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HERMIONE
E RON
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CANIS
MINOR
Ron
si accomodò meglio sul guanciale, guardando
il soffitto. Il cielo stellato che Hermione aveva messo
lassù a colpi sapienti
di bacchetta, lo fissava invitandolo ad esplorare i misteri
dell’esistenza. Anche
qualcuno che non avesse passato numerose ore della propria adolescenza
a
scrutare la volta celeste dalla Torre di Astronomia avrebbe
riconosciuto le
costellazioni che troneggiavano nella loro stanza. Eppure non era una
scelta
banale, né tantomeno casuale. Hermione non faceva mai le
cose a casaccio e quel
frammento di cielo era lì per ricordar loro che ogni
circostanza, ogni
avvenimento, ogni percezione non è solo ciò che
appare a prima vista. Qualcuno
avrebbe visto Orione, il cacciatore astrale con la sua muta di cani.
Harry
avrebbe notato subito Sirius, la
stella più splendente dell’intera galassia,
appropriatamente situata in Canis Maior.
Per Hermione, invece, aveva
tutto a che vedere con un gruppo di stelle che stava un poco
più in là, il Cane
Minore. In un certo senso, in quel modo tutto particolare con cui
sapeva
capirlo più di chiunque altro, quella pazza, esasperante,
adorabile strega
aveva fatto del soffitto della loro camera un altare per lui.
“Hai
freddo?” le chiese, continuando a ruminare
silenziosamente sulla domanda che gli aveva posto.
La
sentì scuotere la testa, i suoi riccioli
cespugliosi che solleticavano la pelle.
“Nessuno
può avere freddo accanto a te, Ron …
Sei una stufa vivente!” rispose lei con un pizzico di
sfottò nella voce.
Il
ragazzo sorrise amaramente nel buio.
Ricordava molte volte in cui aveva avuto freddo accanto a lui. Glielo
fece
notare sottovoce. La sentì immediatamente irrigidirsi e si
pentì per averne
parlato. Certi ricordi è meglio lasciarli sepolti.
“Non
è la stessa cosa e lo sai.” Osservò lei.
Herminone
aveva
ragione. Tanto per cambiare. E se il suo io di oggi avesse potuto
spiegare al
suo io di allora un paio di cosucce, non se ne sarebbe andato
lasciandola sola
come un voltagabbana…
“Non
farlo.” Mormorò piano la ragazza.
“Che
cosa?”
Sbuffò.
“Sai benissimo di cosa sto parlando.
Non andare in quel maledetto posto della tua testa dove pensi di non
meritarmi
e mi chiudi fuori per proteggermi da te".
Odiava
quando riusciva a leggergli i pensieri
senza alcun bisogno di legimanzia.
“Mi
dà ai nervi. Non devi proteggermi da te.
Voglio tutto di te. Il bello. Il brutto. Il dolore. Ne abbiamo
già parlato
altre volte. Non c’è niente che mi faccia
altrettanto paura di essere chiusa
fuori da te. Non voglio passare la vita a dover abbattere muri che non
hanno
ragion d’essere.”
Ron
annuì nel buio.
“E,
poi, non mi fa sentire all’altezza.” Aggiunse
lei a voce più bassa.
Ron
girò il collo così velocemente per
guardarla da farsi quasi male.
“Cosa?
Tu?”
“Oh
non essere ottuso, Ron. Non solo tu soffri
della sindrome dell’impostore di tanto in tanto. E’
così evidente. Per quanto
mi sforzi non potrò mai essere la persona che tu vedi quando
mi guardi. Mi
piacerebbe. Oh, se mi piacerebbe. E’ un dato di fatto. La
vera me sarà sempre
due spanne sotto la Tua Hermione.”
“Cosa
… Cosa te lo fa pensare?” Era
genuinamente perplesso.
“Non
mi aveva mai colpito così forte come
qualche tempo fa. Stavo parlando con Harry. Non ricordo
perché siamo finiti in
argomento, ma ad un certo punto mi ha detto: sarebbe tutto molto
più semplice
se ti ricordassi il potere che hai su quell'uomo. Che
assurdità, ho pensato.
Sono più le volte che Ron non mi ascolta, che fa esattamente
il contrario … Che
mi fa infuriare, ma … Riflettendoci, ha ragione.”
Ron
riappoggiò la testa sul cuscino. “Hermione,
tu hai sempre fatto parte dell’equazione. Anche quando non
capivo perché, anche
quando mi terrorizzava, mi
faceva sentire
sbagliato, un essere orribile …”
“Non
essere così severo, eravamo solo dei
ragazzini confusi.” Osservò lei, conciliante.
“Confuso
…” Si rigirò la parola nella testa,
sulla lingua, come per provarla. No, non
era la parola adatta. Il suo io tredicenne non era confuso. Sapeva
benissimo
cosa aveva. I bollori per uno dei suoi migliori amici. In negazione,
certo.
