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Autore: Shadow writer    30/01/2020    12 recensioni
Tridell è una moderna metropoli in cui nessuno è estraneo a scandali e corruzioni. Una giovane donna, abile nell'uso delle vie più o meno lecite, si è fatta strada fino alla vetta di questo mondo decadente.
Dalla storia:
“La duchessa viveva in periferia.
Il suo era un palazzo dall’esterno modesto, circondato da una striscia di giardino prima del grande cancello metallico. Chiunque avesse avuto l’onore di entrarvi, parlava di stanze suntuose, pareti affrescate, una grande corte interna, in cui si innalzava una fontana zampillante decorata da statue di marmo bianco. […]
Chi lei fosse veramente, non si sapeva. Che non avesse davvero il sangue blu, questo era quasi certo, ma nessuno osava contestarlo.
La verità sul suo conto, qualunque fosse, non era nota al pubblico, e alla gente piaceva guardare a questa donna enigmatica nel costante sforzo di capire chi fosse, senza mai riuscirci.”
[Storia partecipante al contest “Il Lago dei Cigni” indetto da molang sul forum di Efp.]
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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NOSTRO FIGLIO
 (pt. 1)
 
 



Emily si guardava nel grande specchio che aveva davanti. A separarla dal proprio riflesso, c’era la piscina rotonda che aveva fatto scavare al piano terra del suo palazzo. L’acqua era cosparsa di petali colorati, come piaceva a lei.
Nonostante avesse raccolto i capelli color mogano in uno chignon, li sentiva appiccicati alla nuca per l’alta temperatura che c’era nella sala.
Sentì la porta aprirsi alle sue spalle, ma non si voltò e osservò la scena dallo specchio.
Sapeva già che si trattava di Alexander. Roman non avrebbe saputo tenerle segreto neanche il suo regalo di Natale, figurarsi la sua conversazione con l’uomo del momento.
Si stupì di constatare che Alexander non portava uno dei suoi soliti completi, ma un semplice dolcevita color ghiaccio e dei pantaloni grigio scuro. I suoi capelli chiari erano spettinati in modo più adatto ad un ragazzo svogliato che ad un politico preoccupato della propria immagine.
«Dobbiamo parlare» le disse.
La sua voce – solida, vibrante – percosse la giovane e i suoi battiti aumentarono. 
Quando gli rispose cercò di mantenere un tono saldo: «Certamente».
Si studiarono attraverso i loro riflessi, in silenzio, come due combattenti che aspettano che sia l’altro a fare la prima mossa.
«Prima devi spogliarti» gli disse lei.
Lo vide corrugare la fronte, unico segno della sua perplessità.
«Togli tutto ed entra nell’acqua.»
Alexander si fece seccato: «Perché?»
Emily trattenne un sorriso. Stava cominciando a capire che le sue scelte erano ragionate.
Fissò intensamente il suo riflesso: «Voglio assicurarmi che non indossi microfoni.»
Un lampo attraversò il volto di lui. Dolore, forse?
«Credi che lo farei?»
«Sì, Alex» la sua voce suonò più dura di quanto intendesse. «Credo che lo faresti».
Dato che l’altro non dava cenno di muoversi, Emily sciolse la cintura che le stringeva la vita e la lasciò scivolare a terra insieme alla sua vestaglia, rivelando che non portava niente sotto.
Avanzò lentamente verso la piscina, con gli occhi fissi su Alexander. Infilò un piede nell’acqua calda, facendo muovere i petali colorati, e scese la scala che si immergeva.
L’altro dovette capire di non avere scelta e si sfilò il dolcevita. Emily sentì il suo volto scaldarsi, ma non distolse lo sguardo. Pensò che Alex aveva preso massa in quegli anni. Lo ricordava più magro.
