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Autore: MackenziePhoenix94    05/02/2020    0 recensioni
TERZO LIBRO.
“Sara inspira una seconda volta, vedo i suoi occhi scuri diventare lucidi ed una lacrima, ribelle, le scivola lungo la guancia destra.
“E se fosse cambiato? E se davanti ai miei occhi dovessi ritrovarmi un uomo completamente diverso da quello che ho conosciuto e di cui mi sono innamorata? Ho paura, Theodore” mi confessa con voce tremante “ho paura che Michael Scofield non esista più”.”
Dopo altri sette anni trascorsi a marciare in una cella a Fox River, Theodore Bagwell si trova finalmente faccia a faccia con ciò che lui ed i membri dell’ex squadra di detenuti hanno anelato per lungo tempo: la libertà.
La libertà di essere un normale cittadino.
La libertà di crearsi una nuova vita.
La libertà di lasciarsi il passato alle spalle per sempre.
Sono questi i piani della Serpe di Fox River, almeno finché il passato non torna a bussare con prepotenza nella sua vita tramite un oggetto apparentemente insignificante: una busta gialla e rettangolare, spedita dallo Yemen.
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: T-Bag
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Anche se dal giorno della mia scarcerazione mi sembra di essere sprofondato in un baratro buio, soffocante, e senza fine, c’è un piccolo spiraglio di luce ed aria fresca che mi aiuta ad affrontare l’intera situazione e ad andare avanti: Benjamin inizia ad avvicinarsi sempre di più a me, e lo dimostra ponendomi una lunga serie di domande incuriosite.

E questa, per me, è una cosa sia positiva che negativa.

Positiva perché finalmente si stanno formando le basi di un vero rapporto tra padre e figlio.

Negativa perché temo che saranno più le volte in cui dirò una bugia, rispetto a quelle in cui racconterò la verità.

“Theodore, come hai conosciuto la tua amica?”

“Gracey? L’ho conosciuta molti anni fa, quando lei ed il fratello erano dei bambini di cinque e sette anni. Susan, la loro madre, ed io eravamo amici”

“Eravate una coppia?”

“È impossibile nasconderti qualcosa, Ben. Sì, io e lei stavamo insieme, ma stiamo parlando di molti anni fa. Quattordici, per l’esattezza. E in quattordici anni sono accadute tantissime cose”

“Quali cose sono accadute?”

“Ho viaggiato molto, ho vissuto in diverse città e mi sono ritrovato più volte in situazioni molto complicate, Ben”

“Ed è stato in quel periodo che sei finito in prigione?”.

Ecco.

Ben ha finalmente introdotto l’argomento che temevo più di qualunque altro, e nella mia mente già si forma la prossima domanda che, senza alcuna ombra di dubbio, verrà formulata dalle sue labbra: perché sei stato arrestato?

Non voglio mentire a mio figlio, non voglio costruire il nostro rapporto su una menzogna, ma non posso neppure raccontargli la lunga scia di sangue che il ‘Mostro dell’Alabama’ ha lasciato alle sue spalle.

Mi sento come se fossi incastrato in una pozza di sabbie mobili: più continuo a divincolarmi per uscire e più continuo a sprofondare.

Fortunatamente il mio cellulare inizia a squillare, sottraendomi da imbarazzanti spiegazioni; osservo lo schermo e corruccio le sopracciglia vedendo un numero che non conosco.

“Con chi ho il piacere di parlare?” domando, spostandomi in un’altra stanza della villetta.

“Con la tipa che hai approcciato nei bagni dell’ospedale”

“Tesoro!” esclamo con una risata, riconoscendo la voce di Sara; ammetto di essere sorpreso perché, anche se sono riuscito a darle il mio numero, non mi aspettavo di ricevere una sua chiamata “ti posso assicurare che quello non era un approccio. Se quella fosse stata la mia vera intenzione, avrei scelto un posto molto più romantico del bagno di un ospedale”

“Risparmiami i tuoi commenti irriverenti, Bagwell, non sono dell’umore adatto per sentirli” risponde lei, in tono secco, sento il suo respiro veloce e spezzato provenire dall’altra parte del cellulare e quasi riesco a vederla mentre cammina nervosamente avanti e indietro, con una ciocca di capelli rossi attorcigliata all’indice destro; capisco che deve essere successo qualcosa di veramente grave per averla turbata così in profondità e per averla spinta a chiamarmi.

“Sara, è successo qualcosa?”

