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Autore: Nao Yoshikawa    27/01/2020    16 recensioni
Ian l’ascoltò attentamente e rimase in attesa. Pensava che Daisy avrebbe continuato la frase, eppure rimase in silenzio.
«Perché dici così? Non penso tu sia sbagliata. Con me stai costruendo un legame», le rispose, arrossendo.
Lei abbassò lo sguardo, mesta.
«E soffrirai, per questo. Io lo so che è così.»
Le lacrime scivolarono ancora, più di prima. Ian non capì come mai fosse scoppiata così, ma una cosa l'aveva appresa: Daisy soffriva per qualcosa che sicuramente andava oltre quanto aveva appena sentito.
C’era sicuramente molto di più dietro. Così respirò a fondo e, stringendo i pugni, glielo domandò ancora una volta:
«Daisy. Esattamente, perché piangi?»

Ottava classificata al contest ‘Elements’ indetto da LiHuan.85 sul forum di efp
Storia partecipante al contest "Hold my angst (Flash contest - Edite e Inedite)" indetto da Gaia Bessie sul forum di efp
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La ballerina di cristallo
 
Ian attendeva ogni mattina che lei arrivasse.
Nel cortile della scuola, aspettava la ballerina di cristallo.
Si sistemava gli occhi sul naso, nervoso, guardandosi intorno con crescente impazienza. Poco importava che fosse inverno, che facesse freddo o che piovesse.
Perché lei arrivava ad illuminare tutto, come un raggio di sole che squarciava le nuvole grigie.
Si chiamava Daisy ed era tanto delicata e pallida da sembrare un fantasma. Con i capelli biondissimi, gli occhi grigi e la pelle diafana, era raro che passasse inosservata.
Di certo non passava inosservata ad Ian.
Lui vedeva solo lei, ma lei non lo vedeva. Era così, Daisy. Leggiadra come un angelo, lontana ed irraggiungibile come un sogno, passava davanti a tutti senza guardare in viso nessuno, troppo timida e introversa per farlo. Era stato questo a colpire Ian, la prima volta che era arrivata: nel momento in cui aveva incrociato i suoi occhi malinconici, color della tempesta, si era convinto che Daisy fosse una sorta di angelo caduto dal cielo. O forse si era ritrovato a pensare ciò perché leggeva troppo. E, in fondo, si sapeva che chi leggeva troppo sognava altrettanto.
Di lei, Ian non sapeva molto.
Sapeva che era molto brava in scienze e che ogni tanto leggeva. Chissà quali erano i suoi libri preferiti? Se adorava le storie fantasy come lui, oppure preferiva le storie d’amore?
Un’altra cosa che aveva appreso era la sua passione per la danza classica. Gliel'aveva sentito dire una di quelle rare volte in cui Daisy aveva parlato con le sue compagne di classe.
Perché Ian non era bravo con le parole, ma sapeva ascoltare in silenzio. Sapeva vedere la bellezza dove gli altri vedevano solo diversità. Gli piaceva guardarla di nascosto, mentre desiderava avere il coraggio di parlarle, dirle almeno un “ciao”.
Gli piacevano i suoi riccioli e il modo leggero in cui si muoveva. Si era convinto che se l’avesse toccata lei si sarebbe frantumata.
Come un bellissimo cristallo.
E allora attendeva, attendeva invano, accontentandosi di sguardi fugaci e di scorgere il rossore sulle sue guance, quando ogni tanto i loro occhi, per caso, s’incrociavano.
 
