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Autore: Sheep01    04/02/2020    2 recensioni
[IT, Fix-It fic]
Aveva fatto i conti con la possibilità che avrebbe potuto restare intrappolato in quelle fogne per sempre. Il suo corpo, le sue ossa, a sgretolarsi nel ventre di Derry. Per sempre.
Ma non era stata Beverly a metterli al corrente che chi moriva a Derry era destinato a non morire mai veramente? Doveva essere vero perché, in qualche universo alternativo a quello, nessun Eddie avrebbe mai potuto sopravvivere a una ferita del genere...
Eppure... eppure...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 5

 

Chi era quell'uomo?

Sì, quell'uomo che gli rimandava uno sguardo di sfida dallo specchio?

Non Eddie Kaspbrak, questo era certo. Non lo stesso uomo che fino alla settimana prima sembrava esser uscito da un incontro di boxe, perso a tavolino. L'espressione tirata di qualcuno che getta la spugna, ancora prima di cominciare. Lo stesso uomo che passava notti insonni, permeate da incubi di morte che la mattina si ripercuotevano disastrosamente sul suo viso con un paio di occhiaie violacee e gonfie, degne di un tossicomane.

No, non poteva essere Eddie quell'uomo dall'aria serena e riposata che lo osservava dall'altra parte. Aveva persino ripreso colore e, sulle labbra, un accenno di sorriso? Nella sua vita da adulto non si era mai svegliato col sorriso, non che ricordasse almeno, nemmeno per sbaglio, nemmeno il giorno del suo matrimonio.

In realtà, il giorno del suo matrimonio, aveva vomitato per l'ansia, prima di infilarsi nel vestito elegante che nemmeno era sicuro di essersi scelto da solo, pilotato da ben più persuasive burattinaie. Chi l'avrebbe sentita sua madre e poi Myra se si fosse presentato alla cerimonia con un abito che puzzava di vomito?

Si sciacquò il viso, sperando almeno di cancellare quel compiacimento del tutto fuori luogo, prima di uscire dal bagno. Non poteva certo permettere che Richie si accorgesse del suo stupidissimo buon umore. Non glielo avrebbe dato un pretesto (un altro, a dire il vero) per canzonarlo e prendersene il merito in modo del tutto... legittimo.

Già, perché se non era merito di Richie, di chi altri? Non era così stupido da non rendersene conto.

Era già passata un'intera settimana dalla sera di quel bacio. E nonostante ne fossero seguiti altri, molti altri, quello era l'unico ad essere rimasto marchiato a fuoco nella sua mente, sulle sue labbra, dentro le viscere. Capace di farlo ancora arrossire come un ragazzino ogni volta che andava a frugare fra i ricordi per ripescarlo.

Non perché se ne vergognasse, no. Per la prima volta in vita sua non aveva avuto alcun dubbio a riguardo. Non un attimo di esitazione, non un ripensamento. Come se improvvisamente i pezzi di un puzzle si fossero incastrati alla perfezione e tutto fosse finalmente diventato chiaro, limpido, come non lo era mai stato.

Si stropicciò il viso, deciso a cancellarsi quella stupida espressione dalla faccia e uscì dal bagno, convinto fuori ci avrebbe trovato Richie, pronto a tendergli un agguato; ma il silenzio in casa era così perfetto che capì immediatamente che l'uomo doveva essere ancora a letto.

La luce soffusa che proveniva dalla sua camera gli suggerì che doveva essere sveglio. Non chiese permesso, si limitò a sbucare sulla soglia, come un gatto, restandosene così, ad osservarlo a mezza strada, indeciso se sospendere quell'immagine perfetta: Richie a letto, la schiena poggiata al cuscino, sulle ginocchia il portatile che gli illuminava il viso e si rifletteva nelle lenti dei suoi occhiali. Il viso concentrato, le dita che battevano sui tasti, rapide e precise, il silenzio tutt'intorno. Per un istante avvertì il privilegio di poterlo osservare in quelle vesti, così diverse dall'immagine rumorosa e frenetica che Richie tendeva a dare di sé, di fronte a un pubblico, pagante o meno.

