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Autore: Carme93    23/01/2020    7 recensioni
Sirius Black e Severus Piton sono nemici dal primo momento in cui si sono conosciuti sull'Espresso di Hogwarts, ma se ponessimo entrambi i personaggi in un mondo diverso dal loro, un mondo normale, senza magia, la situazione cambierebbe? E se fossero addirittura costretti a lavorare insieme? E se Sirius fosse un famoso psicanalista e Severus il suo paziente? Sinceramente non credo proprio, anzi. Ma scopriamolo insieme!
[Questa storia si è classificata quinta ed è vincitrice del premio per il miglior personaggio singolo maschile al contest "Personaggi random per situazioni random - nuova edizione" indetto da Setsy sul forum di EFP]
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Altro contesto
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[Questa storia si è classificata quinta ed è vincitrice del premio per il miglior personaggio singolo maschile al contest "Personaggi random per situazioni random - nuova edizione" indetto da Setsy sul forum EFP. Ho usato il prompt: "All!Human: Sirius Blck è lo psicanalista di Severus Piton]. 
 



Nemici a fior di pelle
 
 
 



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Congedò la classe con una smorfia: ogni anno gli alunni che gli capitavano erano sempre più inetti e indisciplinati. E dire che Hogwarts era la scuola più importante e nota della Scozia, tanto famosa da essere frequentata dai rampolli delle famiglie più facoltose dell’intera Gran Bretagna. Un ragazzino del primo anno vantava di essere duecentesimo nell'ordine di successione al trono! Il professore roteò gli occhi al solo pensiero di un simile onore. Un altro allievo, questa volta di nona classe, profondamente sciocco e infantile, non ripeteva altro che il padre sarebbe presto diventato rettore dell'Università di Cambridge!
Ignoranti, ignoranti dal primo all'ultimo! Ecco cos’erano.  
Fortunatamente l'illuminato preside Silente, da quando aveva assunto la carica, aveva concesso borse di studio ai giovani meritevoli che bramavano un’istruzione elevata. Il preside aveva detto proprio bramare. Per quanto lo riguardava era stata una buona opportunità, senza quella borsa di studio non avrebbe mai potuto frequentare Oxford, ma di certo vi era ben poca brama di conoscenza nei suoi attuali studenti.
Proprio quella mattina aveva consegnato i test corretti ai ragazzi dell'ultimo anno e non aveva dato un voto superiore alla C!
«Buon pomeriggio, professor Piton» lo riscosse dai suoi pensieri un ragazzino. Si era fermato e probabilmente voleva parlargli, ma lui fece finta di nulla e procedette.
«Professore, scusi».
Accidenti, non mollava!
«Conrads, non consideri che forse ho qualcosa di meglio da fare che ascoltare te?» urlò. Tutti gli studenti e i colleghi presenti nel corridoio si zittirono e si voltarono verso di loro per osservare che cosa stesse accadendo. Pettegoli, tutti pettegoli! Si trattenne dall'inveire perché erano presenti anche colleghi anziani che erano stati suoi insegnanti.
«Immagino di sì», sbottò il ragazzino con spavalderia «ma...»
«Detenzione, Conrads» lo interruppe Piton e fece per andarsene: non sopportava più tutte quelle occhiate invadenti!
Il ragazzino gli gettò un'occhiataccia, ma gli urlò dietro: «Volevo solo comunicarle che il Preside l'aspetta nel suo ufficio, professore».
Piton si voltò nuovamente verso di lui, ma quello era già scappato via, piccolo impudente! Ignorando l'anziana professoressa di Letteratura Inglese che scuoteva la testa nella sua direzione, si avviò a passo svelto verso l'ala della scuola in cui erano ubicati la presidenza, gli uffici dei docenti e l'area amministrativa.