Confuso, affatto. Glielo fece notare.
Hermione
rise. “Beh, immagino che avrebbe
potuto andarti peggio, allora."
“Che
vuoi dire … Oh … Hermione, miseriaccia!
Ecco, dovevi proprio … Bleah.” Non aveva nulla
contro chi aveva altri gusti, ma
non era un’immagine che voleva nella testa.
Le
risate della ragazza aumentarono leggermente di volume.
“Beh, in fondo sappiamo che ad Harry piacciono le teste
rosse!” Lo prese in
giro.
“Per
Merlino, donna! Piantala! Mi passerà la
voglia per tre giorni, ora.”
“Questa
sì che sarebbe una novità!” La
sentì
aggiungere sottovoce. Tirò verso di sé la
coperta. “Ehi, stai forse insinuando
che ho una libido…”
“Hai
fatto tutto da solo, Weasley!” Lo
interruppe.
“Hermione,
ti ho mai presentato i miei fratelli?
Hanno avuto più conquiste loro singolarmente di certe
squadre di Quidditch
messe insieme. Io sposerò la seconda ragazza che abbia mai
baciato! Dovrò
tenere il passo in qualche modo.” Disse serio.
“Ti
dimentichi che anche Percy è tuo fratello.”
“Eugh!
Hai deciso di non farmi dormire stasera?
Anche se … A pensarci bene… Statisticamente
è probabile che Perce … Questa
conversazione non è un bene per la mia autostima!”
“Oh,
non fare lo stupido, Ron. Quante persone
pensi conoscano la propria futura sposa ad undici anni?”
Eccola
là la sua Hermione. Quella che vedeva il
lato logico di ogni problema.
Le
stelle pulsavano sulla volta celeste sopra
le loro teste, silenti testimoni delle loro parole. E Ron
ricordò la domanda
che lei gli aveva fatto. Quella alla quale aveva cercato di non
rispondere nell’ultimo
quarto d’ora.
“E’
molto importante per te?”
Non
ci fu bisogno per Hermione di chiedergli di
cosa parlasse. La serietà del suo tono tradiva che erano
tornati all’argomento
principale.
Annuì.
“Ma se non vuoi … Se vuoi che sia come
per …” Le parole della donna si stavano per
accavallare, stava per andare in
affanno nel tentativo di spiegare, di non essere fraintesa.
“Ehi
‘Mione, siamo solo io e te. Il resto del
mondo non importa.” La rassicurò.
“Ma
lo sai che diranno … E’ inevitabile ne
parlino, finirà sui giornali e …”
“E
diranno che mi comandi a bacchetta, che sei
un’ammaliatrice tirannica che mi tiene per le
palle.” Terminò lui per lei,
facendo spallucce. “Dove sarebbe la novità? Noi
sappiamo che non è vero.”
“Sì,
ma sei sicuro di poterlo sopportare? Non
andrai su tutte le furie, comprerai decine di copie della Gazzetta del
Profeta
solo per farle a coriandoli con la bacchetta?”
Come
se la
ragazza che aveva tenuto Rita Skeeter chiusa in un barattolo per mesi
non
avesse una cosa o due da imparare sulla libertà di stampa.
“Non voglio
farti soffrire per il mio orgoglio, Ron.”
“Non
è orgoglio. E’ chi sei, è parte della
tua
identità.”
“Sai
che ti amo più della mia stessa vita?” Gli
chiese Hermione.
Guardò
più a fondo la volta celeste sul
soffitto. Sì, in qualche modo, in una maniera viscerale che
non aveva nulla a
che vedere con la conoscenza intellettuale di un fatto, Ron lo sapeva.
“E’ solo
un nome.” Mormorò “Sei mia in modi molto
più profondi di quanto un nome possa
dimostrare.”
“Fino
a quando tu vorrai.” Sussurrò Hermione.
Era
il modo
tutto particolare di Hermione di dire per sempre. Pensare di stancarsi
di lei
era come pensare di stancarsi di respirare. E per sempre sarebbe stato.
“E
sia, Hermione Granger-Weasley.” Era uno
stramaledetto scioglilingua. Ci avrebbero fatto l’abitudine.
Lo
strinse così forte che per un momento si
chiese dove trovasse la forza.
“Ti
amo anch’io, Ron.” Espirò nel suo collo.
Al
suo posto in Canis Minor, Procione
brillò magicamente sulla volta del soffitto,
tanto da oscurare persino Sirio e in quel momento Ron Weasley non ebbe
alcun
dubbio in merito a cosa avrebbe pensato la prossima volta che un
piccolo cane
argentato avesse danzato evocato dalla sua bacchetta.