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Autore: heliodor    30/01/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Testimone
 
“Questo è contro ogni regola” disse Takis scortandoli alla cella di Falcandro. “Ci metterai nei guai con la regina.”
Gladia fece finta di ignorarlo concentrando la sua attenzione sull’erudito. Falcandro camminava con fare incerto, come se lo avesse fatto poche volte in quegli ultimi tempi.
“Saranno almeno due o tre Lune che non uscivo dalla mia cella” ammise con voce esitante.
Robern era rimasto sul tavolo, al sicuro. Per ora. Dopo che l’erudito gli aveva cosparso la ferita con la sua pozione, si era addormentato.
“Me l’aspettavo” aveva detto Falcandro.
Gladia gli aveva rivolto un’occhiata storta.
“Ho aggiunto un pizzico di dolcesonno alla pozione” aveva ammesso l’erudito. “Dormire favorirà la guarigione.”
“Quanto tempo ci vorrà?”
“Non lo so.”
“Hai detto di avere curato altre persone con la tua pozione” aveva obiettato Gladia cercando di nascondere la sua irritazione. “Quanto hanno impiegato a guarire?”
“Da un quarto di Luna a una intera. Di solito ne basta mezza. I casi più gravi impiegano anche due o tre Lune per guarire completamente. Se la guarigione avviene.”
“Quello di Dodur ti sembra un caso grave?”
“Non saprei dirti. Dico sul serio.”
“In ogni caso, ho intenzione di ripartire presto. Non posso attendere una Luna intera.”
“In tal caso, non posso garantirti la completa guarigione del tuo amico. Spostarlo adesso potrebbe compromettere la sua salute.”
“Ma hai usato la tua pozione, no? Che differenza fa se guarisce qui o altrove?”
“La differenza” aveva detto Falcandro col solito tono impersonale. “È che potrebbe non essere sufficiente una sola applicazione.”
“Ce ne vogliono altre? Quante?”
“Non lo so. Quante ne saranno necessarie. A volte basta una volta, altre cinque o sei.”
“Preparerai delle scorte che porterò con me.”
Falcandro aveva scosso la testa. “La pozione tende a deperire velocemente. E se ciò accade, può diventare un veleno piuttosto che una medicina. Potrei spiegarti come prepararle e applicarle, ma dovresti usare gli stessi ingredienti nelle medesime proporzioni. Senza contare che spesso devo variare la dose e la composizione a seconda della persona che voglio curare.”
Gladia si era accigliata
“Non reagiamo tutti allo stesso modo a questa pozione” aveva spiegato Falcandro. “Per alcuni ha un effetto immediato, per altri impiega molto più tempo o necessita di ulteriori applicazioni. Per altri non ha alcun effetto e per altri ancora, una piccola minoranza…”
“Cosa succede a queste persone?” aveva chiesto Gladia.
“La cura può rivelarsi peggio della malattia.”
“Vuoi dire che potresti aver ucciso Dodur col tuo intruglio?”
“C’è una piccola possibilità che…”
“Che cosa aspettavi a dirmelo?” aveva ringhiato.
“Pensavo che valesse la pena correre qualche rischio…”
“Dovevo deciderlo io se ne valeva la pena” aveva detto con più calma.
“Se può farti stare tranquilla, di solito la reazione infausta si verifica subito dopo aver applicato la pozione e il tuo amico sembrava stare bene. Credo che lui sia uno di quelli che può essere curato in questo modo.”
“Lo spero per te” gli aveva detto.
Mentre si avvicinavano alla cella di Igar, aveva ripensato agli schizzi appesi nella cella. “Che cosa rappresentano quei disegni?”
“Ti interessano?” chiese Falcandro ravvivandosi.
“Ti ho solo chiesto che cosa sono.”
Lui annuì. “Sono il frutto delle mie ricerche.”
Eccolo che ricomincia con i discorsi complicati. “Di quali ricerche parli?”
“Quelle sui Colossi.”
Gladia quasi incespicò nei suoi piedi. “Tu stai cercando informazioni sui Colossi?”
“Sì” ammise lui. “Li trovo affascinanti. Tu no?”
“Da quello che ho sentito, hanno distrutto Malinor e altre città.” Popoli dell’altopiano che non si erano piegati al volere di Persym e gli avevano negato aiuto e supporto. Quelle voci giravano numerose in tutti i posti che lui e Robern avevano visitato prima di giungere a Orfar.
“Anche un vulcano che esplode può distruggere una città” disse Falcandro. “Hai mai sentito parlare di Zittan? No? Venne sepolta da una densa coltre di cenere dopo l’eruzione del monte Methas. Si dice che quelli che non riuscirono a fuggire in tempo vennero trasformati in statue di cenere. Quanto vorrei vederne una.”
