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Autore: mistaya89    18/01/2020    0 recensioni
Un anno fa ho iniziato a giocare a D&D, serviva un piccolo background per il mio personaggio, una sorta d'introduzione, ed eccola qui. Ho pensato solo ora di pubblicarla come fanfic originale. Sono una mezzelfa, so fare magie ed ho un destino più grande di me ad aspettarmi che ancora non conosco. Questo è l'inizio della mia storia...
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Il rombo dei tuoni accompagnava il rumore dei destrieri lanciati al galoppo. La pioggia gelida e sferzante cadeva acuminata sulle figure in fuga, come taglienti pezzi di vetro che laceravano stoffa e carne. La luna nascosta dalle nubi pesanti rifiutava di aiutarli illuminando loro la via, mentre le ombre avvolgevano i loro inseguitori rendendoli simili agli incubi che incarnavano nell’anima anche nell’aspetto.

Il pianto di un neonato suonò netto nella notte tempestosa.
La distanza tra la coppia in fuga e i loro inseguitori diminuì. All’improvviso l’uomo frenò il suo destriero.
<mela en’ coiamin.>> <> disse la donna con voce tremante mentre stringeva più forte la bimba fra le sue braccia. Gli occhi di lui scintillarono d’amore, splendidi come le gemme incastonate che erano. Zaffiri illuminati dai fulmini. I lunghi e setosi capelli biondi perfetti persino sotto il diluvio. L’armatura leggera scintillante e regale.
<>
Un lungo bacio disperato, un incantesimo sussurrato e il cavallo continuò la sua corsa, nonostante le proteste della donna, portandola lontana dalla morte, e dall’uomo che amava.
Tuoni, incantesimi e spade incrociate furono i primi rumori al mondo che la neonata sentì. Mischiati al pianto di sua madre.

Capitolo 1

La mezzelfa camminava leggera, con i lunghi capelli al vento. Le orecchie appena appuntite che sporgevano leggermente, gli occhi accesi dalla luce del sole nascente. Se qualcuno avesse conosciuto sua madre da giovane avrebbe potuto dirle che era il suo ricordo vivente. Ondulati capelli del colore della cangiante brace infuocata, morbidi tratti scolpiti da zigomi perfetti, labbra piene e perennemente arricciate, lunghe ciglia incurvate, un corpo snello e scattante che, insieme alle orecchie, tradiva la sua origine non pienamente umana. E poi gli occhi. Due zaffiri del colore dell’acqua bassa e cristallina, mentre la madre aveva dei dolcissimi occhi color nocciola.

Ma la madre era morta quando lei era ancora bambina, e ne conservava pochissimi ricordi. E non c’erano amici o parenti che potessero ricordargliela o raccontarle aneddoti al calore di un fuoco. Senza casa, senza famiglia, erano vissute perennemente in viaggio. Allontanate dai più per il suo sangue misto, disprezzato ovunque, e per le stranezze magiche che la piccola mezzelfa compiva involontariamente. Crescendo la madre l’aveva pregata di non usare i suoi poteri davanti agli altri, le permetteva di dargli sfogo solo quando erano sole, guardandosi continuamente intorno per controllare che nessun estraneo incappasse nei prodigi della figlia. Erano l’una la casa dell’altra. Fino a quando anche quest’ultima era crollata in pezzi. Poco prima che la madre morisse si erano stabilite nei sobborghi di un mercato di una grande capitale, raccoglievano erbe e fiori nei boschi fuori città e li intrecciavano per venderli la mattina dopo, disposti su teli laceri stesi sulla strada polverosa, guadagnando a malapena il necessario per non morire di fame. Dormivano all’addiaccio su logori giacigli improvvisati come tende nella parte

coperta del mercato, insieme ad altre povere anime che non potevano avere di meglio. Eppure quando ripensava a quei tempi non provava altro che gioia e una fitta di nostalgia. Non le era pesato spostarsi continuamente, non si era mai sentita a suo agio da nessuna parte, non si era mai integrata, aveva amato viaggiare e la sua innata curiosità la portava a non essere mai sazia di cambiamenti, di nuove avventure, nuovi posti, nuove persone, nuovi canti.

