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Autore: _Lightning_    03/02/2020    0 recensioni
Con il Giorno della Promessa all'orizzonte, Roy Mustang si ritrova a pensare sempre più spesso a Ishval, ai propri errori, e a cosa gli ha lasciato quel luogo se non ricordi dolorosi e sensi di colpa. Si imbarca così in una lunga reminiscenza con l'aiuto di Riza, fidata compagna di vita, nel tentativo di mettere finalmente a tacere i demoni che gli mordono la coscienza.
Dal prologo: «C’è qualche problema, Colonnello?»
È formale, distaccata, anche se siamo soli. Una pantomima sterile e autoimposta, affinata con gli anni.Non possiamo cedere, mai, nemmeno nel buio cieco di un vicolo dimenticato, o finiremmo per tradirci alla luce del sole con mille occhi intenti a scrutarci. L’abbiamo concordato in silenzio, che è ciò che di solito parla tra noi. Per questo adesso mi sento quasi un profano a romperlo, a voler trasmutare in parole ciò che mi passa per la testa. Ombre dense, a cui non dovrebbe mai essere data forma.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maes Hughes, Nuovo personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Parte II
 
Grandi Speranze
“Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo, l'esistenza: 
ci hanno costretti a spararle contro.”

[E. M. Remarque – Niente di nuovo sul fronte occidentale]



.1.
 
 
 
 
 
[Sei mesi prima]

19 Maggio 1908
Treno EC47 East City-Resembool, East Area


«Bushmills! Stazione di Bushmills!»

Il capotreno suona la campana della locomotiva, intimando a un plotone di qualche decina di soldati di affrettarsi a salire a bordo. Sbircio tra le assi asimmetriche accanto a me, in cerca di qualche faccia familiare, ma sono tutti volti sconosciuti persi in uno sfondo blu di uniformi.

Il nostro vagone dondola leggermente ogni volta che qualcuno sale dal portellone con passi pesanti di anfibi chiodati. Entrano quattro uomini, che si stringono sul fondo del grande scompartimento unico cercando di non dare troppo nell'occhio.

Allungo il collo per guardare dalla fessura superiore e intravedo il campanile del municipio, con l'orologio che segna le otto passate; ancora oltre, il profilo delle colline terrazzate, ricoperte di vigneti. Cerco di scorgere il tetto della mia vecchia casa, ma è coperto da un frutteto.

«Ehi, Roy, altri tre secondi e perdi il turno,» mi riscuote Oskar, schioccandomi le dita vicino all'orecchio.

Mi volto infastidito dal gesto, lancio una breve occhiata alle mie carte e a quelle sparse per terra e ne butto una senza pensare troppo. Sto comunque perdendo.

«Lo stai ripulendo di nuovo, Rod.»

Oskar dà di gomito a Roderick, tentando allo stesso tempo di sbirciare la sua mano, ma tutto ciò che ottiene è uno spintone.

«Baro,» lo accusa semplicemente Jace, rubandogli la sigaretta di bocca e mandandolo subito fuori dai gangheri.

Mi sforzo di sorridere, a dispetto del nervosismo che si sta facendo strada in me. L'euforia dei miei compagni d'Accademia è ancora al massimo… la mia ha iniziato a scemare già dopo le prime due stazioni.

Il portellone scorre sui suoi cardini arrugginiti chiudendosi con uno schianto di legno vecchio, e il vagone piomba nella penombra trafitta da fievoli raggi di luce. Il treno si rimette lentamente in marcia con un ululato della locomotiva, arrancando verso est.

Un nodo mi stringe lo stomaco; non so neanche dire se sia un'emozione positiva o meno. So solo che sono stanco di stare rannicchiato per terra e che pagherei cenz sonanti per potermi sgranchire le gambe.

Mentre Oskar, Roderick e Jace si accapigliano tra loro per chi debba pescare dal mazzo, io guardo per l'ennesima volta i nostri compagni di viaggio, tutti seduti per terra e impegnati come noi a giocare a carte, fumare o bere di nascosto e chiacchierare a gran voce facendo un baccano infernale. Mi chiedo che condizioni regnino nei vagoni dei soldati semplici.

Noi ufficiali e sottoufficiali appena diplomati all’Accademia abbiamo almeno qualche privilegio, per esempio avere abbastanza spazio per respirare. C'è un’atmosfera quasi goliardica, anche se si coglie una traccia di tensione, sempre più densa man mano che scorrono le stazioni. Nessuno di noi ha idea di cosa ci attenda all'arrivo.

«Tutto bene?»

