CAPITOLO
7
Dan
non registrò neppure il tragitto dal campo di battaglia
all’ancoraggio sulla piattaforma della colibrì.
L’unica cosa che vide fu la
sfera luminosa svanire, gli anelli dei sei colori spegnersi nel cielo.
Nella
sua testa, le immagini degli spirit, dei loro
attacchi, ghiaccio, fiamme e roccia continuavano a riaffiorare. Era
impossibile
pensare ad altro, anche se aveva perso: ma aveva importanza con un
duello che
lo aveva entusiasmato tanto da fargli dimenticare ogni altra cosa?
Dan
si ritrovò a sorridere: l’unica cosa che gli
impediva di
mettersi a ridere, di mettersi a urlare a tutti per scaricare tutta
l’energia
che si sentiva in corpo.
Il
sordo rumore dell’aggancio finale e il successivo
silenzio, niente più vibrazioni o rumore elettronico, fu
quello che gli permise
di arrestare quel turbine di emozioni.
Chiuse
gli occhi, allora, e posò la testa contro lo
schienale. Attorno al suo corpo, l’armatura dorata era
svanita, tornata a
essere una lista di comandi in un computer. Ma la colibrì
era ancora lì. Le sue
dite erano ancora strette al volante.
Fino
all’inizio del duello si era sentito sbilanciato,
perso.
Ora,
per la prima volta, sentiva veramente di aver ritrovato
qualcosa di sé. Si sentiva finalmente ancorato a quella
realtà che un tempo
aveva chiamato sua.
Dan
riaprì gli occhi, si slacciò
dall’armatura e uscì dalla
colibrì.
Barone
era fermo sulla piattaforma. Lo fissava con le
braccia conserte, gli occhi leggermente socchiusi e
un’espressione
impenetrabile.
Il
rumore dei suoi passi rimbombò nel silenzio. Era
difficile abituarvisi, dopo le esplosioni, i ruggiti. Infilò
la mano in tasca e
sfiorò il mazzo di carte.
I
loro sguardi si incrociarono e rimasero immobili a fissarsi.
Poi, il mazoku fece un passo in avanti e allungò la mano.
“Otto
anni.”
Dan
corrugò la fronte, spostando lo sguardo dalla mano al
volto di Barone, la propria mano sollevata a mezz’aria.
“Sono
otto anni che aspetto questa stretta di mano.”
Il
Guerriero Rosso non riuscì a impedire al proprio sorriso
di allargarsi e gli strinse la mano, venendo subito ricambiato.
“Ti
ringrazio, Barone. Non mi dimenticherò mai di questo
duello.”
“Ti
prendo sulla parola.” Anche
il mazoku sorrise.
“Comunque,
è stato davvero un bel duello.”
Dan
e Barone avevano percorso in silenzio buona parte dei
corridoi. Silenzio interrotto soltanto dai saluti delle persone che
incrociavano, che spesso si allontanavano bisbigliando, e dal messaggio
di
Clarky che comunicava loro il luogo dove li stavano aspettando.
In
quel lasso di tempo, il Guerriero Rosso non aveva fatto
altro che ripensare al duello.
“Le
combinazioni di carte che hai usato sono state davvero
interessanti. E non mi sarei aspettato, dopo la distruzione di Pheonix-Siegwurm,
l’evocazione
di Strike-Apollodrago.
Immagino tu abbia scelto di abbinare rosso e bianco per sopperire ai
rispettivi
punti deboli, vero?”
Barone
rallentò fino a fermarsi. Dan fece un paio di passi
prima di realizzare che il mazoku non era più al suo fianco.
Fermatosi a sua
volta, si voltò corrugando la fronte.
“C’è
qualcosa che non va?”
Barone
lo fissò per un istante lunghissimo, con quel suo
sguardo sottile e imperscrutabile. E riprese a camminare. Dan
tornò a
riaffiancarlo, continuando a guardarlo perplesso.
“In
un certo senso, posso dire che ci sia quello alla base
della mia scelta.” Inclinò la testa verso di lui,
la stranezza di poco prima
scomparsa dal suo volto. “Anche la tua scelta di strategia
è stata
interessante. Mi hai dato filo da torcere.”
Dan
rise. “Posso ritenermi soddisfatto, allora. Per essere il
mio ritorno sul terreno di gioco, non è andato
male.”
Barone
tornò a guardare avanti, uno strano sorriso che
piegava le sue labbra. Dan si ritrovò a chiedersi se fosse
la stessa malinconia
e nostalgia per il suo vecchio sé che sentiva spesso nelle
parole dei Maestri
della Luce, che vedeva nei loro sguardi e nei loro gesti.
“No,
davvero non male.”
Per
il resto del tragitto discussero di carte e strategie,
quel piccolo episodio ormai alle spalle. Sulla porta della sala
indicata da
Clarky, Barone lo lasciò solo e si allontanò per
occuparsi di impegni legati
all’HUMAA.
“Ho
duellato con te. Mi pare doveroso lasciarti un po’
anche a Clarky e agli altri.”
Una
volta aperta la porta, Dan venne accolto da Plym che gli
corse incontro e si afferrò al suo braccio, ridendo e
ripetendo come quel
duello fosse stato mecha-fantastico. Yus
alzò gli occhi al cielo e le
suggerì di lasciarlo almeno sedere prima di tormentarlo con
le domande.
Nonostante
quel rimprovero, però, fu proprio Yus il primo e
il più assiduo a fargli domande sul duello. Dopo i
complimenti di Mai, Hideto e
Kenzo, le cui parole ancora una volta furono cariche di emozione, e di
Clarky e
Angers, Plym cominciò a punzecchiare Yus e fare bruschi
cenni del capo verso Dan.
