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Autore: edoardo811    02/02/2020    4 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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31

Promesse

 

 

Edward sapeva di aver commesso un azzardo a proseguire da solo. Anche se aveva capito come usare Ama no Murakumo, i nemici erano molti, e alcuni di loro erano davvero potenti. Ma la paura che provava in quel momento non era niente in confronto alla rabbia e al desiderio di eliminare ogni singolo avversario. 

Orochi credeva di avere vinto, credeva di averlo in pugno, ma si sbagliava. Tutti si sbagliavano. E lo avrebbero capito. 

I mostri si fecero più vicini ed Edward sollevò Ama no Murakumo, pronto a scatenare una tempesta.

All’improvviso, una macchia azzurra piombò dal nulla accanto a lui, e una coltre di fiamme bluastre si sollevò in direzione dei mostri. Edward sgranò gli occhi. Aveva visto quella macchia nel parco prima di entrare nel museo, ma non avrebbe mai pensato che fosse davvero quello che credeva. 

«Un qilin? Come ha fatto ad entrare?» domandò Orochi mentre i mostri arretravano per riorganizzarsi. Si alzò dal trono, puntandogli la falce. «Un amico tuo, piccolo dio?»

Edward non rispose, troppo stupito da ciò che stava osservando. Quello era Fujinami! Aveva temuto che fosse morto, ma forse per una volta poteva ringraziare gli dei per essersi sbagliato. Non era molto sicuro di poter definire Fujinami suo amico, ma comunque, in quel momento, rivedere una faccia conosciuta fu un grande sollievo. 

Fujinami osservò Orochi dritto negli occhi, pestando con forza gli zoccoli a terra, un gesto che valse più di mille parole. L’uomo serpente sorrise di nuovo, emettendo una roca risata. «Un qilin mi ha degnato della sua presenza. Quale onore.»

«Devi aiutarmi, Fujinami» borbottò Edward. «Dobbiamo portare Rosa fuori da qui.»

Fujinami scalpitò nervoso, lanciandogli un’occhiata furibonda. Non sembrava affatto felice. Purtroppo per lui, Edward non poteva sentire le sue parole, quindi decise di interpretare il suo scalpitare per un “d’accordo.”

«Grazie Fujinami. Sapevo che potevo contare su di te.»

Il qilin sbuffò irritato dal naso.

«Non importa.» Orochi liquidò la faccenda con un gesto della mano. «Quello potete ucciderlo.» 

Ancora una volta, i mostri ruggirono esaltati e si lanciarono all’attacco. Fujinami abbassò la testa pronto a caricare, mentre Edward attese che fossero abbastanza vicini. Mulinò Ama no Murakumo e tagliò di netto la testa di una di quelle donne serpenti e falciò con un arco di energia un gruppetto di oni. Si voltò, troncando le braccia di uno degli umanoidi che provarono ad afferrarlo, e sferrò un calcio nelle parti basse ad un altro yōkai non meglio specificato che aveva tentato di colpirlo alle spalle. 

Accanto a lui Fujinami avanzò distribuendo incornate, colpi di zoccoli e sputando fiamme a tutti i malcapitati che gli capitavano a tiro. 

Le grida battagliere dei mostri si tramutavano in sbraiti di dolore ogni volta che la Spada del Paradiso si prendeva le loro vite adorate. Sempre più creature si sciolsero sotto i suoi colpi, sempre di meno lo separavano dal trono di Orochi. Proprio come gli scorpioni che aveva ucciso al Campo Mezzosangue, quegli yōkai erano tanti, grossi e spaventosi, ma non avevano la più pallida idea di contro che cosa stessero combattendo.

Sentì un calore improvviso avvicinarsi alla sua schiena e si voltò giusto in tempo per respingere un’altra sfera di fuoco di Hikaru. La kitsune scattò in mezzo ai mostri, con le mani infuocate ed un’espressione famelica sul volto. «Vediamo come te la cavi con un avversario del tuo livello!»

Saltò addosso a lui scaraventandogli altre fiamme ed Edward serrò la mascella, scansandole e deviandole. I pesci piccoli non erano un problema per lui, ma sapeva che Hikaru sarebbe stata ben più difficile da sconfiggere. 

La donna rise, incalzandolo con i suoi ripetuti attacchi, incurante del fatto che molte volte finivano proprio con lo schiantarsi contro i suoi stessi alleati. Edward si fece largo tra gli yōkai, sgusciando in mezzo a loro come una sanguisuga, tagliando, infilzando e affettando chiunque gli si parasse di fronte. In mezzo a tutto quel caos vide anche Fujinami alle prese con Naito e un altro nutrito gruppo di mostri. Fu un solo istante, poi il qilin svanì di nuovo dalla sua visuale. 

Si ritrovò Hikaru ad un palmo dal naso, il suo brutto muso volpino proteso verso di lui, le fauci spalancate. Edward si scansò ancora una volta, rispondendo con un fendente della spada. Hikaru lo respinse con un gesto del braccio e sogghignò. «Tutto qui?»

Il semidio serrò la mascella, sferrando altri fendenti che vennero respinti dalla kitsune. Il suo sorriso divertito si distese, urtando il sistema nervoso di Edward. Proprio come Milù, combatteva disarmata, usando la sua magia per creare una corazza naturale attorno a sé, permettendole di deviare attacchi diretti di Ama no Murakumo con solo le mani senza alcuna difficoltà. 

«Molto male piccolo dio, molto male» lo provocò, all’ennesimo affondo a vuoto. Forse era un tratto in comune delle kitsune, non riuscivano a tenere la loro maledetta bocca chiusa. 

Edward si avventò su Hikaru con un grido e quella rise di nuovo. Unì le mani ed un’esplosione di fiamme si scaturì da esse, travolgendolo. Il ragazzo dimenò la spada per generare una corrente d’aria che le respingesse, ma la distrazione permise ad Hikaru di piombare su di lui, gli artigli diretti al suo cuore. Si mosse con un secondo di ritardo, non riuscendo a scansarsi in tempo. Hikaru gli strappò la maglia, aprendogli uno squarcio sul petto, ed Edward urlò barcollando all’indietro. 

«Hai commesso un grosso errore, piccolo dio!» esclamò la donna, attaccandolo ancora. 

Il ragazzo indietreggiò, attanagliato dal dolore al petto. Tentò di difendersi da tutti quegli attacchi, ma altri lo raggiunsero, graffiandogli le braccia, il volto e l’addome. Era molto più forte di Milù. Inoltre, Milù voleva catturarlo in buone condizioni, Hikaru invece non sembrava affatto di quell’avviso. La sentì ridere mentre continuava ad infierire su di lui. Sembrava essere l’unica che continuava ad attaccarlo. 

Edward saltò all’indietro, ansimante e sanguinante, e si accorse che il resto dei mostri si erano radunati tutti attorno a loro per godersi la scena. Rumori di lotta continuavano a provenire oltre di loro, chiaramente Fujinami e Naito erano ancora impegnati, ma per quanto tempo questo non poteva saperlo. 

Sapeva solo che Hikaru non aveva nemmeno un graffio e lui invece, con così poco, già era quasi allo stremo. 

«Non avresti dovuto ribellarti» gli disse, sollevando gli artigli ancora macchiati del suo sangue. «Avresti dovuto consegnare la spada a Lord Orochi e lasciare che ti uccidesse con essa, mentre eri convinto di poter scappare assieme a tua sorella. Almeno saresti morto con un bel ricordo. Invece ora sarai costretto a morire soffrendo.» Mostrò i denti affilati in un ghigno. «Se non altro, non vivrai abbastanza a lungo da vedere anche i tuoi amici morire.»