L’occasione  per parlarle davvero arrivò un giorno d’inverno, rigido e piovoso. Quando la campanella dell’ultima ora suonava, Ian era sempre l’ultimo ad uscire, onde evitare di venire schiacciato in corridoio dai suoi compagni, cosa molto probabile, esile per com’era. Quel giorno, però, non era stato l’unico a rimanere.
Vide Daisy china sui suoi libri e con le mani davanti al viso, immobile, come se stesse dormendo. E immobile rimase anche Ian, non sapendo cosa fare o dire. Erano soli, forse era l’occasione giusta per prendere un po’ di coraggio e dirle almeno un semplice ciao.
Oh, si sentiva così stupido, alle volte. Aveva quindici anni e non sapeva neanche come approcciarsi ad una ragazza.
Ian gonfiò il petto e respirò profondamente. Daisy era assorta e, per tal motivo, sussultò violentemente quando il ragazzo quasi non inciampò sui suoi stessi piedi.
Fu allora che la ballerina di cristallo si alzò di scatto, quasi spaventata, guardandolo per la prima volta così profondamente da fargli tremare l’anima. I suoi occhi, dello stesso colore del cielo in quei giorni, erano ricolmi di lacrime.
Quest’ultime scivolavano sul suo viso, sulle guance, alcune morivano sulle labbra. Daisy stava piangendo, in modo sottomesso, ma palesemente disperato. E con vergogna adesso afferrava di fretta i suoi libri per scappare.
«Aspetta! Non andare!»
Quelle furono le prime parole che Ian le rivolse. Non esattamente quello che aveva sperato, ma dopotutto cosa si aspettava? Non era certo facile acchiappare un angelo.
Daisy se n’era andata e l’immagine del suo viso in lacrime gli era rimasta davanti agli occhi. Ma una cosa, per errore, l’aveva lasciata: il fiocco rosa che portava tra i capelli. Forse l’era scivolato per sbaglio?
Ian si chiese questo mentre si chinava per raccoglierlo: era di un rosa pallido, di un tessuto simile al raso. O almeno così credeva. Il restituirglielo sarebbe stata una scusa per perfetta per tentare un altro approccio, ma aveva ora più paura di prima
Si chiese perché mai Daisy piangesse. Si chiese chi potesse avere il coraggio di far piangere un angelo.
C’era chi gli avrebbe detto che i suoi pensieri fossero troppo melensi, ma a lui poco importava. Con le dita strinse il nastro di Daisy, gliel’avrebbe ridato la mattina dopo e sperò tanto di non vederla di nuovo piangere.
 
Con grande sollievo di Ian, il giorno dopo era arrivato in fretta. Seduto al banco e totalmente immerso nei suoi pensieri, fingeva di interessarsi alle avventure di Harry Potter, troppo in ansia per potervisi dedicare del tutto. Forse Daisy non sarebbe venuta?
Mille dubbi avevano preso ad attanagliargli la mente e si maledisse tanto per essere solo uno stupido insicuro.
Daisy però arrivo poco prima della lezione. Non piangeva, non c’erano lacrime sul suo viso. Senza guardarlo andò a sedersi al suo banco, solitaria come sempre, mentre le sue compagne, tutte insieme, ridevano a scherzavano. Ian si alzò, facendo stridere la sedia contro il pavimento. Si era detto che continuando a pensare non avrebbe risolto niente. Si avvicinò a lei e allora allungò un braccio, mostrando il nastro che teneva stretto tra le dita.
«T-ti è caduto questo, ieri!» non riuscì a non balbettare, rosso in viso. Daisy lo guardò, battendo piano le palpebre.
Delicata, allungò le mani, mormorando un semplice e timido: “Grazie”.
Quasi per caso lo sguardo andò oltre la figura di Ian, posandosi sul libro che teneva sul banco.
«Ah, leggi Harry Potter. Piace anche a me», disse visibilmente affascinata, al che Ian sentì il cuore battergli forte in petto.
«L-li avrò riletti almeno dieci volte, adesso stavo rileggendo proprio La camera dei segreti
Stava riuscendo a parlare senza combinare disastri. Daisy gli regalò un dolce sorriso.
«Mi piace. Leggere è divertente, non trovi? Ti permette di volare lontano, dove vuoi», sospirò, con una malinconia che in verità la permeava totalmente, come una sorta di aura.
Ian avrebbe voluto dire di sì, avrebbe voluto dirle che aveva perfettamente ragione, ma l’arrivo dell’insegnante di matematica aveva segnato la fine della loro conversazione.
 
