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Autore: NyxTNeko    26/01/2020    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Ajaccio, 5 ottobre

Napoleone ed Elisa, dopo quasi un mese di navigazione, finalmente raggiunsero le coste dell'amata Corsica, giungendo così ad Ajaccio. Per Elisa fu un ritorno nostalgico e commovente, era stata lontano dalla sua terra natia per tanti anni e le pareva un sogno rimettere piede su quella sabbia, rivedere il luccichio del mare e le sue onde.

- Non è un sogno, sorella - le disse Napoleone sollevandola dai fianchi, aiutandola a scendere dall'imbarcazione - Bentornata a casa! - aggiunse infine, dopo essersi riaggiustato la divisa.

- È come la ricordavo! - esclamò felice la ragazza, correndo gioiosa, ricordava ogni strada, ogni percorso, ogni abitazione. Il tempo sembrava essersi fermato, bloccato, tutto era immutato. 

- Anche a me fece quell'impressione - confermò il fratello maggiore, rimembrando la sua primissima volta, quando era poco più che adolescente e ancora sottotenente. Nonostante questo percepì nell'aria della tensione, si fece guardingo e accorto, la sensazione di pericolo che aveva provato in Francia fino a non poche settimane prima, riemerse. Leggeva negli sguardi della gente che incrociava lungo il cammino, un'ostilità non molto dissimile da quella che aveva conosciuto all'accademia "Allora ciò che mi ha riferito Giuseppe è vero" pensò celando la rabbia crescente "Paoli sta facendo di tutto per aumentare la sua influenza a scapito della nostra".

- Tutto bene? - chiese la sorellina accorgendosi del mutamento dell'espressione di Napoleone.

Il ragazzo annuì automatico, abituato a fingere che andasse bene, poi vedendola imboccare una strada non molto sicura, la invitò a svoltare - Andiamo di qui...è meglio -.

La sorellina non insistette e obbedì, probabilmente stava succedendo qualcosa di grave, ma non voleva generare altra preoccupazione. "Non abbiamo un attimo di pace" osservò lei rattristata "Ma resisterò, in nome della famiglia" si incoraggiò. Appena vide la casetta in lontananza, il cuore cominciò a batterle veloce, sentendo l'emozione riempirle gli occhi chiari, di lacrime.

Napoleone non vedeva l'ora di tornarci per sentirsi sicuro, oltre che per accertarsi della situazione, si era tenuto aggiornato tramite le lettere, i dettagli li avrebbe chiesti a Giuseppe e a Luciano, quest'ultimo in particolare si stava interessando di politica e della rivoluzione. Elisa prese la sua mano delicatamente, lui la guardò e sorridente la strinse, rassicurandola - Sei pronta? - domandò una volta giunti a pochi passi dalla porta d'ingresso. Tremava per l'emozione.

- Sì - mormorò la ragazzina fremendo - Aspettavo questo momento da anni...

Napoleone allora alzò il braccio e bussò energicamente. Subito udì il vociare dall'interno e dei passi concitati avvicinarsi, che si arrestarono bruscamente. Elisa ingoiò la saliva. Il giovane ufficiale aveva avvertito i suoi parenti che sarebbe tornato in giorni, non specificando una data precisa, in quanto non poteva prevedere eventuali rischi e imprevisti che durante un viaggio erano sempre dietro l'angolo. Quando la porta fu aperta si profilò ai loro occhi la matronica figura della madre - Siete arrivati finalmente - esordì commossa abbracciandoli amorevolmente, riempiendoli di baci.

Li fece entrare e furono accolti calorosamente dai fratelli, l'attenzione si focalizzò su Elisa, i più piccoli la ricordavano vagamente, si avvicinarono curiosi - Come sei cresciuta - disse il diciottenne Luciano, il più ribelle e spavaldo della famiglia - Sei diversissima da come ti ricordavo - aggiunse infine, sistemandosi la cravatta.

