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Autore: heulwen_mai    02/02/2020    6 recensioni
Post 14 luglio. Oscar è sopravvissuta, André è sopravvissuto, non tutto è rose e fiori.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Bernard Chatelet, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Li vede arrivare dalla sua postazione alla finestra, dalla feritoia tra gli scuri. Le truppe alleate in un attimo di acuta delusione preventiva si confondono in mezzo all’andirivieni della stradina, per poi riemergere miracolosamente.

Rosalie, vestita di rosa come il vento a primavera; e suo marito Bernard, che ogni pochi passi viene fermato da qualcuno: chi gli batte una manata sulla spalla, chi lo chiama ad alta voce- cittadino! Lui si ferma, con una parola per tutti, rispondendo ai saluti e ammirando le foglie appuntate sui cappelli. Ha in mano una pentola, che lo priva di parte della sua gravità abituale, e che gli irrigidisce le spalle e il passo. Dalla mescita di fronte due o tre ubriachi molto allegri lo incitano al discorso, ma lui prosegue inarrestabile dietro Rosalie come verso un più alto richiamo.

 

Il cuore di Oscar dà uno strattone e prende a batterle nelle orecchie, nella gola, come se avesse deciso improvvisamente che ne vale la pena. Il sangue le corre nelle vene a rianimare i muscoli delle gambe, e le trova la forza di correre nella stanza principale, dove Alain sonnecchia sul letto, e André centellina il contenuto della sua bottiglia di metà giornata mentre alza a malapena lo sguardo vuoto in direzione dello scalpiccio di lei. E finalmente- finalmente!-la penombra asfissiante viene trafitta da una lama di luce quando Oscar, senza aspettare che bussino, apre la porta per vederli salire le scale.

 

“Oscar!” sibila Rosalie vedendola, “restate dentro!”

 

Ha tra le braccia un involto di stoffa, e Oscar trema all’idea di quello che ci troverà dentro quando Rosalie glielo consegnerà per farglielo aprire. Un’emozione forte da farle quasi dare di stomaco- quasi, perché oggi non ha ancora mangiato niente.

 

Nell’entrare, Bernard fissa con disappunto le sue gambe nude, poi lancia uno sguardo a Rosalie. A Oscar non sfugge, quello scambio- quasi si riflettesse in esso come in uno specchio che le mostra l’immagine di una donna allampanata e indecente, un relitto umano da Salpetrière. Ma ecco che sono già dentro, al centro della scena, dove André cerca senza successo e senza entusiasmo di mettere a fuoco le ragioni del trambusto improvviso mentre Alain è già scattato in piedi come per un’ispezione della camerata. Bernard saluta tutti con voce ferma e compunta, la voce di chi sa improvvisare un’arringa. Oscar non lo ha visto, al Palais Royal, ma per strada c’è ancora chi ne parla.

 

 

 

La pentola viene immediatamente messa a scaldare, aggiungendo calore all’aria già umida e soffocante. L’odore di cibo ha la meglio su quello di muffa e di sporco, e gli animi si risollevano.

 

Rosalie ha lasciato cadere l’involto misterioso sul letto di Alain come una cosa di poco conto, e non ha accennato ad esso in nessun modo, ma Oscar ci finisce sopra con gli occhi e con la mente ogni pochi secondi, dividendo la propria attenzione tra quello e la minestra che sta bevendo. Non è pane bianco, ananas o cioccolato- ma si accorge di averne fame. E’ stanca delle uova crude sbattute che Alain propina tutti i giorni, senza sale e senza pane. E’ stanca dell’espressione di André quando lei gli dice non lo voglio, non ho fame. Alain è stato vicino a tirarle un ceffone o due, in questi giorni: fa il gesto, poi guarda in direzione di André. C’è un’alleanza tra loro, una comunione che esclude Oscar, ma che difficilmente sopravviverebbe se lui la colpisse- André non approverebbe, e quello che André non approva, Alain non lo fa. Si limita a dirle di mangiare come vuole suo marito, e Oscar risponde con ostentata indifferenza che André non è suo marito. André allora trasalisce, e lei sa di averlo ferito.

 

Siete proprio una stronza, dice allora Alain, guardate come state riducendo quell’uomo. Ma non insiste mai oltre, anche se poi torna alla carica quando si ripresenta l’occasione.

 

 

 

Rosalie fa come a casa propria: ordina ad Alain di procurare una bacinella e spedisce Bernard- che nel frattempo si è già messo in maniche di camicia- a prendere acqua dalla fontana nel cortile. Gli fa fare e rifare le scale fino a quando non reputa che la bacinella sia sufficientemente piena, e lui le obbedisce, dimentico di essere il cittadino Châtelet, quello che incita le folle dall’alto di un tavolo.