Il giovane uomo sbuffò e arrossì sempre di
più dopo ogni ditata contro il
fianco, finché non scattò in piedi e si
inchinò bassissimo, parlando velocissimo.
“Mi
faresti l’onore di fare un duello con me?”
Plym
scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
Dan
accettò con entusiasmo. I due si sistemarono al tavolo,
circondati dagli altri, con i tappetini e i nuclei che uno dei robot di
Plym,
apparso fuori quasi dal nullo tanto da far quasi sobbalzare Clarky,
porse loro.
Ben
presto fu evidente che la sfida sarebbe stata tra il
mazzo rosso di Dan e quello rosso-blu di Yus.
“Non
immaginavo che il rosso fosse un colore così
usato.”
Il
Guerriero Rosso alzò lo sguardo sul gruppo e la reazione
fece svanire il divertimento dal suo sguardo, sostituito da confusione.
Yus
balbettò e fissò le carte in mano con fin troppo
interesse. Clarky, Mai,
Hideto, Kenzo e Plym si scambiarono un’occhiata terrorizzata.
Il
primo si passò la mano tra i capelli, ridacchiando
nervosamente. “Già, chissà come
mai.”
La
Guerriera Viola lo fulminò con lo sguardo e passò
un dito
davanti al collo.
Rassegnandosi
al fatto che fosse un altro di quei
riferimenti ad avvenimenti di cui non aveva memoria, Dan riprese a
concentrarsi
sul duello.
La
successiva interruzione della tranquillità ci fu quando
Clarky si allontanò per accettare una comunicazione nella
ricetrasmittente.
“Ho
appena ricevuto un messaggio da Barone,” esordì
tornando
verso di loro.
Sui
volti di Angers, Plym e Yus sfrecciò velocissima
un’ombra. Solo un brevissimo cenno di Clarky tornò
a farli rilassare. Tutto fu
così rapido che Dan si chiese se non se lo fosse immaginato.
“Sembra
che En e Fant siano venuti a sapere che siete qui.”
Fu
il turno di Mai, Hideto e Kenzo di sgranare gli occhi e
impallidire.
“Sanno
che-”
“Anche
di Dan, ma sembra non abbiano scoperto che ha perso i
ricordi.” I tre Maestri della Luce tirarono un sospiro di
sollievo. “Vogliono
assolutamente parlarvi e vedervi, ma la regina Gilfam ha promesso che
glielo
permetterà solo con la vostra approvazione.”
Dan
tornò per l’ennesima volta a ritrovarsi gli
sguardi di
tutti addosso, a sentire la loro incertezza sulla sua pelle. Se avesse
detto
no, nessuno degli altri si sarebbe opposto. Ma non se la sentiva di
impedire
loro di rivedere persone a cui tenevano.
Non
era giusto far loro perdere quell’occasione solo per
semplificargli la vita.
“Se
per voi non è un problema, non vedo perché
no.”
Mai,
Hideto e Kenzo si scambiarono occhiate preoccupate. Per
lunghi istanti, sembrarono portare avanti un intero discorso con
soltanto occhi,
sopracciglia e muscoli facciali. Alla fine, il Guerriero Blu
annuì verso
Clarky.
“Possiamo
provarci e sperare che vada tutto bene.”
Plym
saltò su con aria determinata, i pugni contro i
fianchi. “Qui ci vuole un aggiornamento rapido della
memoria!”
La
Guerriera Viola sospirò e posò la fronte contro
il palmo
della mano, scuotendo lentamente la testa.
La
sua reazione non scalfì minimamente l’energia con
cui la
giovane donna portò avanti il proprio piano.
Trascinò Dan su una sedia, allontanò
via tutti quelli che potevano fungere da distrazione e gli
piazzò davanti alla
faccia il proprio cellulare.
Clarky
e Angers si sistemarono in un angolo della sala,
nascondendo le proprie risate dietro le mani.
La
prima foto che gli venne presentata era quella di due
bambini mazoku seduti dietro a un enorme piatto di riso al curry.
“Questa
è di poco prima la cerimonia tenuta da Clarky e
Barone otto anni fa. Non so come abbiano resistito per tutto il
discorso. Hanno
finito in massimo cinque minuti una volta dato loro il via
libera.”
“L’hanno
mangiato? Gli è piaciuto? Voglio vedere!” Mai si
fiondò accanto alla ragazza.
Kenzo
e Hideto la seguirono a ruota, l’ultimo sghignazzando.
“Visto che sono ancora vivi, potevi essere sicura di aver
cucinato almeno
qualcosa di commestibile.”
“Zitto
tu!” replicò Mai dandogli una pacca sul braccio.
“O
il prossimo è per voi!”
Clarky,
dall’angolo in cui si trovava, rabbrividì e si
spostò impercettibilmente verso Angers stringendole un
braccio attorno ai
fianchi.
Hideto
inorridì e si affrettò a chiedere perdono. Kenzo
sbuffò. “E io che cosa
c’entro?”
Plym
alzò gli occhi al cielo e riprese a fargli scorrere
davanti agli occhi una foto dopo l’altra.
“E
crescono così veloce! Tu non te lo ricorderai, ma erano
così piccoli.” Si piegò fino a portare
la mano all’altezza delle sue ginocchia.
“Ora invece non riesco più quasi a sollevarli.
Fant soprattutto.”
Dan
abbozzò un sorriso, più che altro divertito dal
pensiero
che Plym fosse in grado di sollevare il piccolo mazoku.
“Qui
invece…”
Hideto
le strappò il telefono dalle mani, scoppiando a
ridere e voltando lo schermo verso gli altri due Maestri della Luce.
