Capitolo settimo
Just 'cause it's part of a plan
That doesn't make it right
If I put my life in your hands
It's still unmistakably mine
Dark its wings across a pitch-black sky
Death will come for me, but not tonight
Let the earth cover me!
Angels will call for me!
But in time
Not tonight!
(“Danse macabre” – Delain)
Quando Rinaldo tornò al suo palazzo, tre
giorni dopo i fatti accaduti alla Signoria e l’umiliazione pubblica di Pazzi,
rimase parecchio male vedendo i vasi infranti sparsi per tutto il salone. Lì
per lì pensò che nel suo palazzo fossero entrati i ladri o che qualcuno dei
mercenari a cui doveva ancora del denaro avesse deciso di servirsi da solo...
poi, però, si accorse che non c’era traccia di Giovanni e comprese che, con
ogni probabilità, era stato proprio lui a distruggere i vasi per la rabbia e
che poi, infuriato, aveva lasciato il palazzo.
Rinaldo non riusciva a capire la sua
reazione: era stato affettuoso con lui e aveva mantenuto la sua parola, aveva
trascorso solo pochi giorni in campagna da sua figlia Susanna ed era tornato da
lui al più presto, come aveva promesso. Perché Giovanni si comportava così? Lui
non voleva tradirlo, non ci pensava neanche, non aveva il benché minimo
interesse per sua moglie Alessandra, anzi non si erano quasi parlati in quei
giorni… Aveva pensato sempre a Giovanni, gli era mancato molto e avrebbe voluto
che lo avesse raggiunto nella villa di campagna, per condividere con lui la
gioia di avere una figlia. Avrebbe voluto che vedesse la sua piccola Susanna,
avrebbe desiderato che fosse felice per lui e poi, chissà, avrebbe anche potuto
mettergli al dito l’anello di sua madre, quello che aveva fatto benedire dal
Papa, per potersi considerare finalmente sposati.
Insomma, Rinaldo stava lentamente imparando a
sue spese cosa volesse dire stare insieme ad un adolescente al suo primo amore,
con tutti i suoi melodrammi e le sue sfuriate!
Tuttavia non aveva nessuna intenzione di
rinunciare a Giovanni. Immaginava che si fosse recato a Palazzo Medici e che si
fosse stabilito là: ebbene, sarebbe andato a riprenderselo, come aveva già
fatto tante volte! Inoltre, ciò gli avrebbe dato occasione di informarsi su
come procedevano le cose a Firenze e se erano stati fatti progressi sulle
indagini riguardanti il mandante dell’imboscata a lui e a suo figlio.
Quando, però, Rinaldo arrivò a Palazzo
Medici, trovò un’atmosfera di grande festa e gioia che proprio non si
aspettava. Che avevano da festeggiare tanto i Medici? Oh, beh, un sacco di cose
di cui lui non sapeva ancora niente. Innanzitutto la figuraccia rimediata da
Andrea Pazzi alla Signoria e il trionfo di Piero, che si era dimostrato
veramente deciso e capace in una circostanza difficile; poi il ritorno di
Cosimo, rientrato a Firenze dopo aver parlato con il vescovo Vitelleschi e in
accordo con lui per finanziare l’esercito che avrebbe riportato il Papa a Roma;
inoltre il successo di Lorenzo, che era riuscito a catturare un sicario di
Andrea Pazzi dal quale sperava di ottenere, finalmente, le prove per incastrare
quell’infido individuo.
In realtà i motivi per festeggiare erano
anche altri: nella sua missione alla ricerca del sicario di Pazzi, Lorenzo
aveva rischiato di finire ucciso da lui ed era stato salvato… da Marco Bello,
che lo aveva seguito e, vistolo in difficoltà, era intervenuto. Ancora una
volta pareva proprio che Giovanni avesse avuto ragione: l’allontanamento di
Marco Bello era stato un vantaggio per Andrea Pazzi, perché i Medici, senza di
lui, erano più vulnerabili e per poco Lorenzo non ci aveva rimesso la pelle! Ma
siccome tutto era finito bene, il Medici aveva insistito affinché Marco Bello
tornasse a Firenze con lui e rientrasse al servizio della famiglia.
“Mi dispiace molto di aver sospettato di te per
l’assassinio di nostro padre” aveva detto Lorenzo, “e sono convinto che anche
Cosimo sarebbe davvero lieto di riaverti al suo fianco.”
Marco Bello non pareva troppo convinto.
“La mia strada mi porta lontano da Firenze” era stata la
sua risposta. “Abbiate cura di voi, Messer Lorenzo.”