“Come mai ti interessano tanto i Colossi? Ti ha ordinato Skeli di fare queste ricerche?”
“No, no, alla regina importa davvero poco. È una mia iniziativa, anche se è stata una ragazzina a spingermi a interessarmene.”
“Una ragazzina?”
“La chiamavano la strega rossa o qualcosa del genere. Ha un intelletto vivo, anche se sembra distrarsi facilmente.”
Sibyl, pensò Gladia. Sibyl è stata qui. Pensavo fosse morta a Malinor e invece è sopravvissuta.
“Anche lei era più preoccupata per il suo amico ferito” aggiunse Falcandro.
“Amico?”
L’erudito annuì.
Takis fece un colpo di tosse. “Vi concedo cinque minuti” disse indicando la porta di ferro.
Gladia fece cenno a Falcandro di seguirla. L’erudito si infilò nella cella dietro di lei e si arrestò di colpo. Sembrò vacillare alla vista di Igar.
In quel momento lo stregone sedeva sul bordo del letto con la schiena dritta e la bocca spalancata. Un filo di bava gli scendeva dall’angolo destro e lungo il mento proseguiva fino al collo.
Gladia si piazzò di lato, in modo da poter osservare Falcando e la sua reazione.
L’erudito sostava a cinque o sei passi di distanza, un’espressione indecifrabile sul volto.
“Ha fatto lo stesso effetto anche a me” disse Gladia con una punta di soddisfazione.
“Ti posso assicurare che non era in questo stato quando ha lasciato la mia cella” disse Falcandro. “Posso giurartelo sugli Dei e sull’Unico, se vuoi.”
“Vorrei tanto crederti, ma è difficile farlo visto quello che è successo al povero Igar.”
“Ho guarito il suo corpo, ma non ho mai toccato la sua mente.”
“Avresti potuto farlo, se lo avessi voluto?”
“Ci sono pozioni che…” Esitò.
“Continua” disse Gladia con tono deciso.
“Conosco pozioni che possono produrre questi effetti sulla mente di un uomo.”
“Fammi un esempio.”
Falcandro scosse la testa. “Erba del Sonno, Fungo paralizzante. Persino una rana.”
“Una rana?”
“Esistono rane che emettono una specie di bava che ricopre il loro corpo. Quando un altro animale le afferra tra le sue fauci, la sostanza lo paralizza e stordisce per qualche istante, consentendole di liberarsi e scappare.”
“Non credo che Igar abbia tentato di mangiare una rana.”
“Nemmeno io” rispose Falcandro serio. “E ne servirebbero decine, se non centinaia per scatenare questo effetto su di una persona.”
“Quindi tu hai una pozione in grado di causare tutto questo?”
“Saprei produrla, sì” disse l’erudito. “Ma avrei comunque bisogno dei giusti ingredienti. E non sono di facile reperibilità, specie per me che sono confinato nel livello più basso di questa fortezza.”
“Non ti ho chiesto di discolparti.”
“Non lo stavo facendo” rispose lui con calma. “Posso esaminare Igar?”
“Lo vuoi esaminare?”
“Voglio provare a scoprire quale sostanza ha ingerito. L’effetto potrebbe essere reversibile.”
“Vuoi creare un antidoto? Come nei romanzi d’avventura?”
Falcandro annuì di nuovo. “Sarebbe possibile se sapessi quale sostanza devo neutralizzare.”
“E se ti sbagliassi?”
“Potrei ucciderlo o peggiorare la sua condizione.”
E avresti una bella scusa per eliminare definitivamente il povero Igar, pensò Gladia.
“Se te lo lasciassi fare, che garanzie avrei da te?”
“Non posso dartene.”
Almeno è sincero, pensò. “Per ora limitati a dare un’occhiata, poi valuterò.”
Falcandro si avvicinò a Igar e gli ispezionò la tunica, alzandola e abbassandola un paio di volte all’altezza del petto.
“L’Erba del Sonno provoca delle macchie viola all’altezza dei seni” disse l’erudito. “Ma qui non ne vedo.” Esaminò la bocca di Igar. “Il Fiore Nero di Izmarian provoca delle pustole sulla lingua e la caduta dei denti, ma sembra che non sia successo niente di simile.” Prese il braccio destro di Igar e lo sollevò per poi lasciarlo cadere inerte. “Il Fugo Paralizzante causa alla vittima la rigidità degli arti superiori, ma anche qui non sembrano esserci evidenze. Sicura che non si tratti di una maledizione?”
Gladia ci aveva pensato ma aveva scartato quella ipotesi. Esistevano tante maledizioni, ma di quella non aveva mai sentito parlare. La maggior parte di esse infliggevano dolore e sofferenza alla vittima in modo da fiaccarne la resistenza e la volontà. O le forze se cercava di contrastarne gli effetti.