Mi accorgo con lieve imbarazzo di stare fissando involontariamente la ragazza che mi siede accanto, stretta tra noi, la parete di fondo e un altro capannello di soldati.

«Scusa, ero sovrappensiero,» dico distogliendo lo sguardo, per poi rimproverarmi mentalmente.

Sono un ufficiale adesso: non dovrei scusarmi coi miei inferiori in grado. La ragazza alza le spalle gracili e accenna un sorriso, a indicare che non fa nulla, e pare anzi incline a parlare con me. Sembra sola e molto a disagio, compressa com'è tra due chiassose compagnie di commilitoni.

Oskar mi richiama all'ordine con una gomitata e noto il suo sguardo malizioso nel vedere che sto parlando con una ragazza. Io sospiro, mi volto brevemente e getto silenziosamente a monte le mie carte per tirarmi fuori dalla partita, sollevando un coro di scherno. Purtroppo, lascio in tavola anche trecento cenz e mi guadagno gli insulti di Jace, al quale ho rovinato la mano.

Finalmente libero dall'onere del gioco mi giro verso di lei, che mi guarda con un sopracciglio scuro appena inarcato, chiaramente divertita da quanto appena accaduto.

Ha occhi molto grandi, quasi neri, che assieme alle lentiggini e al fisico minuto le danno un'aria da cerbiatta difficilmente accumunabile a un militare. I capelli castano chiaro sono fermati in una piccola e stretta crocchia sulla nuca. La divisa le sta leggermente grande, e per camuffarlo ha allacciato al massimo ogni bottone e cinghia, aumentando solo l'impressione di essere esile come un fuscello.

«Sei di East City, vero?» mi chiede un po' timidamente; deve aver riconosciuto l’accento.

Mi sento in dovere di renderle noto il mio grado, ma non voglio sembrare un gerarca, così decido di aspettare un momento più opportuno. Mi chiedo perché dobbiamo già indossare questi mantelli: oltre a essere pesanti e scomodi, nascondono anche le spalline, che fugherebbero ogni ombra di dubbio.

«Ero dislocato lì, ma sono di Bushmills,» accenno al finestrino, oltre il quale scorrono ancora file interminabili di vigneti.

«Allora non sono l'unica ragazza di campagna qua dentro,» scherza, mettendo in risalto le gote con un sorriso. «Presto servizio a Central, ma ero in permesso dai miei a Woodreigh. Sono salita qualche stazione fa.»

«Un posto quasi più tranquillo di Bushmills,» commento, sorridendo a mia volta.

Lei si limita ad alzare le spalle, concordando, poi mi tende la mano.

«Caporale Alena Perkins,» si presenta, con finta formalità.

Le stringo la mano e colgo l'occasione.

«Maggiore Roy Mustang.»

Vedo la sorpresa balenare sul suo volto e sembra improvvisamente a disagio. Si sottrae alla stretta, con occhi sgranati. Mi sento un po' in colpa nell'aver voluto per forza rivelarle il mio grado.

«Oh. Mi perdoni, Maggiore, non avevo realizzato che…»

«Non è un problema. Non m'importa molto dell’etichetta.»

Lei sembra leggermente rassicurata, ma mantiene un atteggiamento cauto. Non credo che nelle cittadine di campagna come Woodreigh si incontrino molti ufficiali superiori. Anche a Bushmills il massimo in cui ci si poteva imbattere era un Maresciallo impigrito dal sole e dalla monotonia.

«Maggiore... Mustang, ha detto?» sembrando decisa a non abbandonare più le formalità.

«Sì, esatto.»

Credo di sapere quale sarà il prossimo commento.

«È lei l'Alchimista di Fuoco?» chiede infatti titubante e, mi sembra, con una punta di incredulità.

Tiro fuori l’orologio d'argento dalla tasca a conferma delle sue parole. Lei lo guarda con sincero rispetto, ma non posso fare a meno di notare che è ancora perplessa.

«Devo anche sputare fuoco e fiamme per identificarmi?» dico, leggermente irritato.

«No, nossignore, è che...»

«Lo so, lo so: “ti immaginavo più vecchio”,» sbuffo, riponendo l’orologio in tasca. «I miei superiori ci tengono a ricordarmelo almeno una decina di volte al giorno.»

Lei non dice nulla, ma so che lo sta pensando anche lei. Sto seriamente prendendo in considerazione l'idea di farmi crescere la barba per evitare di venire costantemente identificato come un cadetto fresco di promozione. Coordinare una squadra e riuscire a farsi rispettare sul campo potrebbe diventare problematico.

