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Autore: Corydona    21/01/2020    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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Giampiero arrotolò il sottile foglio di carta su cui aveva appena scritto "Innocente" e lo fece cadere in uno dei vasi di ceramica posizionate davanti Clara Riutorci. Non si degnò neanche di guardare la donna negli occhi: sapeva che non vi avrebbe trovato altro che indifferenza.

Uscì dalla sala, sperando che Lavinia Lugupe non si fosse allontanata molto dopo aver lasciato il suo voto. La vide nel cortile interno presso cui affacciava il corridoio: un piccolo quadrato verde, con una fontana senza più zampilli al centro. Alcuni cespugli un tempo curati erano posizionati ai quattro angoli, mentre delle panche in ferro battuto ne seguivano il perimetro. Giampiero mosse i primi passi tra l'erbaccia incolta, constatando con dispiacere l'abbandono di quel vecchio palazzo. Avanzò verso la donna, abbandonatasi su una delle panchine, con lo sguardo ancora perso nel vuoto; come se allo stesso tempo comprendesse e non comprendesse cosa avveniva.

Il marchesino si inginocchiò davanti a lei, ben attento a non macchiare i pantaloni scuri con la terra. - Maestà - disse soltanto, sperando che lei si volgesse a guardarlo.

- Tirfusama - mormorò Lavinia. La voce era dolce, affettuosa, ma i suoi occhi completamente assenti. L'incarnato della regina sembrava ancora più pallido visto da vicino e Giampiero ne fu quasi spaventato.

- V-voi vi sentite bene? - le domandò con una piccola esitazione. Temeva la risposta della donna, ma non ne sapeva il motivo.

- Non mi sento più bene da settimane - sussurrò lei, in modo che solo il marchese decaduto potesse udirla. - Da quando gli Autunno hanno minacciato di attaccarci e non l'hanno più fatto. Ora hanno un esercito più forte e se solo osassero marciare contro di noi... non oso immaginare cosa accadrà. Se Nicola dovesse cadere, lo Dszaco sarebbe perduto. La mia sola speranza è mal riposta: lui verrà condannato.

- No, maestà, no - mormorò Giampiero, premuroso, cercando di confortarla. - C'è ancora una possibilità. Posso parlare con il figlio della Riutorci e provare a...

- E a quale titolo? Anche se tutti sappiamo che siete qui per conto di Alcina Primavera, voi, caro marchese, non siete lei.

La dolcezza del tono di voce lo colpì in pieno petto, come una freccia ben scagliata; e l'appellativo lo fece arrossire lievemente.

- Neanche lui ha un titolo, non sarà impossibile per me poter tentare. Nicola è innocente, ne sono certo. Finché sarà possibile, tenterò ogni strada per salvare lui. E voi.

La regina abbozzò un sorriso, che le illuminò il volto emaciato.

- Nessuno può salvarci, Tirfusama. Gli Autunno si stanno rafforzando e non esiste via per la salvezza... a meno che, per la Luna, non accada loro qualcosa di catastrofico.

Il marchese non ribatté. Le parole della donna suonavano profetiche alle sue orecchie; come se lei fosse consapevole di un destino ineluttabile e non volesse neanche tentare di opporvisi.

- Giampiero!

La voce di Roberto De Ghiacci lo richiamò all'improvviso, riscuotendolo dalla conversazione con Lavinia Lugupe. Il Tirfusama si congedò dalla regina, promettendo di tornare da lei e ritornò sotto il porticato che circondava il cortile, dove l'altro lo accolse con una scrollata di spalle. Gli occhi azzurri del principe si soffermarono sulla Lugupe, che sedeva assorta in muta contemplazione di una natura abbandonata a sé stessa.

- Dovevi proprio perdere tempo con lei? - bisbigliò senza alcun riguardo all'orecchio del marchesino. - Abbiamo cose più importanti da fare!

Giampiero scosse appena la testa. Roberto non poteva capire lo stato d'animo della donna: lui ancora aveva qualche speranza di poter salvare il suo regno dall'egemonia crescente degli Autunno; lei non ne aveva alcuna. E il marchesino aveva a cuore le sorti dello Dzsaco, molto più di quanto osasse ammettere persino a sé stesso.