Le ferite di Edward bruciavano e aveva male dappertutto. Hikaru non era un avversario facile, per niente. E inoltre stava combattendo da sola, gli altri mostri avevano deciso di farsi da parte per lasciarla finire il lavoro indisturbata, certi che lei avrebbe vinto. Anche Orochi sembrava certo della cosa, perché un altro di quei sorrisetti compiaciuti gli era apparso in faccia. Doveva star proprio adorando quella scena. 

E ad Edward tutto quello non andò affatto giù. Sentì i denti incrinarsi da quanto li strinse. Non se ne sarebbe andato così, neanche per sogno. Il suo intero corpo formicolò, mentre quella sensazione ormai familiare che Ama no Murakumo gli trasmetteva si faceva sentire con più insistenza. Sarebbe uscito da lì, avrebbe salvato Rosa, avrebbe ucciso Orochi, avrebbe fatto tutto quello che aveva promesso di fare. 

Fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto.

Urlò a perdifiato, concentrandosi su quanto volesse salvare Rosa, su quanto volesse eliminare quei mostri, cancellare i loro sorrisi dalla faccia, insegnare loro con le cattive che non avrebbero mai dovuto mettersi sulla sua strada. 

Lui era il ladro, il figlio di Apollo, il proprietario di Ama no Murakumo. C’era un motivo se gli dei stessi avevano votato per ucciderlo o meno. Lui era l’ago della bilancia. E Hikaru, Orochi e tutti quei pagliacci l’avrebbero capito. 

Una corrente d’aria lo investì, circondandolo come un’aura. Il pavimento attorno a lui si crepò, alcuni mostri vennero sbalzati via. Osservò la donna dritta negli occhi e, per un momento, l’espressione divertita di lei sembrò vacillare. Edward sogghignò, rinvigorito da quell'ondata di energia, poi attaccò. 

Hikaru aveva sbagliato a provocarlo. Ma era un errore che non avrebbe mai più fatto. Percorse tutti i metri di distanza che li separavano in un battito di ciglia e menò un fendente con Ama no Murakumo verso di lei, creando uno spostamento d'aria che mandò scosse sismiche in tutto il salone. Hikaru spalancò gli occhi, tentando di difendersi in un ultimo inutile tentativo. Sollevò le mani, creando una coltre di fuoco tra loro due, ma l’aria la cancellò non appena apparve. La spada si abbatté su di lei e la scaraventò come un proiettile verso una parete del salone, distruggendola completamente. La kitsune urlò di dolore, prima di venire sepolta viva da una pioggia di detriti. Perfino un lampadario si staccò dal soffitto per andare a schiantarsi a terra, centrando in pieno qualche altro mostro.

E una era sistemata. Edward osservò gli altri mostri con l’aria che sferzava attorno a lui, facendo svolazzare la sua felpa come un mantello, e distese il suo ghigno. C’erano ancora una ventina di creature, tra oni, donne rettili e altre strane bestie mezze umanoidi e mezze animali. 

«Venti contro uno» commentò, roteando la spada e distendendo il suo sorrisetto. «Uno scontro troppo impari!» 

Sfrecciò verso di loro senza dargli un altro secondo per riorganizzarsi. Nemmeno la sera in cui aveva lottato per salvare Kate la sua spada aveva mietuto tante vittime. Uno dopo l’altro, i mostri crollarono a terra senza arti, o testa, o tutt’e due le cose. Alcuni tentarono di attaccarlo, forse per stupidità, forse perché pensavano di non avere altra scelta, ma il risultato non cambiò. Si mosse in mezzo a loro come un lampo, trucidando qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Le ferite smisero di fargli male, la stanchezza lo abbandonò, la paura pure: rimaneva solo l’obiettivo che si era prefissato. 

Non ebbe alcuna idea di quanto tempo passò in quel modo, mulinando la Spada del Paradiso e annientando mostri. Sapeva solo che quello che all’inizio era sembrato un oceano di mostri pericolosi, ora pareva di più un piccolo stagno. Edward rimase immobile a riprendere fiato, mentre i pochi yōkai rimasti lo osservavano basiti, quasi intimoriti. Non sembravano più molto sicuri di quello che volevano fare con lui. Il figlio di Apollo li squadrò uno per uno, poi scrollò le spalle e finì anche loro. Una volta fatta piazza pulita, il salone sembrò molto più grande e silenzioso di quanto lo ricordasse. 

L’unico scontro che stava proseguendo era quello tra Naito e Fujinami, con quest'ultimo che sembrava essere riuscito a liberarsi della sua buona dose di mostri. L’han’yō fu il primo a realizzare cosa Edward avesse fatto. Sgranò il suo unico occhio quando vide la scia di desolazione lasciata dal figlio di Apollo, ma Fujinami non gli concesse il lusso di distrarsi. Continuò ad incalzarlo, saltandogli attorno sputando le sue fiamme, e Naito fu costretto a continuare a difendersi e a contrattaccare. 

Con anche il mezzo demone fuori dalle scatole, Edward fu libero di marciare verso il trono di Orochi, su cui il “lord” era ancora seduto indisturbato, ora anche lui con un’espressione basita dipinta sul suo orrido muso. Edward sogghignò, stringendo la presa attorno ad Ama no Murakumo. Era ora del boss finale. 

«Muori, piccolo di…» Bunzo apparve dal nulla alle sue spalle, ma Edward scatenò una corrente d’aria dalla spada senza nemmeno voltarsi, scaraventandolo via. Udì il rumore di qualcosa che si schiantava, seguito da un lamento di dolore, e proseguì il suo cammino verso l’uomo serpente.

Orochi si alzò dal trono, brandendo la falce. Gli rivolse un altro sorriso, ma questa volta sembrò ostentare sicurezza senza davvero provarla. «Notevole, piccolo dio. Hai fatto un buon uso della spada, ma ora vediamo se…»

Edward non lo lasciò finire. Saltò e, sospinto da un’altra potente sferzata d’aria, si precipitò addosso ad Orochi. Gli atterrò di fronte ed abbatté la Spada del Paradiso sulla sua stupida testa. Orochi parò l’attacco all’ultimo secondo, digrignando i denti. Un assordante clangore di metallo si sollevò quando le loro armi cozzarono. Il suolo si crepò sotto ai piedi del rettile e un mugugno di sorpresa misto a dolore gli sfuggì. 

Il semidio roteò su sé stesso, mirando al fianco di Orochi, e ancora una volta l’uomo riuscì a proteggersi, anche se per il rotto della cuffia. Barcollò all’indietro, mentre un’altra corrente proveniente della spada faceva tremare la stanza, mandando tutte le finestre in frantumi. Dopo un terribile boato, una pioggia di vetri rotti si riversò nel salone. E avevano appena iniziato. 

Tempestò Orochi di attacchi, senza lasciargli nessuna tregua. Quel tizio aveva chiesto Ama no Murakumo, beh, avrebbe avuto Ama no Murakumo. Lo incalzò facendolo indietreggiare, sempre più veloce, sempre più fulmineo; Orochi era un buon combattente, aveva riflessi acuti ed era molto più veloce di quanto si potesse immaginare, ma la sua arma stava giocando contro di lui. La falce era un’arma a lungo raggio per attacchi potenti e brutali, ma in un combattimento come quello la forza bruta era inutile.

In più di un’occasione Orochi fu costretto ad evitare di parare gli attacchi e scansarsi per non farsi affettare, e in altrettanti casi sembrò semplicemente voler battere in ritirata, ma Edward non gliel’avrebbe mai permesso. Ormai era una faccenda personale.

