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Autore: Luvva    22/01/2020    1 recensioni
Un raptus di creatività mi ha spinta a scrivere queste righe: mi sono immaginata un incontro casuale, governato dal silenzio, in cui sono i corpi a parlare. Ho cercato di trasmettere l'estrema intensità, che si può vivere in un momento di completa immersione. Per favore lasciate un commento! Mi sarebbe di grande aiuto.
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Universitario
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Atene non è più una città per amanti; o meglio dipende amanti di che cosa. Se ti piace la droga, il brutto, il diroccato e se ti piacciono i giri loschi qualcosa ancora da aprrezzare ce l'hai. 
Dafne vive in Piazza Omonia, una volta una delle migliori della città; ora è crollata su sè stessa. Dafne si affaccia alla finestra e vede un gigantesco buco, che ormai è lì da mesi, forse anche anni (ma che differenza fa?). Deve farsi strada fra i mendicanti e i barboni per andare all'Università e ci va a piedi all'Università di Atene, altrimenti se dovesse aspettare l'autobus non arriverebbe mai. 
Vive da sola Dafne, con quel suo carattere chiuso e introverso, per niente timida, ma molto gelosa delle sue emozioni; mette su un ghigno aggressivo per non farsi avvicinare: dopotutto le altre volte non era andata troppo bene per nessuno. Ha perso la madre, Dafne, e il padre. Lui per scelta, lei per un incidente in autostrada. Chissà dov'è suo fratello: sotto qualche cavalcavia a buttarsi eroina in vena? o forse lavora dal fruttivendolo? Suo fratello non è mai stato un bravo ragazzo, ma Dafne ci ha sempre sperato. 
Cammina veloce, fra genitori che stringono i figli ai pantaloni per non farseli portare via, fra zingare con immagini sacre da vendere alle vecchie senza speranza fuori dalle  e fra i pakistani che vendono cartine. Qualche signora strana fa da custode a vecchie chiese che cadono a pezzi, ma che traboccano d'oro e di incenso: si vedono brillare dall'esterno.
Atene puzza, di degrado e spazzatura, e quando passa vicino al mercato del pesce Dafne quasi sviene. 
L'unica zona della città che le piace è l'acropoli. Si chiama ancora così? Dafne non lo sa, ma sa che nei tempi che furono si chiamava acropoli. 
Arriva all'università, accolta dai due grandi visi di Socrate e un altro filosofo che non sa bene chi sia in realtà, ma ad entrambi fa un cenno col capo in segno di saluto. Bisogna portare sempre rispetto. 
Dafne segue la sua lezione e poi esce in cortile, dove può sentire l'olezzo dell sua città.
Improvvisamente qualcosa attira la sua attenzione, o qualcuno; ha gli occhi neri e i capelli scuri e lei non lo aveva mai visto. Subito la puzza di Atene sparisce: niente Souvlaki, niente tassisti traboccanti di sudore, niente cani randagi. 
Come da un altro pianeta, è catturata e incuriosita. Lei però non si fa rapire dalle emozioni facilmente: il primo colpo è duro, e traballa, ma poi si rimette solidamente eretta. Ragiona, esplora, osserva curiosa e ghiotta di quell'immagine. Il desiderio di vedere da vicino quel viso sale come la bile che non puoi fermare, non dipende da te il suo movimento. 
Dafne con sua grande sorpresa di scoprì intenta a guardare sotto ai suoi vestiti, immaginare cosa nascondesse la camicia leggera che indossava in quell'aprile assolato. Le labbra erano quelle di suo fratello: morbide alla vista e al tatto, come pesche noci di cui senti il profumo entrando nella stanza; gliele aveva sempre invidiate. 
La cosa più bella però era quel naso: nulla c'entrava col resto; quei lineamenti tanto delicati, quei ciuffi leggeri che cadevano sulla fronte: tutto spezzato da quel naso grande e dritto come il manico di un martello. Era meraviglioso. Era sublime vedere quel contrasto di colori e forme, tutti riuniti in un uomo che si era accorto del suo sguardo. Non sorride, il nostro naso a martello, ma guarda chi lo osserva e Dafne non sposta lo sguardo. Non riesce, non ne è capace: avrebbe evitato un colloquio di qualsiasi tipo, ma fortunatamente nessuno dei due voleva parlare. 
Con le mani grandi naso-a-martello toccò il tavoletto in legno su cui Dafne era appoggiata, mentre i loro occhi si divoravano senza stancarsi. 