“Cieli,
guardate questa!”
“Non
ci posso credere,” Mai biascicò tra le risa. Kenzo
sembrò sul punto di soffocare.
Dan
dovette alzarsi per scoprire quale fosse la fonte di
tanta ilarità. Sullo schermo, c’era Fant in piedi
su una sedia, quasi proteso
sopra un tavolo, che dava l’impressione di aver appena vinto
una sfida di
braccio di ferro con un uomo, l’istruttore Zolder gli
ricordò Plym, con gli
occhi stralunati e la faccia rossa dallo sforzo. En esultava a lato di
Fant
mentre dietro a Zolder una mazoku, Flora gli ripeté Yus, si
copriva il volto
con le mani.
“Dovevate
vederlo la settimana successiva,” proseguì Yus
dopo aver gettato un’occhiata alla foto. “Viveva in
palestra. Continuava a
ripetere che non poteva farsi battere da un bambino.”
“E
com’è finita?” Dan non riuscì
a resistere dal chiedere.
“Il
decimo giorno, Flora ha praticamente sfondato la porta
con un calcio e l’ha trascinato via sul terreno di
gioco.” Plym fece una
smorfia ed esagerò un brivido. “Quel giorno faceva
davvero paura.”
La
sua risposta non fece altro che dare il via a un nuovo
scroscio di risate. Mai si afferrò al braccio di Hideto,
quasi piegato in due.
La risata di Kenzo cominciò a essere interrotta da acuti
singhiozzi. In
disparte, Clarky e Angers si scambiarono un’occhiata complice.
Dan
guardò il gruppo, guardò i due coniugi,
guardò Plym che
si era rimpossessata del telefono e Yus che aveva ripreso in mano il
suo tablet
e cercava in tutti i modi, fallendo, di non ridere a sua volta.
E
un po’ dell’invidia che aveva provato
tornò a farsi largo
dentro di lui. Ma la ricacciò via con maggior
facilità. Doveva solo avere
pazienza.
“Allora,
la prossima…”
Foto
dopo foto, Plym e gli altri gli raccontarono aneddoto
dopo aneddoto sulla vita di En e Fant, dal giorno in cui erano stati
trovati,
dalla loro presenza nel viaggio nello spazio, fino a quello che stavano
facendo
a Nova Octo. I loro cibi preferiti, i loro passatempi, quello che
stavano
studiando.
“Mi
dispiace interrompervi, ma la Regina Gilfam chiede se è
possibile attivare le comunicazioni ora.”
Plym
lanciò un’occhiataccia a Clarky e, borbottando,
infilò il
cellulare in tasca. “Ne avevo ancora da mostrare.”
Yus
la guardò con un sopracciglio alzato. “Tu hai
sempre
altre foto da mostrare. I tuoi robot ci inseguono
dappertutto.”
“Non
voglio rischiare di perdermi qualcosa. Giusto, Mai?”
La
Guerriera Viola annuì ridendo.
“Giustissimo.”
“Riepilogando,”
si intromise Hideto, “di tutta questa roba,
ti riuscirai a ricordare le informazioni più
importanti?”
Dan
ridacchiò imbarazzato, conscio che, di
quell’ammasso di
informazioni, ben poche erano riuscite a consolidarsi nella sua memoria
senza
essere un groviglio confuso.
“Salvati
da un gruppo di umani che voleva usarli come
ostaggi. Mi si erano affezionati. Adorano mangiare. Sono venuti di
nascosto
nello spazio con noi.”
Mai
si morse un labbro e sospirò, sedendosi al fianco del
Guerriero Rosso. “Dovrà essere
sufficiente.”
“Noi
saremo comunque nella videochiamata con te,” si
intromise Kenzo posizionandosi alle spalle di Dan. “Non
è che sarai da solo.
Saremo in grado di coprirti le spalle.”
“Grazie.”
Al
cenno di Hideto, Plym attivò lo schermo del computer e
avviò la videochiamata. Poi, si allontanò in
silenzio alzando verso di loro i
pollici in segno di incoraggiamento.
I
quattro Maestri della Luce rimasero in silenzio, guardando
con trepidazione l’inizio della comunicazione. Gli altri
avevano lasciato a uno
a uno la stanza, chi per necessità chi semplicemente per dar
loro un po’ di
privacy, con la promessa di tornare per salutarli prima della loro
partenza.
La
schermata di attesa scomparve e al suo posto apparve il
volto della regina Gilfam.
“Maestri
della Luce, ne è passato di tempo.” La mazoku
posò
il mento sul dorso della mano. Il suo sguardò si
soffermò su ciascuno di
loro. “Come
dicevo a Shinomiya, ho
appreso con particolare interesse delle vostre ultime imprese. Non
credevamo ti
avremmo rivisto, Bashin Dan.”
Le
sue parole furono seguite da un attimo di silenzio, poi
Gilfam si sollevò dalla sedia.
“Non
vi farò perdere altro tempo. Vi auguro il meglio nelle
vostre future missioni, Maestri della Luce.”
E
uscì dal campo di vista della telecamera. Il suo posto
venne subito riempito. Una sedia apparve dal bordo superiore,
affiancandosi con
un tonfo sordo a quella già presente. La testa di En fu la
prima a comparire,
seguita a ruota da quella di Fant. Entrambi avevano un sorriso che
mostrava
tutti i loro denti.
“Mai!
Dan! Kenzo! Hideto!”
I
due piccoli mazoku quasi schiacciarono le loro facce
contro la telecamera, strillando i loro nomi con entusiasmo. Si
strattonarono e
spintonarono per alcuni istanti prima di arretrare, sempre sorridenti.