Veder svanire quell’espressione divertita che lo aveva tormentato durante i suoi sogni, perfino mentre era sveglio, fu una soddisfazione enorme. I suoi attacchi divennero più forti e cruenti man mano che il tempo passava e riuscì ad infliggere le prime ferite sul suo avversario. Vederlo sanguinare quella strana sostanza bluastra non fece altro che spronarlo ancora di più a concludere quella faccenda. Sapeva che stava esagerando, che Ama no Murakumo stava tirando fuori il lato più brutale e violento di lui, ma non gli importava; avrebbe continuato fino a quando non avrebbe messo Orochi in ginocchio di fronte a lui e non gli avrebbe tagliato la testa.

Edward urlò, menando un fendente da far invidia a quello che aveva eliminato Hikaru, facendo scuotere ancora una volta il terreno. Orochi sollevò la falce e parò l’attacco, ma questa volta nemmeno la sua notevole forza gli fu di aiuto. Con un sonoro stridio, la lama della falce si spaccò a metà. Orochi gridò e fu spedito a terra, perdendo la presa sul manico. Cercò di rialzarsi sulle braccia tremolanti e gli lanciò uno sguardo dal basso, in cui Edward, per la prima volta, notò una vena di vera paura. 

Avanzò verso di lui con tutta la calma dell’universo, consapevole del fatto di averlo in pugno, mentre Orochi strisciava come un vero serpente per allontanarsi, facendo agitati versi che per il semidio furono musica per le orecchie. In quel momento Edward si sentì intoccabile, invincibile. Aveva fatto a pezzi tutti quei mostri, Hikaru inclusa, e ora il grande e potente Yamata no Orochi si trovava ai suoi piedi. Tutto grazie a quell’arma che stringeva in mano. Ecco perché gli dei avevano avuto timore di lui, ed ecco perché il serpente aveva desiderato così tanto quella spada. 

Incrociò lo sguardo di Orochi e sorrise un’ultima volta. «Te l’avevo detto, Lord Orochi.» Sollevò Ama no Murakumo. «Una poltiglia sul pavimento.»

Orochi strinse i denti. «Bunzo! Porta via il sacrificio!»

Edward spalancò gli occhi. Si voltò e si accorse del pennuto che si stava rimettendo in piedi. Lo yōkai scrollò la testa, poi si alzò in volo: «Sì padrone!»

Piombò verso l’altare per afferrare Rosa e il figlio di Apollo protese un braccio verso di lui. «Fermati!» urlò, dimenticandosi stupidamente per un momento del suo vero avversario. 

Sollevò Ama no Murakumo e nello stesso istante riuscì a percepire un movimento alle sue spalle. Cercò di girarsi, ma un dolore lancinante gli forò la schiena, facendolo sbraitare come un animale ferito. Barcollò e un’orribile sensazione di freddo gli percorse tutto il corpo, mentre una gelida sostanza bagnata gli inzuppava la felpa. Si voltò furibondo, riuscendo per un istante ad osservare il sorriso di trionfo di Orochi. Dimenò Ama no Murakumo con un grido, raggiungendo il volto dell’uomo, il cui sorriso svanì per l’ultima volta. 

Vi fu un altro disgustoso rumore, come quello di un pomodoro marcio che veniva calpestato. Orochi fu scaraventato a qualche metro di distanza da lui e rotolò sul suolo a peso morto, perdendo la presa da un pezzo di falce. Schizzi del suo sangue bluastro piovvero in ogni direzione e l’uomo serpente giacque immobile con gli occhi sigillati e la faccia squartata. 

Edward ansimò, rimanendo per un attimo immobile ad osservare quel corpo esanime, non credendo davvero ai propri occhi. Lo aveva… lo aveva ucciso?! 

Gli starnazzi di Bunzo gli ricordarono che non aveva più tempo. Con la coda dell’occhio individuò il pennuto mentre volava rasente al soffitto, le mani avvinghiate sotto le ascelle di Rosa. Si stava dirigendo verso le scale e non sembrava essersi accorto di quello che era successo ad Orochi. Edward digrignò i denti. Non gli avrebbe mai permesso di scappare. Dimenò ancora una volta la Spada del Paradiso verso di lui, generando un altro arco di aria che gli precipitò addosso. Lo centrò in pieno, riuscendo nel suo intento, e fu solo allora che si rese conto di aver commesso un’idiozia. Non aveva agito con buonsenso, aveva agito e basta, come faceva sempre, e quello era stato il risultato.

Bunzo gridò, disarcionandosi e perdendo la presa da Rosa, che cominciò a precipitare da una decina di metri di altezza. 

«NO!» urlò Edward, cercando di correre, fallendo miseramente a causa del dolore alla schiena. Fece due passi e quasi cadde a terra, riuscendo a reggersi a malapena su un ginocchio. Affondò la mano nel pavimento e drizzò lo sguardo giusto per osservare impotente sua sorella che precipitava verso la sua fine. 

Fece per gridare a squarciagola il suo nome, disperato, quando un’ombra nera si mosse rapida come una freccia, saltando verso una colonna, rimbalzando su di essa e dirigendosi verso la ragazza, afferrandola al volo. 

Per la seconda volta, Edward non riuscì a credere ai suoi occhi. Naito atterrò con sicurezza su un ginocchio, stringendo Rosa come già lo aveva visto fare nel suo sogno. L’aveva appena salvata. Non solo, aveva perfino smesso di combattere contro di Fujinami pur di farlo. Il sollievo nel vedere sua sorella ancora tutta intera sorpassò qualsiasi altra sua emozione. Non durò a lungo, però: era ancora tra le mani del nemico. Edward si alzò barcollando a causa del dolore, mentre Naito drizzava la testa verso di lui, Rosa immobile tra le sue braccia. 

Bunzo atterrò accanto al mezzo demone, massaggiandosi il fondoschiena e mugugnando di dolore. Osservò truce Edward per quello che gli aveva fatto, ma mise su una faccia molto diversa quando si accorse di Orochi. 

«Padrone!» urlò disperato, per poi lanciare un altro sguardo incendiario al semidio. «Che cos’hai fatto?!» Si precipitò addosso a lui, sfoderando gli artigli e mostrandogli i denti affilati. «La pagherai, bastardo!»

Edward sollevò Ama no Murakumo, ma Fujinami gli apparve di fronte, intercettando l’uomo uccello un attimo prima che potesse colpirlo. Gli sferrò una poderosa cornata, scaraventandolo contro una delle colonne nella stanza e mandandolo al tappeto una volta per tutte. Il qilin sbuffò dalle narici, scuotendo la testa. Era un po’ malconcio dallo scontro con Naito, ma sembrava ancora avere le forze per combattere. 

Incrociò lo sguardo di Edward e per un istante sembrò genuinamente angosciato. Un gesto che non promise nulla di buono. Anche lui era convinto di non essere uno spettacolo in quel momento, tra le ferite che Hikaru gli aveva inferto prima e quella alla schiena. Ma non poteva fermarsi, non fino a quando non avrebbe portato Rosa fuori da lì.

Gli indicò Naito, ancora immobile di fronte alle scale, con Rosa in braccio. «Aiuta Rosa… ti prego…» 

Fujinami sbuffò di nuovo dal naso, fissando prima lui e poi Naito. Batté lo zoccolo sul pavimento un paio di volte, poi annuì. Abbassò la testa e sembrò in procinto di caricare, ma l’han’yō fu più veloce di lui. Estrasse la wakizashi, puntandola al collo di Rosa. «Fermo dove sei.»

Edward sgranò gli occhi. «Non farlo!» 