Quando suonò la campanella dell’intervallo, Ian aveva oramai acquistato abbastanza coraggio da avvicinarsi di nuovo a Daisy, nella speranza che quest’ultima non lo trovasse insistente. Invece, la ragazza era sembrata molto felice di parlare con lui e gli aveva sorriso in un modo che, ancora una volta, gli aveva fatto sciogliere il cuore.
«Non esci in cortile con i tuoi amici?» gli chiese Daisy. Aveva di nuovo il nastro rosa tra i capelli e parlava senza guardarlo negli occhi.
«Fa… fa freddo, sai. E poi io in verità non ho molto amici», ammise. Erano l’uno di fronte all’altro e nessuno dei due sembrava voler avvicinarsi troppo. «E tu invece?»
Daisy incrociò le braccia al petto, sembrava ora nervosa.
«Non mi piace tanto il freddo e quest’inverno sembra così rigido. E poi nemmeno io ho molti amici. In realtà non ne ho nessuno.»
«N-nessuno?» balbettò Ian. «Ma perché? Non ha senso. Posso capire io, ma tu sei così gentile, simpatica e carina che…» si schiaffò una mano davanti la bocca.
Che figura da imbecille.
Daisy chinò la testa di lato, sorridendo di nuovo.
«Ti sottovaluti troppo. Sei uno dei migliori in classe… e poi hai davvero dei buoni gusti letterari.»
Ian si lasciò andare ad una risatina nervosa.
«Già, amh… beh, allora a questo punto… solo se però non ti crea problemi, io divento tuo amico e tu diventi amica mia. Stare insieme è meglio che stare da soli…»
Era arrossito vergognosamente. Gli sembrava un sogno solo il  poter parlare con lei, finalmente, poteva davvero ambire a qualcosa di più?
Daisy sgranò gli occhi. Ian non poteva saperlo, ma per lei quella proposta appariva come qualcosa di straordinario, se non unico. Si fece più vicina, forse troppo.
«Ci sto. Facciamolo», dichiarò.
Così vicina che Ian avrebbe potuto contarle le ciglia. Avrebbe tanto voluto chiederle il motivo per cui, il giorno prima, l’aveva vista piangere. Ma fu troppo preso dalla felicità per farlo.
 
Fu così che cominciò la loro amicizia, una di quelle che sembrava destinata a durare in eterno o magari a trasformarsi in qualcos'altro. Perché Ian era sempre stato profondamente innamorato di lei e, adesso che stava imparando a conoscerla, quel sentimento non faceva che crescere. Sotto la timidezza, Daisy nascondeva un’innata simpatia. Era sensibile e attenta, ma anche permalosa, testarda, anche se capitava raramente che si arrabbiasse, dopotutto non ne aveva motivo, non quando erano insieme. I loro incontri si limitavano all’aula, quando non faceva troppo freddo nel cortile. Si scambiavano libri, parlavano e si raccontavano, giorno dopo giorno, senza che nessuno li vedesse. L’altra gente non li considerava, al massimo si limitavano a guardarli, facendo smorfie stranite.
 A volte passavano ore a parlare dei più svariati argomenti, eppure, man mano che il tempo passava, Ian si rendeva conto di una cosa: ancora non sapeva niente di Daisy. Quest’ultima infatti era molto vaga quando si finiva col parlare di lei. Forse era solo riservata o semplicemente non voleva condividere con lui certi aspetti della sua vita.
Eppure Ian l’aveva vista piangere e in quegli occhi smarriti ci aveva visto, per una frazione di secondo, tanto dolore.
Per questo, una mattina in cui il gelo sembrò voler dare loro tregua, glielo domandò.
«Perché quella volta piangevi? La volta in cui hai perso il nastro.»
Daisy sollevò lo sguardo dal suo libro, con l’espressione di chi sperava che Ian avesse dimenticato quel piccolo dettaglio.
«Non me lo ricordo. A volte succede di piangere, a te non succede mai?»
«Certo che mi succede», sbuffò, poggiando il viso su una mano. «Non mi piace quando fai così.»
«Come come?»
«Sei vaga. Io… io mi preoccupo solo per te!» si lasciò sfuggire. Oramai stava diventando bravo a mostrare il suo profondo affetto e rispetto. Daisy invece non si sbilanciava mai troppo, motivo per cui i suoi sentimenti rimanevano un mistero.
La ragazza inarcò un sopracciglio, richiudendo il libro.
«Sai cosa? Non mi va più di stare qui, andiamocene.»
«Andiamocene? Ma dopo la pausa abbiamo altre ore di lezione!» le ricordò. Daisy sorrise.
«Lo so. Seguimi», lo afferrò per una manica e se lo trascinò dietro.
Ian non aveva un mezzo, eccetto la sua amata e mezza rotta bicicletta rossa. Quel giorno, mentre le nuvole tornavano a coprire il sole e fuggiva da scuola, seguì le indicazioni di lei che, seduta dietro di lui, lasciava che il vento gelido le scompigliasse i capelli chiari.
E le mani delicate si stringevano attorno al suo corpo.
 