E adesso che cosa voleva il Preside da lui? Insomma aveva consegnato i voti del secondo trimestre in anticipo rispetto alla scadenza, mica come i suoi colleghi che ancora si arrabattavano per dare un'ultima possibilità ai poveri studenti! Poveri, un corno. Anziché trascorrere i pomeriggi a giocare a calcio o a rugby avrebbero anche potuto studiare!
Si fermò davanti alla porta e ispirò profondamente prima di bussare.
«Avanti» giunse immediatamente la risposta oltre la massiccia porta di noce.
Piton entrò ben intenzionato a chiudere velocemente la questione.
«Buon pomeriggio, signor Preside» disse formalmente fermandosi di fronte alla scrivania ingombra di carte.
Il preside, completamente canuto e con una barba dalla discutibilissima lunghezza, lo accolse con un ampio sorriso. «Buon pomeriggio, mio caro Severus. Come sono andate le lezioni, oggi?».
«Come sempre, Preside» rispose Piton senza particolare enfasi.
«Siediti, siediti... E, dimmi, come trovi gli studenti? Ti sembra che siano migliorati? D'altronde Chimica non è una disciplina semplice».
«Gli studenti hanno ben altro in testa, altro che Chimica!» sbottò Piton prendendo posto sulla sedia indicatagli. «Sono delle teste di legno, non seguono, non si applicano, così presi da sé stessi! Non meritano nemmeno di stare in questa scuola! Non ha intenzione di prendere in considerazione la mia proposta, vero?».
«Quale, Severus?».
«Espellere tutti coloro che non raggiungono la media della C, sicuramente alzeremmo il livello della Scuola».
«Il livello della Scuola è già alto. Se espellessi tutti coloro che non raggiungono una determinata media, potremmo anche chiudere. Inoltre i tuoi colleghi mi dicono che vi sono alcuni allievi molto promettenti».
«I miei colleghi sono troppo buoni!».
«Ne dubito» ribatté Silente sempre con calma, ma con una fermezza tale da lasciare intendere di non volerne più discutere. «Ti ho chiamato per parlarti di qualcosa che ti riguarda».
«Cosa?» domandò perplesso Severus.
«Io e gli altri colleghi abbiamo notato che negli ultimi tempi sei più nervoso e irascibile».
«Sono gli studenti. È colpa loro» ribadì subito Piton scuotendo la testa. «Il signor Paciock mi ha scritto che H2O è la formula dell'arsenico. Ma si rende conto e gli ho dovuto dare persino una F. Dovremmo inserire i voti in decimi! Lo proporrò al prossimo consiglio docenti. Così potrò mettere gli zeri meritati! Non riderebbero più quei piccoli teppistelli drogati di calcio e forse di qualcos'altro!». Si esaltò tanto da alzarsi in piedi e cominciare a camminare avanti e indietro per la stanza. «Lei non è d'accordo, vero?» chiese notando l'espressione del preside, che lo irritò parecchio.
«Severus, mio caro, noi siamo preoccupati per te: tutta questa rabbia non va bene, ti rendi conto? Ho avuto molte lamentele da parte dei genitori e del Consiglio d’Istituto per come tratti i ragazzi. Per questo motivo ti ho fissato un appuntamento con uno psicanalista, il migliore di Edimburgo».
«Che cosa? Non ne ha il diritto!».
«In realtà sì, se vuoi mantenere questo posto. Sono io il preside».
«I ragazzi si lamentano sempre e i genitori li viziano, non vorrà dare più credito a loro che a me?».
«Alcuni ragazzi sono molto viziati e maleducati, te ne do atto, ma tu esageri: solo ieri un ragazzino del primo anno è finito in infermeria per una crisi di pianto causata da te».
«È troppo sensibile».
«Se sai che è sensibile, avresti dovuto porti in modo diverso» tagliò corto il preside e stavolta non c'era bonarietà nelle sue parole. «Andrai dallo psicanalista e, se non lo farai, lo saprò».
Severus ringhiò e quasi urlò: «Come vuole lei!». Andandosene sbatté la porta e non salutò nemmeno.
 
