En train (de)
A Sisya
Ti voglio un bene dell'anima, ricordatelo.
E perdona ancora il
ritardo, tesoro.
In viaggio verso Shirahama, Kansai, 13 luglio 2008, 09.56 a.m.
Sasuke
Uchiha era un attraente uomo di
circa ventiquattro anni, mese più, mese meno, il classico
genere di ragazzo che farebbe impazzire una qualsivoglia appartenente
del gentil sesso di età compresa tra i quattordici ed i
quaranta anni (ovviamente, le statistiche potrebbero subire delle
variazioni a seconda dei futuri soggetti intervistati).
Comunque, come stavamo dicendo, Sasuke
Uchiha era in viaggio per raggiungere i suoi amici in una delle note
località turistiche balneari giapponesi; non che lui fosse
tipo da spiaggia, mare e costume, per intenderci; considerava
totalmente futile e fastidiosa una distrazione di quel genere, la
quale gli sottraeva oltretutto del tempo prezioso che avrebbe dovuto
impiegare in ben altro modo.
Aveva
accettato solo perché il suo migliore amico – quel
dobe
rompiballe che l’aveva chiamato alle quattro di mattina per
informarlo – aveva minacciato che sarebbe venuto a prenderlo
personalmente nel lussuoso ufficio di suo fratello, ad Osaka, dove
lui stava terminando il suo praticantato di avvocato penale, e
l’avrebbe trascinato con sé se non avesse
acconsentito
volontariamente.
Sasuke
Uchiha non era una scolaretta, aveva una reputazione da difendere;
farsi vedere in giro con quella testa gialla per tutto il
ventitreesimo piano del grattacielo, davanti alla segretaria di suo
fratello, Karin, non era decisamente la sua più grande
ambizione.
Addirittura
sotto il sorriso vagamente sarcastico di Itachi.
No.
Ecco
perché ora si trovava seduto in quel treno diretto a
Shirahama, mentre leggeva attentamente il file che la zelante
– fin
troppo – Karin gli aveva appena inviato, grazie alla
connessione
wireless del note-book davanti a lui. D’un tratto, un tonfo
lo
distrasse dalla lettura; alzò gli occhi, diede una breve
occhiata in giro e riportò la sua attenzione al display con
aria vagamente seccata. Una sequela di scuse ed inchini – ma
questi
ultimi poteva solo supporli – seguì il rumore
sentito poco
prima; Sasuke appoggiò il volto sul pugno chiuso e si
impegnò
ad analizzare con calma un cavillo di un contratto dal significato
oscuro; non per niente però, la prestigiosa famiglia Uchiha
era da sempre una delle più ricercate del Paese proprio per
l’innata capacità di analisi ed oratoria dei suoi
componenti.
«Ehm,
mi scusi... Scusi, dico a lei».
Sasuke
alzò nuovamente lo sguardo, ma questa volta vide proprio
accanto a lui la fonte del baccano molesto di poco prima, che
consisteva in una ragazza – ad occhio e croce avrà
avuto la
sua età – con dei corti – ed alquanto
improbabili –
capelli rosa (“Rosa?”,
pensò, scioccato) tenuti
lontano dalla fronte da una larga fascia blu, e che indossava un
vestito giallo lungo fino a poco sopra il ginocchio con
una fantasia azzurra floreale stampata sulla stoffa leggera. Era
piena di bagagli – tanto che persino Sasuke arrivò
a
domandarsi come un qualunque essere umano, lanciatori di giavellotti
et similia esclusi, riuscisse a sollevare un simile numero di valigie
tutte in una volta – e continuava a sistemarsi
un’enorme borsa
rossa che le scendeva di continuo dalla spalla al gomito piegato.
Insomma,
un’accozzaglia di colori che avrebbe fatto urlare di terrore
e
raccapriccio qualsiasi stilista al mondo.
Poiché
Sasuke si era limitato ad osservarla con un vago cipiglio annoiato
senza emetter suono di risposta alcuno, l’altra si
schiarì
con aria imbarazzata la voce.
«Scusi,
non è che mi darebbe una mano a tirar su le
valigie?»,
chiese gentilmente. Se la ragazza si aspettava una reazione galante
da parte del giovane uomo, o quantomeno di frigida cortesia,
rimase delusa: il viaggiatore restò seduto
dov’era,
limitandosi a dirle:
«Le
valigie sono sue, poteva pensarci prima di portarsi dietro tutto il
campionario primavera-estate del suo guardaroba»,
osservò
per poi aggiungere, dopo un ulteriore sguardo al volume delle
valigie, «e probabilmente anche quello
autunno-inverno».