Non troppo lontano da scuola c’era una scogliera, dove d’inverno nessuno osava avvicinarsi a causa del vento gelido che tagliava letteralmente il viso. Quello era il posto dove Daisy lo aveva guidato. Dinnanzi a loro, il mare era grigio – grigio come i suoi occhi – agitato da onde alte. Ian non capì cosa ci fossero venuti a fare lì, né capì perché Daisy, con le mani dietro la schiena, si fosse fermata a guardare il mare in tempesta.
Osservava con così tanta intensità che sembrava voler divenire con esso una cosa sola.
«Non mi è mai capitato di venire qui d’inverno», disse ad un certo punto.
Daisy si avvicinò al limite della scogliera, lì dove sotto di lei c’era il vuoto e il mare gelido.
«A me invece d’inverno piace molto di più, perché è così solitario e tranquillo.»
Volteggiò su se stessa, come se stesse danzando. Ian provò paura e istintivamente allungò un braccio come per afferrarla.
Se fosse caduta, si sarebbe rotta in mille pezzi.
«Ferma! Ma cosa fai? È pericoloso.»
Ma Daisy era tranquilla e indisturbata. Stranamente, le erano indifferenti il gelo e la salsedine appiccicata alla pelle.
Sembrava che volesse spiccare il volo. Ma senza ali non sarebbe finita per cadere?
«Stai tranquillo», si limitò a rispondere lei. Poi, di nuovo malinconica, fissò l’orizzonte tempestoso. Ian le vide ancora, due lacrime che lentamente scendevano sulle sue guance, silenziose.
E ancora, come la prima volta, non riuscì a chiederle: perché stai piangendo?
«Daisy…?» mormorò.
«Sai, è buffo. Non mi piacciono le persone. O per meglio dire, mi piacciono, ma non riesco a stringere dei legami con nessuno. Il solo pensarci mi mette ansia, mi fa paura. Perché le persone, dopotutto, non puoi controllarle, non sai se un giorno ti feriranno. E io ci provo, ci provo davvero ad aprirmi, ma sono come bloccata. Eppure non è colpa del mondo, è colpa mia. Mia per essere così
Ian l’ascoltò attentamente e rimase in attesa. Pensava che Daisy avrebbe continuato la frase, eppure rimase in silenzio.
«Perché dici così? Non penso tu sia sbagliata. Con me stai costruendo un legame», le rispose, arrossendo.
Lei abbassò lo sguardo, mesta.
«E soffrirai, per questo. Io lo so che è così.»
Le lacrime scivolarono ancora, più di prima. Ian non capì come mai fosse scoppiata così, ma una cosa l'aveva appresa: Daisy soffriva per qualcosa che sicuramente andava oltre quanto aveva appena sentito.
C’era sicuramente molto di più dietro. Così respirò a fondo e, stringendo i pugni, glielo domandò ancora una volta:
«Daisy. Esattamente, perché piangi?»
Le labbra della ragazza tremarono, come se stesse per dire qualcosa che in realtà fu poi trattenuto.
Non rispose. Se ne rimase in silenzio ad ascoltare il rumore del vento e del mare.
E in seguito, Ian non poté fare a meno di domandarsi se non avesse solo sognato.
 
Nulla era cambiato da quella mattina. O almeno, a Ian parve così. Lui e Daisy continuavano a vedersi e a frequentarsi ogni giorno, creando un legame sempre più stretto, di cui una delle due parti rimaneva però avvolta dal mistero.
Lei non parlava mai della sua famiglia, né scendeva su aspetti troppo privati. Ian invece molte cose gliele aveva confidate, tipo il fatto che molto spesso si sentiva solo, che la sua casa appariva troppo grande e che i genitori lavoravano la maggior parte del tempo. Che tante volte combatteva questa solitudine con i libri e le serie tv, in fondo non era troppo terribile, si era creato il suo piccolo mondo confortevole.
Ma di Daisy continuava a non saperne quasi nulla.
 
