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Autore: AzucarScarlet    03/02/2020    1 recensioni
Con questa fanfiction, ho voluto sperimentare qualcosa a cui pensavo da un po' di tempo. Bowser è sempre stato il mio personaggio preferito all'interno dell'universo Mario Bros e mi è sempre piaciuto immaginare un suo risvolto "fragile", diverso dall'immagine stereotipata del cattivo proposta dal videogioco stesso.
In questa storia, ad aiutare il Re dei Koopa a far fronte alla paura di mostrare sè stesso al mondo, c'è la Principessa Daisy: emancipata, testarda, risoluta, si rivela un'ottima alleata di Bowser nel tentativo di sconfiggere le difficoltà che lo costringono ad indossare una maschera per non far trasparire le sue vere emozioni.
Questa non è solo una storia con al centro una crack ship, come potrebbe sembrare a prima vista, ma è anche e soprattutto una storia per riflettere, fatta di emozioni, che spero possa incuriosire.
Buona lettura e grazie per essere arrivati fin qui :)
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Bowser, Bowser Jr., Bowserotti, Daisy, Peach
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Credo sia il caso che vada, ora- disse Bowser rimettendosi pigramente in piedi e cercando per quanto possibile di non incrociare lo sguardo di Daisy.
 
La ragazza gettò un’occhiata fugace al grosso orologio da parete alla sua sinistra: segnava ormai le 22:00 inoltrate.
-D’accordo, allora alla prossima..!
 
Bowser annuì distrattamente e si incamminò verso l’uscita sotto lo sguardo attonito e forse preoccupato dei servitori, alcuni dei quali erano palesemente rimasti ad ascoltare la loro conversazione da dietro la porta, e ora fingevano di star occupandosi delle mansioni loro assegnate.
 
La principessa li rimproverò in silenzio con uno sguardo che non lasciava troppo spazio ad eventuali dubbi, ma proseguì imperterrita il suo cammino verso il grande portone, fino a dove scortò l’ospite.
Lo aprì con un po’ di fatica, tirando energicamente la maniglia, per poi tornare a guardare il Re in silenzio.
 
-Beh, se avessi bisogno di compagnia... sai chi rapire, d’ora in poi- scherzò Daisy, ammiccando -Prometto che non chiamerò aiuto-
-E io prometto che studierò un modo migliore per chiedere alle persone di passare del tempo con me-
Risero entrambi prima che Bowser la salutasse con un cenno della testa e si voltasse, camminando lentamente verso casa.
 
Daisy lo guardò allontanarsi in silenzio e per qualche motivo non potè trattenere un sospiro: davvero sarebbe stato bene? Forse avrebbe dovuto proporgli di essere suo ospite... No, probabilmente sarebbe suonato strano.
 
“Cosa ti fa pensare che potrei mai voler avere a che fare con un mostro come te? Sei rivoltante, dovresti fartene una ragione”
 
Le parole di Peach le risuonavano ancora in testa. Mai, da quando la conosceva, l’aveva sentita parlare con tanta freddezza e disprezzo; quasi le era parso di non riconoscerla. Possibile che si fosse sempre illusa di conoscerla davvero?
 
Bowser nel frattempo era tornato alla sua dimora. Non appena imboccato il ponte levatoio, i Tartossi a guardia dell’ingresso lo guardarono in silenzio con aria preoccupata senza tralasciare di soffermare la loro attenzione sulle fasciature e sui cerotti disseminati su tutto il corpo del loro sovrano.
-Che avete da guardare?- borbottò lui, iniziando a strapparsi dalle braccia i primi strati di bende. Bastò questo a zittirli e a convincerli a non fare domande in merito.
 
-Padre, sei tornato!- esclamò Bowser Jr che, seguito a ruota dai suoi fratelli, si diresse verso l’atrio per salutare il genitore.
-Dove sei stato tutto il giorno?- chiese Larry, battendo il piede a terra per mostrare tutto il suo disappunto.
-Già, sei stato via parecchio- aggiunse Iggy -Ma mentre non c’eri ho messo a punto un nuovo marchingegno che potrà aiutarti a sconfiggere il nanetto baffuto una volta per tutte!
-Pff, e quella sarebbe l’arma definitiva, secondo te? Scommetto che non riuscirebbe a battere nemmeno me!- commentò Roy, calcandosi gli occhiali da sole sul naso.
-Padre, questi screanzati hanno fatto chiasso per tutto il giorno, rovinando la mia sfilata di moda e non solo!- sottolineò Wendy, imbronciata, incrociando le braccia sul petto
-Hanno disturbato anche le mie prove con gli strumenti- ci tenne a precisare Ludwig, con spiccata cadenza tedesca.
 