- Anche tu sei cambiato molto Luciano - notò a sua volta Elisa. Erano passati davvero tanti anni e se non si fossero ammassati attorno a lei, con ogni probabilità non li avrebbe riconosciuti.

- Adesso sono un uomo, un fiero rivoluzionario! - ammise orgoglioso, gonfiando il petto, esibendo la coccarda tricolore. Giuseppe sospirò, conosceva il carattere del terzogenito. Era più ingestibile di Napoleone, non avrebbe mai pensato di dire una cosa simile, soprattutto recentemente, con gli eventi accaduti in quei mesi in Francia, che si erano propagati in Corsica, come aveva spiegato al secondogenito in una lettera.

Il capofamiglia si accorse solo in quel momento che Napoleone se l'era svignata, come al suo solito, approfittando della confusione, lo vide appartato, taciturno e concentrato, seduto scomposto, a leggere le ultime nuove sui quotidiani degli ultimi giorni. Il suo viso era imperturbabile, persino nel soffermarsi su qualche dettaglio importante. Eppure era stato in Francia, a Parigi, nel periodo più violento della Rivoluzione, come poteva restare così calmo?

Mentre Elisa si intratteneva con i familiari, Giuseppe si avvicinò a Napoleone, cercando di fare meno rumore possibile, in modo da non disturbarlo. I sensi del fratello erano, però, particolarmente acuti e subito si accorse della sua presenza, spostò rapace le iridi grigie verso di lui. Quello sguardo gelido lo metteva sempre in soggezione, non aprì bocca, si sedette solamente poco distante, sulla poltrona, attendendo che dicesse qualcosa.

- La situazione è più drammatica di quanto pensassi, Giuseppe - espose Napoleone posando il giornale e accavallando le gambe. 
Giuseppe sospirò profondamente e confermò annuendo - Sì, fratello, Paoli sta cominciando a mostrarsi per quello che è - riferì a testa bassa. Si sentì un buono a nulla.

- Non è il momento di farsi venire i sensi di colpa, fratello - riferì Napoleone pacato, nella sua voce non vi era la durezza, l'asprezza che la contraddistingueva. Questo lo spaventò non poco: probabilmente era solo una calma apparente, per non perdere le staffe.

- Ma... - soffiò il fratello gesticolando - Ma non ti ho voluto credere, quando dicevi il vero...

- La colpa è solo sua! - sbottò nervoso Napoleone, sbattendo i piedi sul pavimento, facendo sobbalzare il povero Giuseppe - Ci ha ingannati! Insiste nell'indossare la maschera del Patriota, ma in realtà è solo un traditore! - sbraitò adirato, rosso in viso, ritto in piedi.

Luciano, che stava parlando animatamente con le altre donne della casa, sussultò al colpo di tacco e si voltò all'indietro, timoroso e al tempo stesso affascinato dal quella furia indomabile che usciva dalle viscere, dall'anima del fratello. Napoleone non voleva ammettere di essere un ribelle, invece lo era più di chiunque. Lo contemplava abbagliato, sarebbe stato un ottimo alleato nella lotta contro Paoli.

Giuseppe si alzò a sua volta e lo zittì - Sei impazzito? Vuoi che ci sentano?

- Hai paura di un povero vecchio Giuseppe? - lo provocò Napoleone, poggiando le mani sui fianchi.

- No, ma... - Giuseppe si massaggiò la nuca, non riuscendo a riprendere il controllo sulla vicenda. Napoleone aveva riaquistato la sua posizione di capo e similmente ad una scheggia nessuno avrebbe potuto fermarlo.

- Ma temi di separarti dall'uomo che era amico di Carlo - continuò Napoleone, prevedendo le sue parole - È così, non è vero? Pensi sul serio che Paoli ricordi ancora nostro padre?