Provò di nuovo a correre ma cadde carponi per colpa delle ferite. Sbatté un pugno sul suolo per la rabbia. «Lascia andare Rosa…» rantolò. Sentì la vista appannarsi e drizzò la testa. «Questa storia non la riguarda. Non l’ha mai fatto.»

Naito non rispose. Rimase immobile, inespressivo, la lama ad un soffio dal volto della semidea. 

«Non lo vedi che è finita, razza di idiota!» gridò ancora Edward, accendendosi come un incendio. «Orochi è morto! Ho fatto a pezzi tutto il vostro patetico esercito! Avete perso! Perso! Uccidere Rosa non ti servirà a niente di niente!»

Altro silenzio. L’han’yō mostrò i denti in un ringhio ed avvicinò ulteriormente la lama al collo della figlia di Apollo, mozzando il respiro di Edward. Avrebbe voluto gridare, avrebbe voluto correre, distruggere tutto con Ama no Murakumo, ma non riuscì in nessuna di queste cose. Si limitò solo a stringere i pugni, emettendo un suono gutturale come quello di un animale messo all’angolo. Per questo l’aveva salvata, per prenderla in ostaggio. Avrebbe dovuto capirlo fin dall’inizio. 

«Ascoltami bene, Naito.» Si rimise in piedi a fatica, ignorando le fitte di dolore e il sangue che colava sotto la sua felpa ormai fradicia. «So perché stai facendo tutto questo. So perché sei arrabbiato con gli dei, perché hai scelto di unirti ad Orochi. So tutto quanto.»

Le sue parole sembrarono scuotere il mezzo demone, perché spalancò l’occhio, irrigidendosi. «Tu… lo sai?»

«Ho conosciuto una persona che me l’ha detto.» 

Edward fece per camminare di nuovo, ma le forze gli mancarono alle gambe, facendolo sbilanciare in avanti. Se Fujinami non lo avesse affiancato, fornendogli un appoggio con il suo dorso, sarebbe caduto di nuovo a terra. Rivolse un cenno di gratitudine al qilin, poi i due mossero un passo in direzione di Naito.

«Fermi ho detto!» urlò lui, serrando la presa attorno al manico della spada. «Se vi avvicinate ancora la uccido!»

Il figlio di Apollo pietrificò, bloccandosi assieme a Fujinami. Sollevò una mano verso di lui. «Va bene, va bene.»

«Che cosa sai di me?! Chi era quella persona?!» 

«Non lo so chi fosse, ma mi ha detto tutto, ogni cosa.»

Naito scosse la testa un paio di volte. «No… no, stai mentendo. Mi prendi per uno stupido?!»

Edward si morse la lingua, prima di rispondere quello che pensava davvero. «Gli dei ti hanno portato via la tua vita» disse invece, calmo. «Hai perso tutto per colpa loro. Sei rimasto senza una casa, una famiglia, un luogo dove appartenere.»

«Sta’ zitto…»

«Eri disprezzato da tutti. Né mortali né mostri volevano avere nulla a che fare con te. Sei sempre stato solo.»

«Zitto!» gridò Naito, avvicinando ancora di più la lama a Rosa. «Tu non sai niente di me! NIENTE!»

«Vuoi soltanto vivere in pace, ma credi che per colpa degli dei questo non accadrà mai. So come ti senti, devi creder…»

«Tu non lo sai invece!» sbraitò il mezzo demone. Lasciò andare Rosa, mettendosi in piedi, puntandogli contro la wakizashi. «Tu non hai la più pallida idea di che cosa io abbia trascorso! Essere un rifiuto del mondo, uno scherzo del fato, un bastardo senza un passato, un presente o un futuro. Tu non sai niente.»

«Si che lo so invece!» urlò Edward. «Tutto quello che a te hanno fatto gli dei a me l’hanno fatto i mostri! Ho perso tutto per colpa loro! Non ho mai avuto una vita normale, non ho più una madre, e ho dovuto lasciare l’unica casa che credevo di aver trovato per restituire questa stupida spada!» Sollevò Ama no Murakumo, che mandò bagliori argentati verso tutto il salone. «La mia vita è solo un gioco, sono solo un burattino nelle mani degli dei e lo sarò fino a quando non si saranno stancati di me, o fino a quando non mi farò ammazzare da qualche belva feroce!»

«Pensi davvero che sia lo stesso?!» Naito si indicò l’occhio buono, digrignando i denti. «Ho visto casa mia bruciare con questi stessi occhi. Ho visto mia madre venire giustiziata solamente perché aveva cercato di nascondermi! Avrebbe potuto abbandonarmi, dimenticarsi di me, trattarmi come immondizia come tutti gli altri hanno fatto, ma ha deciso di non farlo. È morta solamente perché ha deciso di proteggermi! Credi davvero che sia lo stesso che hai passato tu?!» urlò tanto da far appiattire le orecchie di Fujinami, mentre il cuore di Edward avvertiva un sussulto. 

Il mendicante gli aveva parlato di quella storia. La madre di Naito era stata una sacerdotessa devota a un dio giapponese, una giovane miko di cui un demone si era invaghito. Dopo averla ingannata era riuscito a possederla, e dalla loro relazione era nato Naito. Naturalmente gli dei non avrebbero mai potuto accettare qualcosa di simile, soprattutto da una delle loro sacerdotesse, ma erano disposti a perdonare la donna, visto che era stata raggirata. Tuttavia, per avere salva la vita, lei avrebbe dovuto consegnare il nascituro affinché venisse giustiziato.

E lei aveva deciso di non farlo. Aveva abbandonato la vita da sacerdotessa ed era fuggita tra le montagne, dove aveva cresciuto Naito come una madre amorevole. Questo, però, fino a quando non erano stati trovati. La loro casa era stata data alle fiamme, la donna era stata catturata, ma Naito non era stato più trovato. Almeno, non fino a quando era riapparso nell’esercito di Orochi.

La voce di Naito echeggiò amareggiata e malinconica nell’ampio salone: «Tutto quello che ho visto, quello che ho subito, ogni taglio, ogni ferita, ogni cicatrice… voi piccoli dei non avete idea di che cosa quelli come me sono costretti a subire giorno dopo giorno, per mano di mortali, di dei o perfino di altri mostri. Molti di noi nemmeno vogliono combattere davvero, ma siamo costretti a farlo per sopravvivere. Non abbiamo chiesto noi di nascere. Non abbiamo scelto noi di avere un genitore mortale e uno demone, ma gli dei hanno comunque deciso di farcene una colpa. Per loro siamo solo degli errori, degli abomini che camminano, degli sporchi incroci frutto di una relazione proibita. Ma Orochi mi ha promesso che se lo avessi servito, le cose sarebbero cambiate. Mi ha promesso vendetta. E ha promesso che la mia specie sarebbe stata al sicuro.»

Edward assottigliò le labbra. «E uccidere un’innocente cosa centra in tutto questo?»

Quella domanda sembrò smuovere Naito, perché la sua espressione arrabbiata vacillò.

«Vuoi che il mondo rispetti i tuoi simili. Stai facendo quello che ritieni più giusto per te e per quelli come te. Mi sta bene» proseguì Edward, parlando sempre più a fatica. 

Come il mendicante di Kansas City gli aveva detto, le loro decisioni non erano giuste o sbagliate, era solo una questione di chi le compiva e di chi ne era a subire le conseguenze. Naito era solamente stato una vittima dei capricci degli dei, una vittima come tante, tantissime altre. Quanti mostri, quante ninfe, quanti semidei, umani, figli di Titani, perfino Giganti, quante persone avevano avuto destini simili al suo, o peggiori, solamente perché avevano fatto arrabbiare gli dei per qualche motivo, anche per i più futili? 