Pioveva di nuovo quando, quella sera di Gennaio, qualcuno bussò alla porta di casa sua. Di solito Ian non apriva a nessuno, così gli avevano raccomandato i suoi. Ma quella volta soltanto sentì che doveva assolutamente andare.
Dinnanzi a lui si presentò la figura di Daisy, bagnata fradicia dalla pioggia. Ansimava, come se avesse corso.
«D-Daisy! Ma cosa ci fai qui? E perché sei tutta bagnata? Entra subito, ti prenderai la febbre!»
L’afferrò per un braccio e la ragazza sollevò il viso. Lacrime, ancora, questa volta mescolate alla pioggia. Lei si lasciò andare ad un gemito e disperatamente lo abbracciò, bagnandolo, ma ad Ian poco importò.
Quello era il contatto più profondo che avessero avuto fino a quel momento. Le braccia di Daisy attorno alle sue spalle e il viso affondato su una spalla.
Ian non si era mai ritrovato in una situazione del genere. Soprattutto, mai una ragazza era entrata nella sua camera, nel suo covo.
Daisy se ne stava seduta sul letto, con su una coperta, guardandosi intorno smarrita e spaventata.
«Posso preparati del tè? Purtroppo non ho vestiti da darti… forse i miei, ma ti verrebbero grandi», tentò, rosso in viso per l’imbarazzo. Daisy abbassò lo sguardo, visibilmente affranta.
«Mi dispiace. Non volevo venire qui, ma è stato quasi istintivo. L’ultima cosa che vorrei è essere un peso. O darti una responsabilità troppo grande. Oh, come se non le stessi già facendo.»
Il ragazzo strinse i pugni, trovando il coraggio di sedersi accanto a lei.
«Responsabilità troppo grande? Non lo è! Ti prego, qualsiasi cosa sia, parlane con me. Ho capito che c’è qualcosa che ti tormenta, ma non riesco a capire cosa sia. Sei reale, eppure alle volte mi sembri così distante… perché il tempo passa ed io continuo a non sapere niente di te!»
C’era una rabbia mal trattenuta nelle sue parole. L’ultima cosa che voleva era ferirla ancora, ma non era riuscito a controllarsi. Daisy sollevò lo sguardo, curiosa, attenta, innocente. Le loro iridi si incontrarono, incastrarono e Ian non ci capì nulla.
Così vicina e viva, ma anche così lontana e sfuggente.
Sfuggente come il bacio, leggero e delicato, che lei gli posò sulle labbra poco dopo. Forse un modo come un altro per zittirlo?
Ian non lo sapeva, ma non gli importò. Sentì solo lei e si godette la sensazione delle sue labbra sulle proprie.
Inconsapevole, mentre piano la stringeva a sé, che quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta che l’avrebbe avuta così.
 
 
 
Ian non gliel'aveva detto, ma quello era stato il suo primo bacio. Ed era stato completamente diverso da come se l’era aspettato, mille volte più bello. Ma, ancora una volta, il motivo dietro le sue lacrime rimanevano un mistero.
Cos’erano adesso? Amici molto speciali? O magari una coppia?
Non c’era stata una domanda o un’ufficializzazione. Era una cosa importante, dovevano assolutamente chiarirsi.
Si era detto che l’avrebbe fatto quando si sarebbero rivisti, occhi negli occhi.
Il giorno dopo il loro primo bacio, Ian attendeva che Daisy arrivasse. Era un po’ in ritardo e ancora non gli aveva inviato neanche un messaggio. Forse si era addormentata?
Attendeva paziente, ma il tempo passava, la lezione cominciava e di Daisy nemmeno l’ombra. Non capì perché, eppure iniziò a sentirsi inquieto e nervoso. Lei non rispondeva ai messaggi che aveva preso a mandarle di nascosto, durante la lezione.
Forse baciandomi ha capito che non le piaccio e non vuole più parlarmi?
Fu quella la prima domanda che si porse, ma Ian aveva il presentimento che sotto doveva esserci dell’altro che non conosceva.
Ma in fondo quante erano le cose che non conosceva di lei?
Andare a trovarla a casa era fuori discussione, non aveva idea di dove abitasse, però conosceva la scuola di danza che frequentava. Doveva scacciare quella sensazione ingiustificata.
 