“Non posso parlartene in questo momento… Oh, mio dio, non posso credere che te lo sto chiedendo veramente… Possiamo vederci al parco che c’è in centro città tra mezz’ora? Porta anche Benjamin con te. I bambini saranno contenti di trascorrere un altro pomeriggio insieme”

“D’accordo”

“Aspetta, non riattaccare!” esclama Sara, bloccandomi appena in tempo “ho una richiesta da farti… Ti sembrerà strana…”

“Tesoro, ti posso assicurare che ormai non esiste una sola richiesta che possa sorprendermi. Allora, che cosa devi chiedermi di così compromettente?” mormoro, incuriosito.



 
Sara mi sta già aspettando nel luogo prestabilito.

Non appena la raggiungo si liscia i capelli dietro le orecchie e mi domanda se ho portato con me l’oggetto al centro della richiesta compromettente.

“Allora?”

“Come richiesto da te” rispondo, mostrandole la pistola carica che tengo nascosta sotto la giacca “voglio essere molto chiaro con te, però. Ho accettato di venire a questo incontro e di portare con me questa pistola per dimostrarti, una volta per tutte, che ti puoi fidare di me, dottoressa Tancredi. Ma se la vita di Benjamin sarà messa in pericolo ti giuro che…”

“Credi che io mi diverta a mettere in pericolo la sua vita? O quella di Mike?” ribatte subito lei, risentita, con i muscoli della mascella tesi; riesce a rilassarli solo quando si volta a fissare i nostri figli che giocano a lanciare dei sassi contro la superficie del laghetto, per vedere chi riesce a farli rimbalzare, e si lascia cadere sulla panchina alle nostre spalle, nascondendo il viso tra le mani che continuano a tremare in modo visibile.

Prendo posto a suo fianco e, addolcendo la voce, la chiamo per nome.

“Sara?”

“Assomiglia moltissimo a suo padre” mormora, inspirando, riferendosi al piccolo Michael jr. “lo considera quasi un dio. Io, invece, ho sempre considerato Michael simile ad una tempesta: bellissimo, misterioso, e quando se ne è andato ha lasciato dietro di sé dei segni indelebili. Una volta, a Fox River, mi ha chiesto perché avevo gettato nel cestino della spazzatura il mazzo di fiori che mio padre mi aveva regalato per il compleanno, ed io gli ho risposto che lo avevo fatto perché ritenevo che fosse inutile attaccarsi alle cose se queste sono destinate a durare poco tempo. Ecco perché in un primo momento ho cercato di ignorare quello che sentivo per lui, perché già sapevo che, proprio come i fiori che mio padre mi regalava sempre per compensare le sue assenze, era una cosa destinata a non durare; e invece, poi, è accaduto proprio quello che tu mi avevi detto quando ci siamo incontrati per la prima volta, ricordi? Mi avevi detto che quando una donna lavora in un carcere è destino che si innamori di un detenuto. Ho provato a ignorare i sentimenti che provavo per lui, ma alla fine ho ceduto, accettando le conseguenze implicite e permettendogli di evadere. Abbiamo cercato di vivere appieno ogni singolo istante che ci è stato concesso e quando sono rimasta da sola con il piccolo Mike mi sono sentita crollare il mondo addosso. Ho pregato tanto perché fosse tutto solo un brutto sogno, e adesso che forse è davvero così… Io non… Non so davvero quello che voglio”

“Che intendi dire?” le chiedo, lanciando una rapida occhiata a Ben, per assicurarmi che sia ancora vicino al lago.

La dottoressa Tancredi scosta le mani dal viso pallido e mi guarda con gli occhi sgranati.

“Lincoln mi ha mostrato la foto che hai ricevuto a Fox River. Secondo me era un falso ben architettato, ma lui iniziava ad avere dei dubbi a riguardo. E così ha chiesto aiuto a C-Note, e insieme hanno scoperto che quella foto era stata scattata all’interno del carcere di Ogygia, nello Yemen. Sono partiti subito perché C-Note ha dei contatti lì, almeno questo è ciò che Linc mi ha spiegato, e poco dopo il loro arrivo ho ricevuto questo video”.

Le mani di Sara sono ormai in preda ad un attacco di convulsioni quando mi passa il suo cellulare e fa partire un video: sullo schermo appare l’interno di un edificio trascurato, polveroso, e l’unico suono che giunge alle mie orecchie è una moltitudine di urla che appartengono, sicuramente, ai detenuti che sono rinchiusi lì dentro; dopo una manciata di secondi vedo Burrows apparire nel mio campo visivo ed appoggiarsi ad una porta munita di sbarre spesse e segnate dalla ruggine.

I miei occhi si spalancano quando, dall’altra parte, compare un giovane uomo, con i capelli cortissimi, che appoggia le mani contro le sbarre, rivelando così i due occhi, tatuati, che spiccano su entrambi i palmi delle mani.

Michael.

È lui.