Stava lavorando a un nuovo monologo teatrale da giorni, ci metteva mano continuamente, catturato dal sacro fuoco dell'ispirazione. Le idee gli balenavano in mente nei momenti più impensati; per quello Eddie non si scoprì particolarmente sorpreso di trovarlo al lavoro ancora prima di aver preso il suo caffè mattutino.

Aveva appena deciso di andarsene così come era arrivato, per non disturbarlo o suscitare le sue ire, (così come era a successo a quel tizio, un certo aspirante scrittore, Jack Torrence che aveva tentato di far fuori la sua famiglia, anni addietro), quando lo vide voltarsi nella sua direzione, gli occhiali appena scivolati sul naso, a scrutarlo come un'apparizione. Decisamente molto poco infastidito.

«Dove credi di andartene, Spaghetti?»

«Non volevo disturbarti.»

«Non sei così silenzioso come sembri, mi spiace dovertelo dire», e a quell'accusa seguì un cenno con la mano che lo invitava a raggiungerlo, «magari riesci a capire se questa roba fa ridere o meno.»

Eddie non si fece ripetere l'invito una seconda volta. Non che avesse bisogno di pretesti per stargli accanto. Le occasioni si creavano più spontaneamente di quando avesse mai creduto possibile, come se improvvisamente fossero tornate tutte quelle strampalate dinamiche di quando non erano che due ragazzini in cerca di contatto fisico per esprimersi.

«Sei sicuro che sia una buona idea?» gli chiese, sistemandoglisi accanto, per poter sbirciare lo schermo del suo computer, «lo sai che non rido mai alle tue battute», concluse a gloria, soddisfatto dell'occhiataccia che Richie gli aveva restituito.

«Questo non è vero, ridevi sempre alle mie battute da ragazzino», gli stritolò una guancia, prima di liberarlo per evitare violente ripercussioni, «forse perché eri più simpatico. Comunque, chi meglio dell'adulto e pretenzioso (e stronzo) Eddie Spaghetti Kaspbrak per testare l'impatto sul pubblico?»

«Se questa la prenderai come scusa per fare da scaricabarile sui tuoi insuccessi, con me non avrai alcuna soddisfazione.»

Richie gli sorrise: «No, però un paio di soddisfazioni conto di togliermele comunque.»

Eddie non fece in tempo ad indagare di quali soddisfazioni stesse parlando, perché Richie aveva già deciso di inaugurare la giornata, rubandogli un lungo, assonnato bacio mattutino.

«Spero tu ti sia lavato almeno i denti, ieri sera...» fu tutto ciò che si trovò a ribattere, una volta tornato in possesso di tutte le sue facoltà mentali.

Diventava sempre più difficile mantenere il controllo. Ad ogni bacio rubato, ogni carezza, ogni gesto di spontanea tenerezza, Eddie si scopriva a desiderare di più, ma nonostante tutto ancora indeciso se spingersi oltre quella linea di demarcazione. La verità era che stava cercando di andarci coi piedi di piombo. Voleva essere sicuro di non fare cazzate proprio perché si trattava di Richie, voleva essere certo di non farlo soffrire e forse, voleva essere sicuro di non deluderlo con quarant'anni di spiacevoli e imbarazzanti esperienze alle spalle. Fosse successo qualche anno prima forse si sarebbe solo lasciato andare e basta. La verità era che non era più un ragazzino impulsivo... e la cosa la rimpiangeva enormemente. Inoltre doveva ancora capire quali erano le dinamiche di questa evoluzione, nella loro relazione. Vivevano in una bolla esclusiva, idilliaca, fatta di quattro pareti e pochi contatti esterni, doveva capire in che modo avrebbero potuto funzionare anche fuori da quel contesto. Fuori da quel micro-universo ideale.

Richie, di contro, non gli faceva pressione alcuna, sembrava capire esattamente, silenziosamente, le sue ragioni, sapeva quando doveva fermarsi o quando Eddie aveva il timore di chiedergli di fermarsi. Come non avesse alcun motivo per affrettare le cose, per una volta tanto.

