il più lontano possibile.
Mi sollevai d’un tratto, aiutata dagli artigli delle mie ali che si piantarono nelle pareti, facendo leva e rimettendomi in piedi. Quando toccai terra, cercai di riassumere il controllo, e per qualche istante ci riuscii, spiantando gli artigli dal cemento dei muri del corridoio e ripiegandole oltre le mie spalle. Ma ancora grondavo di sangue, sentendomi sempre più debole. La ferita sulla schiena pulsava dolorosamente, i tagli dovuti ai vetri della vasca non si rimarginavano, e come se non bastasse, dalla porta infondo del corridoio, emersero un pugno di uomini vestiti di armature nere e fucili ben attrezzati che mi puntarono subito contro.
Restai immobile alcuni secondi, aspettando come un’idiota che mi sparassero magari, ma fu una fortuna accorgermi che ero completamente nuda davanti a tutta quella gente, e il tentativo di coprirmi con le mie stesse ali, fu il risultato di un possente e invalicabile scudo anti-proiettili.
Tentarono di colpirmi con anestetici di tutti i tipi, dalle siringhe alle buffe palline gommose, ma non percepivo altro che un lieve solletico, completamente avvolta dalla lega robusta ed ignota delle mie ali.
Cessarono il fuoco improvvisamente, sotto l’ordine di una voce che riconobbi quasi subito, e aprii giusto un forellino tra un artiglio e l’altro dell’ala per osservare la figura di un uomo avanzare verso di me.
Era Martin, vestito diversamente dall’ultima volta. Ora indossava una camicia bianca e dei pantaloni scuri, un camice da medico con una penna nel taschino e degli occhiali da vista sistemati tra i capelli bianchi e grigi.
-Suvvia, signorina Walker, le sembra il modo di comportarsi?- ridacchiò.
Che ti ridi, stronzo!? Pur di restare nascosta ad occhi indiscreti, e preservando un certo umano imbarazzo all’idea di mostrarmi nuda a quella gente, preferii starmene al calduccio dietro le mie ali, all’interno del mio bunker fortificato.
Lewis continuò tranquillo, giungendo le mani dietro la schiena: -La diverte tanto fare sushi dei miei prestigiosi scienziati? Lei è a conoscenza di quanto mi costi solo uno di loro?-.
Non me ne fotte un cazzo se hai il portafoglio vuoto, bastardo!
-A quanto pare no, ma giustamente non è di suo interesse una tale informazione-.
Ma che bravo…
-Però lasci che le dica una cosa: noi abbiamo bisogno di lei, signorina Walker-.
-Chi siete voi?!- risposi d’un tratto, impulsiva. – Cosa volete da noi?! Che cosa ci state facendo?! Voglio delle risposte!- gli artigli delle mie ali si piantarono nel terreno con violenza, forando il pavimento zuppo di sangue.
Molti dei presenti rabbrividirono, altri non lo diedero a vedere, ma in qualche strano modo riuscivo a fiutare la loro paura, sentivo il sapore del loro sudare freddo sulla punta della lingua.
Proseguii: -Che cosa mi avete fatto?!?!- sbraitai, e stentavo a riconoscere la mia voce.
-Mi chiamo Lewis Martin, e sono il capo produttore, finanziatore e coordinatore del progetto Gabriel, in diretto accordo col Presidente dei Stati Uniti d’America, perciò non avete nulla da temere- sorrise.
-BUGIARDO!- ruggii con un che di bestiale, tutt’altro che umano.
-Invece è tutto vero. Il Governo Americano autorizza e finanzia i nostri progetti. Certo, non sborsa una grande cifra perché siamo solo all’inizio e potrebbe trattarsi tutto quanto di un gran fallimento, ma se le interessa, noi siamo coloro che sperano in un futuro migliore, signorina- allargò le braccia. –questi uomini e queste donne sono come lei, partecipi dell’alleanza che salverà il Mondo intero! Non ne va fiera, signorina?-.
-Non so di cosa parli, idiota!-.
La discussione si fece man a mano meno convenzionale. –Ascolta bene, ragazzina- cambiò tono Martin. –È vero, siamo noi i responsabili di quella che ti abbiamo sentito chiamare tortura, ma prova solo a pensare a cosa c’è là fuori!- indicò dietro di sé. –Il Virus si sta liberando oltre Manhattan, e solo noi possiamo impedirlo!-.
-Come?!- feci io.
-Combattendo fianco a fianco con determinazione e abilità- disse ferramente.
-… non ti seguo, vecchio!-.
-Guardati- si addolcì d’un tratto, ma sapevo si trattasse solamente di un diverso approccio. –Guarda le armi che ti abbiamo donato, che Dio! Che Dio ci ha donato per contrastare questa minaccia…- mormorò profetico, e mi fece un po’ pena.