- Ho chiesto di poter parlare con Pietro Riutorci - gli disse il De Ghiacci, incamminandosi verso il lato opposto rispetto a quello della sala dei Lupfo-Evoco. - Ci aspetta.

Percorsero un paio di corridoi, con la folla di aristocratici che si faceva sempre meno fitta, fino a giungere a un antico salone del tutto spoglio. Presso una delle finestre squadrate era affacciato il giovane assieme a cui Clara Riutorci aveva fatto il suo ingresso alla conferenza. Osservandolo da vicino, Giampiero si accorse che non doveva avere neanche vent'anni: forse era addirittura più giovane di Aria Dei Prati e di Dante Dal Mare, che aveva intravisto tra gli altri nobili.

Quello si voltò a guardarli con gli occhi semichiusi, come se faticasse a vedere da lontano. La veste scura gli donava un'aria solenne, forse eccessiva per un ragazzo come lui, come se si trovasse a un funerale.

- De Ghiacci, Tirfusama - li accolse cerimonioso, abbassando il capo. Con gran rigore delle norme, aveva nominato prima il principe e poi il marchese decaduto.

- Riutorci - biascicò Roberto. - Volevamo parlare con te.

Giampiero trattenne uno sbuffo: a prescindere da chi avesse di fronte, il suo compagno usava sempre i modi più informali; esattamente come quando aveva gridato, poco prima, per attirare la sua attenzione, come se si trovasse in un ritrovo di ubriachi e non in un'antica residenza reale.

- Quello che ci preme è scoprire se esistono ancora delle possibilità di salvare Nicola Lotnevi, anche se i Lupfo-Evoco dovessero condannarlo - disse il marchese, ponendo i suoi occhi scuri in quelli castani di Pietro Riutorci. Lo fissò per un tempo che gli parve interminabile e quello sostenne il suo sguardo. Non era sfida, bensì il tentativo di comprendere ognuno le intenzioni dell'altro.

- Temo di no - disse il giovane, con un filo di voce. - La sentenza dei Lupfo-Evoco è definitiva.

Il Riutorci si volse a guardare il De Ghiacci, che ricambiò in cagnesco.

- Cosa vorrebbe dire che... - iniziò a dire Roberto, interrotto dalla presa sul suo braccio da parte del marchese.

- Ma se riuscissimo a dimostrare che non è colpevole? - insisté invece Giampiero. - Sono certo che lui è stato incastrato, non posso rimanere a guardare mentre lo condannano...

Gli mancò il coraggio di completare la frase ad alta voce. Se si fosse realizzato quello che sembrava l'unico esito dei Lupfo Evoco, il sud di Selenia sarebbe ben presto caduto nelle mani degli Autunno.

- ...a morte - concluse Roberto per lui.

Il marchese fece un vago cenno di assenso con il capo. Sapeva che la pena per il regicidio era capitale; e non aveva idea di quanto sarebbe intercorso tra la condanna al Lotnevi e la sua esecuzione.

- Se avete prove contrarie, potete chiedere a mia madre di poter attendere prima che venga giustiziato - disse il giovane Riutorci.

Era avanzato di un passo verso i nobili e aveva abbassato la voce, instaurando un principio di complicità con i due.

- Sarà fatto - annuì Giampiero. - Vi ringrazio.

Lasciò in fretta la sala, diretto verso il salone in cui alcuni si stavano attardando a dare il proprio responso. Qualcuno gli rivolse un cenno di saluto a cui lui rispose, ma senza entusiasmo.

Ma quando si ritrovò all'interno della sala, vi trovò una grande agitazione. Dante Dal Mare stava urlando contro un rappresentante del Tuilla, che era trattenuto da due uomini, come se stesse per saltare addosso al giovane del Pecama.

- La colpa di Nicola è evidente! Siete voi che vedete complotti ovunque! - sbraitò quello.

- I miei genitori sono appena stati uccisi, così come i Delle Foglie! - gridò il Dal Mare. - Come fate a non vedere il nesso con la morte del Lotnevi!

- Voi siete solo un ragazzino! - strillò una donna, in difesa del dignitario. - Non capite nulla!

Altri uomini si radunarono intorno, alcuni per impedire la zuffa, altri per incitarla.

Giampiero vide Riccardo Del Nord passare al suo fianco. Lo trattenne per un braccio, stupendo sia il giovane, sia sé stesso.

