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Autore: VenoM_S    05/02/2020    0 recensioni
Zaya quella mattina si era svegliata con un obiettivo: diventare ufficialmente apprendista dello stregone Morgor. Ma prima avrebbe dovuto affrontare l'esame di valutazione delle sue capacità magiche.
Genere: Fantasy, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al COW-T di "Lande di Fandom"
Settimana: prima
Missione: M2
Prompt: Pioggia, Sereno, Neve
N° parole: 4125
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Zaya fissava la grande porta di legno scuro contornata di fregi metallici esattamente come avrebbe fissato un grosso drago. Quella mattina si era svegliata con una morsa allo stomaco che le aveva impedito quasi di mangiare, e che l’aveva accompagnata anche durante il breve bagno caldo che si era concessa per lavare via il sudore e la preoccupazione della notte precedente. Il momento finalmente era arrivato, avrebbe sostenuto l’esame finale per ufficializzare il suo status di apprendista di Morgor, il famoso stregone stabilitosi in quella regione ormai decine di anni fa. A quanto ne sapeva Zaya, non aveva mai preso con sé un apprendista fin da quando era arrivato, forse perché fino ad ora non si era presentato nessuno in grado di manipolare la magia, o forse perché quelli che si erano presentati non erano stati all’altezza.
Dopo aver dato un ultimo sguardo al portone di fronte a lei, e aver preso un profondo respiro, Zaya si decise a fare due passi avanti, superando la spessa barriera magica che avvolgeva la torre circolare. Il paesaggio intorno a lei mutò immediatamente, e anche se aveva visto ormai diverse volte quel tipo di illusione non poteva evitare di guardarsi attorno con un pizzico di stupore: la sottile silhouette dell’edificio era mutata, e davanti a lei si trovava un giardino quadrato nel quale crescevano incredibili quantità di piante, da quelle puramente ornamentali a piante con poteri curativi o soporiferi, fino a quelle dalla natura letale. A volte, tra un cespuglio e l’altro, si poteva vedere qualche animaletto cercare rifugio nella tana o fare capolino tra le foglie, incuriosito dal nuovo arrivato. Zaya aveva sempre pensato che quello sfoggio di magia puramente estetico fosse inutile, ma non osava dirlo apertamente davanti a Morgor. In mezzo a quella specie di piccola giungla ordinata si dipanava uno stretto sentiero di ciottoli bianchi e tondi, che serpeggiava dolcemente fino alla porta di una larga casa in pietra a due piani con il tetto spiovente ed un comignolo da cui usciva perennemente del fumo, indice del camino acceso nonostante la temperatura di quel luogo fosse tutto sommato sempre mite.

«Entra, Zaya. Non ho tutto il giorno da perdere, e nemmeno tu»

La voce rimbombava attorno a lei e nella sua mente allo stesso tempo, profonda e decisa. Un tipo di voce a cui era difficile ribellarsi. La ragazza camminò a passo più svelto, e una volta di fronte alla casa appoggiò la mano destra al centro della porta scura, all’interno di un piccolo cerchio inciso nel legno che fungeva da ulteriore misura di sicurezza per accedere alla casa. Il solco nel legno si illuminò di una luce azzurrina, e strani simboli apparvero attorno alla sua mano ben premuta sulla superficie liscia della porta. Finalmente, dopo un paio di secondi, un sonoro click la avvertì che poteva entrare senza problemi. Morgor era un po’ paranoico, questo era evidente, ma Zaya non era ancora riuscita a capire da cosa si stesse proteggendo con tanta meticolosità.
Di fronte a lei la attendeva lo stregone, in piedi di fianco ad un piedistallo di legno al centro di una piccola sala quadrata e spoglia. Era un uomo non troppo alto ma di corporatura possente, la pelle olivastra del viso che faceva risaltare gli occhi verde smeraldo sotto le sopracciglia perennemente aggrottate. La corta barba nera gli incorniciava le labbra e la mandibola, e capelli dello stesso colore abbastanza lunghi da essere portati legati in un codino alto gli davano un aspetto allo stesso tempo giovanile ma innaturalmente longevo. La lunga veste blu scuro ornata di piccoli disegni dorati non lasciava intravedere molto al di fuori delle mani dalle dita affusolate e ben curate. Con la destra reggeva un lungo bastone nero e liscio, sulla cui estremità superiore era incastonata una pietra bianca, mentre la sinistra era appoggiata al piedistallo. Dietro di lui, tre porte perfettamente uguali che la ragazza non aveva mai visto prima.