-Non credo in Dio- sbottai tranquillamente.
-Ah, neppure noi. Abbiamo abbandonato la speranza il giorno in cui ti abbiamo chiusa là dentro!- rise, e con lui gli uomini armati che lo circondavano.
Muori…
Fu istintivo per me scagliarmi contro di lui, avventarglisi con una tale violenza che ero sicura non sarebbe sopravvissuto al colpo, ma ancor prima che i miei artigli potessero perforare la sua carne, da oltre le sue spalle vidi comparire un paio di ali simili alle mie, ma tre volte tanto più grosse e spesse; ma soprattutto taglienti, perché con un rapidissimo scatto, Lewis riuscì a tranciare senza sforzo tre dei miei artigli dell’ala destra, restando a braccia conserte e sorridendo beffardo.
Mi inginocchiai dinnanzi a lui dal dolore, avvolgendomi in quello che restava di entrambe le mie ali. Mi strinsi le braccia attorno al seno, e portai la fronte al pavimento, quasi stessi pregando. Gridai così forte, che i pannelli del corridoio si raggrinzirono, accorgendomi di un’altra delle mie caratteristiche.
Lui è come me…
-Esatto- disse come se mi avesse letto nel pensiero, e secondo me c’era riuscito. –Sono come te, Emily- aggiunse. –Lo sono anche quei ragazzi e quelle ragazze nella sala laggiù- indicò dietro di me, precisamente il laboratorio dove ero rimasta sott’olio parecchio, ma anche troppo poco tempo. Immatura com’ero, probabilmente avevo avuto modo di ribellarmi ai virus cerebrali che mi avrebbero impiantato in seguito, come una droga, affinché ubbidissi come un cane da caccia ai loro comandi.
Lewis si chinò alla mia altezza, e ancora le sue ali vegliavano alle sue spalle. -Anche Lucy, Emmett, Harry… chi altri? Ah, Philip… sono stati scelti, come te… e sono come noi- mi sussurrò all’orecchio. –Vi stiamo facendo del male, state provando dolore, ma è per una giusta causa, e sai benissimo di cosa si tratta…-.
-Sì…- strinsi i denti.
-E cioè?-.
-… Annientare…- serrai i pugni da dolore. –Annientare il virus!- sbraitai.
-Sei sveglia, più di quanto pensassi- Martin si tirò su. –Perciò… ora dimmi- m’interpellò. –Tu da che parte stai?-.
Esitai sulla risposta, e questo non gli piacque.
-Non capisci, Emily, che ti abbiamo resa più forte, invincibile contro qualsiasi sorta di esponente del Virus affinché tu combattessi per noi? Dal tuo sacrifico ne varrà la salvezza della specie umana, lo capisci almeno questo?!-.
Annuii tremando, barcollando sulle ginocchia.
-Benone, un passo alla volta- gioì l’uomo. –E allora, avanti, unisciti a noi…Emily- mi sussurrò.
-Signore, non…- intervenne uno scienziato.
-Lei stia zitto!- lo riprese. –Dov’eravamo?- si chiese tornando a guardare me. –Ah, sì…- sorrise.
Ci pensai allungo, forse più del previsto. Quei maledetti avevano ammazzato il mio ragazzo, la mia unica amica, decimato gente innocente a sangue freddo, ed ora mi stavano trasformando in (un’altra) sottospecie di macchina da combattimento, servile ai loro giusti scopi.
Una parte di me aveva sempre desiderato farne parte: quand’ero bambina, entrare in aeronautica e pilotare caccia militari per andare in guerra, come mio padre faceva con gli elicotteri, era stato un mio grande sogno, ed ora avevo la possibilità di prestare altrettanto servizio alla nazione senza neppure il brevetto aereo e dieci anni di studi. Le ali me le avevano date loro, ma nonostante ciò… c’era quell’altra parte della mia anima che ancora rifiutava l’offerta. L’Emily orgogliosa, furiosa, arrabbiata, sdegnata. L’Emily che aveva sentito gli spari della scorsa notte davanti al pub, l’Emily che aveva ricordi felici di una vita normale, l’Emily che aveva sempre sognato non di pilotare aerei o combattere il male, ma l’Emily che desiderava una famiglia, dei figli… l’Emily alla quale avevano strappato il padre e tutto questo… quell’Emily era più prepotente che mai.
-Sto aspettando…- fece Martin beffandosi ancora di me, e chissà cosa ci trovava di tanto divertente nel vedermi strisciare in quel modo.
Ma alla fine, straziata dal dolore che sentivo lungo tutta la schiena e in ogni parte del corpo, accettai. Chinai la testa di più, e mormorai forse un “va bene” talmente debole che solo un super udito, come quello dell’uomo che avevo davanti, avrebbe potuto captare.