E
iniziarono a parlare.
Il
racconto di tutto quello che En e Fant ritenevano
importante, dalla scuola che frequentavano a Nova Octo allo strappo nei
loro
berretti preferiti, seguì un filo logico a cui solo i due
piccoli mazoku
riuscirono davvero a stare al passo. Saltavano da un discorso
all’altro, anche
a metà della frase, con sempre la stessa eccitazione
dirompente e dando l’impressione
che qualcuno, probabilmente la regina Gilfam, li avesse avvisati che la
chiamata avrebbe avuto un tempo limitato. En e Fant
sembravano davvero
intenzionati a condensare in ogni minuto gli argomenti di
un’ora.
A
un certo punto, i due balzarono giù dalla sedia e
scomparvero dalla visuale. I quattro Maestri della Luce si sporsero in
avanti,
piegandosi di lato quasi nella speranza che lo schermo potesse
catturare un
pezzetto in più della stanza.
Rumori
di passi affrettati.
Una
porta che sbatteva contro il muro.
Altri
passi di corsa.
La
voce severa di Gilfam.
“Scusaci!”
La
porta che tornava a chiudersi.
Passi
frettolosi e i due mazoku riapparvero con in mano un
grosso foglio arrotolato. En e Fant si guardarono e ridacchiarono.
“Guardate!”
E
spalancarono il foglio.
Era
un disegno, neanche troppo elaborato o accurato. Le
linee erano rozze, le figure semplici, i colori quasi sparpagliati sul
foglio.
Ma i Maestri della Luce si ritrovarono comunque senza fiato.
“Questi
siamo noi.”
“Noi.”
En
indicò con enfasi le due figure in primo piano,
riconoscibili soprattutto per i due codini rosa e i capelli verdi. Poi
la
piccola mazoku spostò il dito su alcune figure sulla
sinistra, elencandole una
dopo l’altra.
“Questa
è la Regina Gilfam.” “Gilfam.”
Aveva i capelli
viola, il vestito scuro e un’improbabile corona dorata sulla
testa. “Gaspard.”
“Gaspard.”
“Poi
ci sono Plym, Yus…”
Codini
arancioni e chiave inglese in mano, capelli blu e una
riga dritta al posto della bocca.
“Barone,
Clarky e Angers con il bambino.”
“Con
il bambino.”
I
Barone e Clarky del disegno sembravano star duellando
attorno a un rettangolo marrone. Angers era quasi tonda, con due
riccioli a
spirale arancioni.
“E
questi siete voi!”
“Voi!”
Lo
annunciarono con ancora maggior orgoglio di prima,
voltandosi verso di loro con enormi sorrisi, e schiacciando il foglio
contro lo
schermo.
I
Maestri della Luce, come gli altri, erano a mala pena
riconoscibili, più che altro grazie al colore dei capelli.
Mai aveva un
rettangolo viola alle spalle e in mano un ovale bianco e marrone. Kenzo
era più
occhiali che altro, con un rettangolo grigio stretto tra le mani.
Hideto era
seduto su due cerchi collegati da una linea spessa e i capelli blu
erano
nascosti da un cappello. Dan aveva spuntoni rossi al posto dei capelli,
un
rettangolino nero stretto tra le mani e una colonna multicolore che lo
circondava.
“Qui
è come Dan è tornato. Con un lampo di luce, come
quando
è andato via.”
“Come
Dan è tornato.”
Dan
piegò le dita della mano sulla gamba, le strinse a pugno
senza distogliere lo sguardo da quei due entusiasti e ingenui bambini.
No, non
era tornato. Non come loro credevano. Quel Dan era ancora nei colori
luminosi
che avevano disegnato. Il nuovo Dan stava appena cercando di capire chi
fosse.
“Ma
è bellissimo!” La voce di Mai tremò di
commozione.
“Ci
siamo davvero tutti.” Hideto rise, ma senza alcuna
traccia di derisione.
“I
miei occhiali non sono così grandi,”
bofonchiò Kenzo. Ma
anche lui sorrideva.
Erano
tutti felici. Era l’ennesima riunione di cui lui faceva
parte di default, ma di cui non riusciva davvero a sentirsi parte. Gli
avevano
raccontato tante cose su loro due e non faticava a immaginarsi di
potersi
affezionare a loro. Era difficile non adorarli anche avendoli appena
incontrati.
“Ti
piace, Dan?”
“Ti
piace?”
Il
Guerriero Rosso trasalì e si ritrovò gli occhioni
speranzosi ed eccitati dei due bambini fissi su di lui. E si
scoprì a sorridere
anche lui. Se non ci si soffermava troppo, poteva credere di averli
davvero
trovati in una piccola stanza di pietra, di aver passato tempo con
loro, di averli
visti scorrazzare come fulmini nei corridoi di un’astronave.
Almeno per qualche
minuto, per loro, poteva credere che fosse tutto vero.
“Valeva
la pena tornare anche solo per questo disegno.”
En
e Fant esultarono, saltando e battendo il cinque. Per poi
saltare di nuovo giù dalla sedia e tornare con due
mucchietti di carte. Hideto
si illuminò non appena le vide.
“Abbiamo
cominciato a giocare.”
“A
giocare.”
I
due sparpagliarono sul tavolo davanti a loro le carte, un
ammasso costituito principalmente da carte rosse e viola. En
afferrò una delle
carte e la schiacciò contro lo schermo, imbronciata.
“Usiamo
anche Bladra. Ma noi
siamo più buoni con lui.”
“Più
buoni.”
Sottolineò Fant con solennità.
