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Autore: Mahlerlucia    04/02/2020    3 recensioni
E ti vengo a cercare
Con la scusa di doverti parlare
Perché mi piace ciò che pensi e che dici
Perché in te vedo le mie radici.
(‘E ti vengo a cercare’ – Franco Battiato)
[Semi x Shirabu]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu, Tendo Satori
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Accetto miracoli'
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Anime/Manga: Haikyuu!!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico
Rating: giallo
Avvertimenti: Lime, What if? 
Personaggi: Eita Semi, Kenjirō Shirabu (Satori Tendō)
Pairing: SemiShira
Tipo di coppia: Shonen ai





 
E ti vengo a cercare
 
 
E ti vengo a cercare
Anche solo per vederti o parlare
Perché ho bisogno della tua presenza
Per capire meglio la mia essenza...
 
 
Il discorso appena concluso in palestra da Wakatoshi non era stato un semplice incoraggiamento in vista dell’inevitabile passaggio di consegne in termini sportivi. Giusto pochi passi dietro alla stoica figura di chi era stato da sempre predestinato a ricoprire il ruolo del capitano, c’eri anche tu. D’accordo, c’erano anche tutti gli altri studenti del terzo anno, compreso un Satori avvolto da un inusuale silenzio. Ma avresti potuto giurare sul tuo nuovo chiodo di Gucci che nessuno fra loro aveva interpretato quelle parole con la stessa violenza con cui le avevi recepite tu.
In sostanza, il terzo anno era agli sgoccioli, la possibilità di partecipare ai campionati nazionali era andata a farsi benedire a seguito dell’amara sconfitta subita contro la Karasuno e tu non avevi più alcuna possibilità per mostrare loro il tuo talento in campo. Da troppo tempo il ruolo di setter titolare era stato conferito ad un ragazzino di un anno più giovane che si permetteva persino di accogliere i tuoi consigli con una palese aria di sufficienza, quasi come se non ne avesse mai avuto il benché minimo bisogno. Inoltre – e giusto per scavare con ancora maggiore profondità tra le implicite divergenze che vi accompagnano da mesi – avevi notato che il suo atteggiamento nei confronti dei tuoi coscritti era sempre stato molto più rispettoso e accondiscendente.
Più volte ti eri chiesto se il problema fossi tu, se ti era sfuggito di bocca un pensiero sbagliato nei suoi riguardi senza nemmeno volerlo o rendertene conto appieno; o se, più semplicemente, avevi osato varcare quel confine invisibile che ogni essere vivente si poteva porre nei confronti dell’affidabilità delle persone che quotidianamente affollavano il loro spazio vitale. Quelli di Kenjirō Shirabu dovevano essere di sicuro ben delimitati e accessibili solo a pochi ‘eletti’; e tu di sicuro non rientravi tra questi fortunati.

Eri uscito dalla doccia per ultimo, dato che ti eri offerto per il turno di pulizie del campo appositamente per evitare l’orario di punta dello spogliatoio. Considerando il tuo pessimo umore, non avresti potuto reggere neanche una mezza battuta idiota di Tendō, così come le frequenti lagne di Goshiki, per quanto fossi affezionato a lui e alle sue umane insicurezze. Ma più di ogni altra cosa, avresti voluto evitare che quegli occhi di un castano luminoso si fissassero per più di un nanosecondo sul tuo viso, magari con l’altezzosa pretesa d’incrociare il tuo sguardo. E per cosa poi? Per lanciarti una delle sue solite occhiatacce pregne di convinzione e desiderio di sfidarti?! Quelle iridi erano capaci di comunicarti la loro superiorità con il semplice supporto di un sorriso sghembo che gli altri confondevano facilmente con la cortesia.
Una volta seduto sulla panca con il solo accappatoio indosso, avevi aperto il tuo zaino per recuperare un asciugamano. Fu proprio in quel frangente che ti accorgesti della presenza di un borsone con gli stessi colori della squadra. Qualcuno doveva essere ancora nei paraggi e, a giudicare dalla compostezza di quel bagaglio, non doveva trattarsi di persone con cui avevi una certa confidenza.
Cazzo! Tutti, ma non lui!