In sella alla sua bicicletta, Ian aveva fatto presto a raggiungere la scuola di danza. Ma quando gli avevano detto che quel pomeriggio Daisy non si era ancora presentata, la sensazione di malessere e paura aumentò. Il secondo luogo in cui gli venne in mente di cercare fu la scogliera.
Quel giorno tirava un forte vento, eppure aveva l’impressione che lei non si sarebbe fatta problemi ad andare fin lì.
Andare fin lì per fare che cosa?
Gli venne alla mente quando l’aveva vista vicina al vuoto, con un sorriso malinconico sulle labbra.
Gli aveva dato la sensazione di volersi gettare giù.
Ci pensò e il cuore fece improvvisamente male.
 
Daisy non temeva le altezze. In effetti oramai aveva imparato a non temere nulla. Il cuore si era spento, giorno dopo giorno.
Era un tormento quel pensiero. Quel pensiero fisso che le diceva: falla finita, comunque non sarai mai felice.
Daisy non era mai stata forte. Alcuni la paragonavano ad un cristallo, ed in fondo avevano ragione: il cristallo era bellissimo, ma quando cadeva si rompeva in mille pezzi.
Il vento soffiava gelido, tagliandole la faccia. Le onde, impetuose e violente, l’avrebbero trascinata giù e forse non avrebbe neanche sofferto troppo. Trovava che quello fosse il modo più giusto per lei, per andarsene.
L’ultimo numero della ballerina, prima della fine.
Respirò a fondo l’aria salmastra, allargando le braccia, come un uccello desideroso di spiccare il volo. E poi fece un passo, con il fiocco rosa tra i capelli e il viso bagnato di lacrime.
In quel momento si odiò per un solo motivo: perché avrebbe fatto soffrire Ian. Quel caro, tenero, gentile ragazzo, a cui aveva donato il suo primo e ultimo bacio.
La prima persona che l’aveva fatta sentire bene, nonostante tutto.
Perdonami. Speravo di potermi salvare, ma sono caduta così in basso che non vedo più la luce.
Magari sarebbero potuti essere felici…
Se solo non avesse compiuto quell’ultimo passo.
«DAISY!»
L’urlo di Ian risuonò forte, ma nel momento in cui la chiamò, Daisy si era già buttata, elegante e soave, pronta a sprofondare nell'abisso. Ian non la vide in viso, ma era sicuro che dovesse star piangendo.
Era arrivato appena in tempo per vedere l’ultimo numero della ballerina di cristallo, che adesso volava giù, con le sue ali spezzate, finendo nell’acqua gelida, annegando tra le onde che inghiottirono il suo corpo.
Ian cadde. In ginocchio, contro la dura pietra. Sotto shock, confuso, arrabbiato, disperato, cacciando un grido acuto, quasi selvaggio.
Aveva appena visto un angelo morire.
 
 
 
 
 
Per Ian le ore e i giorni successivi furono molto strani. Si sentiva alienato da tutto e tutti, come se ogni cosa di quel mondo fosse andata in pezzi e si fosse allontanato.
Era stato l’unico a poter testimoniare l’effettivo suicidio di Daisy, ma l’andare e tornare continuamente dalla polizia non lo aveva nemmeno disturbato. Semplicemente, Ian aveva smesso di sentire ogni cosa.
Non aveva saputo niente di Daisy fin quando era stata vita.
Né sulla sua famiglia, né sul suo dolore, se non per qualche accenno, per qualche indizio che non aveva colto.
Fu solo dopo che i pezzi del puzzle andarono al loro posto.
Scoprì che la sera in cui si era precipitata a casa sua – la sera del loro primo bacio – Daisy era fuggita dal luogo tossico che era la sua casa, dopo un violento litigio con i genitori.
Scoprì che lei era davvero più fragile di quanto sembrasse, perché un profondo male l’aveva consumata.
Perché il suo angelo, la sua ballerina di cristallo, soffriva a causa di una depressione che per la maggior parte delle persone neanche esisteva.
Un male atroce che pochi conoscevano e che ancor più pochi comprendevano. Scoprì che da tempo oramai aveva smesso di andare dal suo psicologo e venne anche a conoscenza della sua situazione familiare: i genitori di Daisy litigavano spesso e non erano particolarmente affettuosi con la propria figlia, tutt’altro. A Ian diedero l’impressione che l’avessero trattata come un peso per tutto il resto della sua vita, la prima volta che li vide. Sua madre, soprattutto, aveva lo sguardo pieno di disperazione e rimpianto, lo sguardo di chi avrebbe potuto fare di più.
Daisy aveva sofferto nel suo silenzio e nei suoi disagi e nessuno si era accorto di niente.
Beh, nemmeno lui. Come doveva essersi sentita, lei?
Sola, impaurita, senza via d’uscita? Ian della depressione non sapeva molto, ma quando aveva visto Daisy la prima volta, non avrebbe mai pensato che potesse soffrirne.
Anche quando gli aveva dato un indizio, non ci era arrivato, non si era avvicinato neanche lontanamente.
Forse era stato questo, il suo errore. Per giorni e giorni si tormentò, chiedendosi cosa sarebbe successo se avesse capito.
Forse tutto. O forse niente.
Sapeva solo una cosa: il corpo di Daisy giaceva in fondo al mare, spento e vuoto.
E Ian non sapeva più come sentirsi: se triste, arrabbiato, disperato o tutte e tre le cose. In realtà si sentì spento, in realtà pensò che dovesse essere così, il sentirsi morti.
 