La
donna arrossì furiosamente, e non sapendo dove guardare si
accinse a sistemare le borse sul portabagagli strettissimo sopra i
sedili. Il treno, che fino ad allora era rimasto fermo in attesa di
fagocitare nelle sue pareti d’acciaio i molti passeggeri di
quella
fermata, si mosse nell’istante preciso in cui stava
sollevando la
terza valigia e stava per inserirla nell’ultimo spazio
rimasto. Il
movimento improvviso la fece barcollare e si accorse con orrore, in
un frangente di pochi secondi, che non sarebbe riuscita ad evitare la
caduta.
Sasuke
guardò impassibile il rovinoso crollo del binomio formato da
ragazza-più-valigia, e mentre la giovane donna si
massaggiava
un ginocchio dolorante nel punto dove l’infame bagaglio aveva
deciso di cadere, lui si alzò sospirando e finì
con
precisione il lavoro che l’altra aveva iniziato.
«Mi
spiace, le altre dovrà lasciarle nel corridoio, qui non
c’è
rimasto più spazio», la informò, senza
preoccuparsi minimamente di aiutarla ad alzarsi e tornando quindi al
suo posto.
La
ragazza si sedette davanti a lui, sul sedile accanto al finestrino;
per il primo quarto d’ora si impegnò seriamente
nel tentare
di non guardare il suo compagno di viaggio, ma il suo sguardo veniva
sempre attratto da quella figura di fronte a lei. Ad
osservarlo meglio, assomigliava molto al bambino di cui lei e la sua
amica Ino si erano prese una cotta una volta, alle elementari. Certo,
l’altro sorrideva di più, e magari dimostrava un
minimo di
interesse verso la socializzazione. Però c’era
qualcosa che
glielo portava insistentemente alla memoria.
Questo
era indubbiamente molto, molto più stronzo,
senza alcun
dubbio. Con un sospiro, si chiese perché Madre Natura amasse
tanto il connubio tra bellezza maschile e stronzaggine; incontrarne
uno, uno ogni tanto, eh!, bello ma non stronzo era
ormai
impossibile. Anzi, bello, ma non stronzo né gay.
Anche
se a volte ci scappava pure il trinomio, e lì erano
veramente
guai seri per le sventurate di turno che venivano a conoscenza delle
tre qualità troppo tardi.
«Assomigli
ad un bambino che conoscevo da piccola», sospirò
poi,
appoggiando la guancia contro la mano e guardandolo attentamente.
L’altro iniziò a pigiare velocemente i tasti in
una mail di
risposta.
«Non
sapevo che si usasse passare dal lei al tu così facilmente,
da
queste parti», si limitò a commentare, chiedendosi
che
fine avessero fatto quelle cose chiamate “regole di cortesia
base”.
La ragazza, per tutta risposta, ridacchiò e si
sistemò
meglio la fascia sui capelli.
«Scusa,
sono da poco tornata dai miei studi in America e non mi sono ancora
riabituata bene alle formalità giapponesi. Io mi chiamo
Sakura
Haruno, tu?», domandò, porgendogli la mano ed
aspettando
che lui gliela stringesse di rimando. Rimase delusa quindi, quando
Sasuke fermò il suo picchiettare sulla tastiera per fissare
quella mano tesa alcuni istanti prima, per poi tornare al suo lavoro
senza dar segno di calcolarla.
«Mi
spiace, non stringo la mano agli sconosciuti. Germi, batteri, non si
sa mai...»
«Strano,
in tutti questi anni di medicina non ho mai sentito parlare di morti
a causa di strette di mano... Non si smette mai di imparare. Senza
contare che anche tu sei passato al tu ora, se permetti il giro di
parole», rispose allegramente l’altra, e Sasuke
sentì
i muscoli facciali rispondere involontariamente a quel tono
scherzoso; le sue labbra si stiracchiarono suo malgrado, e qualcosa
dentro sé si mosse, a disagio.
«Mi
sono adeguato al tono del mio interlocutore, da bravo avvocato quale
sono», disse. Sakura lo fissò esterrefatta, e lo
strano
silenzio della ragazza fece insospettire Sasuke, che si
ritrovò
ben presto a fissare il volto sgomento dell’altra.