 

“Dovete lavarvi,” dice Rosalie senza cerimonie. “La casa è un porcile, e siete tutti sporchi. Avanti, Alain per primo.”

 

Nessuno trova niente da ridire, anche se Alain alza gli occhi al cielo e fa la faccia infastidita – la scarsa igiene non lo turba, ora come quando viveva in caserma. Mentre André- questa nuova versione di André- acconsente incolore. Oscar cerca per un secondo, in quell’espressione neutra e vacua, la gioia che si sarebbe ragionevolmente attesa da André il ragazzo ordinato e ben pettinato di una volta. Ma tanto la delusione del non ritrovarlo ormai non punge neanche più.

 

 

 

Arriva infine anche il turno di Oscar, che è rimasta nel suo angolo a fantasticare sulla divisa che ha a portata di mano. Ne immagina già il peso tra le braccia- è stoffa buona, fresca al tatto, un po’ pesante nel caldo dell’estate. La tentazione è quella di indossarla e non toglierla più. Dormirci, anche. Per non farsi cogliere impreparata: in un modo o nell’altro, la morte la troverà con addosso la sua divisa.

 

I tre uomini se ne vanno alla mescita e le lasciano sole- Alain in testa e tutto pimpante, André cieco e restio trascinato da Bernard. Oscar guarda la porta che si chiude, inghiotte la voglia che ha di rincorrerli così com’è, seguirli nella strada al sole. Essere ubriaca fuori di lì, divisa o no, come l’epitomo della libertà più spensierata, come la fantasticheria di un soldato prigioniero in terra straniera. Se non fosse così stanca...

 

Rosalie non le lascia il tempo di sviluppare la fantasticheria (di aggiungere più particolari, e più belli: uscire in divisa, farsi riconoscere- quello è l’ufficiale! L’ufficiale che davanti alla Bastiglia...). Pratica e prosaica come solo una donna, le ordina di svestirsi e poi distoglie lo sguardo in un eccesso di pudore. Oscar sa cosa leggere in quel gesto- ma sono passati molti anni, e anche la piccola Rosalie adesso è sposata con un uomo.

 

Torna a guardarla solo una volta che Oscar si è calata nell’acqua fredda e opaca, che dovrebbe farle schifo. Niente a che vedere con quella bollente e limpida che le farebbe preparare la tata Marie nelle cucine di palazzo Jarjayes. Ma sempre di acqua si tratta, e Oscar è un soldato. Si insapona tenendo d’occhio il fagotto ancora immobile sul letto.

 

Fa molto caldo, quest’estate, eppure Oscar batte i denti mentre Rosalie comincia appena a versarle sulla testa un po’ dell’acqua rimasta nel secchio, troppo fredda per essere piacevole. Coperta di pelle d’oca, attraente quanto una gallina spennata- chissà come la vede Rosalie in questo momento?

 

L’acqua viene brevemente messa sul fuoco e poi riversata come una carezza sui suoi capelli insaponati. E’ così bello essere puliti, scaldati, accuditi con sollecitudine- è uno scorcio d’infanzia. Le piacerebbe avere ancora la salute per arrampicarsi sugli alberi, fare a botte e a rincorrersi, macchiarsi le calze e infradiciarsi le scarpe, sapendo che qualcuno penserà a renderla nuovamente intonsa e pronta per altri giochi. Per un lungo, lucido istante, non ricorda più perché avesse avuto tanta fretta, allora, di imparare gli usi e i costumi dei grandi, le loro guerre e le loro vite meschine.

 

Un tocco gentile le sfiora la gabbia di costole sulla schiena, facendola rabbrividire più che mai, ma in modo piacevole. E quindi viene avvolta in un telo e fatta sedere a tavola con una seconda porzione di minestra davanti.

 

Rosalie la guarda mangiare con aria materna. Deve essere una brava moglie, si dice Oscar, e un giorno magari sarà anche una brava madre- che è un pensiero dolce, che gliela fa piacere ancora di più, questa versione inedita della bambina irruenta e piagnucolona che ha conosciuto secoli fa; questa giovane dalla corporatura solida, le mani arrossate e lo sguardo fermo, che ha scelto di passare i propri giorni a mitigare col proprio buonsenso gli slanci incendiari di un rivoluzionario. Fortunato Bernard.

