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Autore: Mary P_Stark    31/01/2020    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.
 
 
 
 
 
Le mani a coprire il volto contratto dalla contrizione, Alekos mormorò sconvolto: «Cosa ho fatto, papà? Perché non me ne sono reso conto?»

Érebos gli carezzò una spalla, asserendo gentilmente: «Non hai fatto nulla di male. Hai agito d’impulso, e questa è una cosa che andrà corretta, ma non hai commesso nulla di irreparabile.»

«Ho mancato di rispetto ai miei zii» replicò affranto Alekos, mostrando finalmente il proprio volto al genitore adottivo.

I suoi occhi smeraldini erano bagnati di lacrime, e trasmettevano tutto il suo dolore e la battaglia interna che stava combattendo.

Se si fosse unicamente trattato di una adolescenziale tempesta emotiva, la divinità Ctonia non se ne sarebbe preoccupata, ma v’era ben altro dietro a quella contrizione dolente e forse fin troppo accentuata. V’erano due entità potenti che si stavano scontrando, utilizzando il corpo di Alekos come un campo di battaglia.

Il suo potere divino – sempre più forte e dirompente – era contrapposto alla sua forza di volontà umana, più debole e fallace per sua stessa natura.

Come fosse possibile metterle d’accordo, il dio non era ancora riuscito a scoprirlo.

«Sbagliare è connaturato in qualsiasi creatura vivente, Alekos ma, per te che possiedi anche poteri divini, le cose cambiano un poco. Ognuno di noi deve soppesare bene i propri desideri e le proprie aspirazioni, perché abbiamo doni che ci permettono di ottenere molto, e senza fatica. Questo, però, può creare degli squilibri, e noi dobbiamo soppesarli con attenzione» disse il dio Ctonio carezzandogli il capo come, sovente, aveva fatto quando ancora era un bambino.

Alekos assentì cauto, ma domandò: «Quindi, è sbagliato pensare di poter sempre raddrizzare un torto, se lo si ritiene tale e se si hanno i mezzi per farlo?»

«Devi esaminare con accuratezza i pro e i contro, e valutare di volta in volta cosa voglia dire assecondare i desideri di qualcuno» replicò il dio, accigliandosi leggermente a quella domanda dai sottintesi assai vasti. «Faresti svaligiare una banca a un ladro, pur se sapessi che questo gli renderebbe la vita più facile e, magari, gli permetterebbe di sfamare un figlio e una moglie?»

«No!» esalò costernato Alekos. «Però, tenterei di fargli guadagnare dei soldi così da poter vivere rettamente.»

«E se lui non volesse guadagnarli lecitamente?»

Alekos si azzittì di fronte a quella domanda e, sospirando, reclinò il capo sul cuscino e mormorò: «Capisco cosa vuoi dire, ma continuo a pensare che ci sia qualcosa che non va nell’equazione. Tutti dovrebbero poter contare sul bene e sulla giustizia.»

«Se fosse sempre giorno, io, Nyx, Artemide o altri come noi, non esisteremmo, ti pare?» replicò enigmatico Érebos, pregandolo quindi di riposare un poco.

Alekos lo guardò dubbioso mentre il padre usciva dalla sua stanza e, con quelle parole, infine si addormentò.

Nel corridoio Érebos trovò Hypnos ad attenderlo, lo sguardo accigliato e pensieroso e, dopo aver ringraziato il figlio per averlo raggiunto, domandò: «Credi di poterlo trattenere fino a che il suo equilibrio interno non si sarà stabilizzato?»

«Non è come trattare con certe divinità zuccone di mia conoscenza, non temere» ironizzò il figlio, indicando con un cenno alla porta della stanza di Alekos. «La faccenda, comunque, è seria. Dentro la sua testa c’è un guazzabuglio infernale, e Morpheus farà una fatica del diavolo a fargli sognare prati verdi e cieli azzurri, credimi.»

Annuendo stancamente, la divinità Ctonia assentì e, dopo un ultimo saluto, osservò Hypnos svanire in una nuvola dorata.

Come doveva agire, a quel punto? Cosa doveva fare?
 