Giuseppe, ferito da quella domanda retorica, sentiva in cuor suo che Napoleone aveva ragione, ma non riusciva a crederci. Come poteva essere così freddo, così cinico, così indifferente? Credeva fermamente che gli uomini si lasciassero guidare esclusivamente dal proprio tornaconto, non da un scopo superiore.

- Quando venne qui, quel lontano giorno, fu solo una scenata, quelle lacrime false, è un ottimo attore! - scattò intanto Napoleone, a denti stretti, stringendo rabbiosamente i pugni, buttando fuori quello che aveva da dire sul Patriota e che aveva elaborato e trattenuto fino ad allora - Le altre famiglie gioiscono di questo, perché morto Carlo hanno potuto accrescere il loro prestigio a nostro danno, Paoli crede che sia lui a tenerli in pugno, è l'esatto contrario, non si rende conto di essere solo una marionetta manovrata da loro e dagli inglesi...

Luciano era sbigottito, non credeva alle sue orecchie, Napoleone era a conoscenza di quello che stava accadendo, come se non se ne fosse mai andato. Si era seduto in silenzio e lo ascoltava rapito, mentre il fratello continuava ad esporre i suoi pensieri. 
- Non capisce di quanto provinciali siano queste inutili lotte tra fazioni avverse, che disperdono solo uomini, armi e tempo, senza creare nulla, una distruzione fine a se stessa - ribadiva, cominciando a girare attorno al tavolo, agitato, pensando ai grandi ideali universali di cui erano imbevuti i membri del Parlamento repubblicano e che condivideva appieno - Quando potrebbe unire tutte le famiglie più influenti dell'isola sotto di sé, gli uomini più capaci, meritevoli, dotati e con essi costruire una Corsica nuova, provincia sì della Francia, anche Roma aveva delle province ricche e fiorenti, per cui non vedo che male ci sia in questo, ma efficente e all'avanguardia, un esempio per l'intera Europa, solo così la sua fama di uomo di valore, di principio avrebbe riscontro nei fatti - i suoi grandi occhi grigi brillavano intensamente, al pari di quelli di Luciano che era sempre più disposto a sostenerlo.

Giuseppe non riconosceva più il bambino ribelle, fervente patriota e antifrancese che fu. Ormai era una persona completamente diversa. Gli anni trascorsi in Francia, i suoi studi, avevano plasmato l'uomo che era diventato. Senza contare la bruciante delusione nei confronti del suo antico eroe, ne parlava sempre quasi con sacro rispetto, lo aveva idealizzato, trasferendo le qualità degli uomini più grandi della storia in lui. Fu proprio questa costruzione personale dell'immagine di Paoli ad averlo ferito più che il gesto in sé, più del rifiuto della sua opera e dell'ostilità. 

Se per tanti anni la Francia, per Napoleone, era stata un inferno, ora ne parlava come se fosse il migliore dei mondi. Tuttavia si rendeva conto di non poter nascondere a se stesso il dolore che aveva provato lì, né i traumi delle prepotente, delle sopraffazioni, delle umiliazioni che aveva subìto all'accademia, le cui cicatrici erano ancora visibili. Se si era arricchito dal punto di vista culturale e linguistico, altri aspetti della sua persona, come il carattere e la sua socialità, ne avevano risentito nel modo peggiore.

Era cambiato tanto, più di quanto poteva credere, aveva avuto la prova definitiva con il suo amico Louis Antoine, quando si era adirato con lui, perdendo il freno delle sue emozioni. I suoi sensi si erano annebbiati, la testa offuscata e una forza indomabile aveva invaso il suo corpo, generando una sensazione strana: appagante e angosciante al tempo stesso. Era un giovane uomo diviso tra due realtà, quella della terra natia, in cui si sentiva sempre più stretto e incompreso e quella francese che non lo conosceva ancora ma che non disprezzava come un tempo. Era incompleto, qualcosa gli mancava, l'aveva perduto forse, oppure lo stava cercando disperatamente, quasi certamente nasceva da tale incompiutezza la sua inquietudine.

