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Autore: Crudelia 2_0    22/01/2020    3 recensioni
Esmeralda e Phoebus sono al Valdamore quando qualcuno colpisce il Capitano. Quest'ultimo, ferito solo superficialmente, si getta all'inseguimento della gitana, che troverà aiuto nel posto più inaspettato.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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È con imperdonabile ritardi che aggiormo. Ingiustificato, anche, perchè sono davvero affezionata a questa storia.
In ogni caso, spero che apprezzerete il capitolo, anche se breve, e vi prometto che sarò quanto più possibile puntuale d'ora in avanti.
Un abbraccio,
Crudelia

 




È un volo che afferrerei e stringerei,
ma sale su l’inferno a stringere me.
 
 
 
In molti modi veniva definito l'arcidiacono Claude Frollo: studioso, acculturato, uomo di fede. Stregone, a volte.
Mai, mai era stato definito codardo.
Forse per mancanza di coraggio proprio dagli stessi che tanto prontamente lo criticavano, forse per mancanza di occasioni in cui sfoggiare quel termine.
In quel momento, comunque, era proprio così che si sentiva il curato. Un codardo.
Aveva affrontato molto nella sua vita, non era fuggito nemmeno di fronte all'orrore che aveva provato la prima volta che i suoi occhi si erano posati sul profilo irregolare di Quasimodo, ma quella ragazza. Quella ragazza lo convinceva ogni volta di più che fra i guizzi dei suoi capelli ci fosse il diavolo, le fiamme dell'inferno agli angoli della sua bocca e le urla dei dannati nei trilli della sua risata.
Come poteva pensare di abbracciarlo, premere su di lui le candide forme innocenti e cingergli il collo con le braccia abbronzate?
Chiuse gli occhi e serrò i denti tanto forte da sentirli vibrare. Fece un passo indietro obbligando le mani tremanti dal desiderio di rimanere sui suoi fianchi solo il tempo necessario per scostarla da sé.
-Esmeralda, non-, una smorfia di dolore gli contorse il viso. Pronunciare il suo nome, quale errore!
-Signore,- c'era incredulità vera nel suo tono. -Voi-
La mano che aveva allungato verso la sua guancia venne afferrata di colpo, forte, con violenza, uccidendo sul nascere sia le parole che la carezza.
Si ritrasse come se lei l'avesse colpito, arpionando con le dita la veste all'altezza del petto che doleva. Poggiò una mano alla parete incapace di respirare e di reggersi in piedi sotto i tremiti che sconquassavano le ginocchia. Vide i suoi occhi iniettati di preoccupazione e, come l'ascia che cade sul condannato, quello sguardo ebbe il potere di inchiodarlo a terra, le ginocchia contro la dura pietra.
-Oh, signore.- La vide avvicinarsi con le braccia tese, il sole brillare nei suoi capelli neri come la notte.
-Vattene.- Una supplica, nient'altro che una preghiera.
La vide abbassare lentamente le braccia, tentennare ancora.
-Vattene!- Un ringhio rabbioso che non conteneva in alcun modo la sua sofferenza.
La ragazza fece due passi esitanti indietro, poi si voltò e iniziò a correre.
Solo quando l'eco dei suoi passi si fu spento e il suo profumo portato via dal vento Frollo si concesse di cedere. Le mani si schiantarono al suolo troppo deboli per sopportare il peso del suo tormento.
-Dio.- Una preghiera strappata tra i denti poi, consapevole della sua solitudine, lacrime roventi scesero lungo le guance scarne, incapaci di lenire il battito soffocato del suo cuore.
 