Lui si tolse le scarpe, slacciò i pantaloni e dopo averli sfilati li sistemò piegati insieme al maglione. Emily distolse gli occhi dallo specchio quando lui rimosse anche le mutande.
Non appena Alexander fu nell’acqua, nascosto dalla coltre di petali sulla superficie, lei si avvicinò al bordo della piscina e schiacciò un pulsante. Intorno a loro si accese l’idromassaggio con il suo suono rombante.
«È proprio necessario?» le chiese Alex.
Lei strinse le labbra, nascondendo un sorriso di soddisfazione. Lo aveva messo a disagio.
Dissimulò tutto con falsa noncuranza: «Il rumore dell’acqua copre del tutto le nostre voci, nel caso ci sia qualcosa che registri sui tuoi vestiti.»
Un piccolo spasmo sul volto dell’altro rivelò il suo fastidio.
«Sei perfida, Cassandra» pronunciò il nome quasi come un insulto. «Perché proprio questo nome?»
Lei mosse lentamente le braccia nell’acqua e inspirò il profumo dei petali.
«Perché per quanto la gente possa ritenermi strana o pazza, alla fine le cose andranno come dico io.»
«È un po’ pretenzioso».
Lei storse il naso: «Sei venuto ad insultarmi o volevi sapere qualcosa?»
Lui prese un respiro profondo e la certezza nei suoi occhi vacillò.
«Voglio sapere del bambino» le disse. «Per favore.»
Emily capì era che pronto a supplicarla e provò una certa compassione nei suoi confronti.
Si infilò nell’acqua fino al mento e fece vagare lo sguardo intorno a sé, perdendosi nei ricordi. Sentiva su di sé lo sguardo di Alexander, pressante, impaziente. 
«Ho scoperto di essere incinta qualche settimana dopo che te ne sei andato.» 
Era giunto il momento di dargli ciò che voleva e non avrebbe usato fronzoli.
«Ovviamente, il mio primo pensiero è stato che dovevo avvisarti. Ero ancora piuttosto scossa dalla tua improvvisa scomparsa e non ragionavo lucidamente. Ho quasi creduto che sarebbe bastato per farti tornare».
I suoi occhi si spostarono su Alexander come se volessero trapassarlo.
«Che stupida» continuò. «Sospettavo avessi cambiato numero di cellulare e così è stato. Allora andai a casa di tuo padre, ma com’era prevedibile nessuno mi fece entrare. Ti scrissi delle lettere, ma anche quelle furono inutili. La cosa più difficile fu realizzare che ero completamente e spaventosamente sola.»
Fece una pausa e seguì con lo sguardo il movimento di alcuni petali di rosa intorno a sé.
«Cercai di lavorare fino a che il corpo me lo permise, sapevo che mi sarebbe servito tutto il denaro possibile per crescere un figlio e intendevo farlo con la maggiore dignità possibile.»
Il suo silenzio fece intendere ad Alexander che stava per arrivare la parte più difficile. Evitò lo sguardo di lui, fissando i petali colorati quasi senza sbattere le palpebre.
«Quando nacque, ero felicissima, radiosa. Credo di non aver mai visto una meraviglia più grande. Lo amavo con tutto il mio cuore, più di quanto avrei mai potuto amare qualcuno, perfino me stessa. Purtroppo, il mio amore da solo non bastava per vivere. Ti ricorderai com’era la nostra vita. Quando c’eri tu, i soldi bastavano per l’affitto e per mangiare, ma da sola non riuscivo a garantirli entrambi, soprattutto non con un neonato da mantenere.»  
Emily chiuse gli occhi e cercò di cacciare indietro le lacrime: «Così presi una decisione.»
Non era il momento di mostrarsi debole.
«Dovevo trovare una famiglia che volesse adottarlo.»
Lanciò un’occhiata ad Alexander, cercando una reazione sul suo volto. Lui aveva gli occhi sgranati e ascoltava in silenzio. 