Eppure dalle sue labbra escono parole differenti: in tono infastidito, secco, afferma che il suo vero nome è Kaniel Outis, lo stesso del mio misterioso benefattore, e di non conoscere nessun Michael Scofield; non aspetta neppure una risposta da parte del fratello maggiore, gli volta le spalle e se ne va, ignorando le suppliche di quest’ultimo; il video finisce proprio in questo modo ed il cellulare ritorna nelle mani della legittima proprietaria, che lo ripone in una tasca dei jeans.

“Direi che questa è la prova definitiva che concretizza le mie supposizioni: il tuo ex marito è vivo e, a quanto pare, non è in grado di stare lontano dalle sbarre di una cella. Ormai è chiaro che dietro a tutto quello che sta accadendo c’è un suo piano”

“È quello che credevo anche io prima di aver sentito le sue parole. Perché ha detto a Lincoln di non conoscere né lui né Michael Scofield? Hai visto il modo in cui lo guardava, sembrava quasi che davanti ai suoi occhi ci fosse uno sconosciuto. Michael ha sempre amato profondamente suo fratello, tutto ciò che è accaduto sette anni fa lo ha fatto solo per lui”

“Sara, non scendere a conclusioni così affrettate. Da professionista ti posso assicurare che un uomo può arrivare a dire qualunque genere di bugia se di mezzo c’è la sua vita o quella delle persone che più gli stanno a cuore. Forse il nostro piccolo Michelangelo si è messo nei guai. Guai molto più seri di quelli in cui siamo stati coinvolti anche noi”

“Su questo ti sbagli, perché ho quasi la certezza assoluta che ci sia di mezzo una nostra vecchia conoscenza”

“Che vuoi dire?”

“Sei disposto ad andare fino infondo a questa faccenda?” mi domanda lei, di getto, ed io non posso fare altro che sorridere.

“Fiorellino, lo sai che a me piace andare sempre fino infondo. Io sono il fondo”

“Allora devi andare a interrogare Kellerman per me ed estorcergli ogni informazione possibile”.

Paul Kellerman era uno dei pezzi grossi della Compagnia, l’organizzazione che aveva incastrato Burrows con l’accusa di aver ucciso il fratello della vicepresidente degli Stati Uniti, almeno fino al giorno in cui ha iniziato a comprendere che non è tutto oro quello che luccica, e che lui non era un membro così essenziale, ma bensì una pedina come tante altre, sacrificabile in qualunque momento in nome di un ‘bene superiore’; e così, quando ha capito che la sua testa stava per saltare, ha optato per un voltafaccia vantaggioso, diventando alleato di Scofield e Burrows, e procurando a loro ed al resto della squadra una nuova vita ed una fedina penale pulita al termine dell’operazione Scylla.

A me, invece, ha procurato un comodissimo trasferimento in prigione.

“Balle!” esclamo, con un’espressione sconcertata “dietro a tutto questo ci sarebbe Kellerman?”

“Ricordi il giorno in cui ci siamo incontrati in ospedale? Mi trovavo là perché un uomo ed una donna, armati, sono entrati in casa mia ed hanno sparato a mio marito. Fortunatamente non lo hanno ucciso perché sono riuscita a chiamare la polizia dopo aver messo al sicuro Mike. Quando ho ricevuto quel video da Lincoln sono andata da Kellerman in cerca di risposte, dato che lui lavora per il Dipartimento di Stato. Qualche giorno più tardi il mio cellulare è stato hackerato, l’ho portato in un negozio e sono stata seguita dall’uomo e dalla donna che erano entrati in casa mia. Sono riuscita a scappare solo perché mi sono nascosta in un altro negozio”

“Perdona la mia ignoranza, ma non riesco a trovare un collegamento con il nostro amico”

“Il proprietario del negozio mi ha spiegato che sono riusciti ad hackerare il mio cellulare grazie ad una mia impronta digitale. Il giorno in cui mi sono recata nell’ufficio di Paul, lui ha insistito perché bevessi dell’acqua da un bicchiere, e non da una bottiglietta perché la plastica, col tempo, rilascia delle sostanze velenose. Questa è stata la sua unica spiegazione”

“Qualcuno potrebbe dire che si tratta di una curiosa coincidenza… Ma dal momento che io non ho mai creduto alle coincidenze, direi che il cerchio si restringe notevolmente attorno a Kellerman”

“Avevi ragione tu” ammette Sara, con un’espressione preoccupata, ma decisa “dietro tutto questo c’è Michael, ma per qualche ragione a noi sconosciuta si fa chiamare Kaniel Outis. E Paul mi ha spiegato che Outis è un terrorista internazione su cui pende più di un mandato di cattura, ricercato, che lavora per un uomo chiamato Poseidone. Ho visto delle foto inequivocabili, Theodore, in cui uccideva un ufficiale della CIA. Capisci? Kellerman è Poseidone, e costringe Michael a lavorare per lui ed a compiere atti orribili. Dopotutto lui lavorava per la Compagnia, chi ci assicura che non abbia atteso il momento opportuno per rivelarci il suo vero volto?”