Scocco un'occhiata un po' invidiosa a Roderick, che al contrario sembra molto più vecchio dei suoi ventidue anni, complici la sua notevole stazza e la chioma di capelli riccioluti che, unita alla folta barba, gli danno l'aspetto di un leone dalla criniera bronzea.

Mi sento quasi consolato nel constatare che, al contrario, Oskar dimostra circa la metà dei suoi anni, con quella treccina ridicola sulla nuca che si ostina a non voler tagliare, il volto arrossato da troppe lentiggini e la chiassosa esuberanza di un adolescente poco sveglio in preda ai bollori.

Scuoto la testa nel vederlo accapigliarsi con Jace, compassato come sempre di fronte alle sue escandescenze, ma con un brillio scaltro negli occhi chiari a indicare che si sta prendendo gioco di lui.

Nell’ora successiva parliamo poco e niente, ognuno troppo preso dai suoi pensieri. Il brusio dei soldati e lo sferragliare del vagone riempiono monotoni il silenzio e i miei compagni smettono finalmente di giocare a carte. Rod si assopisce, Jace fuma una sigaretta sovrappensiero, in piedi affacciato al finestrino posto in alto, e Oskar, irrequieto come sempre, si sposta carponi verso un altro gruppo e attacca bottone con dei coetanei.

Il treno rallenta sbuffando rumorosamente e inizia a frenare con un sibilo, fino a che non si arresta cigolando.

«Rochdale! Stazione di Rochdale!» si sgola il capotreno.

«Manca poco,» commento, rivolto a nessuno in particolare.

«Ottimista,» mi rimbecca Jace, sbuffando fumo e ciccando all'esterno.

Getta via la sigaretta e si siede di nuovo, scostandosi la ciocca scura che gli ricade costantemente sul volto allungato.

«Da Resembool a Ishval saranno ancora altre quattro ore di viaggio. Se saremo così fortunati da avere delle camionette e non dei carri.»

«Ora sì che mi fa meno male il culo,» borbotta Oskar, cogliendo l'occasione per tornare sui suoi passi e abbandonare una conversazione evidentemente molto noiosa.

Sembrano tutti di umore più serio, adesso, persino Oskar. Parliamo a bassa voce, quasi sussurrando.

«Stavo pensando...» esordisce Rod, stiracchiandosi con uno sbadiglio, ma si interrompe esitante.

Noi lo fissiamo interrogativi, invitandolo a continuare. So che anche Alena sta ascoltando; anche se abbiamo scambiato solo qualche parola di circostanza l'ho presentata agli altri e si è avvicinata alla nostra cerchia. Il treno si rimette in moto, sempre più pesante. Solo allora Rod parla, con la voce coperta dal brusio e dal cigolio delle ruote:

«Insomma… a Ishval andrà veramente così male come dicono?»

Lo ha chiesto in generale, ma guarda me, e così gli altri, probabilmente sperando che abbia informazioni di prima mano al riguardo. Illusi... credono davvero che io abbia qualche autorità. Mi prendo qualche secondo per rispondere.

«Non so nulla di preciso. Gli altri ufficiali superiori non erano molto propensi a parlarne.»

A parlarne con me, in realtà. Sono pur sempre un ragazzino, secondo i loro criteri, e il fatto di essere l'Alchimista di Stato più giovane è passato da vanto a svantaggio nel giro di pochi mesi.

«So solo che se la guerra va avanti da quasi sette anni non dev'essere rimasto molto da distruggere, ormai,» concludo evasivamente.

«Gli Ishvaliani sono tenaci.»

Oskar sembra insolitamente preoccupato nel pronunciare quel fatto, posto come debole giustificazione all'inconcepibile durata di quetsa guerra.

«Non che sia mai stata data loro la possibilità di arrendersi,» replica Jace, accigliandosi.


«Hanno scelto loro di finire questa guerra nel sangue,
» Rod punta l'indice in alto, in un'eloquente riferimento. «Vi sorprende?»

A questo punto Alena si sporge verso di noi, un po' in soggezione, ma quando parla la sua voce è ferma:

«Affatto. Amestris ha sempre finito i suoi conflitti nel sangue.» Quando vede che gli altri la stanno effettivamente ascoltando, continua: «E non è la prima volta che prolunga gli scontri per anni.»

«Bastardi,» ringhia Jace, il volto tirato, e Oskar gli stringe goffamente una spalla.

Tiro le labbra, in silenzioso cordoglio. La Guerra con Aerugo al Sud ha inflitto ferite insanabili a molti di noi, e Jace si porta l'annientamento di Fotset nel cuore anche a distanza di mezzo secolo. Alena esita ancora prima di riprendere:


«Ma perché adesso dovrebbero intraprendere uno sterminio?»

