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Autore: heliodor    20/01/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Che io sia dannata
 
“Orfar” disse Gladia osservando la città da lontano. Vista da lì sembrava una fortezza piccola e raccolta su sé stessa e in effetti era ciò che i suoi costruttori avevano pensato quando era stata edificata.
Un piccolo avamposto per difendersi dalle scorrerie dei razziatori del nord. Quello accadeva duemila anni prima, quando né Berger né Azgamoor avevano pacificato quella regione.
Col tempo i razziatori erano stati scacciati o assimilati dalle popolazioni più civili e le incursioni erano diminuite fino a sparire.
Il commercio si era sostituito alle razzie e Orfar era diventata un centro di passaggio e di scambio per le merci. Lì al centro dell’altopiano, carovane provenienti da nord e da sud, da est e da ovest, si incontravano per scambiare prodotti e commerciare.
Gli orfar erano cresciuti in ricchezza e potere e questo li aveva resi arroganti. Avevano sfidato i vicini dell’altopiano uscendone vincitori dopo una lunga guerra. Non erano riusciti a conquistare i loro nemici ma li avevano raccolti in una federazione di regni grandi e piccoli.
Ciò li aveva resi un bersaglio di Malinor, che li aveva attaccati e sottomessi più volte durante la storia. Questo fino all’impero di Berger, quando Malinor stessa era stata sconfitta e costretta a cedere le sue conquiste, liberando Orfar.
Dopo la caduta dell’impero, la federazione era risorta e da allora era la rivale di Malinor.
“O almeno così piace pensare a Skeli e i suoi predecessori” disse Gladia dopo aver fatto schioccare le redini.
Dietro di lei, il cavallo di Robern arrancò per la salita. Il viso dell’uomo era tirato e sofferente. Era così da dieci giorni, cioè da quando Gladia gli aveva ricucito la ferita.
Ogni tanto dava un’occhiata per pulirla e cambiare le bende. Il taglio aveva un contorno violaceo che non le piaceva affatto.
“Non ha un bell’aspetto, vero?” le chiese lui durante una sosta.
“Non morirai” gli aveva risposto con tono distaccato. “Non oggi e non qui.”
“Ma ogni giorno che passa quel momento si avvicina. La ferita si sta infettando.”
Gladia grugnì. “Ho applicato qualche pozione. Dalle il tempo di fare effetto.”
Avremmo già dovuto vederne gli effetti, si disse.
Tenne per sé quel pensiero.
Robern sorrise. “Ti preoccupi per me adesso?”
“Mi preoccupo del mio piano” fece lei con tono distaccato.
“Il nostro piano” la corresse lui. “Che in origine era il mio.”
“Senza il mio aiuto, il tuo piano non potrebbe mai funzionare.”
“Il tuo aiuto e quello della tua protetta.”
Gladia diede di sprone e cavalcò via. Robern la seguì al piccolo trotto, come se volesse farsi distanziare. Fu costretta a rallentare e aspettarlo.
Lui cercò di nascondere una smorfia di dolore. “Fa male” disse stringendo i denti. “E cavalcare non migliora le cose.”
“Tra poco si riposeremo.”
“Credi che a Orfar potranno aiutarmi?”
Gladia cercò di non perdere la calma. “Chi ti dice che stiamo andando lì per aiutare te?”
“Per quale motivo abbiamo deviato dalla strada per Malinor, allora?”
“Bryce potrebbe trovarsi a Orfar.”
“Sai meglio di me che non è vero. Ho sentito dire che tra lei e Skeli i rapporti non sono molto buoni. Non si nasconderebbe mai alla sua corte.”
“Proprio perché tutti pensano che non lo farebbe mai, lo rende il nascondiglio ideale” ribatté.
In realtà non era del tutto convinta che andare a Orfar fosse una buona idea. Robern aveva ragione a pensare che Bryce non si sarebbe mai nascosta lì. E Skeli non l’avrebbe mai ospitata o aiutata, se era vero ciò che aveva visto e sentito quando si era trovata a Malinor e nel viaggio verso nord.
I loro pessimi rapporti avevano persino costretto l’armata di Galyon a fare una leggera deviazione per evitare il territorio di Orfar.
No, si disse, è impensabile che Bryce si trovi lì. E allora perché ci sto andando?