Mai,
Hideto e Kenzo si sbellicarono dalle risate. Dan
alternò lo sguardo tra En e Fant, che lo fissavano con tale
rimprovero da
metterlo a disagio, e i tre che lo circondavano. Privo di aiuto da
parte dei
suoi ricordi e da parte dei traditori seduti al suo
fianco, quasi
piegati in due per l’ennesima battuta che lui non riusciva a
capire, alzò una
mano a strofinarsi la nuca.
“Che
ho fatto?”
Quella
domanda non fece altro che accentuare l’ilarità
generale. En e Fant scossero la testa in sincro, sospirando con
rassegnazione.
“È
per questo che lo tratti male.”
“È
per questo.”
Dan
si agitò sulla sedia, sempre più in
difficoltà, e
rivolse loro un sorriso tirato. “Mi dispiace?”
Alla
fine, fu Mai ad avere pietà di lui. Ancora ansimante
per le risate, passandosi le dita sugli occhi e con una mano sullo
stomaco, la
Guerriera Viola attirò l’attenzione dei due mazoku.
“E
come avete costruito i vostri mazzi?”
La
domanda non distrasse solo i due mazoku. Anche Hideto si
rizzò e tornò a fissare lo schermo, protendendosi
in avanti sopra alla ragazza.
Anche Kenzo si infilò tra le due sedie su cui lui e Mai
erano seduti per
intromettersi nei consigli del Guerriero Blu.
Dan
si posò contro lo schienale
e rimase a guardare il gruppetto attorno a lui, i due bambini che
presentavano
le carte da loro scelte e i tre Maestri della Luce che si alternavano
nel dar
loro consigli, con Hideto che si presentava come l’esperto di
creazione dei
mazzi.
E si
sentì sereno.
Forse
non ricordava l’amicizia
che un tempo lo aveva legato a tutti loro, ma poteva ripartire da zero,
ricrearla come aveva fatto con il proprio mazzo.
Nel
frattempo, poteva sempre
godere di momenti come quelli, finché, un giorno, non ne
avrebbe fatto parte
davvero.
Elisabeth
aveva parlato con i suoi
nonni, per così tanto tempo che erano sembrate ore. Aveva
sperato che servisse
a schiarirle la mente, a placare l’ansia e i dubbi sulla
scelta che Yuuki le
aveva messo davanti. Ma, anche se aveva letto nei loro sguardi e nei
loro gesti
la scelta che avrebbero voluto prendesse, non ne avevano fatto parola,
pregandola ancora e ancora di riflettere bene. E i dubbi erano rimasti,
lasciandola divisa a metà.
Chiuse
gli occhi, obbligandosi
finalmente a distogliere lo sguardo dalla tenue macchia scolorita del
soffitto.
Per poi posarlo d’istinto sulla piccola mensola
nell’angolo, con le foto di suo
padre e suo fratello. Il pallido filo di fumo dell’incenso ne
confondeva appena
i contorni.
Elisabeth
sorrise nel vedere la
foto di suo fratello. Era una di quelle che più le
piacevano, lui tutto
sorridente e con la faccia sporca di torta di compleanno.
E,
come ogni volta, il suo sguardo
si spostò un po’ più a destra, sulla
mensola vicina, dove c’erano le foto di
sua madre. Erano solo ritagli di giornali, stampe del suo volto prese
dai
servizi televisivi, vicino all’ultima foto che le aveva
ritratte insieme
felici. Il suo primo giorno di scuola delle medie, ancora con
l’apparecchio e
ancora così cieca davanti alla frattura sempre
più grande tra i suoi genitori.
Non
c’erano più state molte
occasioni per foto felici per loro due.
Dopo
il divorzio, dopo che aveva
lasciato il Giappone, l’aveva rivista solo due volte di
persona. Al funerale di
suo fratello e un paio di mesi dopo il funerale di suo padre.
L’aveva
incontrata per caso al cimitero, silenziosa e inaspettata presenza di
fronte
alla lapide del padre.
Perché
così tanti momenti
miliari della sua vita si erano svolti al cimitero?
Elisabeth
distolse lo sguardo,
coprendosi il viso con le mani e zittendo così
l’amara risata che le salì alle
labbra.
“Non
avrei sopportato gli
sguardi, il loro giudizio, il ribrezzo per quello che ho voluto
essere.”
Aveva
voluto gridare quel giorno,
dirle che non le importava niente, che continuasse a viaggiare quanto
voleva, a
fare i suoi servizi d’inchiesta, a mostrare le ingiustizie
con le sue
interviste. Per lungo tempo aveva provato rancore verso la sua
famiglia, verso
suo padre e i suoi nonni che l’avevano obbligata a scegliere,
verso sua madre
che aveva rinunciato a lei. Ma poi sua madre aveva ripetuto quanto
assomigliasse a suo padre. E lei era stata zitta, l’aveva
lasciata andare via.
Suo
padre era stata la goccia che
corrode la pietra, i suoi gesti piccoli ma costanti.
Sua
madre era un fiume in piena
che voleva cambiare il mondo con la sua forza. Suo fratello le aveva
assomigliato
tanto.
Elisabeth
si morse un labbro e si
alzò dal letto con un sospiro. Raggiunse lentamente la
scrivania, gettando
appena uno sguardo all’armadio aperto e lo zaino rovesciato a
terra, resti del
primo quarto d’ora di puro entusiasmo, e si sedette davanti
al computer.
Attivò
il software delle
videochiamate chiedendosi che cosa si aspettasse dal parlare con sua
madre. Non
si era opposta alla scelta di studiare archeologia, ma non ne era stata
neppure
entusiasta. Andare a Gran RoRo sarebbe stata
un’azione sufficientemente
risoluta per lei? Lo sarebbe stato combattere a fianco dei Maestri
della Luce?