***

La luna era alta in cielo, quando Alekos uscì sul terrazzo più alto della villa per ammirare il mare e le luci del vicino villaggio costiero.

La cena che Aiolos aveva offerto loro non era stata inferiore a quella di un qualsiasi Grand Hotel di fama mondiale, e il pesce fresco cucinato alla perfezione aveva obbligato al bis più di un commensale.

Le risate si erano sprecate e, pur se Alekos si era sentito un po’ a disagio nel rivedere gli zii dopo ciò che era successo, il loro incontro era avvenuto senza drammi.

Il giovane si era scusato con Artemide e Felipe per il suo colpo di testa, ma gli zii erano stati così cari da non addebitargli nulla, e le cuginette lo avevano abbracciato forte, scusandosi a loro volta.

Tutto si era apparentemente appianato, ma ancora Alekos non si era sentito abbastanza a suo agio da rilassarsi, né con gli altri, né con se stesso e, alla fine, si era ritirato subito dopo la cena luculliana.

In quel momento, la villa era però tranquilla – gli ospiti erano quasi tutti a letto – e lui poté tornare a respirare con serenità dopo ore di tensione nervosa. Una mano poggiata tranquilla sul capo di Proioxis, Alekos scrutava il lento volteggiare di Homados sopra le loro teste.

Era talmente piacevole averli accanto che qualsiasi problema passava in secondo piano, con loro nelle vicinanze.

Quando però Aiolos lo raggiunse sulla terrazza, un po’ se ne stupì. Da quel che aveva capito, il dio dei venti e i suoi amici avevano una discreta paura delle aquile arpie, e Homados e Proioxis si trovavano con lui, in quel momento.

Ugualmente, lo vide avvicinarsi e, con un sorriso di scuse, mormorò: «Vorrei scusarmi anche con te, Aiolos. Tu ci inviti qui, e io faccio scoppiare un mezzo incidente diplomatico.»

Aiolos rise di quel commento e, dopo aver controllato che Proioxis non la prendesse come un’invasione dei suoi spazi, lo affiancò e replicò: «Credimi, ne so qualcosa di incidenti diplomatici, e il tuo non è tra questi.»

Accennando un sorrisino, Alekos domandò: «Intendi quel che successe alla tua madre adottiva?»

«Esatto, ragazzo mio. Io e Boiotos, il mio gemello, non avremmo dovuto sopravvivere ai suoi inganni, e avremmo dovuto perire per mano dei suoi figli naturali. Avere per padre un dio come Poseidone, però, ti concede certi vantaggi» gli strizzò l’occhio il dio dei venti. «Scoprire la realtà su nostro padre e su chi fosse nostra madre, ci spinse a dire la verità a Metaponto, così che potesse rendersi conto delle molteplici bugie di Teano. Questo, come immaginerai, scatenò non poco caos, alla corte del nostro padre adottivo.»

«Fu un incidente diplomatico coi fiocchi» ammise Alekos. «Mettere in piazza simili segreti è tutt’ora sconveniente… figurarsi all’epoca!»

«Decisamente, ma questo ci portò a conoscere la verità su noi stessi e, per quanto mi sia spiaciuto non poter condividere l’immortalità con Boiotos, riesco a convivere abbastanza bene con il ricordo di lui e di ciò che seppe darmi come fratello.»

«Deve mancarti molto» mormorò Alekos, spiacente.

«Come nessun altro, ma ho i miei amici, qui con me e, anche se li ho condannati a questa vita segregata a causa di un mio errore di valutazione, spero di aver contribuito con i miei sforzi a rendere loro la vita il migliore possibile.»

Alekos mormorò: «Da un grande male, è comunque giunto del bene.»

«Esatto. Le due cose non si escludono a priori e anzi, di solito vanno di pari passo» dichiarò Aiolos con un sorriso. «E’ più che evidente che oggi, con il tuo gesto, volessi rendere felici quelle bimbette, ma non hai tenuto conto della reazione di quell’isterica di Artemide. Mi domando ancora come faccia Felipe a sopportarla.»