- È questo il progetto che hai in mente per l'isola? - interrogò Luciano, dopo essersi fatto coraggio nel chiederglielo.

- Proprio così, fratello - fu la risposta pronta di Napoleone, ridestato da quella questione che gli aveva posto ardente - Esportare i valori, i principi, le leggi della rivoluzione prima in Corsica e poi in Europa è l'obiettivo più nobile che un paese possa concepire - affermò convinto, incrociando gli occhi chiari del fratello minore, nei quali rischiarava la luce dell'orgoglio.

- Io sono con te Nabulio! - gridò Luciano, poggiando la mano sul cuore, a mo' di giuramento - Io credo nei valori repubblicani della nuova Francia, è tempo di creare una Europa diversa, migliore, in cui tutti gli uomini siano liberi, uguali e fratelli, basta con le guerre tra famiglie per ottenere un trono, le battaglie da oggi in poi si disputeranno nei parlamenti, attraverso qualsiasi mezzo! - emise il diciottenne tutto d'un fiato, infervorato.

Seppur Napoleone non condividesse affatto la sua visione parlamentarista della politica e della realtà, apprezzava il suo entusiasmo per la causa involontariamente giacobina, avrebbe potuto contare sul suo appoggio - Non dimenticare che senza guerra la Francia sarebbe spacciata, il parlamento è fondamentale, ma è l'esercito in questo momento a mantenere in piedi la neonata Repubblica - sottolineò l'ufficiale, non senza una punta di sarcasmo.

- Nabulio ha ragione - approvò Giuseppe, che era rimasto in silenzio, non volendo intromettersi nella conversazione, ripensò agli avvenimenti di Valmy che erano risuonati fino alla loro isola - Possiamo dire che entrambi hanno bisogno dell'altro, il parlamento senza guerra non potrebbe continuare a svolgere la propria attività, anzi verrebbe spazzato via dai nemici della rivoluzione, l'esercito senza il parlamento non potrebbe agire come vorrebbe, perché sarebbe costretto a combattere le inutili battaglie che hai detto tu Luciano, anziché diffondere gli ideali universali

Napoleone batte le mani - Non fa una piega, Giuseppe, hai espresso esattamente quello che intendevo - sulle sue labbra si formò un sorrisetto. Il maggiore capì subito che per il fratello politica e guerra erano un'unica cosa, Napoleone aveva l'estrema abilità di saper celare ideologie o mentire spudoratamente in caso di necessità, evitando così di inimicarsi possibili alleati e lui vedeva in Luciano un aiuto indispensabile per attuare i suoi scopi e saziare la sua ambizione.

- Ti conosco bene, Nabulio - ridacchiò Giuseppe rendendo l'atmosfera meno cupa e pesante "O almeno credo...".

Napoleone si accasciò sulla poltrona in una maniera non proprio da manuale di galanteria, d'altronde era sempre stato  rustico e rude "Mentre tu impari l'insulsa arte del bon ton, io apprendo ciò che serve davvero nel mondo" riecheggiarono quelle parole e Giuseppe ridacchiò, su quell'aspetto non era mutato affatto. Quante ramanzine e quanti schiaffi si era preso dalla madre e quanto insisteva nel mantenere le sue abitudini. Si chiedeva sempre più spesso come potessero essere fratelli.

- Anche io ti conosco bene, Giuseppe - ribadì lui, dopo aver steso le braccia sul retro della poltrona - Ed ora so molto di più di Luciano e questo mi fa piacere, nella famiglia il valore più sacro è la coesione - ammiccò.

Luciano annuì entusiasta - Ora però vorrei sapere i dettagli sulle vicende a cui hai assistito - lo supplicò morendo dalla voglia di sapere il più possibile. Napoleone lo accontentò e gli raccontò ogni cosa accadutagli sotto i suoi occhi, le vicende erano così nitide che gli sembrava di riviverle ancora.


 

 

   
 
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