 
 
 
*
 
 
 
Severus Piton, sbuffando per la millesima volta – Albus Silente gliel’avrebbe pagata! – si fermò sul Royal Mile, il viale principale del centro storico di Edimburgo e lesse un’altra volta il fogliettino su cui il Preside aveva segnato l’indirizzo dello psicanalista. Lo accartocciò e s’inserì in una via laterale a passo svelto. Conosceva piuttosto bene la città, quindi non avrebbe avuto difficoltà a trovarlo. Camminò per almeno una decina di minuti prima di fermarsi di fronte a un palazzo decisamente antico, entrò nell’androne a passo sostenuto, mentre il nervosismo cresceva sebbene non l’avrebbe ammesso: non gli piaceva per nulla l’idea che uno sconosciuto gli ponesse domande personali. Odiava parlare di sé stesso! Un’idea si fece strada nella sua testa: tacere. Era così semplice: Silente pretendeva che lui andasse dallo psicanalista, ma non avrebbe potuto pretendere che collaborasse.
Al secondo piano notò una targa dorata sulla porta aperta e vi entrò senza nemmeno farci caso, anche se con un minimo di perplessità: non c’era scritto terzo piano sul foglietto?
Una signora con un tailleur lo accolse, leggermente annoiata.
«Ha un appuntamento?».
«Sì, sono Severus Piton».
La donna si accigliò e controllò sull’agenda. «Non è presente il suo nome. È sicuro?».
«Certo, che sono sicuro». Inetta, avrebbe voluto aggiungere. «Il preside di Hogwarts, Albus Silente, ha prenotato per me».
La donna sgranò gli occhi: la fama di Silente era tale da suscitare timore e rispetto anche in sua assenza. «Ah, capisco, forse ha parlato direttamente con il signor notaio, aspetti un attimo».
«Notaio?» replicò perplesso proprio mentre lei si avvicinava a una porta.
«Sì, il notaio Nott» ribatté la donna incerta.
«Non è uno psicanalista… l’indirizzo…».
La donna gli rivolse un’occhiata quasi divertita, che lo infastidì parecchio. «Oh, ma si trova nel palazzo di fronte».
Piton serrò la mascella e uscì, ignorando le lamentele indignate della segretaria. Quasi si fiondò fuori dal palazzo e all’interno di quello di fronte: quella storia doveva finire al più presto! Avrebbe parlato con lo psicanalista e quello gli avrebbe firmato un bel certificato da dare a Silente.
Si diresse al terzo piano, salendo i gradini a due a due. Come aveva potuto essere così sciocco? Suonò il campanello e, quando la segretaria di turno aprì la porta, entrò senza nemmeno darle il tempo di fiatare.
«Ho un appuntamento. Sono Severus Piton».
«Ma come si permette?» sbottò la donna allibita dal suo comportamento.
«Lascia stare, Clarisse, tesoro» disse una voce maschile all’improvviso. «Severus Piton! Quanto tempo! Credevo che Silente scherzasse quando mi ha contattato».
 
No, quella voce no! Non poteva crederci. Piton non aveva neanche il coraggio di voltarsi.
 
«Non mi saluti? Clarisse, puoi andare, tranquilla».
 
Quello era un incubo! Strinse i denti e si voltò verso il suo rivale, il ragazzo che più aveva odiato in adolescenza: Sirius Black.
 
«Tu? Tu saresti diventato psicanalista? Cambridge ha perso più colpi di quanto credessi!» sibilò Piton in risposta.
 
«Buon pomeriggio anche a te e, no, non sono felice nemmeno io d’incontrarti» replicò Black quasi divertito. «Vuoi accomodarti nel mio studio?» soggiunse mantenendo lo stesso tono.
 
«No» ringhiò Piton, voltandogli le spalle e dirigendosi verso la porta.
 
«Attento, attento. Dovrò riferirlo al preside. Non eri uno studente modello una volta?».
 