 

Ma la cosa a cui pensa di più è la sua divisa, e quando Rosalie prende il fagotto con cui è arrivata, Oscar sta già fremendo di anticipazione. Vederla mentre lo apre sul tavolo è come vedere un amante a lungo desiderato che si spoglia capo dopo capo.

 

“Sapevo che non avevate abiti della vostra taglia, qui da Alain. Così ho detto a mio marito: dobbiamo portare da vestire a madamigella Oscar…”

 

Oscar annuisce, tendendo il collo verso i lembi di tessuto che Rosalie sta slegando. Di nuovo, ecco quella frenesia, quel bollore nel sangue. La sua divisa, riparata dello strappo sul braccio (un proiettile che l’ha sfiorata, non saprebbe dire quando o come, mancando il bersaglio), pronta per lei, per la sua partenza da questo limbo dove tutto è strano e sbagliato...

 

Poi la giacca che Rosalie solleva per esporla al suo giudizio (raggiante piccola Rosalie, la sua espressione contagiosa di compiacimento non cambierà mai) appare, ed è verde e lisa. Oscar trattiene il respiro per un secondo, la sensazione di qualcosa che le sfugge dalle mani e precipita verso un fondale dove non le riuscirà più di recuperarlo.

 

“Sono di Bernard.” La giacca viene dispiegata sul tavolo, poi un paio di braghe, calze rammendate cinquecento volte e una camicia ormai ridotta alla consistenza della garza. “E’ più basso di voi e più robusto… forse vi staranno un po’ larghi...”

 

“Speravo avessi finito con la mia divisa.”

 

Rosalie rivolge tutta la propria attenzione ai vestiti sul tavolo. Toglie pelucchi invisibili dalle braghe, marroni, lucide sul sedere come la giacca è lucida sui gomiti. A palazzo Jarjayes Oscar ha tanti abiti, ordinatamente riposti negli armadi e nelle cassepanche. In mancanza della divisa si accontenterebbe della giacca da viaggio color ruggine, robusta e senza ricami, quasi rustica, ma ancora bella. Chi li vuole, i vestiti di Bernard?

 

Eppure, quando Rosalie le tende in silenzio la camicia pulita, Oscar se la infila. Poi fa lo stesso con il resto, fino a quando l’unico capo a mancarle sono le scarpe- ma forse quelle sarebbero chiedere troppo. André la vorrebbe vestita da ospedale, e sarà già molto se non approfitterà della sua debolezza per svestirla di nuovo.

 

“State proprio bene, Oscar.” Le aggiusta il colletto, liscia la spalla. Oscar la immagina fare altrettanto ogni mattina, un gesto automatico, magari seguito da una parola tenera o da un bacio sulla guancia.

 

Al momento non ricorda se André l’abbia mai baciata sulla guancia.

 

 

 

A casa in estate c’erano giorni caldi come questo, luminosi come questo, in cui Oscar rimaneva sdraiata su di un divano nel salotto, con un libro posato aperto sullo stomaco. Pensava a posti lontani, imprese eroiche, riconoscimenti pubblici. Era una ragazzina.

 

André, anche lui ragazzino, le portava la limonata. Parlavano delle cose che lei stava studiando- tomi epurati, che esibivano a suo uso e consumo un mondo squadrato e regolare rispecchiante la realtà precisa, pulita e ben organizzata della casa del Generale. Intorno a loro, i rumori rassicuranti e smorzati della vita di ogni giorno.

 

Rosalie rassetta senza parlare. Ammucchia le stoviglie usate sul tavolo, getta l’acqua della bacinella lungo le scale. Stesa sul letto di Alain, Oscar guarda il cielo irraggiungibile e respira rumorosamente. Soffoca i colpi di tosse. Ascolta la strada.

 

“Oh, Gesù,” dice Rosalie quando la voce di suo marito si alza stentorea da basso.

 

Dovremo vincere, o morire.

 

Parla sempre così, Bernard. Grandi dichiarazioni e tono impostato.

 

La sorte toccata a Oscar de Jarjayes è invidiabile-

 

In preda al capogiro, Oscar riconosce il nome come se fosse quello di una vaga conoscenza con la quale da tempo ha perduto i contatti. Rosalie invece si fionda in ginocchio sul letto e si affaccia.

 

- egli è morto, ma è morto vincitore.

 

“Bernard!”

 

“E’ morto?” chiede Oscar. Si alza a sedere, scosta Rosalie dalla finestra e nella strada non vede altro che un piccolo gruppo di avventori perlopiù già imbibiti a dovere, e un oratore che alza gli occhi verso di lei con aria mortificata. Poi Rosalie la trascina giù.