«Leggi e taci, Spaghetti», gli piazzò di fronte il portatile, senza allontanarsi troppo, spalla contro spalla, per seguire lui stesso la lettura.

Eddie cercò di concentrarsi e non pensare al respiro dell'uomo a pochi centimetri dal collo o dai brividi sulla pelle ogni volta che Richie gli accarezzava un braccio: conforto e tortura assieme.

«Sei sicuro che questa roba tu possa dirla in pubblico?» additò una frase in particolare sulla schermata, schiarendosi la voce.

«Non sarebbe la prima volta che mi becco una denuncia. Ho un diavolo d'avvocato per questo genere di cose.»

«E cambiare la battuta, invece?»

«Non si può mettere un bavaglio all'arte!»

«No, però a qualcuno farebbe bene mettere un bavaglio a Richie Tozier.»

«Ti piacerebbe, mh? Un po' di sano bondage, Spaghetti. A saperlo avrei affittato delle manette.»

Eddie gli diede una manata in faccia, prima di rimettersi a leggere.

Richie cominciava a dare segni di cedimento, ogniqualvolta riusciva a individuare una battuta particolarmente brillante alla quale Eddie non reagiva in modo soddisfacente.

«Andiamo, Eds, non può davvero non farti ridere nulla!»

«Solo perché non mi sto sganasciando dalle risate non significa che non mi stia divertendo.»

«Ti prego...»

«Magari dovresti leggermele tu, la tua voce fa la differenza.»

«Che scusa del cazzo», si riprese di malagrazia il computer, «dalla faccia che avevi, sembrava tu stessi leggendo la lettera d'addio di Stanley.»

«Ma non era una scusa! I dialoghi sono divertenti ma non posso ridere se non ci sei tu che fai le Voci. La mia fantasia non è così...», si interruppe per un istante, rielaborando la sua frase «quale lettera d'addio di Stanley?»

Lo scrutò con aria interrogativa, come se l'accenno sull'unico Perdente che aveva mancato l'appello a Derry, lo avesse improvvisamente trascinato fuori dalla bolla idilliaca del momento. Se era una battuta non l'aveva capita. E comunque sarebbe stata decisamente troppo fuori luogo anche per uno come Richie.

«La lettera di Stan. Quella che ha spedito a tutti quanti prima di...», la voce di Richie si affievolì e poi si interruppe quando sembrò notare lo smarrimento di Eddie. «Non puoi non averla ricevuta. L'ha mandata a tutti.»

Eddie fece una smorfia e cercò di ricordare se non si fosse rincretinito tutto d'un tratto, ma no: negli ultimi mesi non aveva mai avuto sottomano nessuna lettera.

«Myra...» realizzò, facendo scivolare le gambe giù dal materasso, «se c'è qualcuno che può avermela tenuta nascosta quella è lei.»

«Perché mai avrebbe dovuto nasconderti la lettera di un amico?»

«Perché aveva paura mi avrebbe agitato? Perché ha cercato di impedirmi di mantenere i contatti con voi, una volta tornato a New York? Non lo so perché, non sarebbe nemmeno la prima volta.»

«Dio santo, ma no...» Richie aveva accantonato il portatile e si era rimesso in piedi. Lo seguì con lo sguardo mentre attraversava la stanza per raggiungere uno dei suoi cassetti, prima di tirare fuori quella che aveva tutta l'aria di essere una lettera.

«Credo l'abbia scritta simile per tutti quanti. Ne ho parlato solo con Mike ma...» gli rivolse un'occhiata greve, tenendo la busta fra le mani come fosse un tesoro prezioso «la vuoi leggere?»

Eddie la osservò con un misto di terrore e curiosità, come fosse una bomba pronta ad esplodere.

«No... cioè, sì... non lo so», si ritrovò a rispondere, del tutto destabilizzato da quell'improvvisa nota di cruda realtà.