Dalla tasca del tuo chiodo si era appena udito il suono di una notifica di WhatsApp. Sicuramente uno tra Satori e Reon avrebbe voluto sapere che fine avessi fatto. Amici di una vita, solita prassi.

“Eccoti, Semi-senpai.”

Il timbro di quella voce lo avresti riconosciuto tra mille, nonostante appartenesse ad un soggetto non particolarmente loquace e chiassoso. La calma con la quale si rivolse alla tua schiena voltata e ancora nuda ti fece sussultare e rabbrividire allo stesso tempo. Eri stato investito improvvisamente da una bizzarra sensazione di pudore, tanto da portare le braccia strette al petto perdendo il coraggio di voltarti. Fortuna che avevi fatto in tempo ad infilarti almeno i Denim prima della sua invasione.

“Ehi! Hai davvero detto ‘eccoti’? Stai facendo tardi appositamente per parlare con me? Quale onore!”

Dall’altra parte non arrivò nessuna risposta a quel commento puerile e composto da domande retoriche quanto inutili. Ancora un volta voleva dimostrare quanto fosse moralmente superiore a te e alla tua incontenibile frustrazione nei suoi confronti.
Avevi recuperato al volo la t-shirt pulita tra il tuo personale disordine e l’avevi indossata il più rapidamente possibile. La parte superiore si era subito bagnata a causa dei tuoi capelli ancora fradici. E gli dèi solo sapevano quanto tu detestassi quella sensazione di umido e gelo appiccicata alla tua pelle e ai tuoi vestiti, specie quando si trattava di capi per i quali avevi speso cifre che avevano richiesto intere settimane di lavoro al Sendai no kokoro - Izakaya.

“Va bene. Dimmi di cosa hai bisogno e facciamola finita.”

“Meglio se prima ti asciughi quei capelli, altrimenti domani rischierai seriamente di non alzarti dal letto.”

L’istinto ti aveva finalmente fatto trovare la forza per voltarti verso di lui per guardarlo dritto negli occhi. Il suo sguardo era serio, fiero e altezzoso come d’abitudine, ma qualcosa ti stava suggerendo che poteva esserci dell’altro. Tanto per cominciare, le sue guance avevano assunto un colorito decisamente troppo intenso rispetto ai quegli standard che non gli consentivano di far trapelare alcuna emozione oltre lo stretto necessario.
Ehi! Ma cos’abbiamo qui? Un accenno di normalità nel nostro ‘Mister-so-tutto-io’?

“Bell’augurio! Tanto sto per levarmi di torno in maniera ‘naturale’, sta’ tranquillo!”

“Non intendevo questo.”

Avevi nascosto il capo sotto l’asciugamano con l’intento di frizionarti le ciocche umide. Le tue dita avevano cominciato a muoversi lentamente sul cuoio capelluto, per poi bloccarsi d’improvviso nel giro di pochi secondi. Non avresti retto un solo istante all’idea che proprio Shirabu potesse avere il ‘privilegio’ di ammirare la tua chioma spettinata ed arruffata, indipendentemente dal fatto che non si trattasse della prima volta. Ma a differenza dei momenti di cameratismo di squadra, in quel frangente la sua attenzione sarebbe stata completamente dedicata a te e ai tuoi difetti... sia fisici che caratteriali.

“Vuoi farmi credere che t’importa forse qualcosa della mia salute?”

Il più giovane tra i due setter corrugò le sopracciglia in segno di sdegno; allo stesso tempo strinse entrambi i pugni lungo i fianchi e digrignò in maniera quasi impercettibile i suoi denti impeccabili. Dal canto tuo avresti potuto rinunciare all’acquisto dell’ultimo paio di Converse uscite in commercio, se solo qualcuno te lo avesse proposto in cambio del godimento che stavi iniziando a provare nell’osservare Kenjirō perdere il suo tipico aplomb.

“Lo dicevo per te. Poi sei libero di fare come meglio credi.”

“Esattamente come ho sempre fatto.”