Tuttavia, Edward non era lì per consolare Naito, mettersi sul suo stesso piano, fargli un po’ di terapia. La verità era che non gli importava niente di niente del mezzo demone, e non lo pensava con cattiveria. Semplicemente, lui non era lì per quello. Non era lì per aiutarlo. Era lì per salvare Rosa.

«Comprendo come ti senti, perché anch’io so cosa significhi voler combattere una battaglia di cui non importa niente a nessuno a parte te. Non c’è niente di male se tu vuoi che la tua specie sia al sicuro. Ma è proprio questo il punto. Uccidere Rosa non ti aiuterà con la tua battaglia. Non ti aiuterà a niente di niente. Questa…» Edward sollevò di nuovo la spada. «… ti aiuterà. Lascia andare Rosa. Orochi era quello che voleva ucciderla, non tu, e sono certo che lo sai bene, altrimenti non l’avresti appena salvata, e non l’avresti protetta da Bunzo, questa mattina.» 

Naito si irrigidì come un chiodo. Edward preferì ignorare quel suo comportamento e tutti i significati che poteva avere. 

«Quindi eri davvero tu la presenza che Hikaru ha sentito…»

«Sì, e allora? Questo non cambia nulla. Rosa è innocente, non ha niente a che vedere con il tuo piano. Se davvero vuoi vendicarti degli dei, o quantomeno provarci, allora combatti contro di me, uno contro uno. Tanto sono ferito, come puoi ben vedere. Per te sarebbe una passeggiata. Se vincerai e mi ucciderai, allora Ama no Murakumo sarà tua e dopo potrai fare qualsiasi folle idiozia tu abbia in mente. Se perderai, invece… beh, che te lo dico a fare?» 

Edward sogghignò, e perfino quel piccolo gesto gli provocò una fitta di dolore. «Se non sei nemmeno in grado di battere un avversario già mezzo morto, allora sarebbe meglio rinunciare in toto a vendette varie, non credi?»

Fujinami si agitò a quelle parole, osservandolo di nuovo, ma Edward lo ignorò, rimanendo concentrato su Naito. Il mezzo demone sembrò essersi abituato all’idea di farlo rabbrividire, perché abbassò lo sguardo su Rosa, scrutandola con una minuziosità che ancora una volta non gli piacque affatto. Strinse i pugni e chinò la testa, in modo che il cappuccio celasse qualunque fosse la sua espressione. «Facciamo uno scambio, allora. La spada per…»

«Te lo puoi scordare» lo interruppe Edward, facendolo drizzare all’istante. 

Il semidio era stanco di tutti quegli stupidi giochetti, stanco morto. «Ora sei tu quello che non è in posizione di negoziare. Hai due possibilità: accettare la mia proposta e lasciare andare Rosa, oppure ucciderla per davvero, e io so che non lo farai, e affrontare sia me che Fujinami. E te l’assicuro, se Rosa dovesse morire, allora tutto quello che ti è successo fino ad oggi non sarà nulla in confronto a quello che ti farò io. Anche se sono ferito, anche se sono ad un passo dall’andarmene, ti posso garantire che non mi fermerò finché non ti avrò squartato pezzo dopo pezzo.»

Di nuovo, il qilin sembrò non trovarsi d’accordo, ma sfortunatamente Edward non poteva sentirlo. Forse era proprio quel suo modo di pensare così deviato a renderlo non puro di cuore. E in quel momento era davvero felice di non esserlo.  

Naito sembrò riflettere ancora per qualche momento, su che cosa Edward non ne aveva idea, visto che i patti ormai erano chiari. Osservò il semidio dritto negli occhi e lui ricambiò lo sguardo determinato. Naito era il figlio di un demone, Edward di un dio. E nonostante questo, entrambi potevano dire di aver avuto madri che li avevano amati più di ogni altra cosa. 

Erano in due fazioni diverse, ma questo non significava che non fossero simili. Avevano i loro scopi, le loro ambizioni, più o meno folli, ed erano proprio quelle a renderli ciò che erano. Naito avrebbe dovuto sapere che se c’era qualcuno che non gli avrebbe mentito, quello era proprio Edward, perché Edward era proprio come lui. Non si credeva migliore degli altri, come gli dei o come Orochi, ma nemmeno si credeva inferiore a loro. Era solo un tizio qualsiasi, con i suoi problemi, i suoi sogni e i suoi ideali. Erano della stessa pasta, solo… erano cresciuti in luoghi e ambienti diversi.

«Va bene allora» asserì Naito annuendo, rinfoderando la wakizashi. «Finiamo questa storia.»

Anche Edward annuì. 

«Porta Rosa fuori da qui» disse a Fujinami, ottenendo in risposta un’altra energica negazione del capo. Questa volta non gli fu difficile intuire che il qilin era assolutamente contrario a quella decisione. 

Edward non poteva biasimare il suo scetticismo. Il suo obiettivo era sempre stato uno ed uno soltanto, assicurarsi che Ama no Murakumo venisse restituita. E il figlio di Apollo di certo non se n’era dimenticato. Avrebbe affrontato Naito, lo avrebbe sconfitto e dopo avrebbe restituito la spada. Ma sarebbe riuscito a farlo solo se fosse stato certo che Rosa fosse al sicuro.

«Sono io quello che non può sentirti, Fujinami, non tu. Porta Rosa via da qui. Ti prego» disse, con voce più morbida. «Non preoccuparti, restituirò Ama no Murakumo non appena avrò finito qui.»

Fujinami scosse di nuovo la testa, per poi sbuffare in direzione delle sue ferite. Sembrava davvero preoccupato per le sue condizioni. La cosa riuscì a strappare un sorriso al semidio. Era sempre stato convinto che al qilin importasse di lui giusto perché era il proprietario della spada, ma sapere che invece non era davvero così lo rincuorò. «Non devi pensare a me. Occupati solo di Rosa. Per caso… sai se Stephanie sta bene?»

Con un lento movimento del capo, Fujinami annuì. 

«E gli altri? Tommy, Konnor, Lisa?»

Al secondo cenno di assenso, Edward sentì il cuore colmarsi di sollievo e felicità. Si sentiva in colpa per essersene andato senza nemmeno assicurarsi che i suoi compagni stessero bene, ma ora poteva stare tranquillo. Tutto era tornato al suo posto, grazie a qualcuno sopra la sua testa, non era molto sicuro chi. Poteva proseguire in pace con sé stesso e con un sorriso stampato in faccia. «Porta Rosa da loro, va bene? E salutameli tanto. Digli che… che mi dispiace di essermene andato da solo.»

Di nuovo, Fujinami annuì. Edward distese il sorriso e allontanò la mano dal suo dorso per rimettersi in piedi con le sue sole forze. Le sue gambe tremolarono per un istante, ma riuscì a non crollare come un sacco di patate. Il qilin avanzò guardingo verso Naito, rimanendo sull’attenti per timore di qualche suo passo falso, ma il mezzo demone rimase di parola. Prese di nuovo Rosa tra le sue braccia e la adagiò sulla sua groppa. Per tutto il tempo Fujinami non gli staccò gli occhi di dosso. Fu solo quando Naito si allontanò da lui che sembrò rilassarsi.

Con la figlia di Apollo adagiata sulla sua schiena, le braccia attorno al suo collo, Fujinami lanciò un’ultima occhiata verso di Edward e gli rivolse lo stesso inchino che aveva dedicato a Stephanie, che un po’ gli ricordò anche il saluto del mendicante di Kansas City. Doveva essere il suo modo per salutarlo. Edward sollevò il pollice, poi Fujinami corse giù per le scale, portando Rosa fuori da quel luogo maledetto una volta per tutte.  