Cominciò
a tamburellare sul mouse.
Al
terzo tentativo fallito di
instaurare una connessione, Elisabeth chiuse il computer e si
inclinò in
avanti, posando la fronte al tavolo. Lacrime le pizzicarono le ciglia.
Lei
non era capace di grandi gesti
plateali.
Non
avrebbe mai avuto il coraggio
di gettarsi da una finestra.
O
viaggiare sola per il mondo.
O
guidare un gruppo di scienziati
senza neanche essere adolescente.
O
coordinare l’evacuazione di un
intero popolo.
Lei
portava riso e coperte ai
senzatetto. Aiutava a raccogliere fondi. Sognava di portare alla luce
dettagli
del passato per chiarire convinzioni che fossero errate.
Elisabeth
tornò ad alzare il busto
e guardò ancora una volta le foto della sua famiglia. Poi,
prese un profondo
respiro e si alzò bruscamente dalla sedia, avviandosi con
passo deciso verso
l’armadio.
Avrebbe
dimostrato che anche una goccia poteva fare la
differenza.
Yuuki
si fermò ai piedi della
scalinata e si guardò attorno. Strada e marciapiede erano
poco trafficati e le
persone più vicine erano un gruppetto di ragazzini davanti
alle porte del
centro di Battle Spirits.
Alzò
lo sguardo verso le siepi che
riempivano la sua terrazza.
Era
di nuovo lì, dopo appena pochi
giorni.
Il
ragazzo inspirò e salì con
passo lento e misurato, pronto a reagire a qualunque minaccia. Era
un’abitudine
che, a volte, diventava opprimente. Si infilò in uno dei
vialetti, quello che
lo avrebbe portato alla meta con la strada più lunga. Si
fermò dietro l’ultimo
angolo e si sporse appena.
Kaoru
e Andrew erano lì, in piedi
a pochi metri da lui. La donna era seduta sul muretto e
l’uomo di fronte a lei.
Ai loro piedi c’erano dei borsoni. Stavano discutendo tra di
loro, animatamente
nonostante il basso tono di voce, muovendo le mani e ogni tanto
sfiorandosi le
braccia. Erano soli.
Rassicurato,
Yuuki controllò
un’ultima volta attorno a sé e uscì sul
vialetto. Andrew si accorse immediatamente
della sua presenza e si voltò verso di lui, Kaoru lo
imitò e, riconosciutolo,
balzò giù dal muretto. L’uomo
intrecciò immediatamente le sue dita con quelle
della compagna, impedendole così di fiondarsi contro Yuuki.
Kaoru
riuscì a contenersi appena il
tempo necessario che il Guerriero Bianco fosse a un passo da loro.
“Dov’è
Mai? Come sta?”
“Sta
bene. Stanno tutti bene. Sono
a Gran RoRo.”
La
tensione lasciò in un soffio il
corpo di Kaoru che si appoggiò al fianco di Andrew, che
subito le passo un
braccio attorno alle spalle e le sfiorò una tempia con le
labbra.
“Mai
vi aspettava per le festività
del nuovo anno.”
Andrew
ridacchiò e la punta delle
sue orecchie avvampò. “Ecco, in realtà,
c’è stato un piccolo cambio di
programma. Stavamo per imbarcarci quando abbiamo ricevuto il vostro
messaggio.”
“Tempismo
impeccabile,” borbottò
la donna.
“Kaoru
voleva che abusassi del mio grado
per ottenere un
trasporto più veloce.”
La
donna lo colpì sul fianco con
una gomitata. “Abbiamo capito che era una pessima idea. Era
la tensione, ok?
Possiamo parlare di cose più importanti?”
Sapevano
tutti e tre benissimo che,
la sorella della mia fidanzata e i suoi
amici sono tornati di nuovo a Gran RoRo senza preavviso, non
sarebbe stato
un motivo sufficientemente valido per richiedere un volo militare
privato per Tokyo.
Anzi, Andrew avrebbe rischiato di perdere il proprio grado, e la
propria
faccia, con una richiesta del genere.
“Ad
esempio, come mai tu sei qui e
loro no.”
Yuuki
posò la schiena contro una
delle siepi e incrociò le braccia.
“Solo
temporaneamente. È un caso
che siate riusciti a incontrami. Sono venuto per mettermi in contatto
con un
nuovo Maestro della Luce.”
“Qualcuno
che conosciamo?” scherzò
Andrew.
“In
effetti sì, Mai credo ve ne
abbia parlato. Nakano Elisabeth, la ragazza che mi ha soccorso quattro
anni
fa.”
I
due sgranarono gli occhi e non
riuscirono a trovare parole. Il Guerriero Bianco fece un cenno verso i
borsoni.
“Il
vostro bagaglio? Da quante ore
siete arrivati?”
Andrew
si riscosse e si avvicinò
alle borse. “In realtà no. Siamo atterrati
l’altro ieri. Queste sono cose per
voi.”
Kaoru
lo affiancò e sollevò un
borsone grigio e viola, un pupazzetto dalle somiglianze di Mai appeso
al
manico.
“Dopo
il vostro messaggio, i
nostri genitori si sono messi in contatto con le altre famiglie, con
gli Hyoudo
e i Suzuri. Eravamo tutti un po’ fuori di testa in queste
ultime ore, ricevere
il messaggio che il tuo numero era tornato contattabile ci ha veramente
salvato.”
Andrew
lanciò uno sguardo
cospiratorio verso Yuuki e usò un tono di voce che fingeva
soltanto di essere
sussurrato.
“Era
come il giorno prima delle ferie
in cui la sveglia non funziona e le valigie sono ancora
vuote.”