Shirabu sollevò sino al petto una delle due mani strette a pugno e si diede un piccolo colpetto come a volersi dare un’autoregolata; per completare l’opera si attribuì anche un finto colpo di tosse. Chiuse gli occhi per una frazione di secondo per concentrarsi e tentare di tornare ad essere quello di sempre. Peccato che oramai alcune carte erano state scoperte e di certo non avevi intenzione di chiudere la questione una volta arrivati sino a questo ‘delicato’ punto.

“Appunto. Va bene, ora vado. Mi sono ricordato che ho un impegno.”

“Il tuo importantissimo impegno può aspettare qualche minuto... visto che mi sembrava di aver capito che volessi parlarmi.”

Si era già voltato in direzione del suo borsone per cercare di recuperarlo il più velocemente possibile e tagliare la corda. Ma no, non glielo avresti mai permesso! Non nel giorno in cui lo avevi reso vulnerabile ed interessante ai tuoi occhi con un solo, rapido scambio di battute dai toni ancor più acidi e perentori del solito.
Con un gesto – che con ogni probabilità era andato ben oltre la tua stessa volontà – eri stato in grado di fermarlo e di portarlo ad un soffio dalla totale perdita dell’equilibrio. La tua mano aveva afferrato il suo polso, talmente sottile da darti l’impressione di avere a che fare con un bambino delle scuole elementari. Lo avevi attirato a te sperando in cuor tuo che non arrivasse a far nulla di eclatante con il mero intento di liberarsi della tua presa. Non glielo avresti consentito per nessuna ragione al mondo!
Il suo viso era talmente vicino al tuo da permetterti di riconoscere l’odore del suo shampoo alla camomilla, lo stesso che comprava tua madre quando ancora si occupava della cura della tua persona.
Shirabu sollevò il capo e puntò i suoi grandi occhi sbarrati nei tuoi per supplicarti implicitamente di lasciarlo andare o, perlomeno, di fargli intendere per quale motivo lo stessi costringendo a quel modo.
Oh, Cazzo! E questi fari così luminosi da dove saltano fuori?

“Mi lasci?”

Un sorriso malizioso comparve sul tuo viso di per sé già parecchio entusiasta per l’intera situazione. Le guance del tuo kōhai erano tornate a colorarsi di un rosso-imbarazzo che non ti dispiaceva affatto.

“No.”

Non ti diede retta. Con un rapido movimento riuscì a strattonare il tuo braccio e a liberarsi in autonomia. Ma non si allontanò, non in un primo frangente almeno. Afferrò entrambi i lembi dell’asciugamano che ancora portavi sul capo facendola lentamente scivolare sulle tue spalle. E questa volta fu lui a riportarti a pochi centimetri dal suo naso, fissandoti con sguardo accigliato. Per quanto potesse fingere di essere adirato per il tuo comportamento, non potevi non aver notato il tremolio che contraddistingueva la presa con la quale ti teneva così annesso a sé.

“Ora i ruoli si sono invertiti, Semi-san.”

“Ora mi spieghi per filo e per segno il motivo per cui sei qui, Shirabu-kun!”

Ciò che fece un attimo dopo sarebbe rimasto impresso nella tua mente per molto tempo nel corso degli anni a venire.
La sua esile corporatura si sollevò sulle punte dei piedi per dargli la libertà di ancorarsi alle tue solide spalle; non ti fu ben chiaro cosa stesse cercando di fare fino a quando le sue labbra non si posarono sulle tue. Da quel momento la tua mente andò completamente in cortocircuito, per non dire in panico totale!
Non avevi la benché minima idea sul da farsi; non potevi dire se sarebbe stato più corretto proseguire o fargli intendere che stavate commettendo una grandissima cazzata. Ma lo era davvero? C’era realmente qualcosa di sbagliato in due persone che si scambiavano un bacio? Il problema risiedeva forse nel fatto che vi eravate guardati in cagnesco per un intero anno scolastico?! O era da attribuire a ciò che avevate entrambi in mezzo alle gambe?!
Non lo sapevi, non lo potevi sapere. E onestamente nemmeno te ne importava più di tanto. O forse non te ne fregava nemmeno un po’. Tutto quello che desideravi in quel momento era approfondire quel contatto bislacco e trattenuto, bramato e procrastinato per troppo tempo.
I palmi delle tue mani si posarono sulla sua mandibola, mentre non avresti potuto far altro che approfondire quel bacio racchiudendo il suo labbro inferiore nella tua bocca e cominciando a leccarlo avidamente. Un braccio scivolò lungo la sua schiena per sorreggerlo, dato che stava iniziando a non poterne più di rimanere sospeso sulle punte dei piedi.
Le vostre lingue si sfiorarono quasi per errore tra un piccolo morso e un lamento sommesso, soprattutto da parte sua. Il contatto incerto e l’espressione contrita mostrata dinnanzi alla presenza della tua saliva ti lasciarono facilmente intuire che per Kenjirō doveva trattarsi del primo bacio con relativo ‘approfondimento’.
Ti sovvenne una risata spontanea mentre il setter si dilettava nel tentavo di non mostrare disgusto per quello scambio di liquidi che probabilmente immaginava diverso, ma al quale si sarebbe sicuramente abituato presto. Era la prassi comune di tutti coloro che non vivevano nel mondo delle favole e sapevano bene che la prima esperienza difficilmente poteva rivelarsi speciale e perfetta come nei romanzi di Nicholas Sparks et similia.

