December
17th – GioMis
“Terrace”
Guido
non è mai stato sicuro che il paradiso esistesse fino al giorno in cui non ha
conosciuto Giorno, con i boccoli dorati e il volto fine e le dita lunghe e
bianche, mai sporche di tutto il sangue che ha versato e fatto versare. Giorno
sorride raramente, dedica poche parole sterili agli altri e alla compagnia
degli uomini preferisce quella delle creature a cui lui stesso dona vita; ogni
volta che i loro sguardi si incrociano Guido non trova gentilezza e calore ma
una quiete intaccabile, lontana da tutto e da tutti – anche da lui.
Eppure neppure il suo sguardo distante può negare le parole
che pronuncia, e la sua natura solitaria non è niente in confronto alla smania
con cui lo cerca e lo avvicina, quando nessuno guarda. Di fronte agli altri,
Giorno è ciò che deve essere: un leader carismatico e impassibile, una figura
di riferimento per pecore perdute. Solo quando sono soli, dietro porte chiuse,
può permettersi di fingere di essere un agnello – gettargli le braccia al collo
e ridere, lagnarsi, insistere. “Facciamo colazione in terrazza”,
mormora. Guido lo guarda negli occhi, appena sveglio, col sonno che ancora non
lo ha abbandonato del tutto; si domanda quando, esattamente, abbia accettato
che quel giovane con gli occhi come smeraldi possa essere al contempo l’uomo
che ha deciso di servire e il ragazzo ai cui capricci si sottomette senza pena.
Si domanda anche se esista una differenza sostanziale nel ruolo che rivolge
alle due personalità di Giorno.
Lo
segue sul terrazzo, quindi, piedi nudi su pavimenti di marmo bianco, le mani di
Giorno strette attorno alla sua. È tardi, almeno mezzogiorno, a giudicare dal
sole che sorge dritto sulle loro teste ed illumina la terrazza della villa.
Aldilà della balconata bianca il mondo è una macchia azzurra di mare e cielo,
divisa solo dalla costa distante su cui Napoli si arrampica come una creatura
viva; Guido inala ed esala profondamente una boccata d’aria e salsedine, e
chiude gli occhi. Li riapre solo quando Giorno fa il suo nome, come a comando,
una marionetta nelle sue mani.
Giorno
è in piedi a pochi passi da lui. Lascia scivolare il lenzuolo dalle proprie
spalle e rivela la propria nudità, tonica e meravigliosa, propria di quelle
statue di marmo che rappresentano al contempo la duplice immagine di forza e
fragilità. Non gli si avvicina e non dice nulla: è Guido a raggiungerlo, a
sovrastarlo – per poi chinarsi, posare un bacio lento sulla sua coscia e
stringerla, un gentile atto di sottomissione. La brezza carezza la sua pelle
bianca e lo fa tremare appena. Ogni porta della casa è aperta ed ogni finestra
spalancata, niente – neppure gli abiti – a separare Giorno dalla vulnerabilità
che i suoi nemici attendono e bramano come nient’altro al mondo; eppure emana
una sicurezza senza pari. Si sdraia sui mattoni lisci e Guido lo segue, aiutato
dalle sue mani bramose – pronto a baciare ogni centimetro della sua pelle
candida, se necessario, e ad amarlo nel momento più intimo e nascosto che solo
a lui è dato conoscere.
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