 
 
Esmeralda non capiva.
Avrebbe voluto, ma non ne era capace.
Era cresciuta senza regole e senza morale, senza qualcuno che le spiegasse la vita. Aveva sempre creduto che le leggi zingare fossero le uniche: vagare e cambiare casa se un luogo ha smesso di soddisfarti, ballare e cantare per guadagnarsi un pasto ogni giorno. La strada come unica madre, la propria mano come unica compagna.
Quell'uomo era un enigma, estranea ad ogni sua convinzione e abitudine.
Ogni gesto che lei faceva, così giovane e spontaneo, risultava essere quello sbagliato: come poteva un abbraccio, nato per essere consolatorio e segno di empatia, creare distacco e sofferenza?
Esmeralda guardava la fiamma di una candela guizzare e non capiva, leggermente imbronciata.
Voleva aiutare e aveva fallito.
Era tutto così difficile, crescere era difficile.
Fece un sospiro, tanto strano sulle sue labbra di ciliegia nate per sorridere, e chiuse gli occhi.
Forse, il sonno l'avrebbe aiutata.
 
 
 
Fu svegliata da un colpo e qualcosa di sferragliante, scattò a sedere prima ancora di aprire gli occhi.
-Cosa significa scomparsi, Capitano?-
-Monsignore, vi prego. Abbiamo cercato in tutti i sobborghi, le porte della città sembrano deserte.-
Sotto il rombo furioso del suo cuore Esmeralda si concesse un sospiro. Lieve, inudibile, solo un poco di sollievo per non essere ancora stata scoperta. Tuttavia le parola rabbiose che giungevano dalla porta chiusa le svegliarono un sapore amaro in fondo alla gola.
-Se soltanto potessimo cercare ancora...-
-Cosa pensate, Capitano, che nasconda l'intera Corte dei Miracoli nella mia stanza?-
Non aveva gridato, ma il sarcasmo pungente della frase fece stringere lo stomaco anche alla ragazza. Come un animale braccato frugò la stanza con lo sguardo in cerca di un nascondiglio, le gambe tese e i piedi pronti a scattare.
-Non volevo offendervi, Maestro, ma la zingara si è rifugiata nella Cattedrale.-
-La casa del Signore non verrà violata perché voi e i vostri uomini siete troppo inetti per seguire una gitana.- Un fruscio seguì quelle parole. Alla Esmeralda non venne difficile figurarselo mentre si alzava elegantemente dalla sedia, il portamento fiero e lo sguardo altero. Quasi si spaventò per la familiarità con cui riconosceva i suoi movimenti e toni.
-Signor Arcodiacono, stiamo facendo tutto il possibile, ma gli zingari continuano a nascondere la loro regina, quella... Similar.-
-Insomma, Capitano, sono scomparsi o continuano a nasconderla?-
Il silenzio che seguì risuonò dei rintocchi delle campane, otto battiti che si susseguirono con fragorosa lentezza mentre Esmeralda, nascosta dietro la porta, iniziava a capire. Dunque era stato qualcuno del suo popola a salvarla dalla violenza che il Capitano aveva mascherato sotto la forma dell'amore. Quando lei era fuggita, inseguita dai soldati, doveva essersi nascosto e tornato alla Corte. Ora, comunque, parevano scomparsi.
Se si fosse trattato di un'altra donna avrebbero continuato il loro pellegrinaggio alla ricerca di un'altra città in cui chiedere asilo, ma erano davvero così facile che si dimenticassero di lei, la bambina che avevano visto crescere e amato?
Esmeralda temeva di sì. In fondo gli zingari erano tanti e lei solo una ragazza.
Il discorso riprese, esitante, interrompendo i suoi pensieri.
-Spesso intervengono, deviando le nostre ricerche.-
-Mi state dicendo che si fanno beffe di voi.-
Di nuovo fruscii e silenzio interrotto da passi.
-Devo confessarvi di essere molto deluso, Capitano.-
-Me ne rincresce, signore.-
-Tuttavia, non è abbastanza. Una banda di miserabili straccioni non può turbare la quiete così al buon popolo di Parigi.- Una pausa prolungata, un silenzio pieno di riflessioni.
-A voi Febo di Chateaupers, capitano degli arcieri del re, io do l’ordine di
bloccare quella melma.-
-Sarà fatto Monsignor Arcidiacono, se necessario scateno un massacro in nome di Dio farò pulizia.-
Ancora rumore sferragliante, passi pesanti che si allontanavano, poi nulla.
Esmeralda aspettò molto tempo prima di allungare le dita sottili e tremanti e aprire la porta. Una parte di lei quasi credeva di essere rimasta sola, invece si scontrò con la figura dell'arcidiacono china sulla scrivania, le mani appoggiate su fogli stropicciati e la testa arresa.
Fece un passo in avanti e lui alzò di scatto gli occhi su di lei.
Occhi violenti, arrabbiati.
Stringere la mascella e drizzare le spalle fu un solo, fluido gesto.
Senza degnarla di uno sguardo ancora iniziò a dirigersi verso la porta. Fu lei a fermarlo, la voce più supplicante di quanto avrebbe voluto.
-Monsignore.- L'urgenza la fece camminare nella sua direzione, portandosi vicina alle spalle che raggiungeva a malapena. -Vi sto mettendo in pericolo.- Non seppe nemmeno lei se era una domanda oppure una constatazione.
L'uomo le gettò un'occhiata da sopra la spalla, senza voltarsi. -Non è me che metti in pericolo.- Tornò a camminare svelto fino a raggiungere la porta. Solo quando stava per varcarla aggiunse le parole che fecero sprofondare il cuore do Esmeralda in un abisso.
-È la mia anima che si sta perdendo.-
Esmeralda rimase sola al centro della stanza anche dopo molto che l'ultimo eco della porta sbattuta si perse tra le fredde pietre della cattedrale.
 