“Non ridere. Non è divertente.”

“Ok. Ma ricordati che sei tu quello che ha preso l’iniziativa, campione!”

“La prossima volta andrà meglio.”

La prossima volta?! Cosa-caspita-hai-appena-detto?!
Notando la tua faccia sconcertata, Kenjirō si posò una mano sulla bocca come a voler contenere quello che stava frullando nella sua testolina ricca d’ingegno ma ancora povera di esperienze come quella che aveva appena avuto la fortuna di vivere proprio assieme a te.
E comunque fosse, l’idea di una prossima volta non ti sarebbe dispiaciuta neanche per sbaglio. Specie se questa avrebbe potuto prevedere anche un gioioso sequel.

“Voglio dire... ehm... intendo dire... la prossima volta che bacerò qualcuno. Una ragazza magari.”

Il sorriso forzato con cui avevi risposto a quell’ultima affermazione fu amaro, ma necessario. Non era una reazione di quelle dovute ad un cuore in frantumi o cose melense di questo genere. Diciamo che eri rimasto maggiormente infastidito dall’idea che Shirabu poteva essersi fatto circa quello che era appena avvenuto tra voi, soprattutto se le convinzioni morali con cui era cresciuto lo avevano da sempre portato a credere che l’intimità tra due persone dello stesso sesso fosse qualcosa di assolutamente errato.

“Certo. Comunque... era questo che mi volevi dire?”

L’espressione comparsa sul viso del più giovane portava con sé un enorme e fittizio punto interrogativo. Le nuove emozioni che avevano perturbato il suo animo gli avevano fatto scordare le motivazioni più prettamente sportive per cui si era preso la briga di tornare negli spogliatoi quando oramai non era rimasto quasi più nessuno. Quasi, appunto.
Prese fiato e si diede un piccolo colpo al petto come poc’anzi. Finse di nuovo di tossire e riaprì gli occhi dopo averli chiusi per quei pochi istanti necessari per farsi coraggio.

“Non esattamente. Volevo solo capire perché le cose tra noi vanno così male.”

“Detta così potremmo quasi sembrare una vecchia coppia rodata in preda alla prima crisi. Non trovi?”

Shirabu sollevò un sopracciglio e ti fissò con aria sorniona. Sorrise bonariamente e scosse la testa. Era incredibile come quella frangetta acconciata in maniera perfettamente simmetrica riuscisse a muoversi a tempo persino con le sue emozioni più implicite. Un taglio di capelli che gli stava piuttosto bene, ma che non avresti mai avuto il coraggio di copiare. E sicuramente il suo pensiero sul tuo hairstyle non si discostava di molto.

“Parlo sul serio. Cosa ho fatto di male? A parte mostrare le mie qualità in campo, s’intende.”