“Sono sicuro che dietro la giusta esortazione ci darà tutte le spiegazione che stiamo cercando” rispondo, ormai convinto che dietro questa faccenda ci sia davvero l’ex Agente della Compagnia, perché tutti gli indizi che abbiamo a nostra disposizione portano proprio a lui; inclino la testa di lato, osservando la donna che un tempo era oggetto di desiderio a Fox River, ed il turbamento che leggo nel suo viso mi spinge a porle un’altra domanda “che cosa ti preoccupa? No, non mi sto riferendo a quello che ti è successo negli ultimi giorni. So che c’è altro di cui non hai ancora parlato”

“Michael ha sempre trovato il modo per comunicarmi qualcosa. Sempre. Anche quando era un ricercato. Perché in sette anni non mi ha mai mandato nulla? Perché non mi è mai arrivato un messaggio, un video, una breve telefonata? Possibile che non abbia mai avuto occasione di avvisare me e Mike? E perché, durante la mia evasione, non mi ha spiegato che doveva sparire? Eravamo da soli in quella stanza, le occasioni non gli sono mancate”

“Sara, io non sono nella mente di Michael, non posso sapere quali ragioni lo hanno spinto ad agire in questo modo, ma visti i recenti sviluppi in cui entrambi ci siamo imbattuti, forse lo ha fatto perché di mezzo c’era davvero la tua vita e quella di vostro figlio”.

Sara inspira una seconda volta, vedo i suoi occhi scuri diventare lucidi ed una lacrima, ribelle, le scivola lungo la guancia sinistra.

“E se fosse cambiato? E se davanti ai miei occhi dovessi ritrovarmi un uomo completamente diverso da quello che ho conosciuto e di cui mi sono innamorata? Ho paura, Theodore” mi confessa con voce tremante “ho paura che Michael Scofield non esista più”.

La giovane donna di trentasei anni, forte e determinata, che ho affianco a me in un attimo si trasforma in una ragazzina terrorizzata da ciò che ha scoperto, ma ancora di più dalle risposte che il futuro potrebbe avere in serbo per lei; una ragazzina che cerca disperatamente una figura familiare, amica, a cui aggrapparsi per non dover sopportare tutto quanto ancora una volta da sola.

E così, senza esitare, le passo il braccio destro attorno alle spalle e Sara, anziché scostarsi disgustata, appoggia il viso nell’incavo del mio collo e si sfoga piangendo perché, per quanto assurdo possa sembrare, quell’unica figura familiare ed amica su cui può contare in questo momento sono proprio io.

“Scusami” mormora dopo qualche minuto, asciugandosi gli occhi arrossati “io non…”.

Non riesce a completare la frase perché il rumore di un clacson attira la nostra attenzione verso una macchina nera e sportiva, parcheggiata vicino al marciapiede; dall’altra parte del finestrino abbassato c’è un uomo con i capelli castani, ondulati, e con il naso aquilino che rivolge alcuni cenni con la mano destra proprio verso la nostra direzione.

“Chi è quell’uomo?”

“Mio marito”

“Tuo marito?” ripeto, osservandolo, perché durante la notte trascorsa in ospedale la mia attenzione era stata catalizzata totalmente dalla dottoressa Tancredi e non ho rivolto una sola occhiata all’uomo che era con lei “capisco che è impossibile trovare un uomo che eguagli Michael in fatto di bellezza ma, tesoro, credevo che i tuoi standard fossero molto più alti”.

Non risponde alla mia battuta piccata, chiama ad alta voce Michael jr. dicendogli che è arrivato il momento di tornare a casa per fare i compiti, e solo allora mi rivolge di nuovo la parola.

“Purtroppo non conosco l’indirizzo di Kellerman”

“Non sarà un problema”

“Come pensi di riuscire a trovarlo?”

“Un vero professionista non svela mai i trucchi del mestiere, tesoro”

“Chiamami non appena avrai portato a termine il compito che ti ho affidato, e fai attenzione. Quelle persone che seguono me potrebbero iniziare a seguire anche te dopo questo incontro”.

Sara si avvia verso la macchina, mano nella mano con Mike, ed io m’incammino insieme a Ben nella direzione opposta.

Non credo che qualcuno ci abbia seguiti o spiati, in tal caso il mio istinto mi avrebbe avvisato; tuttavia, mentre percorro la strada che dal parco conduce alla villetta mia e di Benjamin, controllo più volte che la pistola sia ancora al suo posto, ben nascosta dalla giacca, pronta per ogni evenienza.
   
 
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