“Ti sbagli, la tua vita è a Firenze e la famiglia Medici
è la tua famiglia” aveva insistito allora Lorenzo. “So che è stata colpa mia.
Per anni sono stato geloso del legame che avevi con Cosimo, credevo che lui
avrebbe desiderato te come fratello, mi sentivo di troppo, pensavo che Cosimo
non mi capisse e non mi approvasse. Sono stato meschino e, quando quella
ricevuta è parsa una prova della tua colpevolezza, mi sono sentito sollevato e
contento: volevo che Cosimo ti cacciasse e speravo che, senza di te, lui
sarebbe tornato ad essere un vero fratello per me. E invece tu hai continuato a
preoccuparti per la nostra famiglia, mi hai addirittura salvato la vita…”
“Posso capire la vostra reazione, Messer Lorenzo, ma voi
dovete capire che io non mi sentirei più a mio agio a Palazzo Medici” obiettò
Marco Bello.
“E perché? Solo perché io mi sono comportato da idiota”
replicò Lorenzo senza tante cerimonie. “Sappiamo bene che non sei stato tu a
uccidere nostro padre e, anzi, probabilmente questo scagnozzo ci darà le
informazioni che dimostreranno che c’è Pazzi anche dietro quell’assassinio. Io
ero geloso di te perché mi portavi via mio fratello… e invece è proprio il
contrario: tu sei un altro fratello sia per Cosimo che per me. Non ti lascerò
andare via di nuovo e non tornerò a Firenze finché non ti avrò convinto!”
Insomma, tutto questo per spiegare il fatto
che, alla fine, Marco Bello si era lasciato convincere, era tornato a Firenze
con Lorenzo e adesso sedeva a tavola con la famiglia, anche lui a festeggiare
con loro.
Infine, c’era un altro importantissimo motivo
che spiegava il banchetto: dopo aver visto la morte in faccia, Lorenzo aveva riorganizzato
le sue priorità, si era reso conto che poteva accadere qualcosa di terribile in
ogni momento e che era sciocco gettare via la felicità quando si poteva
ottenerla facilmente. Così aveva fatto la proposta di matrimonio alla
nobildonna Ginevra Cavalcanti, che corteggiava da tempo ma senza prendere la
cosa troppo sul serio. Aveva compreso che Rosa non sarebbe mai più tornata, ma
che lui poteva avere comunque una famiglia e dei figli, non era troppo tardi.
Così, in quel banchetto, si celebrava anche
il fidanzamento ufficiale di Lorenzo e Ginevra!
E Rinaldo Albizzi non c’entrava un beneamato
in tutta questa gioia e armonia… Quando si fece annunciare alla famiglia
Medici, tutti rimasero parecchio spiazzati da quell’arrivo inaspettato e, a
dirla tutta, Cosimo non aveva nemmeno tanta voglia di invitarlo a pranzo. Quella
era una festa di famiglia e Albizzi non era proprio quello che si dice un amico intimo.
“Forse, ormai che è venuto qui, sarebbe
gentile estendere l’invito anche a lui” propose cortesemente Lucrezia.
“Ma anche no” reagì Giovanni, ancora in
collera con l’uomo. “Messer Albizzi non è della famiglia e non è nemmeno un
vero amico di Messer Cosimo, sono vent’anni che lo ripete, ha cambiato idea
proprio oggi? Se deve parlare con qualcuno di voi, aspetterà che la festa di
fidanzamento sia conclusa. Non può avere sempre la presunzione di fare tutto
quello che gli pare!”
A quelle parole vibranti di Giovanni, Cosimo
soffocò una risata. Era vero, nemmeno a lui piaceva poi tanto l’idea di
invitare Rinaldo a una festa privata di famiglia, ma ora cominciava a capire il
motivo per cui l’uomo era venuto a Palazzo Medici e, in realtà, riteneva che
sarebbe stato molto meglio anche per lo stesso Giovanni se Albizzi avesse
partecipato. Magari si sarebbero finalmente chiariti!
Così, il Medici ordinò ai suoi servitori di
far accomodare Rinaldo Albizzi e di preparare un posto anche per lui alla loro
tavola.
Giovanni si imbronciò non poco, ma non poté
farci niente…
Il banchetto, dunque, proseguì fino a
pomeriggio inoltrato, in allegria e serenità; poi la famiglia Cavalcanti si
congedò, ringraziando Cosimo per la bella festa organizzata per il
fidanzamento. Lorenzo e Ginevra si salutarono con un bacio e promettendosi di
rivedersi il prima possibile.