Touché!
Che faccio? Gli dico che il problema è stato proprio quello? Mi umilio confessandogli che mi fa rodere il culo ammettere che le sue ‘qualità’ sono superiori alle mie? Devo proprio adeguarmi a quello che pensa l’intero mondo-universo?
Eri arrivato a schiarirti più volte la voce prima di poter trovare le parole più adeguate per intavolare un discorso che non contenesse papabili offese e che – soprattutto! – non arrivasse a portare nuovamente discordia tra voi. L’equilibrio trovato in quel tardo pomeriggio era stato qualcosa di più unico che raro nella sua estrema fragilità.

“Ecco, sì... forse hai mostrato un po’ troppo. Quelle che tu chiami ‘qualità’ s’intende.”

“E come dovrei chiamarle secondo te?”

Avevi finto di pensarci su posando indice e pollice sotto il mento e assumendo l’aria di chi era alla ricerca del termine più aulico con il quale poter tornare a destreggiare una conversazione oramai in bilico. Almeno dal tuo punto di vista.

“Talento? Fermezza? Senso del gioco?”

Shirabu tirò un sospiro di sollievo che non ti saresti mai aspettato. I suoi occhi color caramello si abbassarono sino alla punta delle sue scarpe sportive, ma senza mai realmente guardarle. Nel momento in cui riacquistò il contatto visivo con il tuo volto, elargì un sorriso che ti fece inaspettatamente vacillare. Non si trattava di una smorfia o di una presa in giro; tutt’altro. Era stato un vero e proprio segnale di ringraziamento per esserti finalmente aperto a lui, per aver trovato la forza e l’umiltà necessarie per raccontargli quello che ti dava tedio da diversi mesi a proposito del vostro rapporto d’amicizia e di condivisione sportiva. In fin dei conti, la causa portante altro non era che della mera invidia personale. Una gelosia che ti stava inevitabilmente portando dalla parte del torto, oltre che ad inabissarti in una posizione d’immaturità dalla quale difficilmente ti saresti salvato, se non con una dovuta ammissione di colpe.
Raccogliendo gli ultimi rimasugli di orgoglio che ti erano ancora rimasti, gli avevi dato le spalle per evitare che arrivasse a fare commenti sulle lacrime che non eri stato in grado di trattenere.

“Cazzo...”

“Mi dispiace. Non avevo capito.”

Fu tutto quello che riuscì a dirti prima di stringersi a te affossando la punta del suo minuscolo naso tra le tue scapole e cingendo i tuoi fianchi con le sue esili braccia. Il calore che quell’impeto d’affetto riuscì a procurarti sarebbe rimasto a lungo impresso tra i tuoi ricordi più vividi ed intensi. Una sensazione piacevole e densa di comprensione che nessuna ragazza con cui eri stato sino ad allora era mai riuscita a farti provare. Non in maniera così intensa e totalizzante, almeno.
Carezzò la tua schiena con la fronte un’ultima volta, prima di decidere che quello sarebbe stato il frangente più opportuno per lasciarti in balia dei tuoi tumulti interiori. La prima – e più importante – linea di confine tra le vostre diversissime personalità era già stata ampiamente superata. Per quell’intensa giornata sarebbe stato più che sufficiente.

“Non ti preoccupare. Essere dei portenti non è di certo una colpa. Oh, con le parole non sarò mai bravo quanto Wakatoshi, ma ricordati che l’anno prossimo tutta la ciurma pallavolistica sarà nelle tue mani. Conto su di te, intesi?”

Shirabu liberò la sua presa ed indietreggiò di qualche passo, consapevole del fatto che gli avresti concesso un ultimo sguardo d’intesa prima di lasciarlo definitivamente andare.
Si preoccupò di recuperare la sua borsa e di salutarti con un doveroso inchino, come se davanti a lui si trovasse proprio quel capitano verso il quale aveva sempre dimstrato devozione e rispetto, e non quel setter che strepitava tra le riserve perché non riusciva a riguadagnarsi il suo posto da titolare in campo.

“Intesi. Grazie per tutti i tuoi preziosi insegnamenti.”