Richie si rigirò la busta fra le mani ancora una volta, carezzandola quasi, con lo sguardo. Solo in quel momento Eddie ricordò quanto Boccaccia e Stan l'Uomo fossero stati legati da ragazzini, almeno quanto lui e Bill Tartaglia lo erano stati, prima di quell'estate in cui i sette Perdenti avevano preso a vivere in simbiosi.

«Non sei obbligato a farlo, Eddie. Ma se può esserti d'aiuto... sappi che a me ha consolato molto.»

Eddie inspirò a fondo, indeciso se andare fino in fondo o sperare che la sensazione che gli era appena precipitata addosso se ne andasse così come era arrivata.

«Okay...» disse, «credo... credo di volerla leggere. Ma non adesso... magari non insieme», gli rivolse uno sguardo di scuse, come fosse una colpa quella di non voler condividere con lui un momento simile. Ma se tutti avevano avuto la possibilità di leggerla e assimilarla, perché a lui doveva essere negato un tale... privilegio? O condanna.

«Certo», sorrise Richie, dando segno di aver perfettamente compreso, prima di porgergliela, «te la lascio, so che è in buone mani. Di certo più pulite delle mie.»

Eddie gli rivolse un sorriso ma non ebbe cuore di ribattere.

Improvvisamente, tutto il suo buonumore se ne era andato.

 

***

 

«Avete mai pensato a cosa vorreste fare da grandi?»

Stan aveva appena finito di sistemare alcuni fumetti lasciati sparpagliati in giro da Richie, su una delle mensole improvvisate nel rifugio dei Perdenti. Nonostante quel posto fosse poco più che abitabile, gli piaceva mantenerlo in ordine, se non proprio pulito.

Eddie, Richie e Stan erano stati i primi ad arrivare quel pomeriggio. Beverly se n'era già andata da un paio di settimane da Derry, mancando a tutti loro immensamente, gli altri erano impegnati in commissioni più o meno importanti.

«Non fare l'insensibile, Stan», rispose Richie, spaparanzato sull'amaca a sfogliare un libricino dall'aria consunta, «Eddie non diventerà mai più grande di così.»

«Vaffanculo, Tozier», gli rispose Eddie, lanciandogli quello che restava della carta di un croccante al cioccolato.

«No, sul serio... non ci avete mai pensato? A breve cominceremo il liceo.»

«Non saprei», intervenne Eddie, mettendosi seduto con aria meditabonda, «non ci ho mai pensato davvero, magari mi piacerebbe diventare... medico.»

«Ah, conveniente questa, Spaghetti, così le ricette potrai prescrivertele da solo», Richie, «e perché non farmacista direttamente? Potresti corteggiare la figlia di quel viscidone del proprietario e diventare felice erede di una fabbrica di droga legalizzata!»

«Piuttosto che sposare quella, resto solo tutta la vita».

«Sarei sorpreso del contrario, bello mio, significherebbe che c'è speranza proprio per tutti.»

Stan alzò gli occhi al cielo, già stanco di quel battibecco, l'ennesimo dacché si erano ritrovati lì.

«E tu come ti vedi da qui a qualche anno, Richie?» cercò di interromperli, riportando l'attenzione su qualcosa che sicuramente il ragazzo non avrebbe ignorato. Tutti sapevano quali erano le aspirazioni di Richie, ma sentirglielo raccontare avrebbe dato un freno temporaneo a quegli inutili screzi.

«Lontano da questo buco di merda di Derry», esalò teatralmente, richiudendo il libricino che forse nemmeno stava davvero leggendo, «Sposato alla madre di Kaspbrak e ovviamente il volto più famoso degli Stati Uniti.»

«Difficile ignorare quei cartelli affissi alle stazioni di polizia», intervenne Eddie, «Wanted: Richard Tozier, buffone di professione.»

«A-ah, non farete più tanto gli schizzinosi quando folle di ammiratori verranno da tutto il mondo per assistere ai miei spettacoli...»

Stan soppresse una risata: «Folle di creditori, vorrai dire. Mi devi ancora quei cinquanta centesimi per le figurine, a proposito.»

«Cosa? Dio santo sei proprio come quell'ebreo di Shakespeare, quello che ci hanno fatto studiare a scuola. Come si chiamava?»