Naito rimase girato verso le scale per diversi momenti, prima di voltarsi di nuovo verso di Edward, e il semidio capì da quel suo gesto che se n’erano andati per davvero. A quel punto, provò un sollievo che mai aveva provato. Era finita. Dopo tutti quei giorni atroci, era finita. Rosa era con Fujinami, ed erano fuori da lì. L’avrebbe portata da Stephanie e gli altri, loro si sarebbero occupati del resto, ne era certo. Ora restava solo più una faccenda da concludere. 

«Non pensare che ci andrò piano con te solo perché sei ferito.» La voce di Naito frantumò il suo buonumore un po’ come lui aveva frantumato le finestre. Il mezzo demone sguainò di nuovo la katana dal fodero sulla schiena, tracciando un lento arco nell’aria sopra la sua testa. «Se hai deciso di affrontarmi in quelle condizioni, è perché stai tramando qualcosa. Ma se pensi di fregarmi, allora ti sbagli. I tuoi colpi bassi non funzioneranno con me questa volta.»

Edward riuscì a sorridere di nuovo. Non aveva dubbi a riguardo. Naito era stato vittima già una volta delle sue tattiche sporche, non ci sarebbe mai cascato di nuovo. Proprio per quel motivo, unito alle sue ferite, non era assolutamente intenzionato ad incrociare la spada con lui tanto per cominciare. «Kore o owara semashou, Naito.»

Naito annuì. L’ombra di un sorriso attraversò anche il suo volto, forse perché Edward aveva usato il giapponese. «Facciamola finita» ripeté. 

Con un urlo che aveva molto di demoniaco e molto poco di umano, il mezzo demone si lanciò verso di lui, la katana puntata in direzione del suo naso, il colore scarlatto che riluceva sotto la luce del salone. Edward gemette per il dolore, ma distese il braccio, saldando la presa attorno ad Ama no Murakumo. Attese che Naito fosse abbastanza vicino, consapevole del fatto di avere un solo tentativo: se avesse fallito, allora sarebbe morto. 

Tuttavia, la parola fallimento al momento non faceva ancora parte del suo vocabolario. Si concentrò, inspirò profondamente, e quando la spada di Naito fu a soli pochi centimetri dall’assaggiare il suo sangue, urlò a perdifiato a sua volta. Un tornado in miniatura si scaturì dalla Spada del Paradiso, circondandolo come una barriera, piombando addosso all’han’yō e arrestando la sua corsa. Naito venne sbalzato all’indietro facendo un verso sorpreso. Sollevò le braccia di fronte alla testa per farsi scudo dall’aria, mugugnando per lo sforzo. «Ma che cosa…»

«Ah… scusa, Naito» borbottò Edward parlando a fatica, ma riuscendo comunque ad abbozzare un altro sorriso. «Ma questa spada non ti appartiene.»

Vide il mezzo demone sfoggiare i denti per la frustrazione, mentre la barriera d’aria tra loro diventava sempre più spessa. «N-No…» rantolò, lanciandogli un’altra occhiataccia. «Maledetto! Malede…» 

Edward gli puntò contro Ama no Murakumo, direzionando il tornado verso di lui, e Naito riuscì solo a sgranare il suo unico occhio prima di essere scaraventato dall’altra parte del salone. Il suo urlò si disperse quando andò a schiantarsi contro la parete al fondo della stanza. Senza perdere nemmeno un secondo, il figlio di Apollo barcollò verso le scale. Il suo giochetto non avrebbe messo fuori gioco Naito per molto tempo, ed era sicuro che l’avesse fatto arrabbiare per davvero.

Scese i gradini aggrappandosi al cornicione, le ferite che bruciavano e mandavano fitte terribili lungo tutto il suo corpo. Dovevano essere molto più gravi di quanto credesse, ma non poteva fermarsi in quel momento. Doveva restituire la spada e lo avrebbe fatto. Ritornò nel salone d’ingresso e si guardò attorno, verso i corridoi che conducevano alle mostre del museo. Chirone gli aveva detto che una volta arrivato lì avrebbe saputo da solo cosa fare, ma non aveva idea di che cosa avesse voluto dire. Pensò che la cosa migliore da fare fosse raggiungere la mostra con la replica di Ama no Murakumo. Dopotutto, lui aveva l’originale. 

Si avviò nel corridoio con accanto il cartellone che aveva letto quando era entrato, mugugnando ad ogni passo e stringendo con forza l’impugnatura della spada. Se non era ancora crollato a terra per le ferite, lo doveva all’energia che la spada gli stava trasmettendo. Il che lo portava ad una domanda: cosa sarebbe successo se davvero si sarebbe separato dall’arma? Non era sicuro di volerlo sapere davvero. Ormai era troppo tardi per i ripensamenti. 

Avanzò in stanze avvolte nella penombra, accanto a teche, piedistalli ed espositori di statue, dipinti e artefatti appartenenti alla cultura orientale, illuminati da flebili luci installate nel pavimento e sul soffitto. Non perse alcun istante ad osservare le esposizioni, ma si domandò comunque quanti di quegli oggetti fossero davvero giunti lì per mano di sua madre, come aveva detto Orochi. Pensare che fosse davvero così, in un certo senso, lo aiutò a sentire Kate più vicina a lui. 

Improvvisamente ebbe un sussulto. Si fermò di scatto, voltandosi verso una porta che conduceva ad un’altra stanza, provando l’irresistibile tentazione di andare da quella parte. Osservò Ama no Murakumo, che rilucette di nuovo, e pensò di aver appena scoperto che cosa Chirone intendesse. Proseguì verso la stanza ed entrò in un altro ampio spazio, dove ebbe un altro tuffo al cuore: quella era la stessa sala che aveva visto nel suo sogno. E proprio come nel sogno, al fondo di essa, vide un’altra stanza, più piccola, il cui passaggio era ostruito da uno spesso cordone rosso. Quella era l’armeria con il piedistallo di Ama no Murakumo. 

Man mano che avanzava, sentiva l’inquietudine aumentare dentro di lui. Un’energia arcana, misteriosa, diversa, proveniva da quel luogo. Anche in quel caso, si ricordò ciò che aveva detto Chirone: l’Asian Art Museum era il luogo in cui la cultura orientale era la più potente sul suolo americano. E Ama no Murakumo stava rispondendo ad essa, coinvolgendo lui di conseguenza.

Entrò nell’armeria dopo aver scostato il cordone e si avvicinò all’espositore, il quale era già occupato da un’altra katana, che non aveva nulla in comune con Ama no Murakumo. Era bella, certo, ma come replica faceva acqua da tutte le parti. L’afferrò e la spostò, poi avvicinò la vera Ama no Murakumo all’espositore. Non sapeva bene cosa fare, se bastava posarla solo lì sopra oppure no, ma tentare non nuoceva. Non che avesse molte altre possibilità. 

Prima di posare la spada, però, il suo sguardo venne catturato dal trittico raffigurante l’uomo barbuto che combatteva contro il drago gigante appeso sopra l’espositore. La targhetta sotto di esso recitava: “Susanoo affronta Yamata no Orochi.”

Edward schiuse le labbra, gli occhi incollati sopra l’uomo barbuto e armato di spada, che torreggiava sopra le molteplici teste di Orochi. Aveva un’aria parecchio familiare. 

«Fermo dove sei» sbottò una voce adirata, riportandolo alla realtà. Edward si voltò, osservando un Naito piuttosto infuriato che avanzava nell’armeria. «Consegnami la spada.»