Alekos rise sommessamente e Aiolos, dandogli un colpetto con la spalla, aggiunse: «Da un grande bene, però, può anche venire del male. In sostanza, anche se si vuole fare una cosa buona, si può finire per fare un casino. Perciò, vale la pena fermarsi un attimo a soppesare le cose.»

«E dire che mi reputavo abbastanza adulto da averle ormai capite, certe dinamiche eppure sembra che, ogni tanto, il mio cervello vada in tilt» si irrise il giovane, scuotendo il capo per l’imbarazzo.

Aiolos allora rise, e replicò: «Ehi, ragazzo! Io non ho ancora imparato adesso!»

Alekos gli sorrise divertito e il dio dei venti, tornando serio, aggiunse: «Non voglio ficcare il naso negli affari tuoi e chiederti cosa sta succedendo, perché sei grande abbastanza per avere il diritto di tenere per te i tuoi segreti. Ti dico questo, però. Concediti il lusso di sbagliare, ogni tanto, e prenditi anche del tempo per respirare e stare un po’ per i fatti tuoi. Non è necessariamente detto che tu debba, sempre e comunque, pensare al bene collettivo o a ciò che secondo te va raddrizzato. C’è anche il tuo, di benessere a cui pensare. E mi sembri un tantino teso, se me lo concedi. Devi rilassarti un po’.»

«Forse hai ragione… ma mi viene spontaneo pensare a come sistemare al meglio le cose» sospirò Alekos, carezzando il capo di Proioxis con fare distratto.

«Capisco» mormorò il dio, sollevando turbato un sopracciglio nel notare il totale servilismo dell’arpia. «Senti cosa facciamo. Domattina diciamo ai ragazzi di darci dentro col vento, così ti mando a spasso con il parapendio e con queste due ragazzone troppo cresciute, va bene?»

«E dopo chi le sente, Buffy e Xena?» ironizzò Alekos.

«L’hai rifatto» ammiccò Aiolos, dandogli un colpetto alla spalla con un pugno. «Pensa a te, per una volta. Alle bambine troveremo altro, da fare. Promesso.»

«Andata» accettò a quel punto Alekos, lanciando poi un’occhiata a Proioxis che, al suo assenso, si involò per raggiungere Homados.

Aiolos ne seguì il volo con fare pensieroso e, tra sé, si domandò quanto Eris fosse al corrente della sottomissione delle sue arpie ai voleri di Alekos. Si era resa conto di ciò che stava accadendo?
 
***

Come promesso, Zéphyros generò correnti ascensionali tali da permettere ad Alekos di levarsi in volo con il parapendio, mentre gli altri venti controbilanciarono quella variazione barometrica intorno all’isola.

Zeus avrebbe tagliato loro la testa con gran diletto, se avessero combinato altri guai perciò era vitale che, nel mondo umano, non vi fossero ripercussioni di nessun genere. Ormai avevano imparato bene la lezione.

Sotto gli occhi attenti della madre e quelli divertiti di Felipe, Alekos si librò quindi in volo e, assieme a lui, Homados e Proioxis si involarono per tenergli compagnia.

Da quella prospettiva del tutto privilegiata, Alekos poté finalmente godersi il panorama dell’isola visto dall’alto, oltre alla visione dell’arcipelago delle Eolie e del mar Tirreno.

Il suo cuore si fece via via più leggero, le pulsioni contraddittorie andarono scemando e, infine, nella sua mente ricomparve il sereno. Non si era neppure reso conto di aver avuto una tale confusione mentale eppure, quando si trovò lassù, tutto gli divenne più chiaro, come se un velo fosse venuto a mancare.

Le arpie gli tennero compagnia durante i suoi volteggi e, mentre manovrava il parapendio per far perdurare il più possibile il volo, Alekos sentì un nuovo desiderio sorgere dentro di sé.

Aiolos aveva ragione; stava perdendo di vista il senso reale delle cose. Dare sempre voce ai suoi istinti divini, e cercare di portare ordine laddove vedeva caos, non sempre era giusto o corretto. Doveva porsi dei limiti, o avrebbe finito col fare del male a qualcuno.

Anche a se stesso, a quanto pareva. Doveva badare anche ai propri bisogni, alle proprie richieste personali.