Prima che anche Morton e Lemmy potessero lamentarsi di qualsiasi altra cosa, Bowser emise un ruggito frustrato per zittirli una volta per tutte.
 
Le guardie ed i servi all’interno e fuori dal castello si immobilizzarono in attesa che il terreno sotto i loro piedi smettesse di tremare, poi ripresero a svolgere le loro mansioni senza battere ciglio, ormai abituati alle escandescenze del loro padrone.
 
I piccoli rimasero immobili a fissare il padre, deglutendo all’unisono e stando pronti a tapparsi le orecchie in caso di necessità.
 
Al di là di ogni previsione, però, il Re si limitò a sospirare frustrato, buttando fuori dalle narici tutta l’aria trattenuta sotto forma di piccole nubi di fumo scuro.
 
-È stata una lunga giornata. Potreste cercare di risolvere da soli i vostri problemi, per una volta?
-Certo, Padre!- rispose prontamente Bowser Jr, notando solo in quel momento i cerotti e le fasciature che ancora intrappolavano la pelle ruvida del vecchio genitore -Ci dispiace, ce ne andiamo
 
E batterono in ritirata assicurandosi di non fare troppo rumore.
 
Il Re si avviò in silenzio verso la sala del trono, dove poco dopo lo raggiunse Kamek -Vostra Sgradevolezza...- commentò a mezza voce, con un inchino veloce -Se posso permettermi, con tutto il rispetto, non sembrate in condizioni ottimali. Volete che guarisca le vostre ferite con la mia magia?
 
-Sono già guarite, idiota- sibilò il sovrano, strappandosi con rabbia i cerotti e le bende rimanenti -Ora vattene. Voglio rimanere solo.
 
-Ma certo, Vostra Malvagità, ai vostri ordini. Se doveste avere bisogno di me, non esitate a..
 
-Vattene. Ora.
 
Kamek lasciò la sala in silenzio, richiudendo lentamente il vecchio portone cigolante.
 
Bowser appoggiò il gomito sul bracciolo del grande trono rivestito di oro e velluto e sostenne il mento con il dorso di una mano, chiudendo gli occhi.
Le parole di Peach risuonavano ancora nella sua mente, fastidiose quanto uno sciame di api, e dolorose come stilettate al cuore ogni volta si soffermasse a pensare al loro significato e all’espressione infastidita della sua principessa.
 
“...seppur impossibilitati a ricambiare, ne siamo riconoscenti.”
 
Bowser aprì di scatto gli occhi tornando alla realtà, quasi come se quelle parole lo avessero risvegliato dal suo torpore. Si guardò intorno: le aveva sentite pronunciare così chiaramente dentro la sua testa che per un attimo aveva avuto l’impressione che Daisy fosse proprio lì, a sussurrargliele nell’orecchio.
 
Daisy.
 
Già. Non aveva mai avuto occasione di passare del tempo con lei, prima.
E come se non bastasse ora si sentiva ancora più confuso, dopo il pomeriggio trascorso a parlare con lei e a farsi medicare come un povero fesso indifeso.
 
Emise un grugnito frustrato e gettò lo sguardo su dei fogli ingialliti impilati su una vecchia scrivania lì accanto.
Si avvicinò con passi pesanti e ne afferrò un paio con un po’ di difficoltà, poi cercò di decifrarne il contenuto: probabilmente quella missiva era talmente vecchia, e si trovava lì da così tanto tempo, che era questo il motivo per cui l’inchiostro si era quasi completamente deteriorato, rendendo impossibile leggere quello che una volta doveva essere una sorta di documento ufficiale -o di invito?- da parte di un qualche Regno circostante.
 
Rimase per qualche secondo a fissare il foglio ingiallito e i caratteri sbiaditi, poi afferrò una penna e, dopo aver intinto con cura la punta nell’inchiostro, iniziò a tracciare con attenzione i primi segni sulla carta, quelli che componevano la scritta “Alla Principessa Daisy di Sarasaland”.
 
Fissò per un attimo la sua scrittura incerta, i tratti tremolanti tracciati dalla sua mano e il modo assurdo in cui era costretto ad inclinare le dita ed il polso perchè potesse avere una presa più o meno sicura sul minuscolo pennino.
Scrisse un paio di altre righe, semplici e concise, con molta lentezza e con una pazienza che non gli appartenevano, almeno finchè non iniziò ad innervosirsi nell’osservare quella scrittura illeggibile e niente affatto elegante.
-Al diavolo, chi ha bisogno di una stupida lettera? E poi anche se gliela inviassi, non la leggerebbe nemmeno!- commentò ad alta voce, finendo col sentirsi ancora più stupido.
 
Abbandonò la stanza sbattendo i grossi piedi a terra e si infilò in camera da letto senza una parola.
 
   
 
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