La madre aveva una voce stupenda, e cantava per lei in continuazione. Questo era uno dei suoi ricordi più vividi. Ad ogni nuovo luogo dove arrivavano imparavano una nuova canzone, spesso in lingue diverse. Aveva una voce stupenda, e lei era cresciuta circondata dalla musica, e dai libri. La madre era stata molto fiscale nel voler educare la figlia al meglio delle sue possibilità. Le batteva continuamente le mani sulla testa se non mangiava composta, o se non camminava dritta. Come aveva due soldi da parte o del lavoro in eccesso li barattava in libri, e cosi Eileen aveva imparato a leggere, scrivere e far di conto pur senza aver mai frequentato una scuola. La madre le aveva anche raccontato sotto forma di favole la storia del mondo, e ad ogni città le insegnava la politica del luogo. Mentre appena potevano si fermavano davanti alle grandi cartine in pelle in vendita e indicava alla figlia i luoghi dove erano state, e le chiedeva dove sarebbe voluta andare. Spesso in altre lingue, per tenerla allenata.
Ripensandoci iniziò a canticchiare uno dei canti della sua infanzia che le era rimasto più impresso, glielo aveva insegnato uno gnomo sbronzo e dalle guance rubiconde in una taverna, dove lei stava cercando di barattare dei fiori per un pò di pane, parlava di un mondo maledetto e di una ragazza che lo avrebbe salvato. Era convinta che lo gnomo si fosse dimenticato qualche pezzo perché davvero non capiva come potesse bastare brandire una torcia per farlo. Ma gli gnomi d’altronde avevano strane misure per le cose del mondo.
Quando quella sera era tornata dalla mamma nel mercato e le aveva cantato la nuova canzone appena appresa era convinta che sarebbe stata felicissima. Mentre Eileen cantava il suono della sua voce si trasformava in vivide immagini tralucenti sospese nell’aria, che danzavano intorno a loro illuminando il piccolo giaciglio e mostrando i protagonisti del canto cosi come la sua immaginazione li creava. Invece la madre non era stata contenta, si era adombrata e non le aveva nemmeno detto brava come al solito, con un bacio e una carezza e gli occhi accesi d’orgoglio.
Il giorno dopo si era ammalata, e in meno di una settimana era morta.
In quei terribili giorni aveva alternato stati febbrili di allucinazioni a rari momenti di veglia. Nel sonno la sentiva pronunciare più volte il nome Aranel, il nome di suo padre. Eileen era rimasta vicino al giaciglio di sua madre giorno e notte, cercando di farla bere e di abbassarle la temperature con spugnature di acqua fredda. Qualcuno le aveva dato una mano, impietosito da quella bambina con la madre morente. Ma spesso quando i capelli si spostavano e notavano le sue orecchie, sparivano, lasciandola di nuovo sola. Aveva solo 11 anni.
Una notte la madre si svegliò urlando, ed Eileen corse da lei. La trovò lucida e stranamente in forze. Tanto che la piccola si permise di sperare, per la prima volta da giorni.
<>, la voce concitata, roca, spezzata dalla tosse.
<

desideri. E spero in questi anni di averti trasmesso almeno il necessario per sopravvivere. Ascoltami bene ora tesoro mio, ti racconterò una delle favole che ti piacciono tanto, va bene? Ma devi promettermi di ascoltarla bene e ricordarla per sempre. E’ importante. Ti servirà. Vieni qui, siediti vicino a me.>>

Eileen passò la notte tra le braccia della madre che le raccontava di un principe degli elfi, bello come il sole e di una nobildonna del mondo umano contesa da molti re, le raccontò di come si fossero conosciuti per caso, in una foresta, e di come si fossero odiati. E poi, con il passare del tempo, amati. Le raccontò di come le loro famiglie avessero osteggiato in molti modi il loro amore, perchè cosi diversi, delle prove che avevano dovuto affrontare, e di una terribile profezia che li aveva costretti a scappare. Ma le disse anche di una splendida speranza, incarnata dalla loro bimba.

Al mattino la madre era morta, ed Eileen piangeva tremante sul suo corpo freddo, chiamandola. Una tempesta arrivò da Nord con la velocità di un vento d’inverno e i tuoni, per la seconda volta, si mischiarono al suo pianto disperato.
Erano passati anni da allora, e la bambina era cresciuta, diventando una bellissima ragazza. E non si era mai fermata. Continuava a scoprire il mondo di villaggio in villaggio, accettando missioni e piccoli compiti. Cercando di convivere con la sua sorte che non le pesava poi tanto. Aveva imparato ad allenare se stessa per sopravvivere in un mondo in cui l’ingordigia, la lussuria e la cattiveria imperversavano, aveva accresciuto i suoi poteri, sempre lontana da sguardi indiscreti come la mamma le aveva imposto di fare, e aveva evitato di affezionarsi troppo a qualsiasi cosa. Perchè aveva imparato da bambina che in un mondo in cui tutto cambia sono poche le cose per cui vale la pena amare davvero.

   
 
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