Passare del tempo unicamente con la famiglia, lasciarsi travolgere dai drammi personali di ciascuno di loro e, più di tutto, essere determinante nel dirimere le mille questioni che gli si erano presentate innanzi, era stato snervante.

Ora se ne rendeva conto.

Per quanto li amasse tutti, sapeva anche riconoscerne i difetti, e questi avevano pesato molto più del previsto, sulla sua salute.

Forse, dopotutto, il disagio crescente che sentiva dentro di sé aveva origine da lì. Era più che probabile che gli fosse venuto un esaurimento.

Sorridendo tra sé, si disse che avere a che fare con le divinità greche – e i loro capricci – poteva davvero prosciugare le energie di chiunque e, molto probabilmente, un po’ di tranquillità avrebbe risolto ogni cosa.

Quando infine toccò terra, dopo almeno quaranta minuti di volo libero e leggermente pilotato da Aiolos e il suo dominio sui venti, Alekos sospirò soddisfatto e pacificato. Levando poi il viso verso il cielo terso, si perse in contemplazione delle sue due compagne di volo e, nel vederle così libere da freni, prese la sua decisione.

Sì, si sarebbe preso una pausa. Da tutto.

Dall’università – dopotutto, un anno sabbatico poteva servire a tutti, no? Anche a un semidio come lui – dalla vita quotidiana, dai soliti problemi delle divinità di sua conoscenza, da ogni forma di ansia, insomma.

Avrebbe trovato un posto dove rifugiarsi e lì avrebbe ritrovato l’equilibrio perso.

Quando infine vide giungere Nótos con la sua jeep, Alekos raccolse il parapendio ripiegandolo diligentemente e il vento del sud, sorridendogli, dichiarò: «Davvero un bel volo. E mi assicuri che era il tuo primo lancio?»

«Assolutamente» assentì il giovane.

«Beh, ci sei portato, ragazzo» dichiarò il vento del sud, caricando il parapendio nel baule mentre Alekos saliva in auto.

Le arpie lanciarono il loro stridio e, diligenti, si involarono nuovamente verso la villa di Aiolos.

«Tu dici?» commentò Alekos, osservandole con aria persa.

«Dico che, se tua madre è d’accordo, potresti rimanere un po’ qui con noi e diventare un esperto» gli strizzò l’occhio Nótos, sorprendendolo.

«Come sai che…» tentennò il giovane, non sapendo come esprimersi.

«Abbiamo la vista acuta, e sappiamo riconoscere una persona in gabbia, visto che noi ci viviamo da un sacco di tempo» gli fece notare l’altro, guidando lungo la provinciale con scioltezza, quasi conoscesse ogni minima asperità.

«Dici che ho l’impressione di essere… in trappola?»

Nótos assentì, dichiarando: «Per quanto tu voglia bene a una persona, arrivati a un certo punto avrai bisogno di crearti i tuoi spazi, entro cui muoverti più liberamente. Tu sei un semidio dotato di grandi poteri, e non sei come un comune mortale che ha esigenze e visioni limitate. Tu vedi più in grande, per così dire, e scorgi le cose prima degli altri perché non sei confinato dalla tua età anagrafica e, quindi, dalla lentezza del cervello umano nell’apprendere le cose.»

Alekos annuì suo malgrado. Per quanto gli fosse piaciuto intraprendere gli studi e farsi degli amici umani, era stato difficile mascherare il suo sapere e la sua rapidissima capacità di apprendimento.

Certo, avrebbe potuto fare come alcuni ragazzini reputati geni per il loro Q.I. elevatissimo, ma questo gli avrebbe precluso diverse avventure con i suoi coetanei. Lasciarsi andare al tran tran scolastico era stato bello, per quanto limitante, ma ora voleva fare un passo in più in un’altra direzione.

Solo, non sapeva ancora quale.

«Hai bisogno di slegare l’asino, come dicono qui in Italia, e lasciarti alle spalle i luoghi in cui hai vissuto finora. Non dico che devi dire ‘ciao ciao’ a mamma e papà ma, ormai, devi crearti un tuo nido in cui brillare solitario» proseguì nel dire il vento del sud, scrollando una spalla. «Pensa a tua madre… anche lei se ne andò dall’Olimpo per gli stessi motivi. L’Olimpo cominciava a starle stretto.»