Grazie.
Non lo aveva mai fatto. Non ti aveva mai concesso quella parola preziosa quanto un giacimento di petrolio. Non aveva mai avuto la veemenza e la possibilità di mostrare quella fedeltà che aveva sempre avuto anche nei tuoi riguardi. Ma eri davvero sicuro del fatto che si trattasse solo ed esclusivamente una sua responsabilità? O forse anche tu, dal canto tuo, non gli avevi mai concesso gli spazi di cui aveva sempre avuto bisogno per approcciarsi a te nella giusta maniera? D’altronde, il tuo egoismo, unito al tuo costante desiderio di rivalsa, aveva sempre avuto la meglio su qualsiasi considerazione che Kenjirō potesse aver fatto sulle tattiche migliori da dover utilizzare durante i match più importanti. E questo non andava affatto bene, lo avevi sempre saputo.
 

 
***
 

La tua mano non riusciva a smettere di muoversi lungo l’intera lunghezza del tuo sesso turgido. I gemiti erano oramai divenuti troppo ravvicinati ed intensi per non indurti a pronunciare ad alta voce il nome della persona che ti stava eccitando pur stando accovacciata tra i tuoi pensieri. Lo avevi lasciato andar via solo fisicamente, ma si era appena permesso di attraversarti l’anima come una convinzione perenne. Avevi eseguito quel passaggio di consegne di cui probabilmente necessitavi ancor più tu rispetto a Shirabu. Ti eri finalmente liberato di quel macigno che ostruiva ogni tuo respiro e ogni tua parvenza di quotidiana tranquillità. Potevi affrontare il tuo futuro e ai tuoi sogni a testa alta, senza il bisogno di guardarti alle spalle nella speranza di aver lasciato il tuo copioso passato in buone – buonissime! – mani.
Seduto in malo modo sopra alla tavoletta del water e con la schiena poggiata alle piastrelle gelate, sentivi ribollire il sangue per tutto quel tempo sprecato in chiacchiere inutili e convinzioni errate. I ricordi delle sue labbra poggiate timidamente sulle tue, dei suoi capelli che solleticavano la tua schiena e della sua presa di posizione generale nei tuoi confronti non ne volevano minimamente sapere di concederti un po’ di pace, esattamente come il tuo giovane corpo in cerca di refrigerio carnale.
 
“Shirabu... Shi... Ah!”
 
Eri venuto buttando la testa indietro, lasciandoti inebriare dal calore del tuo seme che iniziava a colare copiosamente tra le tue dita ancorate alla tua intimità. Ti eri sentito sporco e felice allo stesso tempo, inadatto ma soddisfatto di quel poco che potevi concederti in sua assenza e considerando i pochi giorni che mancavano al termine di quel tormentato anno scolastico. Ti eri sentito libero e vivo, come se qualcuno avesse finalmente trovato la chiave giusta per liberarti da quella gabbia dorata in cui tu stesso tu eri rinchiuso per non dover affrontare la realtà dei fatti.



 
Avevi spento quell’ultima sigaretta sulla ringhiera ferrata della scala antincendio, convinto che nessuno si sarebbe accorto di quel tuo piccolo sgarro al regolamento scolastico. Prendere una nota di demerito il giorno prima della consegna dei diplomi avrebbe potuto renderti lo zimbello del prestigioso istituto privato di Sendai in cui avevi deciso di iscriverti tre anni prima, sfidando la sorte. Non avevi mai avuto voti eclatanti in nessuna materia in particolare, se non in educazione fisica e musica. Ultimamente avevi anche preso lezioni di canto e di chitarra, spinto dal desiderio di creare qualcosa di solamente tuo... magari una band.

“Semi-Semi tutto solo a riempirsi i polmoni di catramino! Che ci fai qui sulle scale antincendio? Non sta bruciando niente, se non il tuo culo!”

Tendō era comparso dal nulla con la stessa tempestività di un calcio sullo stinco. La sua loquacità dai toni piuttosto coloriti era qualcosa a cui, con ogni probabilità, non ti saresti mai abituato.
Nonostante la tua permalosità, avevi deciso di ignorare le sue provocazioni, concentrandoti su di un gruppo di ragazzi più giovani che stava attraversando il cortile con l’intento di portare del materiale nel laboratorio di chimica. Tra loro – guarda caso – vi era anche Shirabu.

“Semi-Semi che guarda con gli occhi a cuore il suo piccolo erede. Che cosa bellisssshima e pulciosissima!”
 