«Buongiorno Maestro. Spero di non essere troppo in ritardo»
«Non più del solito in effetti, ma la prova sarà lunga quindi vediamo di non trattenerci troppo qui. Sai già cosa andrò a valutare giusto?»

Sì, in effetti a parole non sembrava niente di troppo complicato: per essere accolto ufficialmente come apprendista di uno stregone, un aspirante doveva superare tre prove di controllo degli elementi in condizioni stressanti, senza particolari indicazioni su come completare le suddette prove. Gli elementi da controllare erano vento, acqua e fuoco, in questo ordine.

«Lo so, ma perché tre porte?»
«Perché, come in ogni cosa, siamo noi a scegliere inconsapevolmente il nostro destino. Per ogni prova avrai tre possibilità: potresti scegliere un ambiente facile così come uno estremamente avverso, questo starà unicamente a te»

Niente pressione, insomma. Zaya si avvicinò alle prime tre porte, tutte assolutamente anonime, non c’era niente che potesse anticipare cosa vi avrebbe trovato all’interno. Provò a chiudere gli occhi ed immergersi brevemente nella meditazione, sentendo le dita formicolare di magia e sperando che qualcosa dentro di lei la spingesse verso una direzione specifica, indicandole la via giusta, ed in parte sperava che per l’universo “via giusta” equivalesse anche a “via semplice”. Aprendo gli occhi, si ritrovò a fissare la porta di destra. Allungò la mano verso la maniglia, ma mentre la sfiorava con la punta delle dita si fermò. E se non fosse stata la porta giusta? E se l’universo si stesse prendendo gioco di lei proponendole la sfida più difficile? E se avesse sbagliato qualcosa nella meditazione? Tutta quell’indecisione la faceva impazzire.

«’Fanculo l’universo» si disse mentre senza pensare si spostava aprendo di scatto la porta di mezzo, entrandoci senza guardarsi indietro e sbattendosela alle spalle.

Dietro di lei Morgor, che l’aveva osservata assorto per tutto il tempo, si lasciò scappare un ghigno.
Si ritrovò su un sottile lembo di spiaggia, circondato da entrambi i lati da alte scogliere che non permettevano di vedere molto di quello che la circondava tranne le pesanti nuvole nere che si stagliavano opprimenti nel cielo, cariche di pioggia. Il paesaggio era totalmente spoglio, la sabbia fine iniziava ad alzarsi in piccoli mulinelli sospinta dal vento che soffiava verso di lei, e piccoli arbusti sbucavano qui e là. Non vi era traccia di presenza umana se non per una piccola imbarcazione tirata in secca al centro della spiaggia, adagiata su un fianco come un animale arenato. Zaya si avvicinò per controllarne lo stato: poteva sicuramente essere messa in acqua, ma non sapeva quanto avrebbe potuto portarla lontano. Era davvero piccola, e probabilmente aveva spazio sufficiente solo per una persona al suo interno, dove le vecchie assi di legno chiaro formavano una piccola panca a poppa per potersi sedere accanto al timone. Al centro dello scafo era ricavato lo spazio per un singolo albero provvisto di una piccola vela, che al momento si trovava smontato in due pezzi di fianco alla barchetta insieme a due remi. Il da farsi era piuttosto ovvio, avrebbe dovuto mettere in acqua la barca e sospingerla al largo grazie al vento che avrebbe creato, così da contrastare quello che soffiava contrario. A conferma di questo, guardando verso l’orizzonte, Zaya notò esattamente al centro del suo campo visivo un minuscolo lumino, che doveva indicare la porta d’uscita.

«Bene, sembra abbastanza fattibile dopotutto» si disse con un sospiro, mentre iniziava a montare il piccolo albero e rimetteva dritta la barca.