«Ho detto
forse qualcosa che non va?», chiese prima di darsi dello
stupido; perché preoccuparsi per una perfetta sconosciuta
incontrata su un treno e che non avrebbe più rivisto, dopo
essere scesi?
«Un...
Un avvocato», sillabò questa, mentre una smorfia -
di
disgusto? - prendeva luogo sulle sue labbra.
«Sì,
un avvocato... C’è forse qualcosa di strano
nell’esserlo?»
Ma
perché, perché continuava a
farle domande? Si
chiese se in lui fosse remotamente nascosto un animo masochista.
Oppure autolesionista. Una cosa del genere, insomma.
«Be’,
nulla. Assolutamente nulla. Niente di niente».
Sakura
agonizzò lentamente dentro di sé. E ti pareva, un
avvocato. Lo stronzo per definizione.
Perché doveva
interessarsi sempre agli uomini sbagliati? Era una cosa genetica, una
malattia? Avrebbe dovuto farsi curare da un medico? (Oh, che
sciocchezza, lei era un medico. Allora avrebbe
potuto scoprire
un vaccino! Avrebbe vinto un nobel per la scienza (e la pace nel
mondo? Ma no, lei non era uno scienziato...)!
«Si
può sapere cosa trovi di tanto sbagliato
nell’essere un
avvocato?», domandò Sasuke con una punta di
divertimento
nella voce, sapientemente mascherata dal tono sarcastico. Sakura
roteò gli occhi al cielo e borbottò, sottovoce:
«Oh,
andiamo. Lo sanno tutti. Chi è in grado
di difendere un
uomo colpevole pur sapendolo tale, non può essere un uomo
onesto».
«Ed
è una questione così importante?»,
chiede l’altro
sottovoce, guardandola con uno strano scintillio negli occhi. Sakura
lo fissò seriamente.
«Certo
che lo è. Come ci si potrebbe fidare di qualcuno del
genere?»
«Quindi
non ti fideresti neanche di me», concluse Sasuke, senza ombra
di ironia o altro, come se stesse tirando le conclusioni di un
qualsiasi discorso sul paesaggio marino. La ragazza lo fissò
stupita, arrossendo appena.
«Non
ho mai-»
«Sì
che lo hai detto. E chissà, magari hai anche ragione, non
c’è
da fidarsi di me. Non che questo abbia molta importanza, visto che
scesi di qua non ci vedremo più».
C’era
qualcosa di terribilmente sbagliato in tutto quello che stava
accadendo, Sakura lo sentiva. Eppure non riuscì a far altro
che rimpicciolirsi nel suo sedile, profondamente turbata, mentre
l’unico suono che sentiva, oltre al condizionatore
d’aria, era
quello che le dita dell’altro producevano sulla tastiera
nera,
così seria...
Già,
non si sarebbero più visti. Non aveva importanza.
Però
che sfiga, eh.
Shirahama, Kansai, 13 luglio 2008, 02.34 p.m.
Il
sole batteva talmente forte sulle strade di Shirahama che le quattro
ragazze erano state costrette a socchiudere gli occhi e a portarsi
una mano a proteggerli a causa del riverbero accecante.
«Allora,
conosciuto qualcuno di interessante in treno?», le chiese
Ino,
mentre sbuffando si passava una valigia nella mano sinistra, per far
riprendere sensibilità all’altro arto. Sakura
arrossì
lievemente ed alzò lo sguardo verso l’alto,
osservando
pensosamente le punte degli alberi sul ciglio della strada.
«Ero
seduta davanti un avvocato...», rispose, rimanendo sul
vago. Ino sbuffò di nuovo.
«Un
avvocato? E lo chiami interessante? Povera te, sai che barba di
viaggio...», rispose, mentre TenTen salutava una coppietta
all’altro lato della strada. «Piuttosto,
sai che la piccola Hinata ha fatto conquiste?»,
continuò
poi, e TenTen ridacchiò piano quando Hinata
diventò
violacea in volto.
«Hinata!»,
strillò Sakura sorpresa, voltandosi verso l’amica.
«Sì,
sì, i sintomi ci sono tutti: non riesce nemmeno a respirare
se
lo vede passare di sfuggita! E non fa altro che svenire. In
continuazione».
Sakura
fece schioccare la lingua contro il palato, ammirata.
«N-non
è come dite voi! I-io non...», TenTen le
passò
comprensiva un braccio intorno le spalle, come a voler dire di farsi
forza; quel gesto però ebbe la capacità di
mandarla
ancor più in crisi ed Hinata richiuse bocca, troppo
imbarazzata persino per giustificarsi.