Il figlio di Apollo stirò le labbra. «Sai bene che non lo farò. Devo aggiustare le cose, e posso farlo solo restituendo Ama no Murakumo alla sua legittima proprietaria.» 

Naito non pareva d’accordo. «E quindi, che cosa pensi di fare? Credi davvero che posarla lì sopra servirà a qualcosa?!»

Edward sorrise di nuovo, notando la tensione nella voce del demone. «C’è solo un modo per scoprirlo.» Si voltò e avvicinò la spada all’espositore. 

«No!» urlò Naito, fiondandosi verso di lui con la katana sguainata. Nemmeno la sua incredibile rapidità fu sufficiente: Edward adagiò la spada sull’espositore, un attimo prima che l’han’yō lo raggiungesse. 

Per un attimo non accadde nulla e Ama no Murakumo rimase sopra l’espositore. Edward realizzò di non averla mai lasciata andare dalla propria mano fino a quel momento. Di solito scompariva tutte le volte che pensava di non averne più bisogno. 

Fu scaraventato di lato all’improvviso, finendo a terra, e tutte le sue ferite si animarono in un tutt’uno, esplodendo in molteplici fitte agonizzanti. Naito, ora da solo davanti all’espositore, tentò di afferrare Ama no Murakumo, ma un accecante bagliore bianco provenne dalla spada costringendolo a indietreggiare. Subito dopo vi fu un’altra folata d’aria così forte da mandare a terra anche lui, strappandogli un altro grido frustrato. 

Edward chiuse gli occhi, accecato, mentre l'aria soffiava sfregiante su di lui. Udì uno strano rumore, una specie di risucchio seguito da un altro potente getto d’aria, poi vi fu il silenzio. Riaprì gli occhi tremolanti e trovò l’espositore con di nuovo la replica di Ama no Murakumo appoggiata sopra. Della spada vera non v’era più alcuna traccia. 

Per un momento, Edward rimase immobile, ponendosi l’ovvia domanda sul fatto se avesse davvero funzionato o meno. Tentò di concentrarsi, per sentire di nuovo l’energia di Ama no Murakumo celata dentro di lui, ma per quanto si sforzasse, non poteva più percepirla. Aveva… aveva funzionato. 

Un sorriso prese forma sul suo volto, mentre tutta la stanchezza e la tensione accumulati in quei lunghi e interminabili giorni si dissolvevano nell’aria proprio come la spada, alleggerendo le sue spalle ormai incapaci di sostenere ulteriore peso. Anche se l’aveva promesso a sé stesso, essere comunque riuscito in ogni suo intento gli sembrò incredibile. 

Ora, veramente, tutto era tornato al suo posto. I suoi amici stavano bene, Orochi era morto, Rosa era salva, Ama no Murakumo era stata restituita. Aveva fatto una promessa e l’aveva mantenuta. Ce l’aveva fatta. Aveva finito ciò che aveva iniziato. Sentì gli occhi appesantirsi, il collo che faticava a reggere ancora la testa, il suo corpo intero che, malgrado il dolore incessante, si rilassava lentamente. Buttò fuori una grossa boccata d’aria e chinò la testa, rimanendo seduto, continuando a sorridere tra sé e sé. Fu solo quando udì un rumore secco che si districò da quei pensieri. Inginocchiato a terra, Naito aveva appena sbattuto un pugno sul pavimento. 

«Perché… perché l’hai fatto…» disse, con un soffio di voce per la rabbia. Gli lanciò un’occhiata carica di odio, qualcosa che ormai non aveva nemmeno più effetto su di lui, talmente tante ne aveva ricevute. «Perché l’hai fatto?!»

Quando provò a rispondere, Edward sentì di nuovo il proprio corpo gridare per il dolore. Come aveva temuto, senza più Ama no Murakumo a rimandarlo, era arrivato il conto. Tutti gli acciacchi accumulati tornarono indietro come un boomerang. Aveva preteso troppo dal suo corpo, aveva continuato a lottare nonostante le ferite ed ora ne stava pagando le conseguenze. Prese una grossa boccata d’aria, poi si mise a sedere e rispose lentamente: «Quella spada ha… ha solo causato problemi. Credimi, è… è la cosa migliore per tutti…»

«Per tutti?! Vuoi dire per la tua gente e basta!» sbraitò il mezzo demone, alzandosi in piedi e puntandogli contro la katana. «Mi hai ingannato, di nuovo! Non mi hai affrontato, sei scappato come un codardo e mi hai portato via la mia unica occasione per vendicarmi degli dei una volta per tutte!»

«Ma davvero… davvero credevi che gli dei… ti avrebbero permesso di marciare contro di loro?» biascicò Edward. «Li avresti solamente fatti infuriare. Non saresti mai riuscito a vendicarti, nemmeno con… con Ama no Murakumo. Ti avrebbero ucciso, e poi… poi avrebbero fatto piazza pulita di tutti gli altri come te. Ti ho… solo fatto un favore, restituendola.»

«Quindi mi stai dicendo che dovrei ringraziarti?!»

Edward scosse la testa, ormai perfino movimenti lievi come quelli gli costavano un’enorme fatica. «No… non mi interessa… che cosa ne pensi tu. Odiami… ringraziami… fai quello che ti pare. Ormai… ormai è finita. È tutto finito.» 

Ebbe un colpo di tosse e fu come se i polmoni gli andassero a fuoco. Schizzi di sangue fuoriuscirono dalla bocca, macchiando il pavimento, e a causa degli scossoni il dolore alla schiena si fece ancora più intenso. Quando riuscì a placarsi, rovesciò la testa all’indietro, osservando il soffitto, mentre il dolore continuava a tormentarlo con delle sorde pulsazioni. Era come se tutta l’energia vitale che ancora gli rimaneva gli stesse venendo drenata dal corpo. Ogni respiro era un’agonia, aveva i nervi in fiamme, la schiena devastata, perfino rimanere seduto gli stava costando uno sforzo incredibile.

«Guarda come ti sei ridotto» gracidò ancora Naito. «Pur di consegnare la spada sei arrivato al tuo limite. Ne è valsa davvero la pena?» 

Nonostante lo sforzo che gli costò, Edward sollevò le spalle. «Ho raggiunto il mio obiettivo. Volevo aggiustare le cose… e l’ho fatto. Non… rimpiango niente.» Riuscì di nuovo a guardarlo e sollevò debolmente una mano, accennando al proprio occhio. «Mi… mi spiace per… per l’occhio, comunque… per quello che vale… non avrei voluto accecarti. Ma Rosa… era in pericolo. Ho… agito di fretta.»

Naito si sfiorò di riflesso la cicatrice e lo scrutò silenziosamente, forse per capire se lo stesse prendendo in giro oppure no. «Non me ne faccio niente delle tue scuse. L’unica cosa che mi consola, è che se non altro ora non potrai più scappare.» Si avvicinò a lui, sollevando la spada. «Per causa tua ho perso Ama no Murakumo, ma non mi toglierai anche la soddisfazione di darti il colpo di grazia.»

Edward non fece nulla, ben consapevole di non essersi mai trovato così tanto vicino alla fine. Se non lo avesse ucciso Naito, sarebbe morto per le ferite in ogni caso. Già… quella era davvero la fine. Ma come già aveva detto, poteva andarsene con il cuore in pace. 