 

Non le era stato espressamente vietato di uscire. Essere più cauta, sì, evitare di essere vista all’esterno, ma non muoversi all’interno della cattedrale non le era stato escluso.
Aveva spinto la porta con ansia crescente, trovandosi davanti agli occhi il corridoio che aveva percorso durante la sua fuga. Con il cuore in gola, aveva iniziato ad avanzare lentamente, spiando ogni angolo e ombra creata dal sole morente che entrava dalle finestre lunghe  e strette.
Le parve di viaggiare senza meta per molto tempo, seguendo corridoi tutti uguali e spiando quadri dalle molteplici facce sofferenti e adoranti. Tuttavia i raggi arancioni si erano appena inclinati, allungando solo di qualche centimetro la sua ombra nera e sottile.
Fu la musica a guidarla.
Dapprincipio pensò fosse solo immaginazione, ma più saliva, avanzando per corridoi sempre più stretti e spogli e scalini ripidi, capiva che il suono ricco e profondo era prodotto da qualcuno di estremamente capace.
Le note più profonde le vibravano nello stomaco, la musica tanto sofferta da farle inumidire gli occhi e stringere la gola.
Forse perché non aveva mai sofferto come ora in vita sua, forse perché mai era stata prigioniera, forse perché mai aveva vissuto emozioni che le scuotevano il cuore fino a fargli raggiungere il limite, ma sentì subito di comprendere il dolore dentro le noti sfruscianti attraverso l’aria.
Ben attenta a non farsi udire raggiunse un ampio spazio di pietra intervallato da colonne. La luce del tramonto penetrava attraverso un grande rosone rendendo l’atmosfera misteriosa, la pietra dipinta dai colori tremolanti.
Nascosta dietro una colonna Esmeralda si sporse leggermente, curiosa di sapere chi fosse l’artefice di quella musica. Vide soltanto una schiena fasciata di nero prima di ritrarsi, il cuore che batteva furioso nella gola.
Una parte di lei era consapevole di non doversi trovare in quel luogo, che aveva spinto la pesante porta di legno solo per seguire l'arcidiacono. Per dirgli cosa non sapeva, ma era stanca di essere ignorata se non per vedersi rivolgere occhiate sofferte e aspre.
La musica continuava nel riverbero dell'ultimo sole, tra i suoi capelli fiammeggianti e il cuore in tumulto. Appoggiò le spalle alla fresca pietra e sbirciò ancora una volta.
Ciò che vide la lasciò senza fiato.
   
 
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