«Mi informai e trovai la soluzione migliore: potevo affidare il bambino ad una famiglia fino a che non avessi avuto le possibilità di garantire a entrambi una vita dignitosa. Era una sorta di adozione aperta che mi permetteva di incontrarlo periodicamente anche mentre viveva con la famiglia a cui era affidato.»
Strinse i denti e sentì il suo tono farsi più rigido: «Inutile dire che le cose non andarono così. La famiglia a cui fu affidato all’inizio sembrava perfetta: erano benestanti, non avevano altri figli e parevano entusiasti dell’adozione. Avrei dovuto capirlo prima, c’erano dei segni evidenti e io li avevo ignorati per convincermi che tutto andava bene. Presto cominciarono a impedirmi di vederlo, inventavano scuse e passavano anche alcune settimane prima che riuscissi a incontrarlo.»
Emily sentì una lacrima rigarle la guancia e la sfregò velocemente per cancellarla.
«Mi spezzò il cuore quando ricevetti una lettera, tre anni fa, dicendomi che, legalmente, non avrei più potuto avvicinarmi a mio figlio. Mi avevano privata del mio diritto di essere madre.»
«Non è possibile» mormorò Alexander, attonito. 
«Ero una ragazza povera e senza istruzione, loro avevano molte conoscenze e una certa influenza nelle sfere alte della città. Non avevo nessuna possibilità, Alex.»
Lui sbatté le palpebre, sbigottito, come incapace di parlare. Emily immaginò che l’avvocato in lui stesse cercando di capire come fosse stato possibile. Le guance dell’uomo erano arrossate, difficile dire se per la temperatura o la rabbia.
«Alla cena hai detto che ho costruito un bello show» riprese lei. «Avevi ragione. L’ho fatto con l’unico scopo di riportare mio figlio, anzi nostro figlio a casa. Non voglio più essere quella ragazzina impaurita e senza risorse, ho bisogno di essere questo, di essere Cassandra per poterlo avere tra le mie braccia.»
«E come hai fatto?»
Emily giocherellò con un petalo di peonia sul filo dell’acqua.
«Quello che si dice in giro è vero. Ho ricevuto un’eredità, da un fratello di mia nonna che non conoscevo». Si strinse nelle spalle: «Poi sono riuscita a farla fruttare con scelte finanziarie intelligenti».
Lanciò un lungo sguardo ad Alexander e proseguì: «Quello che ho ora è anche merito dei tuoi insegnamenti».
Lui scosse il capo: «Non avresti dovuto metterlo a frutto se io non fossi arrivato così tardi.»
«Si potrebbe dire che sei in ritardo, Alex» rispose lei, lasciandosi galleggiare nell’acqua, «o forse solo un grande stronzo.»
«Mi dispiace» mormorò lui.
Emily lo guardò con la coda dell’occhio e riuscì a leggere tutto ciò che stava pensando sul suo volto trasparente, tutto il dolore per la consapevolezza che se non se ne fosse andato o se fosse tornato prima, tutto quello non sarebbe successo.
L’idromassaggio si spense, ma nessuno si preoccupò di farlo ripartire.
«Per questo Roman insiste che noi collaboriamo» continuò lei. «Avere dalla mia parte il sindaco sarebbe decisamente utile».
«Ti aiuterò in ogni modo possibile».
Lei fece roteare gli occhi: «Sappiamo entrambi quanto valgano le tue promesse.»
«È anche mio figlio, Em, e mi dispiace davvero per tutto quello che hai dovuto attraversare. Se hai delle carte, posso cercare qualcosa».
«Ti farò sapere» lo interruppe lei bruscamente. «Ora puoi andare».
Emily notò come Alexander fu colto di sorpresa dal rapido mutamento del suo atteggiamento.
«Aspetta» le disse, «non mi hai ancora detto il suo nome.»
Lei lo fissò in silenzio per qualche istante, poi gli si avvicinò e si mise al suo fianco. Lo guardò negli occhi, nei suoi occhi color ambra, poi si chinò verso il suo orecchio e, sottovoce, gli sussurrò il nome.
 