All'improvviso un profondo senso di disagio mi pervade e taccio.

«Piano con le parole. Stiamo solo andando a schiacciare le ultime sacche di resistenza. Cioè guerriglieri e miliziani armati fino ai denti che vanno a massacrare i nostri soldati e compatrioti.»

Oskar è aggressivo come sempre, ma il suo sembra un discorsetto imparato a memoria.

«L'Ordine 3066 era abbastanza ambiguo. Diceva semplicemente di eliminare ogni resistenza ishvaliana residua, credo senza curarsi delle vittime civili,» parlo a voce bassa, ma nessuno sta facendo caso a noi nel chiacchiericcio generale.

«Quello riguardava voi Alchimisti di Stato. E non si parla apertamente di sterminio,» ribatte Oskar, ma non suona più così sicuro.

«Pensi che andrò in battaglia come un lupo solitario? Sarebbe un suicidio. Avrò una truppa al mio comando, e potreste essere proprio voi. Non avrete ordini diversi dai miei.»

Per qualche secondo stiamo in silenzio, meditabondi.

«Credo che basterà eliminare gli ultimi ribelli, per far cessare le ostilità,» afferma Rod «Non c'è bisogno di fare terra bruciata,» conclude, e mi lancia un'occhiata forse pentendosi della scelta di parole.

«Già. E schierare gli Alchimisti in campo dovrebbe renderla una guerra piuttosto...» Jace cerca una parola adatta, «... rapida?»

Alzo le sopracciglia, scettico, ma allo stesso tempo il mio disagio aumenta nell'accorgermi di essere osservato da quattro paia d'occhi curiosi.

«Dipende,» dico distaccato.

«Abbiamo visto di cosa siete capaci. Ed era nella Piazza d'Armi, quindi immagino che non foste autorizzati a liberare il vostro potenziale massimo,»

Scrollo il capo: 
come al solito la perspicacia di Jace tende a irritarmi.

«Liberare il mio potenziale massimo di fronte a tutti sarebbe piuttosto stupido anche se fossi autorizzato,» commento; incrocio le braccia e fisso le carte sparse per terra, evitando di sbilanciarmi.

«Hai capito cosa intendiamo.» Oskar si sta innervosendo. «Volendo, potreste mettere fine alla guerra in poche settimane.»

Lo fisso senza dire niente. Non mi piace dove sta andando a parare l'argomento.

«Suppongo di sì. Dipende dai nostri ordini. E ci sono molti fattori da tenere in considerazione, almeno per quanto riguarda la mia alchimia.»

Cerco di essere il più ermetico possibile, ma so che vorrebbero farmi mille domande, nonostante nessuno di loro capisca una virgola di trasmutazioni. Noto che Alena ascolta con molto, forse troppo interesse.

«Con una fiammata ben piazzata potresti liberare... quanto? Un intero isolato?»

Mi corre un brivido lungo la schiena nel vedere che Jace sembra aver intuito un po' troppo chiaramente il mio “potenziale”.

«A malapena mezzo, a seconda della topografia del terreno,» mi schermisco in fretta. «Non è così facile come sembra. Non basta davvero solo "schioccare le dita",» aggiungo mordace a mo' di spiegazione, ma loro non demordono.

«Facciamo mezzo, allora,» interviene Oskar; mi fa un sorriso un po' dubbioso e si rivolge poi agli altri: «Adesso immaginate cosa lui e il Colonnello Grand potrebbero fare se unissero le forze.»

Loro fanno cenni d'assenso, visibilmente impressionati dall'idea.

«Grand distruggerebbe le barricate e tu faresti piazza pulita di ciò che resta,» conclude Rod.

«Se non per il fatto che tutto quel metallo tanto caro all'Alchimista di Ferro e Sangue finirebbe liquefatto dal mio fuoco e io rimarrei in campo aperto senza nessuno a coprirmi le spalle,» replico io piattamente, senza nascondere la mia antipatia. «Un ottimo bersaglio da tirassegno per i cecchini ishvaliani.»

Oskar sospira.

«Sei un guastafeste, lo sai?»

«Sono realista.»

«Allora comincia a pensare che realisticamente questa guerra durerà al massimo un mese,» mi rimbecca veemente, e scelgo di non insistere su quel punto.

«Resta il fatto che ormai l'intero Est è in conflitto. Non sarà facile riportare la situazione alla normalità in così poco tempo,» interviene Alena, dopo un lungo silenzio.

«La guerra è a Ishval ed è che si combatte. Gli altri sono solo scontri tra ribelli isolati e le guarnigioni del territorio; gli ishvaliani cadranno in ginocchio quando cadrà Ishval,» dice Oskar, con decisione.