Era difficile darsi una risposta. Tutto ciò a cui riusciva a pensare in quel momento era la ferita di Robern e a quanto brutta le fosse sembrata da due o tre giorni a quella parte. Si chiese quanto stesse davvero soffrendo e se a Orfar avrebbero trovato guaritori abbastanza abili da curarlo. Lei non lo era abbastanza e le sue conoscenze erano scarse.
Prima ancora di arrivare a cinque o sei miglia dalla città una pattuglia di tre cavalieri fece loro cenno di fermarsi e attendere.
Tra di loro c’era un mantello con il simbolo di Orfar. Lo indossava una donna di mezza età, il viso segnato da una vecchia cicatrice memoria di chissà quale battaglia.
“Io ti saluto” disse Gladia vedendola arrivare al galoppo. “Sono Gladia di Taloras.”
“Che io sia dannata” rispose la donna. “Se sono così vecchia da non riconoscere il volto dell’inquisitrice.”
“Mi conosci?”
“Che io sia dannata, sì” rispose la donna. “Mi chiamo Bekie, ma tutti mi chiamano Bek. Sono del circolo di Orfar.”
“Onorata di fare la tua conoscenza, Bek” disse Gladia prudente. “Mi conosci di fama o ci siamo già incontrate?”
“Che io sia dannata, forse tu non ti ricordi di me, ma io ricordo benissimo la tua faccia, anche se all’epoca eravamo entrambe più giovani. Ti conobbi a Kurdlan, poco prima della battaglia della montagna sacra. Io ero nella compagnia di Senor.”
Kurdlan, pensò Gladia. È successo più di trent’anni fa. I ribelli di Oc Talbon lo stregone cieco avevano catturato un avamposto e minacciavano la zona orientale dell’altopiano. Ricordava bene la battaglia e l’incendio che aveva divorato la fortezza con dentro gli occupanti. L’avevano appiccato loro per costringerli a uscire allo scoperto, ma Oc era così pazzo da aver atto sigillare tutte le uscite. Lui e i suoi accoliti erano morti tra le fiamme o soffocati.
“All’epoca nemmeno indossavi il mantello” disse Bek divertita. “E nemmeno le tue amiche. Ora invece…”
“Siamo tutti cambiati, Bek” disse Gladia per tagliare corto. “Ti trovo in salute.”
“Non mi lamento” rispose lei. “Stai andando da qualche parte o vieni a Orfar?”
“Cerco un guaritore per il mio amico.”
Bek guardò Robern. “Lui sono sicura di non averlo mai visto. Come ti chiami, straniero?”
“Si chiama Dodur” si affrettò a dire Gladia.
Bek si accigliò. “Che io sia dannata se è un nome strano.”
“Onorato di fare la tua conoscenza, Bekie” disse Robern divertito.
“Dal modo in cui ti tieni il fianco direi che stai soffrendo non poco” rispose lei.
È una buona osservatrice, pensò Gladia. Deve aver capito con una sola occhiata che Robern è ferito e questo prima che glielo dicessi. Forse voleva mettere alla prova la mia onestà e capire se le avrei mentito.
“È una ferita leggera, ma temo che possa infettarsi.”
“Che io sia dannata” esclamò Bek. “Non si scherza con un’infezione. È una cosa seria. È così che è morto mio cugino Ozlin.” Scosse la testa. “Era una gran brava persona, ma odiava i guaritori. Non voleva farsi toccare da loro e alla fine è morto.”
“Io non ho problemi con i guaritori” disse Robern divertito.
“Meglio per te, amico” disse Bek. “Meglio per te.”
Cavalcarono in silenzio mentre la città diveniva sempre più vicina.
Robern l’affiancò e protendendosi verso di lei disse: “Dodur? Sul serio?”
Gladia annuì.
“Ricordo male io o era il nome del tuo cane?”
Annuì di nuovo. “Volevo molto bene a quella bestia. Ricordo che Hagar e io piangemmo per tre giorni quando chiuse gli occhi e ci lasciò.”
Robern sbuffò e si raddrizzò in sella.
A un paio di miglia dalle mura, notò una certa attività attorno a esse. Stringendo gli occhi, vide file e file di tende piantate nel terreno e un brulicare di persone ce da quella distanza non poteva dire se fossero uomini e donne.
“Noi la chiamiamo Orfar bassa” disse Bek quasi intuendo le domande che la tormentavano. “Altri, Orfar nera.”
Gladia capì il significato di quei nomi quando intravide i vessilli neri sventolare sopra alcune tende. Erano poco più di stracci appesi a rudimentali bastoni, ma rendevano bene l’idea di che cosa avevano di fronte.
