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Autore: BabaYagaIsBack    07/02/2020    0 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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 Chapter twenty-first- Part Two:
§ Broken Hopes Sounds like Bass Drum
§

 

"Right now I feel like copping out
Will You hold me up If I just say that I will stay?
I will hold on to this hope that I have
You gave me a promise, You gave me a promise
I'll push through this moment, I'll never give up
You gave me a promise, You gave me a promise
I'm so tired that I can't stand
But I know that time will heal this heart, heal this heart
With every door that's slamming shut
A new one's there to lead me where You are, where You are"

You gave me a promise - Fireflight

 

 

Come ogni anno, anche questa volta Febbraio giunge al termine e, nel farlo, si sofferma su un giorno leggermente più speciale degli altri: il mio diciottesimo compleanno, nonchè il momento in cui, finalmente, anche per lo Stato avrò pieno potere sulla mia vita. Non che nei piani ci sia qualcosa di speciale ad attendermi, certo, ma almeno potrò bere alcolici e fumare sigarette senza che Catherine possa tirare in mezzo il "fattore età".
Ho aspettato questo giorno con fin troppa impazienza e ora, visto che ad aspettarmi non è solo questo nuovo potere decisionale sull'esistenza che mi attende, sono ancora più agitata.

Nonna Josephine, dal basso del mio materasso, mi guarda con circospezione. Osserva ogni dettaglio della sua nipotina preferita quasi fosse un medico che studia la propria sutura e, ogni tanto, giusto per farmi capire d'essere ancora presente, allunga le dita per sistemarmi l'orlo della gonna che pare non voler stare al proprio posto, arricciandosi un poco verso l'interno delle cosce - sarà per questo che nell'armadio ne ho pochissime.
«Hai un sedere strano» bofonchia dopo l'ennesimo tentativo di lisciare la stoffa.
Scrutandola dallo specchio provo a farle notare quanto poco gradito sia quel commento e lei, incurante, continua: «Non riesco a capire se sia un problema di grandezza delle natiche, di forma, o di larghezza dei fianchi...» stavolta prova a tirare, cercando di abbassare la vita e mettere più stoffa tra l'arricciatura e la curva delle mie chiappe.
«Davvero?» Le domando in balìa dello sconvolgimento. Tra tutti i componenti della famiglia lei dovrebbe essere quella più comprensiva e amorevole, invece a conti fatti è solo la più schietta - e con la scusa dell'età avanzata e della possibile incombenza della demenza senile si permette commenti del tutto fuori luogo: «Josephine, ti rendi conto che le nonne dovrebbero sostenere, invece che demoralizzare?» Un commento così demoralizzante me lo sarei aspettato da tutte le donne della famiglia Raven eccetto lei, eppure è l'unica a farne.

Nonna alza il mento e abbassa gli occhiali rossi fin sulla punta del naso, poi, evidentemente confusa cerca di decifrare la mia espressione: «Cosa ho detto di male? Ad alcuni ragazzi il sederone piace. A lui no?»
E l'imbarazzo che mi coglie a questa domanda fa pendant con la sua montatura.

«Non l'hai chiesto veramente...»
«Suvvia, Jaqueline! Conosco Seth da quando aveva appena tolto il pannolino, non sarà quest'informazione a cambiare la mia opinione su di lui!»

Ma appena pronuncia il suo nome mi precipito a tapparle la bocca. Nessuno deve udirlo, soprattutto Liz o mamma: una per via del risentimento sviluppato nei suoi confronti, l'altra per la propensione al pettegolezzo che le farebbe dire tutto a Jace - e per ora è meglio che non sappia che mi vedo con il suo amico-nemico. Josephine, come Charlie, è invece stata messa al corrente di tutto, ma solo a una condizione: nessun accenno della questione con chiunque possa svelarlo a mio fratello.
La esorto a tacere e lei, portando le mani al cielo, bofonchia qualcosa che fatico a comprendere.
«Non dire quel nome» incito mollando la presa e girandomi nuovamente verso lo specchio. Il riflesso che vedo, dopo il commento della nonna, mi convince ancor meno, eppure non ho idea di cosa mettere in sostituzione all'abbinamento scelto - soprattutto perché ora temo che qualsiasi indumento possa evidenziarmi il "sederone".
«Je ne comprends pas quel est le problème» stavolta non la fisso, troppo occupata a scrutare il modo in cui casca la stoffa.
«Paresse, grand-mère. Si je faisais du sport, je n'aurais pas ce gros cul».
Ma non è di quello che parla; così, abbandonando il mio letto, nonna si fa vicina e mi afferra le spalle. A dividerci ci sono i pochi centimetri di un tacco più alto di quello dell'altra, così si china un poco e, con il viso accanto al mio, sorride: «Je parlais de lui, chèrie. E' un bel ragazzo, quello per cui hai una cotta da quando ne ho memoria. Che male c'è se diventi la sua fidanzata? Se avessi trent'anni di meno gli farei la corte anche io!»