Giovanni non sapeva più dove nascondersi per
evitare di parlare con Rinaldo, non voleva nemmeno vederlo, rifiutava di avere
un colloquio con lui… anche perché sapeva benissimo che, se si fosse avvicinato
troppo, non ce l’avrebbe fatta più a tenerlo a distanza, anche a lui era
mancato!
Ma sarebbe morto tra mille patimenti prima di
ammetterlo.
Così il ragazzo si confuse tra i membri della
famiglia Cavalcanti che se ne andavano e ne approfittò per restare celato alla
vista dietro le colonne che conducevano al giardino interno di Palazzo Medici.
In quel luogo, però, ebbe modo di assistere
ad un colloquio molto interessante. Vide che Lorenzo consegnava una lettera a
Cosimo e si preparava a uscire anche lui.
“Questa lettera contiene le prove che
inchioderanno Pazzi” spiegò. “Nel frattempo io voglio andare a interrogare
quello sgherro che abbiamo messo in carcere: voglio scoprire se c’è davvero
Pazzi anche dietro l’omicidio di nostro padre. Ormai non può essere che lui.”
I due fratelli si salutarono e Lorenzo uscì
dal portone, prese il suo cavallo e partì.
A Giovanni, però, la cosa non piacque per
niente: Andrea Pazzi aveva già mandato un sicario ad ammazzare il povero Mastro
Bredani (ve lo ricordate? Il mercante di olio…) e i mercenari a tendere
un’imboscata agli Albizzi. Sapendo che Lorenzo indagava su di lui, non avrebbe
mandato qualcuno a pedinarlo e ad assassinarlo a tradimento? Era in pieno Pazzi Style! Così dimenticò che voleva
nascondersi e raggiunse invece Marco Bello, che stava riponendo le sue cose
negli alloggi della servitù.
“Marco, devo chiederti un favore” gli disse.
“Messer Lorenzo è andato al Palazzo della Signoria per incontrare quel
delinquente che avete catturato, vuole interrogarlo ma io… io non sono
tranquillo quando c’è di mezzo Andrea Pazzi. Potresti seguirlo, senza farti
vedere, e accertarti che non ci siano sicari in giro pronti a ucciderlo? Sono
convinto che Pazzi sia ormai disperato, non ha più niente da perdere e potrebbe
tentare anche di assassinare un Medici!”
“Avete ragione, giovane Uberti, questa storia
non piace nemmeno a me e, da quanto ho capito, potrebbe essere stato proprio
Pazzi a incastrarmi, facendo credere a Messer Cosimo che fossi io l’assassino
di suo padre” replicò l’uomo, in tono grave. “Farò come dite e proteggerò
Messer Lorenzo.”
Non appena l’uomo di fiducia dei Medici fu
partito, Giovanni si sentì immediatamente più tranquillo. Marco Bello sapeva
bene come pedinare qualcuno e come avere la meglio anche su sicari e mercenari
prezzolati. Lorenzo sarebbe stato al sicuro con lui. Si voltò per tornare nel
giardino interno del palazzo, intenzionato a fare due passi per scaricare la
tensione.
Ma si trovò faccia a faccia proprio con chi
non voleva assolutamente incontrare: Rinaldo Albizzi.
Il cuore cominciò a battergli più forte, le
gambe gli tremavano, ma il ragazzino tentò comunque di ostentare una suprema
indifferenza e proseguì come se niente fosse verso il giardino interno.
“Adesso vi intrufolate anche nelle feste che
non vi riguardano e ascoltate i colloqui altrui come se fossero affari vostri?
Complimenti, state migliorando” lo
attaccò, in tono caustico.
“Non era certo questo il benvenuto che mi
aspettavo da te dopo questi giorni di lontananza” replicò Rinaldo, sorridendo intenerito.
Capiva bene che la reazione di Giovanni era dettata dalla gelosia…
“E chi li ha voluti, i giorni di lontananza?
Io no di certo! Siete stato voi a correre da vostra figlia e chissà come vi ha
accolto la vostra signora” sibilò il
giovane, indispettito. “Sono sicuro che è stato tutto un suo piano per
riprendervi!”
Questa volta Rinaldo scoppiò davvero a
ridere. Finalmente la gelosia di Giovanni si era palesata apertamente!