Intorno a lei intanto il tempo stava peggiorando, e dalle nuvole scure si sprigionavano tuoni sempre più frequenti, mentre il vento iniziava a farsi più forte. Non fece in tempo a mettere in acqua la barca che iniziò a piovere: all’inizio erano solo sottili gocce fastidiose, ma ben presto Zaya si ritrovò sotto un forte temporale. Remò per qualche metro così da allontanarsi abbastanza dalla riva, poi srotolò la vela già fradicia che prese a sbattere senza tregua a causa delle correnti d’aria contrastanti che il temporale portava con sé. Le cose si erano fatte decisamente più complicate. La ragazza alzò entrambe le mani verso la vela, chiudendo gli occhi per concentrarsi, sentendo il familiare formicolio sulla punta delle dita che le indicava il flusso magico in circolo dentro di lei. A quel punto, doveva solo concentrarsi nella visualizzazione: pensò alla brezza leggera che entrava nella sua camera in primavera, quando apriva la piccola finestra rivolta verso est; pensò al vento che le scompigliava i capelli in estate, fra i campi, mentre correva incontro alla madre per portarle un frutto da mangiare durante il lavoro. Lentamente, mentre non guardava, dalle sue dita si sprigionò un tenue bagliore, e iniziò a sentire nelle orecchie il sibilo di un vento controllato che finalmente tirava nella giusta direzione, avvicinandola alla meta.
D’improvviso però sentì un tonfo, la barca si piegò pericolosamente e Zaya riaprì gli occhi perdendo la concentrazione mentre il vento che aveva evocato diventava più debole: il mare si era fatto agitato, grosse onde sferzavano quella barca davvero troppo fragile facendola rollare da una parte all’altra, mentre nello scafo iniziava ad accumularsi sempre più acqua, complice la forte pioggia che non accennava a placarsi. L’onda successiva si abbatté direttamente sulla ragazza, che presa alla sprovvista si aggrappò con tutte le forze al piccolo albero centrale per evitare venir sbalzata fuori dall’imbarcazione, tossendo e cercando di recuperare il respiro mentre l’acqua le entrava nei polmoni. Tornando a guardare quello che credeva fosse l’orizzonte, si accorse invece che la prua era puntata verso la piccola spiaggia, resa appena visibile dalla spessa coltre di pioggia: stava tornando indietro, se non si dava una mossa probabilmente lo scafo si sarebbe rotto andando a sbattere contro la riva.

«Così non va, dannazione!»

I remi non erano un’opzione, lottare contro quelle onde era impossibile e avrebbe solo rischiato di farsi capovolgere. Afferrò il piccolo timone dietro di lei con la mano sinistra, allungò la destra nuovamente verso la vela e ricominciò a convogliare la sua magia sottoforma di vento verso di essa. Tutto intorno a lei regnava il caos, le onde si infrangevano impietose sulle assi di legno, venti burrascosi le urlavano nelle orecchie, la vela fradicia di pioggia faticava a gonfiarsi nella direzione giusta. Zaya gridò, infondendo nella magia tutta sé stessa, ruotando il timone per far tornare la barca nella giusta direzione. Finalmente il suo vento aveva la giusta potenza, anche se mantenerlo abbastanza forte da contrastare la burrasca le stava costando una fatica immane, ma non poteva crollare, non ancora. La luce che indicava l’uscita si stava avvicinando, doveva resistere ancora qualche minuto. Solo un altro po’. La ragazza non sentì il rumore del legno spezzato quando la piccola barca si infranse sul lembo di terra, non si sentì nemmeno rotolare sulla sabbia bagnata da quella dannata pioggia che continuava a scendere inesorabile. Solo quando il palmo della sua mano sfiorò il legno della piccola porta scura tornò in sé, stanca come non lo era mai stata, a malapena in grado di stare in piedi. Si aggrappò alla maniglia, la abbassò, aprì la porta e rotolò fuori cadendo sul pavimento duro della stanza quadrata e spoglia, dove rimase distesa per un bel po’ respirando l’aria tiepida riscaldata dal camino della casa di Morgor.

«Mi sembri un po’ strapazzata» disse lo stregone guardandola divertito.
«Tu sai cosa c’è dietro le porte?» fece lei senza guardarlo, cercando di scostarsi dal viso i capelli impiastricciati di pioggia.
«Sono io che creo tutto ciò che si trova all’interno di questo spazio, cosa credi? Ah no, non provare a guardarmi in questo modo. Ti ho detto che avresti scelto da sola il tuo destino, e questo hai fatto, non avrai aiuti né risposte da me sulle tue prove. Adesso alzati, devi continuare»

Zaya lo guardò esasperata. Davvero non aveva tempo nemmeno per riprendere fiato, per recuperare un po’ le forze? Si alzò lentamente, le tre porte davanti a lei erano esattamente uguali alle precedenti, ma sapeva che dietro di esse si celavano tre ambienti totalmente nuovi. Stavolta volle concedere più fiducia alla meditazione, e quando, dopo essersi concentrata per qualche istante, si ritrovò a fissare nuovamente la porta sulla destra, la aprì senza esitare.