Era come se lei capisse i suoi pensieri, attraverso i lievi movimenti che quel corpo sgraziato incredibilmente faceva. Profumava d'oriente e di Turchia, lo aveva sentito al suo passaggio veloce. Lei amava la Turchia: ci andava in vacanza, prima che suo padre non tornasse mai più; e l'odore del mare della Turchia era diverso. 
Lo seguì, dopo poco, perchè i suoi occhi non erano sazi. Non le era mai capitato: seguire qualcuno per il puro piacere di guardarlo. Questa è l'arte, no? Non riuscire a smettere di ammirare. Era come un ottimo quadro, uno fatto apposta per lei, come se lo avesse dipinto il suo cuore; e come sappiamo, il cuore conosce ragioni nascoste a tutti e tocca corde dell'anima che non si pensava d'avere.
Tirata da un filo invisibile e poderoso, viene trascinata dietro di lui; è suo quel filo? Gli ha legato le mani nel momento in cui le si è avvicinato? Che è successo? Troppe domande e troppa distrazione, Dafne! Devi seguire il tuo spirito. 
E lo segue, nutrendosi della sua figura, passo dopo passo, movimento dopo movimento: immagazzina tutto come un pittore che studia il suo modello; ormai il cervello è pieno di fotogrammi, movimenti millesimali perfetti, senza una sbavatura.
In secondo, in cui tutto si ferma, silenzioso e immobile, senza un fiato Dafne si ritrova il polso afferrato dalla mano grande e veloce che prima le aveva legato quel filo alle dita; ora la forza che la tira a sè è fisica, materiale: la sente fare pressione sulla sua pelle. 
Appoggiato al muro dello scalone secondario, dove ci stanno solo srudenti di filosofia e cespugli di siepe in fiore, il ragazzo dai riccioli scuri si appoggio Dafne sul petto. 
Lei sente il suo cuore e batte insieme al suo. I suoi occhi ora si sono buttati in quelli di lei, e il verde e il castano sembrano incontrarsi a metà strada. Dafne sente il suo corpo muoversi come seguendo ordini silenziosi proveniente da chissà chi e nella sua mente c'è solo "addenta la pesca". E' la pesca però a muoversi verso di lei e senza opporsi a queste forse che dirigono lo spettacolo le loro labbra si uniscono; Dafne senta il suo sapore, che sa del profumo della sua pelle. Direbbe che sa di Atene, anche se Atene puzza di immigrati e barboni, ma lui sa di acropoli; sa di pittori che catturano il partenone coi colori, sa di fiori ai lati delle strade di ciottolo, sa di rovine antiche che ancora portano vestigia lontane. 
Le sue mani piccole e fredde si posano sul suo collo e lui sobbalza lievemente al contatto; subito dopo le afferrra i fianchi e la stringe a sè, l'abbraccia e la cinge compleamente.
Chi passa butta un occhio a questa coppia, senza curarsene troppo: è un bacio. C'è chi si fa scappare una risatina, chi un commentino di biasimo, chi addirittura non vede nulla e non si accorge. 
Intanto Dafne fa esperienza di colori e profumi mai sentiti prima, e riconosce che quel sapore mishciato al suo è perfetto e ancora più buono; sono mille i frutti sopra alla pesca ora e la pressione dei due corpi legati segnala che i fili dalle dita di Dafne si stanno stringendo e tirano forte. Sulle guance sente pungere la barba appena cresciuta, di pochi millimetri e le ricorda suo padre, quando lei gli accarezzava il viso e le pizzicavano le dita. 
Le piccole manine dal collo scendono e accarezzano le spalle; Dafne cerca di indovinarne la forma, come un cieco, e sente i muscoli tesi nell'abbraccio; scende al torace e alla pancia e la sua pelle è sensibile al tocco esploratore di Dafne. 
Le labbra si separano e gli occhi si mischiano ancora: Dafne è incantata, ipnotizzata; chi è? vorrebbe chiedere. Chi sei? ma nulla esce dalle sue labbra schiuse, umide di saliva di pesca. 
I fili si spezzano: lei lo sente chiaramente, prima ancora che accada qualcosa. I rumori tornano a far breccia nel cervello, nelle orecchie: i clacson, le chiacchiere, il canto degli uccellini. Le sue dita sono libere, così come il suo corpo. L'uomo dal naso perfetto e dirompente la sospinge piano indietro e si fa strada tra le siepi. 

Quella sera Dafne, sul suo letto, guardando il soffitto si diede piacere pensando al naso perfetto, dritto e grosso come il manico di un martello, che si incastrava perfettamente nell'incavo fra le sue sopracciglia.
Sperò di non vederlo mai più.
   
 
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