«Sangue o non sangue, morte o non morte, scelte o non scelte, Emily orgogliosa o Emily vendicativa! Tralasciamo tutto per un istante e guardiamo in faccia la realtà: non mi sembrava di avere molta scelta.»

-Voglio sentirglielo dire, signorina Walker- disse, e mi colpì non poco con queste parole. Si chinò alla mia altezza e sussurrò: -Quando la gente alza gli occhi al cielo, quando la gente ci indica e si chiede: “Cos’è quello?”- fece un buffa vocina. –Noi cosa rispondiamo?- sorrise malvagio.
Sollevai piano la testa, guardandolo dal basso verso l’alto e, non appena incontrai i suoi occhi, le mie labbra si schiusero giusto il necessario: -… Angeli…- mormorai, ma un istante dopo le mie difese crollarono, e mi accasciai a terra priva di forse per reggermi anche in ginocchio.
-Che succede?!- chiese colpito Lewis. –Perché è svenuta?!- cominciò ad allarmarsi guardandosi attorno; probabilmente non era normale che cedessi in quel modo, ma poi aggiunse, avvicinandosi ad un altro scienziato: -Perché le ferite non si rimarginano?!- lo afferrò per il colletto.
L’uomo rabbrividì quando si trovò le ali di Martin che puntavano alla sua gola, come denti affilati di una bestia.
-Non lo so, signore!- piagnucolò questi.
-Lewis, la ragazza è prematura- intervenne la donna del reparto, e il capo si voltò verso di lei. –La stavamo portando in laboratorio quando…-.
-Dannazione!- sbraitò. -Perché non ne sapevo nulla?! Avete lasciato che la ferissi in questo modo, idioti!- sbraitò gonfiando le ali, e minacciando i presenti.
-Pensavamo lo sapesse!- espresse un altro.
-Bhé, vi sbagliavate…- borbottò Martin staccando le mani dal camice dell’altro medico. –Allora cosa state aspettando?! Portatela subito via! Muoversi!- ordinò, ed ubbidirono all’istante.
Mi scortarono in una sala totalmente nuova e semplice, che pareva la stanza di un ospedale, e mi tennero lì il tempo necessario per rimarginare le ferite da taglio.
Restai sveglia durante tutta l’operazione, e vidi iniettarmi dell’altro liquido, ma ben presto persi nuovamente i sensi e non mi risvegliai per una quindicina di giorni.



*********
Link --------> le ali d’Angelo di Emily
Il fatto che ha solo cinque artigli è per via dell’immaturità.
Emily ha lasciato la vasca di contenimento in anticipo rispetto alla scadenza,
per questo è così debole e ha solo cinque artigli per ala.
*********

   
 
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