Quando ci fu il funerale, un paio di settimane più in là, Ian non riuscì a farsi scendere una lacrima. Il corpo di Daisy era stato recuperato dal mare, freddo e pallido, non più rossore delle guance, non più iridi grigie che lo guardavano. Nella sua bara dava l’idea di essere una bambola di porcellana, con un fiocco rosa tra i capelli.
Tutti piangevano, ma lui no.
No, anzi, sentì di odiarla. Pensò che fosse stata egoista e per qualche secondo gli venne effettivamente da piangere.
La colpa di chi era? Sua, per non avere insistito? O di Daisy per non aver parlato e sofferto in silenzio?
La risposta fu facile: la colpa era sua, dare la colpa a se stesso era più semplice. Capì finalmente cosa dovesse nascondersi dietro ogni lacrima che aveva visto e che non era stato in grado di asciugare o fermare. Gli era venuto istintivo sfiorarsi le labbra per ricordare l’unico bacio che lei gli avesse mai dato. La odiò un pochino di più, perché, forse, se non l’avesse fatto, avrebbe sofferto giusto un po’ di meno, quel tanto che bastava per non sentire il cuore esplodere di dolore.
La sua Daisy, che mai era stata davvero sua. Che era rimasta per così poco tempo, lasciando un vuoto così grande. Ian sapeva che il senso di colpa lo avrebbe divorato per tanto, troppo tempo. Perché anche se da una parte sentiva di odiarla, da una parte era come se potesse immaginare quanto Daisy avesse sofferto, per arrivare a quel punto.
Quanto si era distrutta e crogiolata nel suo male, prima di arrivare a compiere una scelta tanto dolorosa?
Era inutile prendersela con il mondo. Nessuno aveva visto, nessuno ci aveva prestato la giusta attenzione, nemmeno lui.
Forse avrebbe potuto aiutarla. Forse per un po’ ce l’aveva fatta, ma magari non era stato abbastanza.
Quanto poteva essere spezzato il suo animo?
 
Ian trovò il coraggio di piangere quando tornò vicino al mare. C’erano ancora le onde e il vento gelido, il cielo grigio, dei suoi occhi, sopra la testa.
Era tutto iniziato e finito come in un bel sogno.
Socchiudendo gli occhi, questa volta furono le sue lacrime quelle che vennero versate.
Con il cuore in mille pezzi, guardò il mare in tempesta e si chiese cosa sarebbe successo se…
Se avesse solo capito.
 
 
Nota dell'autrice
Per questa storia dovevo usare tre parole chiave che avessero una certa rilevanza: lacrima, gelido, annegare. Spero di averle usate per il meglio. Questa è tipo la seconda storia originale che scrivo dopo tanto tempo, con personaggi inventati completamente di sana pianta. Lo so che probabilmente il tema della depressione è stra abusato, ma in Daisy c'è tanto di me. E piu che su lei mi sono soffermata su Ian, su "coloro che stanno dall'altra parte", perché anche in lui c'è tanto di me. Non esattamente la più allegra delle storie che io abbia mai scritto, ma d'altronde non volevo che le fosse. Spero di essere stata il più delicata possibile e non banale. E che questa storia, nonostante la brevità, vi sia piaciuta :)
   
 
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