“Non è una maledizione.”
“Devo fare un’ultima prova” disse Falcandro. “Ma ho bisogno di un oggetto adatto.”
“Che cosa ti serve?”
“Qualcosa di affilato e appuntito.”
“Come un pugnale?”
“Un coltello andrebbe bene lo stesso.”
Gladia mise mano alla cintura ed estrasse il pugnale dal fodero. Lo porse a Falcandro e l’erudito se lo rigirò tra le dita.
“Se provi ad avvicinarlo alla gola o al petto di Igar” disse con tono minaccioso. “Morirai prima ancora di rendertene conto.”
“Basterà una piccola incisione sul braccio” disse Falcandro senza tradire alcun timore per quella minaccia.
O ha un controllo perfetto di sé stesso o è un idiota, pensò Gladia.
“Io ti ho avvertito.”
Falcandro impugnò il pugnale con la mano e avvicinò la punta al braccio destro di Igar. La lama affondò nella carne per quella che poteva essere un’unghia. Una goccia stillò dalla ferita colando sulle lenzuola bianche del letto.
Falcandro fece una smorfia di disappunto. “È rosso” disse.
“Cosa ti aspettavi?”
Falcandro porse il pugnale a Gladia. “La Febbre Scarlatta fa diventare il colore del sangue di un nero lucido. Questo è rosso.”
“Preferivi che fosse malato?”
“Avrebbe reso le cose più semplici, ma se si fosse trattato davvero di Febbre Scarlatta, ora l’avremmo presa anche noi due.”
“Quindi non sai che cos’ha Igar?”
“No, ma posso scoprirlo. Con tempo e pazienza.”
“Quanto tempo?”
“Una o due Lune almeno.”
“Non ne ho così tanto.”
“Mi spiace molto” disse Falcandro senza tradire alcuna emozione.
Takis entrò nella cella. “Il vostro tempo è terminato. Ora dobbiamo proprio andare.”
Tornarono alla cella di Falcandro. Robern era ancora addormentato, il respiro regolare e l’espressione serena del volto.
“Devi proprio tenere molto al tuo amico” disse l’erudito.
Gladia distolse lo sguardo da Robern. “Non è mio amico. Non più.”
“Allora perché fai tanti sforzi per salvarlo?”
“Mi serve” rispose senza esitazione.
Falcandro annuì grave. “E quando non ti servirà più?”
Gladia non aveva voglia di affrontare quel discorso. Non lì e non in quel momento e soprattutto non con quell’erudito dal comportamento inquietante. “Prima mi stavi dicendo della strega rossa.”
“Che amabile ragazza” disse l’erudito. “Mi ha dato degli spunti interessanti.”
“Su cosa?”
Falcandro indicò i disegni appesi nella cella. “Su quelli. I colossi.”
“Li hai visti?”
“Lei, la strega rossa, diceva di averli visti.”
“Quindi è riuscita a fuggire da Malinor e raggiungere Orfar” disse Gladia. “Ben fatto. Hai detto che non era sola?”
L’erudito annuì. “C’era un amico con lei.”
“Chi?”
“Bardhian di Malinor. Così dicevano che si chiamasse.”
Gladia sussultò.
Bardhian è vivo, pensò. Questa è la migliore notizia da quando ho lasciato il campo dell’alleanza.
 “Qui non arrivano molte voci, ma se ne è parlato molto. Il suo arrivo e la sua partenza hanno creato molto scompiglio.”
Come al solito, pensò Gladia divertita.
“Lo hai visto di persona? Hai parlato con Bardhian?”
“Purtroppo, no. Mi è stato permesso di visitarlo insieme ai guaritori di corte, ma per pochi minuti.”
“Era ferito?”
“In modo grave, a giudicare dalla ferita alla testa.”
Ho esultato troppo presto, si disse Gladia.
“Adesso dov’è? È guarito? Sta bene?”
“Te l’ho detto. Sono andati via.”
“Lui e la strega rossa?”
Falcandro annuì.
“Quindi Bardhian stava abbastanza bene per andarsene.”
“Non direi proprio. La loro è stata più una fuga e non erano soli, ma prima che tu me lo chieda non ho idea di chi li abbia aiutati. La regina ha vietato a tutti di parlarne. E il principe stava molto, molto male. Non mi stupirei se scoprissi che è morto poco dopo aver lasciato Orfar.”
Vogliano gli dei che non sia così, pensò Gladia.
“Skeli non mi ha detto niente di tutto questo.”
Falcandro scrollò le spalle. “Forse non le hai fatto le domande giuste.”
“È per questo che dovrò fare un’altra chiacchierata con lei, appena mi concederà una seconda udienza” disse Gladia.
E allora le tirerò fuori tutta la verità, si disse. In un modo o nell’altro.

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