Severus si costrinse ad avvicinarsi e tenne le mani dietro la schiena per non cadere in tentazione. «Il preside mi ha assicurato di essersi rivolto al miglior psicanalista di Edimburgo, evidentemente devono essere veramente scarsi in questa città».
 
«Molto spiritoso» replicò Black facendogli cenno di entrare in quello che si rivelò uno studio di media grandezza, molto luminoso e perfettamente ordinato. «Accomodati» aggiunse indicando una poltrona.
 
«No, grazie» replicò Piton, tentando di non farsi trascinare dalla rabbia e di rispettare il piano: tacere.
 
Sirius ghignò e si sedette dall’altro lato della scrivania. «Come preferisci, ma saresti più comodo».
 
«Sarà una cosa veloce».
 
«L’incontro dura un’ora» lo contraddisse Sirius.
 
«Posso stare in piedi, non c’è problema. Avanti, iniziamo. Dimostrami che non ti sei comprato il titolo, dopotutto la tua famiglia è una delle più vicine alla Corona, sbaglio?».
 
Il ghigno sparì dal volto di Sirius, che s’incupì: «Non è più la mia famiglia».
 
«Ah, giusto. Ora la tua famiglia sono i Potter, no?».
 
«Già, ma non sono affari tuoi» sbottò Sirius perdendo leggermente il controllo. Severus ne fu soddisfatto. «Siamo qui per te, no? Allora parliamo di te o dirò a Silente che non collabori».
 
«Sporco ricattatore».
 
Il ghigno riaffiorò sul volto di Sirius. «Ti ascolto».
 
«Non devi farmi tu le domande? E perché non hai il lettino?».
 
«Se vuoi sdraiarti c’è il divano, ma non credo che sia necessario».
 
Severus serrò la mascella e gli lanciò un’occhiataccia. «E fammi le domande, allora!» ringhiò.
 
«Io ascolto, tu parli» replicò Sirius. «Funziona così».
 
«Di che dovrei parlarti?» sbottò Severus.
 
Sirius si strinse nelle spalle e appoggiò il mento sulle mani intrecciate. «Sono tutt’orecchi» trillò.
 
«Molto bene, vuoi che parli, allora parlerò!». Sirius alzò le braccia in segno di vittoria. «Il legame covalente puro si attua nel momento in cui due atomi mettono in comune delle coppie di elettroni…».
 
Sirius quasi cadde dalla sua comoda e imbottita poltrona. «Mi prendi in giro?».
 
«No, mi hai detto di parlare» ghignò Piton. «Gli atomi in questo modo tendono a un minor dispendio energetico ottenibile con la stabilità della loro configurazione elettronica. Per esempio…».
 
«Frena, frena» sbuffò Sirius. «Molto furbo, non c’è che dire, ma io non sono uno dei tuoi allievi. Non m’interessa la tua lezioncina di chimica».
 
«Se il legame covalente puro non ti piace, posso parlarti di quello polare».
 
«Non voglio sentir parlare di chimica» dichiarò Sirius.
 
«Non è un problema mio» dichiarò Piton. «Io la mia parte ho provato a farla e», diede un’occhiata al suo orologio da polso, «mancano esattamente quarantacinque minuti alla fine del nostro incontro». Incrociò le braccia al petto, accavallò le gambe e si mise in attesa che anche quei minuti trascorressero.
 
Sirius sembrava sconvolto, probabilmente perché il comando gli era stato sottratto tanto rapidamente. Non era, però, tipo da desistere facilmente. «Mi è stato detto che non sei un insegnante molto amato… Non che mi meravigli…».
 
Piton storse la bocca. «Te l’ha detto il tuo figlioccio?».
 
«Può darsi» replicò Sirius. «Ti piace tanto essere odiato?».
 
«Non m’interessa la stima degli inetti» dichiarò Severus con tono sostenuto.
 
«Perché non definisci ‘inetti’?».
 