L’accampamento si estendeva per un miglio attorno alla città, formando un cerchio che l’abbracciava e circondava su tutti i lati. Per raggiungere una delle porte dovettero attraversarlo, ma ben prima di entrarvi avvertì il tanfo insopportabile delle feci e della decomposizione. Era come trovarsi in una stanza dove decine di persone erano morte e ora venivano consumate un pezzo alla volta.
Gladia si coprì il naso con la mano.
“Che io sia dannata se non ti capisco” disse Bek allegra. “Noi ormi ci abbiamo fatto l’abitudine, ma per te che arrivi solo adesso deve sembrarti davvero terribile.”
“Non sembra” disse Robern con sguardo cupo. “Lo è. Quante persone si rovano qui attorno? Le avete contate?”
Bek scrollò le spalle. “Tre o quattrocentomila. Forse mezzo milione. Ha importanza?”
“Saranno cinque volte la popolazione di Orfar.”
Bek annuì. “Sono tanti. E ce n’erano molti di più quando sono arrivati.”
“E dove sono adesso?”
“Morti, per lo più. Alcuni hanno proseguito verso nord o altrove.”
“Morti di stenti e di fame?”
“La maggior parte” disse Bek. “Alcuni sono stati giustiziati e c’è stata una piccola battaglia, una Luna e mezza fa.”
“Battaglia?” fece Gladia incredula. “Chi ha combattuto?”
“I malinoriani, per la maggior parte” disse Bek. “Quando sono diventati davvero troppi, hanno iniziato a lottare tra di loro.”
“E Skeli che cosa ha fatto?”
“Ci ha ordinato di chiudere le porte e uccidere quelli che cecavano di entrare. Quando la battaglia è finita, il gruppo che aveva perso è andato via.”
Gladia sospirò. Ora che si trovavano in mezzo al campo, notava le tende fatte di stracci e le persone che vi si aggiravano attorno come fantasmi.
Vide volti scavati dalla fame e dagli stenti. Una bambina piangeva in silenzio, le gambe ridotte a due stacchi attaccate al petto. Nessuno la consolava e sembrava del tutto sola.
Soldati di Orfar si muovevano a gruppo di tre o cinque, le lance bene in vista. Da sopra le mura, altri soldati, arcieri in maggioranza ma vide anche dei mantelli, sorvegliavano il campo dall’alto.
“Hanno l’ordine di appiccare il fuoco se si verificano delle aggressioni” spiegò Bek con tono di nuovo allegro.
Deve amare raccontare la sofferenza di questa povera gente, si disse Gladia scambiò una rapida occhiata con Robern, che da quando erano entrati nel campo profughi aveva assunto un’espressione cupa.
“Il fuoco li terrorizza” proseguì Bek. “Ci sono stati due grandi incendi, ma nessuno provocato da noi.”
Delle urla la fecero trasalire. Voltandosi di scatto, Gladia vide si soldati di Orfar trascinare una donna in malo modo. La guardia che l’aveva afferrata la gettò a terra e le assestò due calci nel fianco.
Gladia tirò le redini. “Che succede lì?”
Bek scrollò le spalle. “Niente che ti interessi davvero, inquisitrice. Le guardie l’avranno sorpresa a rubare o chissà cosa.”
“Voglio sapere” disse con tono fermo. “Per favore.”
Bek sembrò soppesare quella richiesta, poi fece cenno ai soldati che l’accompagnavano di rallentare. “Vediamo che cosa succede.”
Attorno alla donna si era formato una piccola folla di curiosi. Erano quasi tutti vestiti di stracci e le urlavano qualcosa contro.
Tutti tranne un uomo corpulento e dalla lunga barba incolta che si sbracciava per tenere a bada la folla.
“Basta, fermi” stava urlando “Ritiratevi o sarà peggio per voi.”
“L’abbiamo sorpresa a rubare” gridò una donna dai capelli chiari e scarmigliati.
“Verrà punita per questo” disse l’uomo barbuto. “Ma se attiriamo troppo l’attenzione ci penseranno i soldati di Orfar.”
“Che ci pensino loro allora” disse la donna con tono acido. “Puniscano questa ladra come merita.”
“Non sono una ladra” gridò la donna sollevandosi da terra. “Ho solo preso un po’ di pane per i miei fratelli.”