E giusto per completare quello sbeffeggiamento, aveva rappresentato un cuore con l’ausilio delle dita di entrambe le mani. Questa volta non avevi potuto evitare di tirargli un cazzotto in faccia per lasciargli intendere quanto quel commento infantile ti avesse infastidito.

“Satori, perché non sparisci dal mio campo visivo nel giro di tre nano-secondi? Lo dico per la tua sopravvivenza, non per altro.”

“Perché io sono la voce della tua coscienza!”

“La mia coscienza non potrebbe mai portare quegli obbrobriosi capelli rossi sparati in aria. E soprattutto, non direbbe cazzate a raffica dalla mattina alla sera.”

Tendō iniziò a canticchiare una nota canzone d’amore per dare seguito alla sua fastidiosa pantomima. Chiuse gli occhi e iniziò persino a muoversi in maniera contorta nel goffo tentativo d’imitare le tue ‘pene d’amore’. Poggiò una delle sue lunghissime dita sotto il tuo mento e lo sollevò, tediandoti oltremodo.

“Quindi non è vero che hai baciato Shirabu-kun?”

Cosa cazzo... Come fa a saperlo? No, non può aver visto... non è possibile! Cazzo, Satori! Ti ammazzo!
Il tuo viso era diventato più pallido della camicia della divisa che indossavi come ogni santo giorno. I tuoi occhi sbarrati avevano quasi spaventato quel pusillanime del numero cinque della tua squadra.
No, non gliel’avresti fatta passare liscia con tanta facilità!

“Oh, non ti preoccupare. Nessuna spia, nessun colpevole. Dato che quel pomeriggio non rispondevi al telefono... ho pensato bene di venirti a recuperare in palestra. E proprio mentre entravo nello spogliatoio ho visto che il nanerottolo ballava sulle punte con la lingua attaccata alla tua. Una roba un po’ strana, eh. Però era anche ora figli miei!”

Lo afferrasti per il colletto della sua camicia, come sempre lasciata aperta e senza alcuna traccia della cravatta color glicine che invece avrebbe dovuto indossare sempre in base a quello stupido regolamento che tu stesso non digerivi.

“Satori, se lo dici anche solo ad una altro essere vivente sei morto! Morto e sepolto! Mi hai capito?!”

“Servizio completo? Oh, lusingato! Ma... lui ti piace davvero?”

“Fanculo.”

“Era proprio la risposta che volevo. Bravo, Semi-Semi!”










 

Angolo dell'Autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere e recensire questa mia piccola one-shot! :)

Chi sono andata a pescare questa volta? Un pairing che forse su questo fandom ci fileremo in due, ma poco importa.
Semi-Semi e Shirabu hanno un potenziale erotico carico di angst al quale non ho potuto rinunciare, specie dopo essermi rivista tutta le s3 la scorsa domenica mattina (sempre e comunque per motivi prettamente ‘scientifici’ XD).
Nella storia i due fingono di non tollerarsi, ma in realtà stanno solo cercando di nascondere le loro naturali pulsioni. Shirabu decide finalmente di prendere l’iniziativa, considerando il muro che gli ha sempre messo davanti il suo senpai e l’imminente fine dell’anno scolastico (con tutte le conseguenze del caso). Ma di cosa è fatto questo muro esattamente? D’invidia? D’ompossibilità ad ammettere che l’altro abbia qualcosa in più in termini di tenacia? O, più semplicemente, di paura di guardarsi dentro? ;)
Ringraziamo Tendō per la sua gentile collaborazione e per quel ‘Semi-Semi’ che non si schioda più dalla mia testa! XD

Il testo è scritto in seconda persona (dal pov di Semi) e al tempo passato. Non fa parte di nessuna serie o raccolta precedente.
La parte in cui ho cambiato font è un flashback di Semi. È il momento successivo a quello che viene raccontato nella prima parte.
Il testo della canzone che riporto sia nell’introduzione che nella prima parte del testo è ‘E ti vengo a cercare’ di Franco Battiato. Dal titolo del brano ho ricavato anche il titolo della storia.
Grazie ancora a chiunque passerà di qua. **

A presto,

Mahlerlucia


 
   
 
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