«Perché non ti prendi un vocabolario, Black?».
 
«Mi spiace, non ne ho. Dimmelo tu» replicò totalmente serio Sirius.
 
«Tu».
 
«Cosa?» domandò perplesso Sirius.
 
«Tu, sei un inetto. Sei un esempio perfetto d’inetto, come tutti quelli altri studenti viziati che mi ritrovo in classe ogni giorno».
 
«Per fortuna non sono in classe con te».
 
«Fortuna, mia» commentò Severus.
 
«Io non sono un inetto. Sono sempre stato un allievo brillante».
 
Severus scoppiò in una risata finta. «E fammi capire, quand’eri brillante? In detenzione o quando eri in giro per la scuola a fare scherzi idioti?» ribatté Piton con una certa cattiveria.
 
«Sempre, modestamente» rispose Sirius con un immenso sorriso.
 
«Sei solo pieno di te e sbruffone. Dovresti esserci tu da questo lato».
 
«Può darsi, ma io non andrei uno psicanalista che è stato mio nemico fin dai tempi della scuola».
 
«Non è stata una mia scelta» ringhiò Piton.
 
«Lo so e non sai quanto stia amando Silente in questo momento».
 
Piton rispose volgarmente, sfogandosi su quell’essere che chi sa come aveva ottenuto una laurea!
 
«Interessante il tuo repertorio di parolacce, penso che Silente troverà divertente scoprirlo».
 
«Non osare, Black» minacciò Piton.
 
Sirius scosse la testa: «Hai mai sentito parlare di ‘segreto professionale’ o i tuoi amati chimici non conoscono questa espressione?».
 
«La comunità scientifica mette sempre a disposizione di tutti le scoperte compiute» rispose freddamente Piton.
 
«Anch’io metto a tua disposizione il mio prezioso tempo, ma solo un’ora, quindi ci vediamo la prossima settimana».
 
«Che cosa? Io non ci torno qui».
 
«Vai a dirlo a Silente» ribatté Sirius. «E mi raccomando» gli urlò mentre usciva dallo studio, «sii puntuale la prossima volta».
 
 
 

 
*
 
 
 
«È bello rivederti» commentò Sirius, quando Piton entrò nel suo studio la settimana successiva.
 
«Sono in perfetto orario».
 
«Lo apprezzo molto. Sai, ho una cenetta romantica stasera».
 
Piton fece una smorfia. «Per me possiamo chiudere anche qui, non c’è problema».
 
«Oh, non ti preoccupare, sono tutto per te».
 
«Se vuoi, possiamo parlare della tavola periodica oggi» propose Piton. «E la spieghi a quell’ignorante del tuo figlioccio». Sarà stato pure uno psicanalista, ma era facile colpirlo.
 
Sirius lo guardò male prima di rispondere a denti stretti: «Cerca di essere professionale e lascia Harry fuori da questa storia».
 
«Ci mancherebbe pure» borbottò Piton alzando gli occhi al cielo.
 
«E comunque no, oggi faccio io le domande».
 
«Sul serio? Hai sconfitto la tua pigrizia cronica? O vuoi finalmente guadagnarti i soldi che rubi alle tue povere vittime».
 
«Disse quello che fa piangere i ragazzini di undici anni!» replicò Sirius appoggiandosi alla spalliera della sedia.
 
«Veramente sono riuscito a far piangere un ragazzone di un metro e novanta, oggi» raccontò Piton.
 
«Ammirevole» borbottò Sirius alzando gli occhi al cielo. «Fai uso di droghe?» gli chiese a bruciapelo.
 
«Sei impazzito per caso?» sbottò Piton. «E lo verrei a dire a te? Così magari mi fai licenziare».
 
«Sono domande di rito. Basta che tu risponda sì o no. Anche se io sono convinto che nel laboratorio dove ti rinchiudi sintetizzi droghe».
 
«Sì, decisamente sei pazzo. No, non faccio uso di droghe di nessun tipo».
 