Il nuovo ambiente era quanto di più distante potesse esserci da quello che si era lasciata alle spalle pochi minuti prima: si trovava su una piana apparentemente sconfinata, un cielo blu incredibilmente limpido la sovrastava, il sole splendeva potente e caldo senza nuvole ad ostacolarlo. Era da tempo che non vedeva una giornata così serena, nella regione adesso era pieno autunno ed il brutto tempo la faceva da padrone. Anche in questo caso, comunque, il paesaggio non sembrava essere dalla sua parte. La piana sconfinata era infatti completamente spoglia, la terra riarsa da sole scricchiolava sotto i suoi passi, non si vedevano né piante né rocce in nessuna direzione, così come anche in questo caso Zaya non riusciva a intravedere nessun tipo di costruzione che potesse darle indicazione di come svolgere la sua prova. L’unica cosa che sentiva era caldo.
E sete.
In effetti, era da quando aveva lasciato casa sua che non aveva bevuto nemmeno un sorso d’acqua, ovviamente se non si considerava tale la modesta quantità di acqua salata che le era finita in corpo durante la scorsa prova. E a questo proposito, la salsedine che le era rimasta addosso iniziava a seccarsi al sole, tirandole la pelle delle braccia. Insomma, la situazione non era delle migliori, di nuovo. Mentre continuava a guardarsi intorno, come se l’ambiente le leggesse nella mente, si ritrovò improvvisamente a fissare una bizzarra costruzione in argilla che sembrava essere spuntata direttamente dal terreno: un parallelepipedo liscio, marrone chiaro, alto circa fino ai suoi fianchi, con un piccolo tubo di ferro che spuntava dalla parte superiore. Una fontana, proprio quello che le serviva se non fosse stato per il fatto che era evidentemente secca. Non una sola goccia d’acqua usciva dalla piccola bocca metallica. A questo avrebbe dovuto pensare lei ovviamente, il controllo dell’acqua era la sua seconda prova.
Creare acqua dal niente era ovviamente impossibile, almeno per lei, quindi avrebbe dovuto cercarla nei dintorni per poi convogliarla grazie alla sua magia direttamente nella fontana. Sentiva fin nelle ossa la desolazione di quel posto, e la totale assenza di piante non l’aiutava, perché in quel caso avrebbe potuto individuare più facilmente l’acqua sotterranea che ne alimentava le radici, ma così doveva fare affidamento solo sulle sue capacità. Ormai aveva la bocca secca, e il caldo le stava facendo venire il mal di testa, quindi si sedette di fronte alla fontana a gambe incrociate, appoggiando le mani ben aperte sul terreno, premendo i palmi sulla terra secca e calda. Doveva concentrarsi, scandagliare il sottosuolo, visualizzare l’acqua nella mente.
Pensò al bagno che si era fatta quella stessa mattina, all’acqua limpida nei secchi di metallo che aveva versato nella vasca; pensò ai fiumi della regione che si ingrossavano durante la stagione autunnale, aiutati dalle frequenti piogge, pensò a quell’acqua gelida che scorreva veloce creando nuove curve e piccole cascate lungo il percorso fino al mare. Sentiva le dita formicolare, come al solito, ed il calore del terreno sotto i suoi palmi si affievolì mentre la sua mente la portava in profondità, nel sottosuolo, al riparo da quel sole così insistente che continuava a brillare sempre alla stessa altezza nonostante Zaya fosse sicura di essere lì da ore. Il calore le stava diventando sempre meno sopportabile, avrebbe fatto di tutto perché arrivasse almeno una nuvola a farle un po’ d’ombra, ma non le sarebbe stato concesso questo lusso, doveva continuare a cercare, più a fondo, ancora di più, in ogni direzione, la sua mente scandagliava la terra come se fosse stata una talpa. Colse un leggero suono scrosciante alla sua destra, lo seguì, e la sua mente si ritrovò infine in una piccola sacca sotterranea in cui scorreva placidamente un corso d’acqua.
Zaya si lasciò sfuggire un sorriso, l’aveva trovata finalmente!
Era molto in profondità ma poteva farcela, concentrò il potere nelle mani ancora saldamente piantate a terra, richiamando a sé quel piccolo fiume, iniziando a sentire il movimento dell’acqua che si insinuava tra le crepe del terreno.