«E
la cosa migliore è che il tipo sembra persino
interessato!»,
continuò Ino, gettando un’occhiata di sbieco a
Sakura, che
ridacchiò. «Un
idiota fatto e finito, eh, ma almeno su questo sembra aver fatto
un’ottima scelta», sentenziò quindi,
mentre Hinata non
sapeva più dove guardare.
«L’importante
è che le voglia bene...», sospirò
TenTen, con un
sorriso sognante. Ino si girò e la squadrò ben
bene con
un piccolo risolino.
«Parla
quella che se la fa con il cugino della timidona qui. Ancora devo
capire come tu sia riuscita a conquistare un tipo così
apatico...»
Era
vero; Hinata conosceva di vista TenTen già prima
dell’estate,
era una compagna di corso di Neji e ogni tanto passava per
l’albergo
insieme a quel loro strano amico, Rock Lee. Ma era stato solamente
dopo l’invito fatto alle due amiche e l’arrivo di
Ino che le
aveva timidamente proposto di uscire tutte insieme, piuttosto che
lasciarla aspettare da sola il termine dei turni di part-time che
Neji svolgeva nell’hotel di suo zio.
«Comunque,
siamo arrivate», commentò Ino, fermandosi davanti
l’enorme complesso a quattro stelle di proprietà
della
famiglia Hyuuga. Sakura spalancò gli occhi, sorpresa.
«Alla
faccia dell’alberguccio, Hinata»,
commentò, provocando
una piccola risata nel gruppo.
«Dai,
entriamo, queste valigie mi stanno uccidendo. Ci hai infilato dentro
tutto l’armadio?»
Sakura
sbuffò, pensando che, conoscendola, l’amica
dovesse avere
come minimo il doppio dei suoi bagagli.
«Le
valigie sono sue, poteva pensarci prima di portarsi dietro tutto il
campionario primavera-estate del suo guardaroba... E probabilmente
anche quello autunno-inverno».
Sakura
decise di entrare, dando una spallata un po’ troppo
violenta
alla porta d’ingresso di vetro.
Sasuke
aveva passato gli ultimi venti minuti ad ascoltare un alquanto
esagitato Naruto mentre declamava le doti della figlia del gestore di
quell’albergo, una povera sventurata che aveva avuto la
sfortuna di
incappare nelle grazie dell’amico (e Sasuke, per un minuto,
si era
sentito veramente dispiaciuto per la ragazza... Almeno fino a quando
non aveva pensato che se lei avesse ricambiato il sentimento
– pura
fantascienza, ma si dà a tutti una chance per dimostrare la
propria ingenuità –, il suo amico avrebbe passato
più
tempo con lei e avrebbe stressato meno lui. Tutto di guadagnato,
insomma).
«Devi
vederla! Devi-»
«Naruto,
ho capito; prima o poi sono sicuro che la vedrò. Ora,
lasciami
entrare in camera e fammi fare una doccia, sono qui da solo
mezz’ora
e già sei riuscito a sfinirmi», esordì
Sasuke,
dopo tutto quel monologo che aveva seguito solo per metà.
L’amico lo guardò per un attimo con la sua
migliore
espressione abbattuta, ma in due secondi era tornato con il solito
sorriso di sempre.
«Ma
certo che la vedrai! Ci penserò io!»
Sasuke
aggrottò le sopracciglia e prese le chiavi dalla concierge
che
lo stava fissando con uno sguardo languido decisamente allarmante;
sentì dietro sé delle voci femminili concitate
che lo
avvisavano che le legittime proprietarie erano in avvicinamento e si
affrettò a prendere le chiavi prima di girarsi, deciso ad
andarsene il prima possibile dalla hall e filarsela in camera.
«Ma
vuole fare attenzione a dove mette i piedi?»,
sbraitò,
dopo che un qualcosa di decisamente morbido l’aveva urtato ed
era
successivamente caduto a terra. La ragazza lo fissò da sotto
in su e sbiancò. Sasuke boccheggiò nel
riconoscere i
capelli rosa e lo sguardo verde dell’altra, e si
schiaffò
una mano in fronte.
«Dimmi
che non mi stai pedinando, ti prego», disse, senza
preoccuparsi
di aiutarla a rialzarsi.
«Cosa?!