«Come fai a sapere quanti tipi di droga esistono?» insinuò Sirius sporgendosi in avanti in modo da avvicinarsi il più possibile al volto dell’altro.
 
«Dacci un taglio» sbottò Piton allontanandolo con la mano. «Dovrebbe essere reato mostrare in giro la tua faccia, specialmente a una distanza tanto ravvicinata».
 
«Le ragazze con cui esco non la pensano così» ribatté Sirius compiaciuto. «Hai fatto uso di droghe in passato?».
 
«Ancora? No» rispose seccato Piton.
 
«Ti ho detto che sono domande di rito. Devo fartele per forza» spiegò Sirius, ma non appariva per nulla dispiaciuto. «E nella tua famiglia qualcuno fa o ha fatto uso di…».
 
«Lascia fuori la mia famiglia» ringhiò Piton. Sirius fece per ribattere, ma venne subito zittito. «E non dire un’altra volta che sono domande di rito!».
 
Sirius si appoggiò alla spalliera della poltrona e intrecciò le dita sulla scrivania. «Non ti va di parlare della tua famiglia?».
 
«Sei stupido o cosa? Dobbiamo parlare di me? Parliamo di me!».
 
«Ma, mio caro Piton, parlare di te significa parlare anche del tuo passato e quindi della tua famiglia» replicò Sirius.
 
«Te lo puoi scordare» sbottò Piton.
 
«E va bene, allora perché non mi parli del ragazzone di un metro e novanta che hai fatto piangere stamattina?».
 
Piton lo fissò sorpreso, ma infine annuì. «L’ho chiamato alla lavagna e gli ho chiesto di bilanciare una reazione e non lo sapeva fare. Le abbiamo studiate l’anno scorso» riassunse palesemente compiaciuto.
 
Sirius si accigliò. «Tutto qui? Mi aspettavo qualcosa di più divertente».
 
«Beh, con l’ennesima F nella mia materia dovrà saltare la prossima partita. Sai è il quarterback della squadra della scuola».
 
L’espressione di Sirius divenne scioccata. «Tu… il quarterback… tu…».
 
«Oh, sì. Ce ne sono troppi muscoli in giro!».
 
Sirius si ricompose e dichiarò: «Ti piace avere tanto potere, vero?».
 
«Certo, a te non piacerebbe?».
 
«A quindici anni mi piaceva, a quarant’anni lo considero stupido. Lo sai cosa stai facendo tu? Ti stai vendicando delle prepotenze che hai subito in passato sui tuoi alunni!».
 
«Come osi?» sbottò Piton alzandosi in piedi e colpendo la scrivania con un pugno.
 
«Oso» sibilò Sirius alzandosi a sua volta. «Sei subdolo, manipolatorio, hai un atteggiamento perennemente dispregiativo, non ti preoccupi dei sentimenti altrui…».
 
«Da quando ti preoccupi dei sentimenti altrui?» lo interruppe Piton alzando maggiormente la voce per sovrastare quella dell’altro. «Hai perso il conto delle ragazze a cui hai spezzato il cuore, vero? Te la fai pure con la tua segretaria?».
 
Sirius lo fulminò con lo sguardo. «Non sono affari tuoi. Almeno io me la prendo con quelli della mia taglia».
 
«Sì, certo, ma sempre quattro contro uno, vero? È ipocrita da parte tua farmi domande sul mio passato…».
 
Sirius, preso in contropiede, sbuffò e si risedette. Dopo qualche minuto di totale silenzio annuì. «E va bene,00 Piton, conosco il tuo passato e probabilmente ho contribuito a renderti così».
 
«Notevole» replicò Severus sarcastico.
 
«Io credo che tu soffra del Disturbo…».
 
«Io non soffro di un bel niente!» urlò Piton, facendo accorrere persino Clarisse.
 
«Tutto bene, dottor Black?».
 