«Forza, continua a salire, ancora un po’»

Continuava a seguire con la mente il percorso del piccolo fiume, guidandolo attraverso il sottosuolo, fino a che non trovò il piccolo tubo metallico che conduceva alla fontana di fronte a lei. Aprì gli occhi ed ecco che l’acqua stava iniziando a cadere a terra, non perfettamente limpida, ma pur sempre fresca. Mise le mani a coppa sotto il flusso gelido e bevve avidamente, poi si passò le mani bagnate sulle braccia e sul viso, e si versò un po’ d’acqua sui capelli per liberarsi della salsedine.
Alle sue spalle sentì un cigolio, e girandosi vide nuovamente la porta di legno scuro, liscia e anonima come sempre, leggermente aperta come ad invitarla a tornare indietro. Aveva superato anche la seconda prova.

Tornata nella sala quadrata si accorse che ormai era pomeriggio inoltrato, e la luce stava iniziando ad affievolirsi fuori dalle finestre della casa in pietra di Morgor. Questi la guardava apparentemente soddisfatto, e stavolta non le disse nulla ma si limitò ad indicarle nuovamente di voltarsi. Come prima niente riposo quindi, avrebbe iniziato subito l’ultima prova di controllo degli elementi.
Di nuovo le tre porte, di nuovo una scelta. Per lo meno questa volta sarebbe stata l’ultima. Zaya però non meditò, c’era qualcosa che la spingeva ad andare alla porta di sinistra, anche se di certo non era l’universo a dirglielo, quanto probabilmente uno strano senso di completezza che le suggeriva di provare ad aprire l’unica porta che non aveva toccato fino a quel momento.

Nel luogo dove si trovava era già buio, e quando fece il primo passo la ragazza si trovò immersa nella neve fino a metà polpaccio, con il vento freddo che le penetrava tra i vestiti non abbastanza pesanti. Intorno a lei si estendeva una tetra foresta di pini su cui cadeva inesorabile una fitta coltre di neve, che rendeva i rami pesanti e pericolosamente fragili. Zaya si strinse le braccia intorno al corpo e si voltò cercando la porta da cui era entrata (o uscita?) ma dietro di lei non c’era più niente. Non le era ancora chiaro cosa dovesse fare, quindi decise per prima cosa di trovare un riparo. Mettendo a fatica un piede davanti all’altro e cercando di seguire una direzione fissa iniziò ad addentrarsi nel bosco, sicura che da qualche parte ci sarebbe stata una grotta o una piccola scarpata sotto la quale potersi sedere e pensare.
Dopo un po’, non avrebbe saputo dire esattamente quanto, Zaya si fermò a ridosso di un grosso tronco: il respiro affannato per la camminata nella neve le si condensava in dense nuvolette davanti al viso, e ormai da diversi passi aveva notato di non sentire più i piedi come si deve, cosa che già due volte aveva rischiato di farle perdere l’equilibrio. Cadere sarebbe stata una pessima idea, perché le si sarebbero bagnati i vestiti, e questo l’avrebbe portata a congelare ancora più in fretta. Se solo avesse avuto un riferimento, un qualcosa che le indicasse dove andare sarebbe stata sicuramente meno preoccupata, e ormai era abbastanza chiaro che là intorno non avrebbe trovato nessuna grotta dentro la quale rifugiarsi.

«Se non faccio qualcosa inizierò a congelare per davvero» si disse continuando a guardarsi intorno.