 
 
***
 
 
 
Alexander leggeva le mail dal divano, con il portatile sulle gambe, e alle sue spalle sentiva i movimenti di Camille, mentre apparecchiava il tavolo. Si era offerto di aiutarla, ma lei aveva insistito perché si dedicasse al suo lavoro fino a che non fossero arrivati gli ospiti. 
Con il matrimonio alle porte, l’uomo aveva rallentato la sua partecipazione alla campagna elettorale per dedicarsi agli ultimi dettagli. Jefferson non aveva del tutto disapprovato questa deviazione, dato che aveva previsto un incremento di consenso dopo il matrimonio. Le foto della cerimonia avrebbero mosso i cuori di tutti e per questo dovevano essere perfette.
Il suono del campanello distolse Alexander dalla sua lettura. Si voltò verso Camille e anche lei parve sorpresa quanto lui.
«Sono in anticipo» gli disse infatti.
«Forse non sono loro, vado io» si offrì lui e si diresse verso l’ingresso.
Aprì la porta e non riuscì a nascondere il suo stupore nel trovarsi davanti Emily e Roman. 
«Cosa ci fai qui?» chiese, guardando lei. «Qualcuno avrebbe potuto vederti entrare e…»
«E pensare cosa?» replicò lei. «Che sono venuta a trovare il mio caro amico nonché il candidato che sosterrò per le elezioni? Dovresti ringraziarmi.»
Emily aveva un tono saccente e Alex intuì che l’aveva irritata per la sua accoglienza. Roman lo guardava con un’espressione serena, quasi dilettato dalla loro conversazione
«Ti ho portato le carte di cui abbiamo parlato» proseguì lei, accennando ad una cartelletta che teneva sottobraccio. 
Alexander si guardò alle spalle. Il salotto era troppo lontano per essere raggiunto dalle loro voci.
Si rivolse ad Emily: «Quelle dell’adozione?»
Lei annuì.
«Be’, puoi lasciarmeli, li guardo appena riesco.»
Emily fece una risata, guardò Roman e anche lui rise, poi tornò ad Alex.
«Sciocchino» gli disse, «credi che ti lascerei questi documenti? Toglitelo dalla testa. Possiamo accomodarci?»
Non aspettò la sua risposta e sfilò al suo fianco, con la cartelletta stretta al petto, entrando nell’appartamento. La seguì rapidamente e lasciò la strada aperta a Roman, che si accodò a loro.
Alex vide Emily percorrere il corridoio che dall’ingresso conduceva al salotto e poi guardarsi attorno, studiando l’ambiente. I suoi occhi scivolarono sui due grandi divani, sulla libreria di fronte, che incorniciava la televisione, sul grande tavolo, apparecchiato per quattro e infine su Camille, che se ne stava in piedi dietro a esso, guardando verso di loro.
«Oh, aspettate ospiti?» domandò Emily, voltandosi verso Alexander. Non c’era rincrescimento nella sua voce, quasi l’avesse detto per convenzione.
«Che piacere vederti, Cassandra» la salutò Camille con un grande sorriso sul volto. «Devo aggiungere due posti a tavola?»
«No» rispose subito Alexander. «Faremo in fretta, è per la campagna elettorale. Perché non rimani qui con Roman, mentre noi andiamo in cucina?»
Camille acconsentì subito e invitò Roman a prendere qualche stuzzichino mentre i due si spostavano nell’altra stanza.
«Perché la cucina?» gli domandò Emily, non appena si furono accomodati sugli sgabelli di fronte alla penisola. «Lo studio è troppo privato?»
«Tu non ti sei risparmiata in precauzioni, quindi preferisco seguire la tua linea» replicò lui e guardò la cartelletta in attesa che gliela tendesse.
Emily sbuffò, ma così fece.
Alexander cominciò a leggere rapidamente i documenti, sotto l’occhio di lei. Sapeva di avere poco tempo prima di cena e questo non lo aiutava a concentrarsi. Con la coda dell’occhio vedeva Emily al suo fianco, che giocherellava con i lunghi capelli sciolti e faceva dondolare una gamba, così che il suo abito frusciasse. Era tanto vicina che riusciva a percepire il calore del suo corpo e a sentire il suono leggero del suo respiro.
«Ho bisogno di più tempo per leggerli tutti» le disse, guardandola.
Lei sbatté le palpebre sugli occhi color muschio, facendo vibrare le lunghe ciglia scure.