«Dottore dei miei stivali» borbottò Piton. «Sei solo un idiota!».
 
«È tu un brutto pipistrello untuoso! Quand’è che ti sei lavato i capelli l’ultima volta?».
 
«Dottore, cosa…?» borbottò Clarisse disorientata.
 
I due uomini, però, la ignorarono e nel giro di pochi secondi Sirius aggirò la scrivania e iniziarono ad azzuffarsi.
 
Le loro imprecazioni e le urla di Clarisse fecero accorrere un uomo della loro età che li separò immediatamente.
 
«Ma che succede? Piton che ci fai qui?».
 
«Mancava solo Lupin» sbottò Severus allontanandosi schifato dal nuovo venuto.
 
«Una seduta, Remus, nulla di che».
 
«Mi prendi in giro. Tu il dottore di Piton?».
 
«Idea di Silente».
 
«Non ci credo» commentò Remus Lupin, decisamente confuso.
 
«Credici» sibilarono all’unisono gli altri due.
 
«Comunque, non ho intenzione di continuare» disse bruscamente Sirius, mentre Piton recuperava il cappotto. «Lo dirò a Silente».
 
«Solo lui poteva pensare di mettervi nella stessa stanza» borbottò Remus.
 
 
 
 
*
 
 
 
La settimana successiva il dottor Black, avendo un’ora libera, si preparò a uscire per prendere un caffè insieme a Remus Lupin, il suo migliore amico. Oh, quanto avevano riso quel fine settimana al pensiero della lite con Piton. Remus, come al solito, l’aveva rimproverato perché per un’azione del genere rischiava di essere espulso dall’albo e persino di essere denunciato. Sirius aveva liquidato le sue preoccupazioni: Piton non avrebbe mai messo al rischio il suo posto a Hogwarts e quella piccola zuffa sarebbe rimasto il loro segreto, di Remus e di Clarisse. L’unica preoccupazione di Sirius era che il vecchio pipistrello se la sarebbe presa con Harry, il suo figlioccio, ma – ed erano a mercoledì – non aveva ancora ricevuto alcuna telefonata o messaggio indignato. Anche Remus ne era sorpreso. Non era da Piton non vendicarsi.
 
«Dottor Black, mi scusi» mormorò quasi timidamente Clarisse facendo capolino sulla soglia dello studio dopo aver bussato.
 
«No, Clarisse, sii buona. Qualunque documento o problema ci sia, lo affrontiamo dopo la pausa. Vai pure tu, ci vediamo tra un’oretta. Ho l’appuntamento con il signor Bagman, vero? La sua ludopatia è veramente preoccupante».
 
«Veramente, dottore, c’è il professor Piton» disse Clarisse. Sirius, intento a sistemarsi la cravatta davanti allo specchio si voltò e la fissò scioccato. «È qui per il suo appuntamento settimanale».
 
«Fallo entrare» fu costretto a rispondere Sirius.
 
«Sei abituato a far aspettare i tuoi pazienti? Sono quasi le quattro e cinque» esordì Piton appena entrò nello studio.
 
«Non mi aspettavo di vederti oggi. Ti ha obbligato Silente? Credevo di essere stato chiaro con lui» sbuffò Sirius infastidito. Aveva chiamato il preside e gli aveva spiegato che non poteva occuparsi di Piton: c’era troppo rancore tra loro.
 
«Sono venuto di mia spontanea volontà» replicò Piton sedendosi senza essere invitato. «Nell’ultima settimana sono stato molto più rilassato. Non ho fatto piangere nessuno».
 
«Ma che bravo!» commentò Sirius ironico.
 
«Mi ha fatto bene sfogarmi con te. Sai, Black, sei un inetto come psicanalista, ma è piacevole sputarti addosso tutto quello che provo per te. Che ne dici se parliamo degli ultimi disastri di Harry?».
 
«Clarisseeeee!» urlò Sirius. «Chiama, Remus!».
 
 
 
 
 
   
 
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