“Ray
Andrew, stiamo cercando di
fare un discorso serio noi.”
L’uomo
le rivolse un sorriso
smagliante e le prese la mano per portarsela alle labbra.
“Chiedo
perdono, mia diletta.”
Kaoru
alzò gli occhi al cielo, ma
le labbra si piegarono in un evidente sorriso. Poi, la donna fece cenno
ad
Andrew di smetterla e tornò a voltarsi verso Yuuki.
“Abbiamo
pensato che almeno in
questo modo potevamo aiutarvi. Mamma ha detto che Mai era in spiaggia
l’altra
mattina, dubito che possa avere granché con sé.
È veramente andata a Gran RoRo
in infradito?” Kaoru scosse la testa abbozzando una risata.
“Non è molto, ma-”
Yuuki
afferrò il manico del
borsone e fece un cenno con il capo. “Sarà molto
per tutti.”
La
donna annuì e gli lasciò il
borsone. Andrew aveva già in mano gli altri due.
“Cercate
di non cacciarvi in guai
più grossi di quelli in cui siete già.”
Yuuki
prese lo zaino che gli
passava Andrew, così consumato dall’uso che poteva
solo essere uno di quelli di
Hideto, e se lo mise in spalla. Sistemò anche quello di Mai
in spalla.
“Yuuki.”
Kaoru
aveva estratto dalla borsa
una grossa busta e la continuava a stropicciare tra le mani. I loro
sguardi si
incrociarono e la donna gliela porse bruscamente, gli occhi
improvvisamente
umidi.
“Dalla
a Mai. Per favore.”
Il
Guerriero Bianco afferrò la
busta. Kaoru, non appena l’involto lasciò le sue
mani, deglutì e gettò le
braccia al suo collo, cogliendolo di sorpresa.
“Tienili
d’occhio, ti prego,”
mormorò la donna con il volto premuto contro la sua spalla.
“Non possiamo
perdere nessuno di voi.”
“Farò
di tutto per proteggerli.”
Kaoru
annuì e si separò da lui,
venendo subito accolta dalle braccia di Andrew. Poi, i due lo
guardarono con
determinazione, nonostante le lacrime e le espressioni rassegnate.
“Vi
aspettiamo. Tutti.”
Yuuki
afferrò l’ultimo borsone,
quello di Kenzo. “Non so ancora cosa ci aspetterà,
ma non permetterò a nessuno
di far loro del male. Ve li riporterò.”
Kaoru
si morse un labbro,
distogliendo lo sguardo e voltandolo verso l’alto.
“Anche
tu, cerca di non metterti a
sacrificarti. Dovete proteggervi a vicenda. Vi rivogliamo tutti a
casa,” ripeté
Andrew stringendo con più forza la compagna a sé.
“Torneremo.”
Dopo,
non ci
fu più molto altro da dire. Yuuki sistemò la
busta al sicuro e salutò i due. Il
momento in cui Aileen avrebbe riaperto il varco per il futuro si stava
avvicinando. E, con o senza Elisabeth, Gran RoRo lo aspettava. Ma,
prima di
quel momento, c’era un ultimo posto in cui doveva andare.
Yuuki
posò i borsoni ai piedi
della lapide che ancora lo ritraeva e superò i pochi metri
che lo separavano
dalla sua meta. Arrivato davanti a essa, si lasciò scivolare
a terra. E rimase
così, immobile, inginocchiato, a fissare il volto nella
foto, il volto della
sorella che era morta per proteggerlo e che, non soddisfatta, era
tornata anche
a riportarlo fuori dal coma.
Il
Guerriero Bianco allungò la
mano e le sue dita sfiorarono appena il vetro che proteggeva la foto
dalle
intemperie. La allontanò subito, come se ne fosse stato
scottato, e distolse lo
sguardo. Sul suo volto apparve una smorfia sofferente e le sue ciglia
si
inumidirono.
Aveva
sempre creduto che il torto
più grande che le avesse fatto fosse stato non riuscire a
salvarla, a non darle
il futuro che le aveva promesso. Anche uscito dal coma, il suo
più grande
rimorso e rimpianto era stato quello.
L’avrebbe
continuato a pensare per
il resto della sua vita, ma era tornato a Gran RoRo e aveva incontrato
Aileen Dealan.
Aveva
sempre immaginato si sarebbe
finalmente sentito in pace una volta mantenuta la sua promessa, una
volta che
l’avesse ritrovata.
Invece,
la Guerriera Verde, con la
sua determinazione nel difendere con unghie e denti la propria
individualità,
l’aveva messo davanti all’amara realtà.
A
morire in quel giorno d’estate,
tra cespugli di rose avvizzite, era stata Momose Kajitsu, la sua amata
sorellina. Era lei che aveva perso per sempre sei anni prima.
Rivoli
di lacrime gli bagnarono le
guance.
“Ti
ho mai davvero conosciuta,
sorellina?”
Perché
Aileen aveva ragione.
Quella vita, quei ricordi non erano loro. Erano dentro di loro, ma non
erano
loro. Ma non riusciva a farne una colpa ai due bambini che erano stati,
ritrovatisi all’improvviso senza una famiglia, una famiglia
che mai davvero li
aveva accettati. Si erano aggrappati a quelle che avevano potuto, a
quell’unica
cosa che dava loro una speranza per il futuro, alle strane favole
raccontate da
una voce di bambina.
Ma,
da iniziale conforto, era
diventata una spirale da cui non erano più riusciti a
uscire. E, giorno dopo
giorno, Momose Kajitsu e Momose Yuuki erano scomparsi, assorbiti da un
passato
che avevano fatto diventare il loro presente.