 

“Mio marito è uno stupido,” le dice sull’orlo delle lacrime; nella testa di Oscar qualcosa si mette in moto per unire tutte quelle informazioni incomprensibili- Oscar de Jarjayes morto e vincitore, Bernard che sa di aver parlato a sproposito, le lacrime di Rosalie. Non capisce nulla, brancola in una nebbia torpida e istintivamente cerca di trarre dei respiri profondi, con la rabbia che le bolle nelle vene priva di direzione come quella di un toro.

 

“Devo parlare con André,” dice alzandosi in piedi. Il sangue le è defluito dalla testa, lasciandole una maschera al posto della faccia. Quando Rosalie la afferra per un polso, cerca di divincolarsi. Ha paura che se si lasciasse trascinare giù sul letto, poi non avrebbe le forze per rimettersi in piedi. La furia che la sostiene posa su fondamenta instabili.

 

“Madamigella...”

 

Rosalie si rifiuta di lasciare la presa. Oscar tira in direzione della porta, e lei la segue tirando in senso contrario.

 

“Lasciami!” le grida contro, esasperata. Ci sono altre cose che vorrebbe gridare, se ne avesse il fiato sufficiente- non sono morta, non avete il diritto. Voglio andare via da qui.

 

Voglio essere viva.

 

“No. Dovete calmarvi.” La abbraccia, la avvolge, in pratica la fascia- senz’altro consapevole di essere lei la più forte, adesso. Rosalie, quella cosetta che non sapeva sollevare una spada da allenamento, che sbuffava e piagnucolava quando Oscar la faceva correre in cerchio intorno alla fontana.

 

Saltare dalla finestra e prenderli a pugni tutti e tre… chi ha avuto l’idea di darla per morta, chi di farle da carceriere, chi farà in modo di allontanarla dalla città e dalla Storia… Piange perché non riesce a liberarsi, e poi ancora sta tossendo, piegata in due, con la bocca piena del sapore del sangue, il petto in fiamme.

 

“Va bene… tutto bene.” Rosalie le mette in mano un fazzoletto e la fa sedere.

 

“Non posso rimanere qui,” dice Oscar, ansimando nel fazzoletto tra un colpo di tosse e l’altro. “Devo scendere… parlare con André”

 

“Lo farete quando sarà tornato”

 

“Mi serve la mia divisa, Rosalie.”

 

Rosalie fa come per ribattere, ma la porta si spalanca. André si fionda dentro per primo in atteggiamento apologetico eppure quasi minaccioso, e Oscar si alza, gli si fa incontro, brucia di mille brutti sentimenti- rabbia, tradimento, paura.

 

(Un’immagine come di una rosa, recisa e poi lasciata a marcire in un vaso, al chiuso… una rosa e non un lillà, che se la rosa fosse stata un lillà florido e robusto nessuno si sarebbe permesso.)

 

André cerca di dirle qualcosa, di prenderle le mani in un gesto accorato; lei gli tira un manrovescio e lo fa appena barcollare. Ha mirato a farlo cadere, e tornerebbe a provarci, se Alain non si mettesse in mezzo.

 

“Cosa diavolo state...” Oscar lo azzittisce colpendo anche lui; ma Alain non se ne accorge quasi. Fa per afferrarla per i capelli e da quel gesto nasce la confusione, mentre Rosalie intima a tutti di smetterla, Bernard balbetta e Alain grida alla stronza provocatrice.

 

“Io non sono morta,” grida Oscar per farsi sentire al di sopra di ogni altra voce, e immediatamente ha André addosso, che la stringe, le cerca il viso con una mano- lei non capisce se per tapparle la bocca o per accarezzarla come si fa con un’innamorata. Le fa quasi schifo.

 

“Esigo di sapere perché. Io non sono morta- perché allora...”

 

Sssst, le fa André contro l’orecchio. E’ riuscito a coprirle la bocca.

 

“E’ per te, Oscar,” le sussurra. “Ce ne andremo presto, ci faremo una vita nuova… una vita vera.”

 

Io ho già una vita vera. Vorrebbe urlarlo dal tetto. Una vita, una divisa, una carriera e una famiglia: un nome. Queste persone che le si fanno intorno, che cercano di calmarla o che le imprecano contro, credono di sapere quello che lei vuole.

 

 

 

 

 

 

[Il discorso di Bernard è adattato da Le chant du départ: “De Barra, de Viala, le sort nous fait envie/ Ils sont morts, mais ils ont vaincu.”]

  
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