Al massimo sei tu quello che sta pedinando me»,
precisò Sakura, rimettendosi in piedi da sola e guardandolo
senza ombra di imbarazzo, mentre l’altro rimuginava con un
lieve
sorriso su quanto potesse cambiare quello sguardo quando era
arrabbiata. «E non ridere!», strillò
ancora lei,
interpretando erroneamente quella piega delle labbra.
«Non
sto ridendo», ribatté lui con calma, ma uno strano
scintillio negli occhi smentiva ciò che in realtà
stava
pensando, tanto che anche Sakura se ne accorse e gli tirò un
lieve pugno sul braccio.
«Eh-ehm,
Sakura, non ci presenti?», domandò Ino, che aveva
notato, nel frattempo, lo strano scambio di sguardi tra i presenti.
«Ah,
sì, certo... Ino, lui è-»
Un
tonfo non le fece finire la frase; si voltarono e videro Hinata stesa
a terra, Naruto chino su di lei nel tentativo di farla rinvenire.
«Visto?»,
sibilò Ino, tutta contenta, a Sakura. «Ormai
è
andata. Cotta a puntino».
Naruto
rivolse su di loro uno sguardo smarrito.
«Le
avevo solamente chiesto se voleva venire a prendere il ramen insieme
a me!»
«Razza
di baka», sospirarono insieme Sasuke e Sakura, accorgendosi
poi
dell’accaduto e sorridendosi appena, complici.
Un anno dopo...
Shirahama, Kansai, 13 luglio 2009, 05.33 a.m
TenTen
era intenta a godersi il venticello che stava spirando da qualche
minuto a quella parte sul tratto di spiaggia davanti
all’hotel
Hyuuga, osservando divertita le due coppie davanti a sé, il
mento posato sul palmo della mano.
«Ecco
il suo tè freddo, signorina», le disse qualcuno
alle sue
spalle. TenTen si voltò e
sorrise al suo affascinante cameriere.
«Neji,
almeno quando siamo da soli puoi trattarmi come la tua fidanzata, no?
So che tuo zio è molto rigido, ma qui non può
vederci...»
Vide
uno sguardo di avvertimento passare negli occhi chiarissimi
dell’altro, ma non fece in tempo a chiedersi a cosa dovesse
stare
attenta che una nota figura in verde spuntò da dietro le
spalle alte dell’altro e si piazzò con un mezzo
saltello ed
una giravolta sulla sedia accanto a quella di TenTen.
«Ciao
Ten! Come va?»
«Ciao...
Lee? Ma tu non dovevi essere in vacanza?», chiese la ragazza,
mentre Neji posava l’alto bicchiere di vetro davanti a lei
con
espressione impassibile; TenTen però lo conosceva bene,
sapeva
che sotto quella maschera neutra stava un’aria alla
“io ti avevo
avvertita”. Si ficcò in bocca la cannuccia e
cominciò
a bere la sua bevanda ghiacciata.
«Sì,
ma poi ho scoperto che Gai-sensei ha in mente di proporre un corso
estivo proprio qui e sai, non potevo assolutamente mancare!»,
rispose Rock Lee, come se la cosa fosse del tutto ovvia. TenTen
mugolò affermativamente in risposta, mentre fissava Neji
sedersi con loro e sfiorarle leggero un piede con il suo.
Un
altro segno di avvertimento. Ma per cosa?
«E
quindi mi stavo chiedendo...», proseguì quindi
Lee, «se
vi andasse di unirvi a me. Così, giusto per riunire il
nostro
meraviglioso gruppo anche...»
«No».
«Neji,
non fare sempre l’asociale! Lascia decidere TenTen,
no?»
La
povera ragazza fu colta da un brivido di panico, mentre si rendeva
conto che tutta la sua estate insieme a Neji sarebbe dipesa da
ciò
che avrebbe detto in quei pochi istanti.
«Sarà
no e basta», continuò Neji, cocciuto. La ragazza
sospirò
e lasciò momentaneamente da parte il battibecco degli altri
due (o meglio, il lungo monologo di Lee e le occhiate assassine di
Neji) per tornare ad osservare le due coppie che prendevano il sole
davanti a loro. Hinata stava fissando con uno sguardo che non avrebbe
potuto etichettare se non con il termine innamorato il suo Naruto,
che stava facendo – come al solito – lo stupido
dentro l’acqua;
quando tutto ad un tratto riemerse dai flutti, andò dalla
sua
fidanzata e la sollevò ridendo tra le braccia ignorando le
sue
proteste, buttandosi a peso morto in mare insieme a lei.