Guardandola meglio, Gladia vide che era poco più di una ragazza. Poteva avere venti, forse ventidue anni appena. La sua pelle era più scura rispetto a quella dei malinoriani.
“Sta zitta” le gridò la donna dai capelli scarmigliati.
“Che cosa succede qui?” chiese Bek.
L’uomo barbuto sollevò la testa di scatto. “Niente, vostra eccellenza.”
“Non mi sembra niente” disse Bek. “Che io sia dannata se quello che stavate per fare non è un linciaggio.”
“Avremmo consegnato la ladra ai soldati d Orfar” disse l’uomo. “Le guardie se ne stavano già occupando.”
“Non dovete disturbarle per cose di poco conto” disse Bek. “Sua maestà ha disposto che voi malinoriani vi occupiate di mantenere l’ordine nel campo. Volete che revochi la concessione e mandi di nuovi i soldati a ripulire l’accampamento dalla feccia?”
L’uomo scosse la testa con vigore. “Ce ne occuperemo noi, eccellenza. Riferite questo alla regina.”
“Le riferirò cosa sta succedendo. E il tuo nome.”
“Mi chiamo Rossim.”
Bek annuì grave. “Che io sia dannata se mi scorderò il tuo nome, malinoriano. Ora occupatevi di questa ladra.”
“Aspettate” disse Robern.
Bek gli rivolse un’occhiata interrogativa.
“Ha detto di aver rubato per sfamare i suoi fratelli. Che cosa le farete?”
“La impiccheremo” disse Rossim. “È la punizione per i ladri.”
“Non mi sembra giusto.”
L’uomo si accigliò. “Quello che a te sembra giusto è irrilevante, straniero. Lascia a noi il compito di giudicare i nostri cittadini.”
“Che giudizio può esservi se prima non vi è un processo?”
“La ragazza ha confessato” gridò qualcuno tra la folla.
“È vero.”
“Impicchiamola o la regina manderà le guardie a tormentarci di nuovo” esclamò un vecchio dalla faccia grinzosa.
Robern fece per dire qualcosa ma Gladia gli sfiorò il braccio. “Non sono affari che ci riguardino.”
“Vuoi restare a guardare?”
“Voglio l’aiuto di Skeli. Per te.”
Robern la fissò negli occhi. Guardò la ragazza. “Come ti chiami?”
“Sili” disse la ragazza.
“Hai rubato per sfamare i tuoi fratelli? È vero?”
Lei annuì.
“Quante razioni?”
“Tre” disse la ragazza.
“Non è vero” gridò la donna dai capelli scarmigliati. “Erano cinque.”
“Eri da sola?”
“No. Bromila era con me.” Indicò la donna dai capelli scarmigliati. “Due le ha prese lei” disse Sili. “L’ho vista io prenderle.”
La folla si agitò.
“Sta mentendo” disse la donna dai capelli scarmigliati. “Dimostralo.”
“Tu non sembri una che fa la fame come tutti gli altri” disse una donna rivolta a Bromila.
“Io ho sentito dire che sono sparite molte razioni quando Bromila lavorava al magazzino” disse un uomo.
“È vero” disse un altro.
La folla rumoreggiò. Alcuni, dalle file più lontane, iniziarono a spingere gli altri per avvicinarsi al punto dove si svolgeva quella discussione.
“Bromila deve morire insieme alla ragazza” gridò una donna.
“Prendete anche lei” gridò qualcuno.
Mani si protesero verso la donna.
“Andiamo via di qui prima che le cose peggiorino” disse Gladia rivolta a Bek.
La strega fece un cenno i soldati che si schierarono tra loro e la folla. Gladia vide sparire prima Sili e poi Rossim nella confusione.
A Bromila andò peggio e venne calpestata da chi stava litigando per motivi che non riguardavano più solo il suo furtarello.
“Che vi dicevo?” fece Bek mentre si allontanavano al galoppo. “Che io sia dannata se i malinoriani non passano più tempo a combattersi tra loro che a fare qualsiasi altra cosa.”
“Io non credo che sia un caso” disse Robern.
Gladia non rispose.
“Sua maestà non sarà affatto contenta di sapere che ci sono stati problemi. Vuole che tutto sia perfetto per i festeggiamenti.”
Gladia si accigliò. “Cos’ha da festeggiare?”
“Non lo sapevi, inquisitrice? La regina ha indetto un’intera Luna di celebrazioni per la morte di Bryce di Valonde.

Prossimo Capitolo Giovedì 23 Gennaio
  
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