Osservò dal basso Naito, il suo carnefice, e la lama scarlatta pronta a prendersi la sua vita in cambio dell’occhio che gli aveva strappato. I loro sguardi si incrociarono ed Edward abbozzò un altro sorriso, il suo modo di fargli capire che non aveva paura. «Le cose… non vanno sempre come vogliamo noi, Naito. Dovresti… saperlo, ormai. Voi… avete iniziato questa battaglia. Avete… rapito Rosa. Avete… cercato di uccidermi. Io… vi ho solo dato la… lezione che vi meritavate. Non è mai stata una… faccenda di mostri e dei… era solo tra me e voi. Dimmi… al mio posto tu che avresti fatto? Se avessero rapito… una persona a cui tenevi?»

Naito serrò la mascella. Distolse lo sguardo da lui, forse per non mostrargli di aver colpito nel segno. «Non volevo che si arrivasse a tanto. Credevo che avremmo usato Rosa come ostaggio. Quando ho saputo che Orochi voleva ucciderla…» Esitò. Una strana espressione marciò sul suo volto, poi scosse la testa. «Non importa. Forse hai ragione, forse al tuo posto avrei fatto lo stesso, ma tu avresti fatto lo stesso se ti fossi trovato al mio.»

Edward alzò di nuovo le spalle. Aveva ragione, lo avrebbe fatto. Certo, di sicuro non si sarebbe lasciato abbindolare come uno stupido, ma decise di non dirlo ad alta voce. «Immagino che… non lo scopriremo mai.»

L’han’yō annuì. «Già. Lo immagino anch’io.» Sollevò la katana sopra la testa di Edward, scrutandolo impassibile. «Hai combattuto bene, ma ora per te è la fine. Yasuraka ni nemuru.» 

Il figlio di Apollo non aveva la più pallida idea di che cosa avesse detto. Senza la spada, anche la sua capacità di parlare giapponese sembrava essere svanita. Tuttavia decise di sorridere un’ultima volta. 

«Arigatō» replicò, certo al cento percento di aver appena macellato la pronuncia.

Naito ringhiò tra i denti, poi abbassò la lama con un grido. Edward chiuse gli occhi e attese un colpo secco, un dolore atroce, un buio perenne, ma niente di tutto questo arrivò mai. Riaprì tremolante le palpebre e notò la katana ferma a mezz’aria, a pochi centimetri dalla sua testa, la mano di Naito stretta con così tanta forza attorno all’impugnatura da essere scomodo perfino da guardare. Un’espressione di conflitto, quasi di dolore, aveva preso vita sul volto del mezzo demone. Edward smise di sorridere, ora sorpreso anche lui da quel suo comportamento. Realizzò solo in quel momento di avere il cuore che batteva a mille nel petto e le gambe che sembravano fatte di gelatina. Gli si era gelato il sangue nelle vene, nonostante la sicurezza che aveva cercato di mostrare. 

Con un pesante sospiro, Naito allontanò la spada da lui e la rinfoderò, sempre sotto lo sguardo incredulo del semidio. 

«Non c’è alcuna soddisfazione nell’uccidere un avversario che non può difendersi» spiegò a fatica, quasi come se per tirare fuori quelle parole avesse dovuto usare delle pinze. 

«Oh… grazie…» mormorò Edward. 

«Non ringraziarmi. Con quelle ferite non sopravvivrai in ogni caso. Aspetterò che la natura segua il suo corso.»

Lo stomaco di Edward fece un’altra capriola. Fu come se un macigno intero vi fosse appena sceso. Avrebbe dovuto immaginarlo. Un altro sorriso, molto più amaro, si dipinse sul suo volto. «Oppure… in realtà non l’hai fatto perché sei un tenerone…»

Naito grugnì. «Perché devi fare battute perfino in un momento come questo?»

Dalla gola di Edward uscì quella che sarebbe dovuta essere una risata nervosa, e che in realtà di rivelò essere una serie di versi di dolore e mugugni sconnessi vari. Sentì gli occhi inzupparsi di lacrime. «Perché… me la sto facendo addosso, ecco perché.»

Anche se sapeva che non ce l’avrebbe fatta, anche se aveva detto che poteva andarsene senza rimpianti, non voleva davvero morire. Aveva paura, come avrebbe potuto non averne. C’erano tantissime cose che ancora voleva fare, e che soprattutto avrebbe potuto fare ora che si era liberato di Ama no Murakumo. Voleva rivedere i suoi amici, parlare di nuovo con Rosa, tornare al Campo Mezzosangue e fare pace con Jonathan e Natalie e tutti quelli a cui credeva di avere fatto un torto. Voleva spettinare di nuovo i capelli di Rick, andare a tirare con l’arco, abbuffarsi di cibo nella mensa. Non era quella la sua ora, non poteva esserlo. Rifiutava di accettarlo.

Tirò su con il naso, distendendo il sorriso mentre la vista gli si appannava. «Non voglio… andarmene. Non… non ora… non così…»

Naito lo osservò di nuovo impassibile, rimanendo in silenzio per qualche istante. Edward si aspettò una reazione di indifferenza, o che al massimo lo deridesse giusto per avere una sorta di piccola rivincita personale. Invece, per sua enorme sorpresa, il mezzo demone annuì. «Sei stato un abile avversario.» 

I loro sguardi si incrociarono ed Edward notò nel suo unico occhio qualcosa di del tutto nuovo rispetto a prima. Sembrava quasi che lo stesse rivalutando. «Hai combattuto per quello che credevi, senza mai arrenderti. E alla fine… sei davvero riuscito a proteggere i tuoi cari. Sei riuscito dove io ho fallito. Non mi dimenticherò di te, Edward.»

Edward schiuse le labbra, sorpreso dal fatto che lo avesse chiamato per nome per una volta, anziché con quello stupido nomignolo che gli avevano affibbiato. Forse… forse era il suo modo di mostrargli rispetto. 

Sentì le palpebre farsi di nuovo pesanti e chinò la testa, mugugnando per l'ennesima volta. Scorse con la coda dell’occhio un’ombra vicino alla porta dell’armeria e si voltò, per poi rimanere a bocca aperta. Stephanie, Konnor, Lisa e Tommy entrarono nella stanza proprio in quel momento, sorridendogli. 

«Ragazzi…» mormorò, incredulo, mentre un altro ampio sorriso nasceva sul suo volto. «Siete… siete venuti…»

«Mh? Che cosa?» domandò Naito, voltandosi verso la sua stessa direzione. «Ma che stai dicendo?»

Edward non lo sentì, talmente occupato era a sorridere mentre la felicità rimpiazzava ogni cosa dentro di lui. 

«Che bello… che bello rivedervi…» disse ancora, provando una strana sensazione di vertigini. 

Per un momento gli sembrò che gli aspetti dei suoi amici sfarfallassero, ma immaginò che fosse solamente dovuto alla stanchezza. Infatti erano ancora lì, e ancora gli stavano sorridendo. Tommy alzò il pollice verso di lui, imitato da Stephanie e anche dagli altri. Edward cercò di ricambiare il gesto, ma quando sollevò il braccio le forze gli mancarono all’improvviso. Fu come se il suo intero corpo si fosse addormentato di colpo. Crollò all’indietro, finendo a terra supino, un braccio posato sul petto, l’altro disteso accanto a lui. 

«R-Ragazzi…» mormorò ancora, fissando il soffitto mentre la sua vista si oscurava poco per volta. Espirò, chiudendo gli occhi. «Vi… vi voglio bene…» 

Nella sua mente, i suoi amici gli sorrisero di nuovo. Assieme a loro apparvero anche Rosa, i ragazzi della casa Undici, perfino Kate. Erano tutti assieme, a rivolgergli sguardi carichi di gratitudine. 

Edward riuscì a sorridere un’ultima volta, questa volta per davvero. Poi, il buio occupò tutto quanto.

   
 
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