La prima cosa che pensò di fare fu accendere un fuoco. Non doveva essere così difficile, il controllo del fuoco le riusciva discretamente bene, ma prima di tutto doveva trovare della legna asciutta. Semplice a parole, ma tutto il legno che riusciva a scorgere attorno a lei era letteralmente fradicio a causa di quella dannata coltre bianca. Zaya riprese a camminare, lentamente ma senza mai fermarsi, zigzagando tra gli alberi in cerca di rami secchi caduti ai piedi dei pini. Ne trovò qualcuno, che a vedersi era praticamente inutilizzabile tanto era bagnato, ma decise di portarlo comunque con sé per ogni evenienza, nascondendolo sotto i vestiti nel tentativo di farlo asciugare almeno un po’. Quando le fu chiaro che non avrebbe trovato ciò che cercava si fermò: alla sua destra si trovava un grosso albero dal tronco tanto largo che le sarebbe stato difficile circondarlo con le braccia, i cui lunghi e spessi rami si allungavano tutto intorno formando una specie di cappello ricoperto di bianco. Posando a terra i legnetti umidi che aveva raccolto provò un paio di volte a far scaturire da essi una fiamma, ma per quanto ci provasse non sembrava funzionare. Sentiva sempre più freddo, e solo quando cercò di riposizionare un rametto con le mani si accorse che stavano tremando violentemente e che le dita faticavano a piegarsi. Stava andando sempre peggio, era evidente, e Zaya istintivamente portò le mani vicino al viso iniziando di nuovo a sfregarle nel tentativo di riscaldarle.
Fu durante questo movimento che le venne un’idea: il controllo del fuoco non implicava solamente la creazione di fiamme pure, ma anche la diffusione di qualcosa di molto meno potente ma altrettanto utile, ovvero il calore. Non era sicura che avrebbe funzionato, ma doveva provare.
Appoggiò la schiena all’albero lasciandosi scivolare a terra, raccolse vicino a sé le gambe, chiuse gli occhi e iniziò di nuovo a sfregare tra loro i palmi delle mani. Immediatamente sentì il flebile calore che quella frizione provocava sulla pelle, così cercò di visualizzarsi mentre afferrava quel calore fra le mani e lo trasportava ovunque nel suo corpo, seguendo i vasi sanguigni fino agli angoli più lontani delle sue membra. Le fu impossibile trattenere un profondo sospiro quando avvertì di nuovo le dita dei piedi, che si mise a muovere nonostante le facessero male, e si accorse di aver smesso di tremare. Adesso veniva il difficile: doveva mantenere in circolo quel calore dentro di lei, continuando a trasportarlo avanti e indietro fino a che le fosse stato possibile, fino a che non fosse arrivato il giorno magari. Ma lei era così stanca, dopo il temporale della prima prova, dopo il calore insopportabile della seconda, dopo che non le era stato concesso nemmeno qualche minuto per riprendersi, era così stanca da sentire a malapena il proprio respiro, era come se la sua coscienza si fosse ritirata in un piccolo guscio al centro del suo corpo, e l’unica cosa che riusciva davvero a percepire era il battito del suo cuore. Concentrò il suo calore in quel piccolo guscio e resistette per minuti, forse pochi, forse decine, forse ore, non poteva saperlo perché l’esterno non esisteva, non esisteva tutta quella neve che le si posava addosso e la ricopriva lentamente, non esistevano il freddo e il gelo, esisteva solo il battito del suo cuore, lento, lentissimo ma costante.

Clack

Zaya aprì a fatica gli occhi: una tenue luce stava iniziando a filtrare attraverso i rami e davanti a lei, a pochi centimetri dai suoi piedi coperti di neve, c’era la porta che conduceva alla casa di Morgor, spalancata. Poteva vedere la stanza quadrata fatta di pietre grigie e lisce con al centro lo stregone in piedi, immobile, che la guardava facendole cenno di raggiungerlo. Era finita, doveva muoversi, alzarsi e posare le mani su quel piedistallo intagliato che aveva visto di fianco all’uomo fin da quando era entrata. Non sentiva più nulla del suo corpo, ma c’era ancora quel piccolo globo di calore al centro del suo petto: la ragazza si concentrò per prenderlo, immaginò sé stessa allungare le mani verso quella massa calda, afferrarla e nuovamente trasportarla in fretta lungo tutto il corpo, ed ogni volta che raggiungeva un nuovo muscolo tornava a sentirlo contrarsi e rilassarsi dolorosamente. Dopo un tempo che le sembrò infinito riuscì a mettersi in piedi, anche se barcollava pericolosamente e le faceva male tutto, persino respirare quell’aria gelida e pungente, ma si costrinse a mettere un piede davanti all’altro fino ad arrivare alla porta a cui si aggrappò con entrambe le mani.

«Solo quattro passi»

Quando arrivò al piedistallo le cedettero le ginocchia, ma spostò tutto il suo peso in avanti e appoggiò entrambe le mani sulla tavola liscia ricoperta di rune tracciate con inchiostro nero, mentre Morgor si affrettò a sorreggerla per i gomiti per evitare che cadesse. Zaya non credeva che si sarebbe mai mosso in suo aiuto. Le rune si illuminarono, e sembrarono danzare sul piedistallo mentre componevano parole indecifrabili, comparendo anche sulle mani della ragazza. Poi, così come era apparsa, la luce scomparve. L’unica cosa che rimaneva di quell’evento era una piccola cicatrice a forma di runa al centro del palmo delle sue mani. Ma era finita, ce l’aveva fatta. Zaya si girò a guardare Morgor, sorridendo mentre gli poneva una domanda silenziosa.
L’uomo la guardò deciso per qualche istante mentre la aiutava a mettersi dritta di fronte a lui, poi sorrise a sua volta.

«Congratulazioni, giovane Zaya, per aver superato le tre prove. Sei accolta ufficialmente nella mia dimora come apprendista delle arti magiche»
  
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