«Anche Aiolos mi ha detto qualcosa del genere. Che ho bisogno di staccare un po’ la spina da tutto» ammise Alekos, guardandosi intorno con espressione pensierosa. «Capisco cosa vuoi dire, in merito al mio essere più… vecchio della mia età, e diverso da chi mi circonda. Mi ci sento, spesso e volentieri, e questo mi confonde. Il fatto di aver terminato parte degli studi umani mi è di conforto, in un certo senso, perché era diventato sempre più difficile, per me, rapportarmi coi miei compagni di scuola, per quanto molti di loro mi stessero simpatici.»

«Visione limitata, data dalla loro umanità, contro visione illimitata, data dalla tua immortalità» assentì Nótos. «E’ una bella grana, niente da dire.»

Alekos assentì e, quando vide all’orizzonte il profilo della villa, mormorò: «Chiederò a mia madre se posso restare un po’ di più.»

«Ben detto, ragazzo.»
 
***

Accomodati su comode poltrone da giardino sull’ampia terrazza della villa, Aiolos ammirò volteggiare Alekos e le due aquile, mentre Athena armeggiava nervosa con un laccio della sua camicetta, chiaramente a disagio.

Sorridendole da sopra una spalla, il dio dei venti disse: «Non si schianterà neanche volendo. Sto controllando i poteri di Zéphyros con grande maestria, sappilo.»

Athena sorrise appena, annuendo, ma ammise: «Non apprezzo neppure quando sale su un’auto da corsa, se è per questo, quindi non fare caso a me.»

«Oh… dai kart, siamo passati alle auto? Nascar, o rally?» domandò incuriosito il dio.

Sospirando, la dea mormorò: «Entrambe. Il problema è che ora vuole guidare da solo, senza l’aiuto di Alessandra, la moglie di Achille, e la cosa mi turba. Finché c’era lei, al suo fianco, mi sentivo più o meno tranquilla, per quanto Alessandra sia solo un’umana. Ma ora…»

Aiolos annuì, facendosi cupo in volto e, tornando con lo sguardo al parapendio che volteggiava leggero nel vento, asserì: «Ho proposto al tuo ragazzo di staccare un po’ e di venire da me. Nótos glielo accennerà a sua volta, quando lo andrà a prendere.»

«Perché hai…» iniziò col dire Athena, prima di sentirlo proseguire.

«Athena, quel ragazzo ha bisogno di pace mentale, e non può averla a casa con te. Non fraintendermi, sei una madre eccellente ed Érebos è il migliore dei padri ma, tra le baruffe delle bambine, le crisi di Era e Zeus, i capricci di Ares e le tirate di Afrodite con la faccenda di Acaste, Alekos ha accumulato stress da vendere.»

Athena sospirò, annuendo suo malgrado.

Sapeva benissimo che la sua era la famiglia caotica e confusionaria per eccellenza e, per un giovane dall’animo buono e i poteri di Alekos, poteva davvero essere un supplizio sopportare certe situazioni.

Ugualmente, si sentì inadeguata a detenere il ruolo di madre, quando udì le parole di Aiolos.

«Non dico che venire qui sarà la soluzione a tutti i suoi mali, ma potrebbe… rallentare ciò che sta avanzando dentro di lui come un diluvio» le spiegò Aiolos, turbato.

«Te ne sei accorto anche tu?» esalò la dea, un po’ sorpresa.

Aiolos le sorrise con gentilezza, asserendo per contro: «Athena, credimi… sono un bonaccione, e lo sai, ma certe cose si notano. E io ho già commesso una volta un errore madornale, lasciando che i segni premonitori della sventura mi passassero davanti senza vederli, perciò tento sempre di far schivare ad altri i propri, se posso.»

Lei gli sorrise indulgente, replicando: «Sei sempre stato libero come il vento che governi, lo so, e sono sicura che quanto successe quella volta non dipese tanto dalla tua negligenza, quanto dal fatto che il tuo cuore non accettava di frenare i tuoi amici.»