- Clara Riutorci? - gli chiese. La donna non era presente in mezzo alla confusione: lo scranno in cui era seduta durante la votazione era vuoto; ma se anche fosse stata lì, il marchese dubitava che sarebbe riuscito a parlarle.

- Lei, Matilde Estate e Amelia Autunno sono uscite quando tutti hanno consegnato il voto - gli rispose il giovane Del Nord, stringendosi nelle spalle esili.

Giampiero trattenne un sospiro di sollievo: se la regina Estate assisteva al conteggio dei voti, l'imparzialità era garantita; l'amicizia tra le famiglie Estate e Primavera era secolare.

- Io me ne vado! - urlò Dante Dal Mare, richiamando l'attenzione del marchese su di sé. Il principe si divincolò dalla presa di due uomini forzuti e uscì in fretta da una delle porte della sala, allontanandosi senza dare alcuna spiegazione.

- Cosa è successo? - domandò ancora Giampiero a Riccardo.

Quello si portò le mani al volto, come desideroso di non trovarsi in quel luogo.

- È arrivata poco fa la notizia della morte della corte Dal Mare - disse, con le labbra che si incurvarono verso il basso. - Sovrani inclusi.

- L'intera corte? - esclamò il Tirfusama, in un bisbiglio. - Com'è possibile?

- Erik Inverno ha parlato di un avvelenamento durante un rituale per Vudeli... Lui e Ariel si sono salvati perché non erano lì. È stato un miracolo...

- Dunque Silvia e Amintore... - iniziò a dire il marchese, riflettendo. Non aggiunse una parola, perché Clara Riutorci si era presentata di nuovo sulla soglia da cui aveva fatto il suo ingresso anche in precedenza. La donna intimò l'intero uditorio di prendere il proprio posto e tutti le ubbidirono all'istante.

Giampiero e Riccardo si sedettero ai posti occupati durante il breve discorso di Amelia, dove già si erano sistemati il re Del Nord e Roberto De Ghiacci.

- La situazione è più grave di quanto avessi previsto - bisbigliò il marchese al principe del Pecama. - Adesso sono stati uccisi anche i Dal Mare.

- C'è Raissa dietro tutto questo, ne sono certo - sussurrò Roberto di rimando. - Sono morti cinque sovrani nel giro di poche settimane... e gli ultimi tre in pochissimi giorni. Proprio quando lei sta aspettando per fare la sua prossima mossa.

Il Tirfusama annuì, mesto. Comprese di aver fallito l'incarico più grande che Alcina gli avesse mai assegnato. Non era stato in grado di convincere nessuno dell'innocenza di Nicola: credeva di aver giocato con sapienza le proprie mosse sulla scacchiera, ma Raissa era stata più abile di lui. Ripensò alla conversazione avuta poco prima con Pietro Riutorci e capì che ormai si aggrappava solo alla disperazione. Non aveva il potere di arrestare il corso degli eventi, nonostante avesse impiegato ogni sua energia affinché questo accadesse.

Guardò Matilde Estate procedere a testa china verso una delle panche in pietra. La treccia chiara rimaneva immobile sulla sua schiena, mentre qualcuno tentava di rivolgerle la parola per avere in anticipo l'esito della votazione; il suo atteggiamento, tuttavia, non lasciava adito ad alcun dubbio.

- Siamo spacciati - biascicò Roberto, guardando Amelia Autunno procedere tra la folla con l'ombra di un sorriso a illuminarle il volto severo. - Vorrei essere rimasto da Milena di Copne...

Giampiero ignorò il suo tentativo di stemperare la tensione e si focalizzò su Clara Riutorci. La donna sembrava impassibile, come se le parole che era in procinto di pronunciare non avessero per lei alcun reale valore. Non sembrava turbata, né rallegrata: una perfetta via di mezzo tra le due regine che l'avevano assistita. La collana che portava al collo, però, era un dettaglio prima assente e di cui il marchese si accorse subito: un rubino sanguigno ne costituiva il semplice ciondolo. Uno dei simboli della famiglia Autunno.

- Mie signore, miei signori - esordì lei, spegnendo i mormorii che si erano diffusi nel salone. - Il vostro parere è stato quasi unanime, con soli cinque voti contrari: Nicola Lotnevi è colpevole.

   
 
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