Sulla
spiaggia invece si stava svolgendo un litigio tra gli altri due
innamorati, tali Sakura Haruno e Sasuke Uchiha; la ragazza stava
urlando qualcosa contro di lui, visibilmente scocciato. Dopo qualche
istante però, visto che lei non era intenzionata a
smetterla,
lui si girò e la baciò per farla stare zitta.
TenTen
sorrise nel pensare che quei quattro erano perfetti insieme,
volgendosi poi verso i suoi due “uomini”.
«Be’,
penso che sarebbe bello partecipare», disse serenamente.
«Ricongiungere il gruppo, intendo; dopotutto, è un
sacco
di tempo che non abbiamo occasione di riunirci tutti insieme come una
volta».
Lee
la guardò in adorazione, mentre gli occhi gli si inumidivano
per la commozione.
«Ohhh,
questo sì che è il frutto del puro e vivido
sentimento
di amicizia che, come il timido seme di un fiore, non si arrende
neanche se gettato sul cemento e germoglia meravigliando tutti della
sua bellezza! Gai-sensei sarà felicissimo di saperlo, corro
ad
avvertirlo!»
E
mentre si allontanava correndo e saltando nel suo stile lungo il
litorale, TenTen si premurò di rincuorare Neji:
«Dai,
vedrai che sarà divertente... Sarà come tornare
ai
vecchi tempi!»
«È
proprio questo quello che mi preoccupa...», rispose Neji, ma
accolse di buon grado la mano dell’altra nella sua.
E
guardando i loro amici ridere spensierati sulla spiaggia, pensarono
che a volte bastava un’estate per cambiare tutto, proprio
come era
accaduto a loro.
Un ringraziamento speciale alla mami (_ _) Thank you! X3
Sì,
‘sta cosina dovrebbe riportare la dicitura: caustico,
maneggiare
con cura.
Perché
tu sei la gemy del dolce, io dell’aspro (-demenziale
x°D) e non
sono in grado di farti una cosa dolciosa come sai fare tu
ç_ç
Sono felice però di dedicarti la mia prima (e per vostra
somma
letizia, ultima X°D) SasuSaku. La coppia mi piace, ma
sinceramente non sono portata, punto XD
So,
so che ci ho messo un sacco di tempo, ma ero in uno
stato
depressivo non indifferente, non riesco tutt’ora a scrivere
nulla.
Scusa per questa cosa, ovviamente non è quella che avrei
voluto scriverti =.=
Ti
voglio bene, ciuccellosa, almeno questo!! XDDD
Spiegazione
del titolo: “en train” non significa, ovviamente,
“in treno”.
Interessante notare che in francese potrebbe essere considerato una
parte di un gallicismo (questo è uno dei tre, il presente
continuo), basta aggiungere un verbo all’“en train
de” che
questo prende l’idea dello svolgimento nel momento di cui si
parla
(Ex. Je suis en train de faire => Sto facendo). In inglese
corrisponderebbe, più o meno, al present continuous ^^ Mi
piaceva dare l’idea di una cosa in via di sviluppo (être
en
train de
tomber amoureux de quelcu’un? Massì *-* =>
Starsi
innamorando di qualcuno). Sì, sono una personcina
complicata,
I know X°D
Poi... È cosa nota e risaputa che i giapponesi siano delle personcine estremamente cortesi ed educate. Fare una cosa come quella che ha fatto Sakura (passare d’improvviso dal lei al tu) è orrendo in Italia (almeno, secondo la mia concezione di cortesia), in Giappone credo ci siano i cecchini appostati sui tetti degli edifici per rimuovere tali elementi che inneggiano all’insubordinazione. Piccola licenza poetica xD
Ah, e non so se il Giappone sia dotato di un sistema wireless in tutto il Paese ^^” In Francia di solito è così, e visto che il Giappone è molto avanzato ho pensato che fosse possibilissimo. Chissà XD
"Shirahama,
sulla costa sud occidentale del Kii-hanto, è la
località
balneare-termale più importante del Kansai, con tutte le
caratteristiche di un'ambita meta turistica giapponese: grandi
alberghi, acquari, parchi divertimenti etc. Tuttavia dato che i
giapponesi amano comportarsi secondo le regole (e in questo caso esse
prevedono che l'unico periodo per fare il bagno nell'oceano va da
fine luglio a fine agosto) fuori stagione la località
è
pressoché deserta.