A quel punto non posso evitare di guardarlo incredulo, e Jace s'infervora, perdendo la sua solita calma:


«Hanno distrutto interi villaggi, devastato le campagne e sottratto una parte di territorio ad Amestris. E ormai a East City c'è un attentato al mese! Questi li chiami scontri isolati?»

Oskar tentenna, ma gli lancia un'occhiata scettica in silenzio.

«Il governo non lascerà mai correre. È chiaro che noi siamo la spedizione punitiva,» dice Jace, e instilla in me una punta d'inquietudine.

«È da folli pensare che vogliano prendersela con tutta la popolazione,» s'intestardisce lui, evitando il suo sguardo.

Jace non ribatte. Quando Oskar s’incaponisce, è inutile intavolare discussioni.


«Oskar non ha tutti i torti. Ishval è in una posizione strategica rispetto ad Aerugo: non ha senso raderla al suolo.» Rod cerca di essere ragionevole e di calmare gli animi.

Vorrei credergli, ma tutto ciò che ho sentito su Ishval e questo brutto presentimento che mi stringe lo stomaco mi dicono che non sarà così. La guerra è iniziata con l'assassinio di un bambino. Cosa ci aspettiamo di trovare? Ma non voglio abbattere il morale del gruppo ancor prima di arrivare, così evito di esprimermi.


«Anche ammettendo che sia una situazione di merda... grazie agli Alchimisti abbiamo la vittoria in pugno, adesso,» Oskar mi stringe la spalla con fare rassicurante e io ricambio con un cenno d'assenso, nonostante tutto.

«E secondo me inviare tutte queste truppe serve solo a fare scena,» rincara Alena, alzando le spalle. «Alla fine sarete voi a dare una svolta alla situazione. –

«Sentito? Hai un' ammiratrice,» mi stuzzica Oskar, allentando la tensione.

«E piantala!» lo rimbecco, sorridendo mio malgrado, mentre Jace e Alena gli scoccano un'occhiataccia.

Sono riluttante ad accettare tutto quell'ottimismo ingiustificato, ma finisco col cedere per non provocare una lite, e perché in fondo voglio davvero crederci.


«Se le cose stanno davvero così basterà poco per indurre alla resa i ribelli. Non mi serve demolire una città... di solito una persona normale scappa dopo la prima fiammata che lancio. Lo stesso vale per Grand, Comanche e gli altri. Insomma, chi vorrebbe affrontare quel pazzo di Kimbly?»

A quel punto Oskar si lascia scappare una risatina.

«Il Maggiore Armstrong non avrebbe neanche bisogno di usare la sua alchimia...»

«Tramandata per generazioni dalla famiglia Armstrong!» interviene quasi meccanicamente Rod con voce stentorea, facendo girare mezzo vagone.

«Solo mostrando quella massa di muscoli farebbe scappare a gambe levate tutta Ishval.»

«Quindi... il tutto diventerebbe una specie di spettacolo per fenomeni da baraccone?» dice Jace, fingendosi pensieroso.

«Ehi!»

«Dai, non fare il prezioso!» mi spintona Oskar. «Come se sputare fiamme dalle mani fosse normale...»

«Io non sputo... oh, lascia perdere,» faccio un gesto esasperato, ma mi ritrovo a ridere con loro, come tante altre volte.

Sono contento di essere rimasto con loro invece di salire nei vagoni anteriori riservati agli ufficiali: non appartengo a quel mondo, non ancora, e ogni minuto passato coi miei compagni d'Accademia è importante.


«Resembool! Resembool! Ultima stazione! Prepararsi a scendere!»

All'annuncio iniziamo subito ad alzarci e radunare le nostre cose, mentre il treno rallenta sempre più fino a fermarsi. Mi metto lo zaino in spalla e aggancio l'orologio d'argento alla cintura, infilandolo in tasca e lasciando la catenella in vista.

Controllo che i guanti d'accensione siano al loro posto e mi inserisco nella coda che si è formata di fronte all'uscita del vagone. Ho il fondo schiena a pezzi e le gambe addormentate e cerco di sgranchirmele prima di scendere.

Mi incolonno dietro Oskar, e gli altri a seguire. Noto che Jace sta parlottando vivacemente con Alena, così guardo Rod subito dietro di me e ammicco verso di loro. Lui scuote la testa e io alzo gli occhi al cielo.

La porta scorrevole si apre e iniziamo ad avanzare lentamente, fino a che non metto piede sulla banchina malmessa di Resembool, accolto da una folata di vento caldo.


 


 

 
   
 
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