Eddie si strinse nelle spalle.

«Shilock», rispose Stan.

«Ero sicuro lo sapessi, siete tutti imparentati fra voi...»

«Non saprei, ho solo un cugino di primo grado e fa David di nome», rispose, senza dar segno di esserci rimasto male per la battutaccia di Richie, come non se la prendeva mai, dopotutto.

«E tu, Stan?», lo spronò Eddie, «cosa vuoi fare da grande?»

Questa volta fu il turno di Stan di stringersi nelle spalle.

«Nemmeno io ci ho mai pensato seriamente. Potrei finire per fare il contabile...» Richie soppresse un'esclamazione di esultanza per il parallelo, seguita dall'occhiataccia di Stan e Eddie in combo, «come tanti in famiglia, oppure studiare scienze naturali all'università. Ma... in realtà credo che l'unica cosa che vorrei, a prescindere da tutto, è vivere felice.»

Lanciò uno sguardo a entrambi i suoi amici che si erano ammutoliti di fronte a quella confessione così semplice eppure tanto profonda. Adulta.

«Dopo quello che abbiamo passato... voglio dire, non pensate che ci meritiamo di esserlo, felici, almeno fino alla fine?»

Richie si era rimesso in piedi, come scosso da una solenne rivelazione.

«Perché solo felici?», chiese «Perché allora non disgustosamente felici?»

«Perché dobbiamo essere modesti.»

«Fanculo la modestia, Stanley! Da grandi saremo disgustosamente felici.»

Richie era avanzato allungando una mano come a sancire una promessa, l'ennesima che si facevano in quell'estate che sembrava non voler finire mai.

«Richie Tozier!», impostò la voce Boccaccia, come fosse uno di quei presentatori alla tv della domenica pomeriggio, «Il più felice uomo di spettacolo che abbia mai calpestato gli Stati Uniti d'America, sposato alla più mastodontica donna d'America! Stanley Uris, The Man: l'ornitologo contabile più fottutamente felice della Terra. E ultimo ma non ultimo, Eddie Spaghetti: il paziente zero dell'epidemia mondiale più devastante della storia, felice di donare il suo corpo alla scienza, per la salvezza dell'umanità!»

«Ehi!»

Posarono le mani una sull'altra, soffocando una serie di indignate risate, promettendosi, che sì, ci avrebbero provato ad essere felici.

E, per il resto del pomeriggio, la sensazione fu quella di essere davvero fortunati dall'essere circondati da amici che ti convincevano già di essere disgustosamente felici.

 

***

 

Eddie posò la lettera, indugiando sull'ultima frase, come non riuscisse a capacitarsi che quelle fossero davvero le ultime parole di Stan. Le ultime che rivolgeva ai suoi amici di sempre. Le ultime che non gli avrebbe mai sentito pronunciare a voce alta.

La cosa buffa fu realizzare che, mentre le leggeva, non riusciva a scindere quelle parole dall'immagine che aveva di lui quando era ancora ragazzino.

Non aveva idea di come fosse diventato da adulto, né di come avesse vissuto il resto della sua vita, una volta lontano da Derry.

L'unico pezzo mancante che sarebbe rimasto vuoto per sempre.

Si sentì in debito con lui per quella mancanza. Per aver tardato tanto a ricevere il suo messaggio dall'aldilà.

Si sentì benedetto e maledetto assieme, all'improvviso.

Anche lui aveva avuto dubbi, il giorno in cui avevano ucciso IT definitivamente, anche lui aveva titubato, aveva assistito impotente ad alcuni degli avvenimenti cruciali di quella giornata. Avrebbe voluto scappare, abbandonare tutto, ma poi... aveva anche rischiato di morire per aver deciso altrimenti.

Per un attimo aveva pensato anch'egli di tirarsi fuori dall'equazione. O di non essere mai stato davvero degno di farne parte.

Riusciva a comprendere fin troppo chiaramente il sentimento espresso in quelle poche, definitive righe.