«Ci vedremo nei prossimi giorni, se servirà» gli rispose.
Lui scosse il capo: «Servirà di sicuro, ma sarò impegnato.»
Emily corrugò la fronte e Alexander pensò che sembrava una bambina perplessa. Improvvisamente realizzò che lei non aveva ancora compiuto venticinque anni e un improvviso macigno gli schiacciò il petto. Era poco più che una ragazzina, nonostante tutto il mistero che aveva creato intorno alla sua figura, nonostante tutta l’influenza che aveva concentrato nelle sue mani. 
«Impegnato con cosa?» gli chiese.
Lui deglutì. “Mi sposo tra due giorni” pensò, ma non lo disse. Nei giorni che erano trascorsi dal loro ultimo incontro nella piscina, Alexander aveva riflettuto a lungo e aveva capito di avere due possibilità. La prima era dire tutto a Camille, - della sua storia passata, del bambino - e sperare che la sua fidanzata fosse comprensiva e decidesse al massimo di rimandare il matrimonio, senza cancellarlo. La seconda – si sentiva un verme anche solo a pensarlo – prevedeva di non dire nulla a Camille e procedere come se niente fosse. Solo con il matrimonio avrebbe acquisito i punti necessari per vincere le elezioni e solo come sindaco avrebbe potuto aiutare Emily a riprendersi suo figlio. Sapeva come funzionavano le cose a Tridell e quanto contasse una posizione di potere.
In definitiva, si trattava di scegliere tra le due donne, ma qualunque fosse stata la sua decisione, le avrebbe fatte soffrire entrambe.
Il campanello suonò nuovamente. I due tacquero, in ascolto.
Alexander sentì il chiacchiericcio soffuso e riconobbe la voce dei suoi ospiti, i signori Fairbanks. Avevano deciso di invitarli a cena per congedarsi dai loro servizi. Lui era stato impaziente per quella cena, dato che sarebbe stata l’ultima volta che i terapisti li osservavano come futuri sposi, appuntandosi cosa riferire ai Lefebvre. 
I suoi occhi si posarono su Emily e ogni possibilità di fare una buona impressione svanirono. Lei e Roman non erano decisamente persone sobrie e discrete, di sicuro avrebbero suscitato domande.
«Sono arrivati i tuoi ospiti» la giovane lo fece riemergere dai suoi pensieri.
Fece un cenno di assenso e scese dal suo sgabello.
«Non vuoi proprio lasciarmi i documenti?» tentò un’ultima volta.
Quando Emily scosse il capo, ad Alexander parve di leggere nel suo volto quasi un dispiacere a doverglielo negare. Teneva le labbra strette e si sistemava nervosamente i capelli.
«Va bene, ti accompagno alla porta.»
Lei si alzò in piedi, senza parlare e lo seguì verso il salotto.
La prima cosa che Alex notò quando entrarono nella stanza fu che Camille aveva aggiunto due nuovi posti a tavola e Roman sedeva a uno di questi. Sapeva che la sua fidanzata aveva orrore della scortesia e aveva voluto invitare i due ospiti inattesi. 
I signori Fairbanks si stavano guardando attorno con aria circospetta, mentre Camille appendeva i loro cappotti. Vide un bimbo, ipotizzò il figlio, che correva ridacchiando e barcollò verso di lui.
«Così vedremo se te la cavi con i bambini» scherzò Camille, mentre lui si abbassava per salutarlo. 
«Ciao» gli disse e il bimbo gli rispose con la mano aperta, poi tese le braccia, come per chiedere di essere preso in braccio. Alex guardò i Fairbanks e loro parvero acconsentire, così fece come il piccolo gli chiedeva.
Una volta preso in braccio, si voltò verso Emily, che era rimasta alle sue spalle, e si rese conto che era pallida come un cencio. I suoi occhi, vitrei, erano fissi sul bambino.
Alexander non ci mise molto a elaborare i dati: gli anni del piccolo, la storia che aveva sentito nella piscina, i Fairbanks, la loro amicizia con i Lefebvre, lo sguardo di Emily. 
Un profondo terrore cominciò a stringergli lo stomaco mentre realizzava che quello che teneva in braccio era suo figlio.









 
 
 
 
 
 


 




 
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