«Esatto!» ridacchiò lui, prima di tornare serio e aggiungere: «Non so da cosa dipendano i problemi di Alekos, e accetterò il tuo silenzio in merito, credimi, ma sono convinto che un cambiamento d’aria gli farà bene. Acaste non avrebbe problemi a raggiungerlo qui, e così tutti i suoi amici immortali. Ma ti sconsiglio di proporla come opzione. Ha bisogno di spazio.»

«Anche da me» mormorò lei, con aria sconfitta.

«Il vostro legame, in effetti, un po’ lo limita. Ha una paura tremenda di deluderti, vero?» le sorrise spiacente lui.

Lei assentì e Aiolos, sorridendo tra sé e sé, ammise: «Mi piacerebbe aver avuto un simile rapporto con mia madre, puoi fidarti della mia parola. Si vede lontano un miglio che tuo figlio ti adora. Alekos ha avuto la possibilità di crescere con te, come a me e Boiotos non capitò con Melanippe, e questo non glielo toglierà mai nessuno. Inoltre, la presenza di Érebos gli ha dato stabilità e sicurezza… ma ora ha bisogno di capire chi è.»

«Da solo» sottolineò Athena.

Lui assentì, domandandole: «Riuscirai a sopportarlo?»

«Sei stato padre anche tu… non avresti fatto di tutto, per i tuoi figli?» ironizzò Athena.

«Ovviamente» ammiccò Aiolos, prima di udire del baccano provenire dabbasso.

Sorridendo quindi divertito quando udì il cinguettio delle voci delle gemelline, celiò: «La Banda Bassotti è tornata.»

Athena scoppiò a ridere di fronte al doppio-senso nascosto in quella battuta – chiaro riferimento a una banda di malviventi dei fumetti di Topolino, ma anche all’altezza delle bimbe a cui si riferiva il commento ironico – e, nell’alzarsi, disse: «Secondo me, a Érebos dovrebbe essere passata la voglia di accompagnare quelle pesti in giro per negozi assieme alla madre. Tu che dici?»

Felipe, rimasto in silenzio fino a quel momento per permettere ad Athena di confrontarsi con le idee di Aiolos, ammiccò a quel commento e asserì: «Poco ma sicuro. Ancora mi stupisco che si sia offerto volontario.»

Ciò detto, si alzò dal divanetto dov’era rimasto assiso fino in assorta contemplazione del volo di Alekos, la abbracciò e disse: «Dai ascolto ad Aiolos. Qui starà bene, e gli servirà per stare meglio.»

«Me lo dite tutti, perciò non potrò che accettare» sospirò la dea, annuendo.

Prendendola sottobraccio, Felipe la accompagnò dentro casa per dare il bentornato a tutti e Aiolos, attardandosi un poco sulla terrazza, mormorò tra sé: «Speriamo che basti, perché altrimenti non so cos’altro potrebbe aiutarlo.»

Moros scelse proprio quel momento per comparire sul terrazzo e Aiolos, sobbalzando tremebondo, si portò una mano al cuore ed esalò contrariato: «Cristo santissimo! E’ già la seconda volta che mi compari davanti così! Ti vuoi far annunciare, una buona volta?! Basta anche un campanellino alla caviglia… ma fa qualcosa!»

Il dio non badò minimamente alle sue parole irritate e avanzò come una folata di vento gelido fino ad approssimarsi a lui, facendo rabbrividire ulteriormente Aiolos.

«Vedo che hai colto appieno le mie parole. Ben fatto» esordì Moros, sistemandosi distrattamente il mantello nerofumo.

«Non che mi avessi lasciato molte alternative a cui appellarmi. Mi dicesti che Alekos doveva allentare i suoi vecchi legami per crearne di nuovi. Non avevo molte variabili, ti pare? Gli unici legami che ha sono con la sua famiglia, per cui…» brontolò Aiolos.

«Avrei potuto intendere anche i suoi legami con gli umani» replicò Moros, pacifico.