Era
stata solo Aileen a
rispondergli con rabbia? O nelle sue parole si era celato il mai
espresso
rancore di quella bambina che non aveva mai potuto sbocciare sotto il
fardello
di un’altra vita?
Era
stato uno sprovveduto.
Yuuki
si avvicinò ancora alla
lapide, posandovi la fronte contro la superficie ruvida e fredda. E,
per la
prima volta, non pianse la perdita di colei la cui vita si era
intrecciata alla
sua in una diversa era, pianse la sorella che aveva perso, la sorella
che non
aveva mai conosciuto.
La
bambina che aveva costruito
castelli di sabbia con lui.
La
bambina che rideva sempre
quando giocava con lui.
La
bambina che gli portava il
proprio orsacchiotto quando era triste.
“Perdonami.”
Strinse
le dita attorno ai petali
appassiti.
“Perdonami.”
Una
sottile brezza gli sfiorò il
viso, spazzò via le briciole di petali scivolate tra le sue
dita. Fu il
silenzio a spingerlo a staccarsi dalla lapide, a guardare la foto che
non
riusciva davvero a dare giustizia alla sua sorellina.
Yuuki
allungò la mano e staccò uno
dei petali dalle rose ancora in fiore. Lo sfiorò con il
polpastrello e lo
infilò nella tasca della propria felpa.
“Non
farò lo stesso errore. Anche
a costo di non averti al mio fianco.”
Il
Guerriero Bianco sfiorò ancora
una volta la foto, una carezza fredda su un volto che avrebbe dovuto
essere
morbido e caldo. Ma non poteva cambiare il passato, per quanto
soffrisse, per
quanto rimpiangesse non aver preso decisioni diverse. Si
alzò in piedi ed
estrasse dalla tasca Ragna-Rock, senza
che i suoi occhi si staccassero dal
volto sorridente immortalato nel vetro.
“Ti
voglio bene, sorellina. Mi
manchi.”
E
si allontanò. Afferrò i borsoni
e se li mise in spalla, lasciò che i sentierini lo
guidassero all’uscita.
Neanche una volta permise che la nuova ferita aperta nel suo cuore lo
spingesse
a voltarsi.
Un
tempo, non era stato in grado
di proteggerla dalla crudeltà del suo regno, implacabile e
gelida come le
tormente, e non era stato in grado di proteggere sua sorella dalla
crudeltà del
mondo e dalla folle ambizione del Re del Mondo Altrove, dal Nucleo
Progenitore
e dalla sua stessa stoltezza.
Non
avrebbe permesso che succedesse
un’altra volta.
Era
arrivato il momento di scoprire il futuro. Il suo
futuro.
SPAZIO
AUTRICE:
Salve a tutti! Non
è il solito giorno da
update, ma non volevo farvi aspettare ancora fino a lunedì.
Siamo tornati a uno dei
capitoli
“classici” (il che fa un po’ ridere a
dirlo, visto che questo è Battle Spirits…
e uno potrebbe pensare che i duelli dovrebbero essere
l’elemento “classico”)
tutto incentrato su personaggi ed emozioni. E forse dovrei chiedervi
scusa per
essere passata dalle parti iniziali a quella finale di Yuuki? Mio
fratello
quando l’ha letta ha detto che era come “rivivere
una seconda sparizione di
Dan”… e se è così, devo
essere sincera, la scrittrice in me non è nemmeno tanto
pentita.
Comunque, stiamo arrivando
verso la fine
dell’episodio e sia nel futuro sia sulla Terra si stanno
tirando le somme. Il
duello è finito, Yus ha avuto il duello che tanto aveva
desiderato (e no, non
dirò nulla su come possa essere finito… sta a voi
immaginarlo), abbiamo rivisto
En e Fant (ho esagerato con la dolcezza?), Elisabeth ha preso la sua
decisione.
Per quanto riguarda Yuuki e
in
particolar modo la scena nel cimitero, penso sia un passo necessario
per il suo
personaggio e il suo sviluppo. Flora e Zolder hanno dimostrato nella
serie come
avere i ricordi delle vite passate non cambia in alcun modo la propria
personalità (il “gentil” modo che
caratterizza i loro comportamenti è
decisamente poco legato ai loro ricordi). Ripensando a come Yuuki e
Kajitsu
hanno sempre parlato della loro situazione, mi ha fatto pensare che fin
da bambini
abbiano usato quei ricordi come un rifugio sicuro, qualcosa che li
spingesse ad
andare avanti nella situazione tragica in cui erano. Ma, penso che
siano andati
troppo oltre e il loro legame con le loro vite passate sia diventato
“malato”. Questo
Yuuki aveva bisogno di capirlo e penso che l’incontro con
Aileen (e il suo
diverso atteggiamento verso questi ricordi) sia stato quello che ha
fatto
scattare qualcosa e glielo ha fatto realizzare.
Finite queste mie
elucubrazioni, grazie
a tutti quelli che leggono (pochi ma buoni) e il solito grazie speciale
a
ShawnSpenstar (per le sue sempre lunghissime recensioni)!
Come sempre, per qualunque
cosa, dubbio
e commento, io sono qui e se volete potete lasciarmi una recensione
(corta o
lunga che sia, per me non ha importanza) per dirmi cosa ne pensate.
A presto,
HikariMoon
P.S. con il prossimo
capitolo (oltre a
mazzi e turni del duello) ci sarà una grandissima sorpresa
per voi che spero vi
piacerà! Io sono stra emozionata! Era già da
tempo che volevo farvi questa
sorpresa, ma come vedrete è alquanto laboriosa. Qualcuno di
voi indovinerà che
cos’è?