“Ti ripeto che a mia moglie non interessa più
niente di me, fatte salve le apparenze, e che voleva solo un altro figlio o
figlia. Per il resto, adesso è soddisfatta con la piccola Susanna e con Ormanno
che spesso va a trovarla con la moglie” spiegò. “Anzi, sappi che nei giorni che
ho trascorso in campagna ho avuto pochissime occasioni di parlare con
Alessandra e lei non è certo venuta a cercarmi. Non c’è più niente tra noi,
ormai, io pensavo a te continuamente e avrei voluto che fossi con me. Mi
piacerebbe che, la prossima volta che andrò a far visita a mia figlia, tu mi
accompagnassi, perché ormai tu fai parte della mia famiglia… in più di un
senso.”
Quelle parole bloccarono Giovanni e, per un
lungo istante, i due rimasero immobili a guardarsi. Ma non era soltanto per
quello che Rinaldo aveva detto, bensì per tutto ciò che era accaduto fino a
quel momento. Il ragazzo aveva mandato Marco Bello a proteggere Lorenzo, così
come aveva fatto tanti mesi prima per Rinaldo. Tutti gli avvenimenti di più di
un anno prima tornarono a rincorrersi nella mente di Giovanni: la paura,
l’ansia, il desiderio insopprimibile di salvare l’uomo che amava anche a costo
della vita, salvarlo dalla condanna a morte prima e dall’attentato poi. Quelli
erano i veri sentimenti che lui provava per Rinaldo… la gelosia aveva
avvelenato tutto, ma la realtà era quella. Lui lo amava e non poteva fare a
meno di lui.
Ma anche Rinaldo aveva rammentato tutto ciò
che era accaduto e tutto quello che Giovanni aveva fatto per lui. Sì, a vederlo
sembrava solo un adolescente capriccioso e possessivo, ma era stato capace di
muovere mari e monti pur di salvare lui e suo figlio… e quasi era rimasto
ucciso nel tentativo. Rinaldo non dimenticava la freccia che Giovanni si era
preso al posto di Ormanno e sapeva bene, ormai, che tutto quello che aveva
oggi, la vita, la famiglia, la serenità, la doveva a Giovanni e solo a
Giovanni.
Non poté più resistere e, prima che il
ragazzo potesse tentare una qualunque opposizione (sempre che l’avesse voluto
fare!), Rinaldo fece qualche passo verso di lui, lo prese tra le braccia e lo
spinse contro uno dei muri che delimitavano il giardino interno. Incollò le
labbra a quelle di Giovanni e lo strinse appassionatamente a sé, bloccandolo
con il suo corpo. Gli schiuse la bocca con la sua, lo esplorò con la lingua,
rubandogli il respiro e travolgendolo in un bacio lento e pieno di passione.
Ovviamente Rinaldo sapeva di non poter soddisfare il suo desiderio in quel
momento, nel giardino della residenza dei Medici, comunque continuò a baciare
intensamente Giovanni e a far aderire completamente il corpo a quello morbido del
ragazzino. Poi gli avrebbe parlato, si sarebbe scusato con lui e si sarebbe
fatto perdonare, l’avrebbe portato via con sé a Palazzo Albizzi e non si
sarebbe più negato di esplorare e godere quel giovane corpo tenero. Per adesso
doveva accontentarsi di un bacio più intimo, intenso e prolungato possibile.
Dal canto suo, Giovanni non poteva più
nemmeno pensare lucidamente mentre Rinaldo lo baciava e si stringeva sempre più
passionalmente a lui. In quel momento sembrava che tutta la sua rabbia e la sua
gelosia fossero svanite, non solo perché era completamente perduto in Rinaldo,
ma anche per la nuova consapevolezza che lo aveva colpito: Lorenzo era in
pericolo, certo, ma forse anche Rinaldo lo era ancora. Pazzi era diabolico e
avrebbe potuto colpire chiunque. Lui aveva sofferto così tanto in quei pochi
giorni senza l’uomo che amava… perché doveva respingerlo e rischiare di
perderlo per sempre? No, non aveva senso. Aveva fatto di tutto per salvarlo e
adesso lo aveva lì, con lui, contro di lui, ad avvolgerlo nel suo abbraccio e a
soffocarlo in un bacio sempre più profondo e intimo.
Non voleva lasciarlo mai più. Certo, si
sarebbe mostrato ancora offeso, avrebbe cercato di fargli pagare il suo tradimento con la moglie… ma era tutta
scena ed entrambi lo sapevano.
Giovanni e Rinaldo esistevano solo l’uno per
l’altro, lì, in quel momento e per sempre, al di là del tempo, dello spazio e
degli intrighi politici di Andrea Pazzi!
Fine capitolo settimo