«Non l’avresti detto a me, allora, ma ad Achille, o a chi per lui. Di’ piuttosto che stai seguendo con particolare attenzione le sorti di quel ragazzo. Almeno secondo i tuoi standard, la cosa è alquanto sospetta» sottolineò Aiolos, sfidandolo con lo sguardo.

Lo aveva spaventato a morte vedersi comparire innanzi la figura di Moros, meno di due settimane addietro e, per un attimo, aveva temuto per se stesso e per i suoi amici.

Quando, però, il dio gli aveva parlato di Alekos, figlio di Athena, se n’era stupito non poco.

Pur essendo amico di lunga data di Athena, non era di certo tra i suoi parenti più stretti e, anche se grazie a Hermes conosceva vita, morte e miracoli di tutti, gli era parso strano che Moros avesse rivolto proprio a lui quel monito.

Riflettendoci a mente fredda, e avendo avuto anche l’occasione di parlare con Alekos stesso, aveva infine compreso la manovra di Moros.

Proprio perché al di fuori della cerchia più ristretta e intima dei famigliari di Athena, lui poteva fare ciò che ad altri sarebbe risultato impossibile. Offrirgli una via di fuga dal caos che lo circondava solitamente e che, a quanto pareva, aveva contribuito a creare degli squilibri nel giovane.

Moros si accigliò alle parole profferte da Aiolos, ma ugualmente non disse nulla.

Il dio dei venti, però, non demorse e continuò dicendo: «Non ti sei mai spinto a ficcare il naso a questo modo, né a dare indicazioni così chiare e di facile interpretazione in merito al futuro di una persona, perciò ti richiedo; perché, con Alekos, stai facendo un’eccezione?»

Sbattendo le palpebre, Moros si ritrovò a passarsi una mano sul volto, borbottando contrariato: «Non sono affari che ti riguardano. Limitati a fare ciò che hai deciso.»

«Bella pretesa, la tua! Non sei Zeus, e nemmeno un qualsiasi Padreterno di altri pantheon, perciò abbi almeno la gentilezza di chiarire questo mio dubbio!» sbottò Aiolos.

Moros lo fissò malamente e asserì piccato: «Zeus non avrebbe dovuto rinchiudere solo i quattro venti, ma anche te, a suo tempo. Sei indisponente con chi ti è superiore.»

«Mai detto di essere un bambino obbediente. Quanto ai miei amici, non li conosci abbastanza per dire se meritassero o meno una simile punizione» sottolineò per contro Aiolos.

«Mi stupisce che Zeus li abbia liberati dalle giare, piuttosto» ironizzò sarcastico Moros. «Forse, avanzando con l’età, si è rammollito.»

«Cosa credi che sia, questa villa, se non una gabbia?» protestò amaramente Aiolos, lasciando però del tutto imperturbato Moros. «La villa è come una gabbia di Faraday, e…»
Bloccandosi a metà della frase, Aiolos sgranò gli occhi di colpo ed esalò: «Lo sapevi! Per questo hai chiesto proprio a me di fare qualcosa per Alekos. Ipotizzi che questo posto possa tenerlo al sicuro, almeno per un po’.»

Moros ancora non disse nulla, gli occhi imperscrutabili e fissi in quelli chiari e brillanti di Aiolos che, a quel punto, sospirò e disse: «Lasciamo perdere. Mi limiterò ad aiutare il ragazzo, sperando che basti.»

Fu solo in quel momento che la maschera imperturbabile di Moros ebbe un cedimento e, con un sospiro tremulo, ammise: «Non basterà… ma servirà a far guadagnare tempo a chi di dovere.»

Ciò detto, svanì in uno scintillio oscuro e Aiolos ristette solo sulla terrazza, in compagnia dei suoi dubbi. Cosa diavolo aveva voluto dire, con quelle ultime parole?


 

N.d.A.: se la faccenda ha preoccupato persino Moros - di solito imperturbabile -, spingendolo ad agire in prima persona per mettersi in contatto con Aiolos, quanto potrà essere grave, il problema di Alekos? E soprattutto, di che problema si tratta, in realtà?
Ovviamente, dovrete aspettare ancora un po', prima di scoprirlo.
A presto!
  
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