Per Stan però non c'era stato nessun Richie a convincerlo di non essere quel codardo che credeva di essere, nessuna Beverly a incitarlo con convinzione di essere più che qualificato a sconfiggere i mostri. La disperazione e il terrore cieco che doveva averlo assalito in solitudine, eppure reso tanto lucido da decidere spontaneamente, sdraiato in una vasca da bagno e con una lametta fra le mani, di aiutare, a modo suo, tutti quanti.

Aveva ricordato tutto, prima ancora di tornare a Derry? O non lo aveva mai davvero dimenticato?

Per quanto tempo Stan, aveva dovuto convivere con la paura del buio?

Disgustosamente felice... lo era mai davvero stato? Anche solo per un momento?

Si passò una mano sul viso, le lacrime che non ne volevano sapere di scendere, costipato dall'insensato senso di colpa per non avergli potuto essere vicino in un momento tanto cupo.

Sollevò lo sguardo e Richie era lì, con la speranza che quella lettera gli avrebbe portato lo stesso sollievo che aveva esercitato su di lui, ma... improvvisamente deluso dal constatare che non era stato così.

«Non avrei dovuto fartela leggere.»

«Non dire stronzate, Tozier... dovevo leggerla. Volevo.»

«Certo, ma adesso sembra che ti sia scivolata via tutta la luce di dosso.»

Richie non avrebbe potuto descriverlo meglio di così.

«Allora forse dovresti venire qui e darmene un po' della tua.»

«Credevo di essere una bolla, non una luce...» rispose, ma non si sottrasse all'occasione di poterlo consolare un po'. Lo raggiunse alle spalle e gli fece passare le braccia attorno al collo, avvolgendolo così com'era, seduto sulla sedia del soggiorno, stringendolo in un abbraccio. Lo sguardo di entrambi rivolto alla lettera abbandonata sul tavolo.

«Vorrei andare ad Atlanta», mormorò Eddie, indeciso fino all'ultimo se renderlo partecipe o meno di quella decisione.

«Atlanta?»

«Sì, non è lì che abitava Stan? Mi piacerebbe andare a trovarlo. E... fare due chiacchiere con sua moglie.»

Richie non rispose subito, ma Eddie lo sentì sospirare appena, consapevole che, in ogni caso, la decisione era già stata presa.

«Vuoi approfittarti di una vedova inconsolabile, razza di disgraziato?», cercò di sdrammatizzare, come al suo solito, «credevo avesse deciso che le piacessero i maschi, dottor Kappa.»

Eddie scosse la testa, esasperato.

«Tutti i maschi non lo so...» disse, «di sicuro però so che mi piaci tu.»

Lo sentì mollare un po' la presa, certo avesse colpito nel segno.

«Bastardo», lo sentì sussurrare, un accenno di sorriso, però, nella voce. «Vengo con te ad Atlanta.»

«Cosa? No, Rich, hai il tuo lavoro, sono io quello che se ne sta con le mani in mano tutto il santo giorno», fece per voltarsi ma la presa si fece di nuovo serrata.

«Ci vengo anche io ad Atlanta», decretò con tono definitivo, «posso lavorare ovunque. E sono sicuro che Stan non veda l'ora di rivederci.»

Eddie non ebbe improvvisamente più nulla da obiettare. Gli avrebbe fatto piacere un po' di compagnia, dopotutto. Quella di Richie in particolar modo.

Tornò a fissare la lettera che sembrava in attesa di una qualche risposta e, alla fine, annuì.

 

***

 

Richie fu l'ultimo ad abbracciare Stan.

Si erano schierati uno accanto all'altro come in processione, il giorno della sua partenza da Derry.

Gli sussurrò qualcosa all'orecchio che Eddie non riuscì a sentire. Ma Stan non sembrò turbato, solo divertito e annuì con un sorriso.

Che avesse alluso alla promessa che si erano fatti qualche mese prima, alla fine di un'estate che sarebbe stata anche la loro ultima assieme?

«Già lo sapete che vi odio, tutti quanti...» disse infine, indietreggiando di un passo, lanciando loro un ultimo, definitivo sguardo che li accoglieva tutti. Come volesse memorizzarli in una virtuale foto di gruppo.

Bill, Mike, Ben, Eddie e Richie. Richie che non distoglieva lo sguardo, stranamente quieto, incredibilmente silenzioso.

Un commiato che aveva in sé la solennità di un addio.

Eddie non seppe perché lo fece, ma quando il signor Uris mise in modo la Station Wagon che avrebbe portato via loro Stan, per l'ultima volta, si trovò a raccogliere e stringere la mano di Richie.

Quando la macchina si allontanò e sparì in una nuvola di fumo, Richie restituì con forza la presa.

 

***

 

«Siamo pronti?» Richie osservava stupefatto il misero bagaglio che Eddie si era portato appresso per il loro viaggio attraverso gli Stati Uniti.

Niente Aerei. Solo auto. Nel giro di pochi giorni, di buona lena, sarebbero arrivati ad Atlanta, prendendosi tutto il tempo per attraversare varie fasi di ripensamento, fosse stato necessario.

«Yep...» rispose Eddie, lanciando all'uomo un'occhiata che conteneva più di un interrogativo.

«Fammi capire: per due giorni a Philadelphia un bestione di trolley e per un viaggio on the road, solo quel borsone?»

«Ti stai davvero lamentando per questa cosa, Boccaccia?»

«No, sono solo curioso di comprendere gli abissi della tua contorta psiche, Spaghetti.»

«Ho una mente analitica, Richie, ricavati da solo la tua spiegazione.»

«Dio, quanto mi eccitano le tue spiegazioni incomprensibili», lo prese in giro, prima di strizzargli il sedere e chiudere il bagagliaio.

Eddie scosse la testa, senza realmente lamentarsi, in fondo, della questione.

«Mi sto già pentendo di averti permesso di venire con me», lo superò sul retro per raggiungere il lato del passeggero. Scrutandolo dall'altra parte del tettuccio dell'auto.

«Permesso? Senza la mia macchina non saresti andato da nessuna parte, mente analitica.»

«Avrei preso un aereo», prese posto accanto a Richie alla guida, sistemandosi la cintura di sicurezza.

«Sei così poco romantico, Eds, dovrò farti un corso accelerato...»

«Non ho bisogno di un corso accelerato, ho bisogno che guidi», indicò la strada, «siamo già in ritardo sulla tabella di marcia.»

«Da quando abbiamo una tabella di marcia?»

Eddie gli scoccò uno sguardo eloquente.

«Non ci credo... almeno ho la certezza di poter scegliere io la colonna sonora, visto che la macchina è mia.»

«Questo è tutto da vedere. Ho una playlist studiata fin nei minimi dettagli per questo genere di viaggi.»

A Richie sembrarono uscire gli occhi dalle orbite all'affermazione.

Eddie rimase serio giusto il tempo di godersi la sua espressione, prima di demolire il silenzio con una risata: «Scherzavo.»

«Grazie al cielo, cazzo...» lo sentì rilasciare un sospiro di sollievo, prima di mettere in moto, «mi sarebbe spiaciuto dover uccidere il mio ragazzo, durante il tragitto.»

Eddie inarcò un sopracciglio.

«Il tuo... che cosa

«Bè...» Richie strinse le mani al volante, uscendo dal parcheggio e immettendosi in strada. Era solo un'impressione o a Eddie sembrò fosse arrossito?

Richie Tozier... arrossito.

La cosa riuscì a scatenargli addosso un potere immenso.

Soffocò una risata fra imbarazzo e lusinga, senza sentire la necessità di controbattere o chiarire quello stato, godendosi la sensazione di quelle parole. Di restare, ancora un po', in quel micro-universo perfetto, finché sarebbe durato.

Richie armeggiò con l'autoradio, sintonizzandola su una stazione radio locale. Le note di un pezzo di Bowie a riempire l'abitacolo.

Si trovò a sperare che Richie non pigiasse troppo sull'acceleratore.

Il giorno era ancora lungo.

Atlanta era ancora lontana.

 

Continua...

  
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