Mi mordo il labbro.

A Josephine ho parlato di Seth perchè è l'unica, in questa casa, che ero certa mi avrebbe sostenuta, eppure, se da un lato mi sono sentita sicura nel confessarle quello che stava succedendo tra me e lui, ancora non mi sento pronta a dirle il motivo per cui deve rimanere un segreto - non credo che le farebbe piacere saperlo.
Se io sono la sua nipotina preferita, Jace è stato quasi come un figlio e la certezza che tra i due preferisca me non è qualcosa per cui metterei la mano sul fuoco.

Il campanello d'ingresso trilla e d'improvviso il cuore mi balza in gola all'idea che sia già arrivato il momento di scendere. Sì, mi sono fatta bella, ho acconciato i capelli e indossato alcuni tra gli indumenti più femminili che il mio armadio potesse vantare, eppure non sono certa di essere pronta a incontrare Seth.
Per questa occasione, per l'ufficializzazione della mia entrata nel mondo degli adulti, Morgenstern ha voluto organizzare un vero e proprio appuntamento, come quelli che si vedono nei film - ma io non credo di essere all'altezza di nessuna delle protagoniste che passano in tv e nemmeno di chiunque altro abbia potuto vantare un'uscita di questo tipo con lui. Ho le gambe molli, la gola secca e l'ansia che si noti ognuno dei difetti che Josephine ha elencato durante la preparazione, eppure da questa situazione non vi è alcuna via di fuga.

Lui è qui - ed io devo scendere.

Nonna mi fa la linguaccia, poi mi pizzica il sedere: «Se non ti sbrighi ci esco io» e subito sgattaiola verso l'ingresso.
Ma è seria?
Resto immobile qualche istante a fissare la sua schiena che svolta verso le scale e, quando mi rendo conto che sta seriamente andando lei ad aprire al posto mio, scatto in avanti cercando di placcarla.
Nulla deve andare storto, nemmeno una stupidata come questa. Così, picchiando con violenza i piedi sui gradini, le scivolo sotto al braccio con cui si tiene al corrimano, compio un mezzo salto e quasi mi vado a schiantare contro la porta. Solo questo tentativo di corsa ha rovinato la mia acconciatura e mi minaccia con un attacco cardiaco.
Josephine ride dietro di me, mima qualche frase ambigua che io la esorto a non continuare per evitare ulteriore imbarazzo e, cercando di contrastare la tensione e assumere un'espressione meno trafelata, al nuovo trillo del campanello mi decido ad aprire.

Il sorriso che faccio però muore in fretta, schiacciato con violenza dalla sorpresa. Chi ho di fronte è ben lontano dall'essere Seth, anche se la sua presenza sarebbe stata altrettanto gradita in un momento differente.

Charlie mi guarda con una certa perplessità, studiando ciò che ha di fronte come se lo vedesse per la prima volta, poi abbozza un sorriso: «Da quando ti fai così carina per un film? Lo sai che al cinema le luci sono spente, vero?» domanda, visibilmente a disagio, incapace di spiegarsi la mia mise tanto curata - un dettaglio che al momento nemmeno io saprei come giustificare. E l'ansia mi assale. Più lo guardo, raggiante come il sole in questa fredda serata invernale, più la consapevolezza di aver dimenticato qualcosa di fondamentale si fa concreta. Ci vuole qualche istante prima che la mente, fino ad ora troppo ottenebrata dalle immagini idilliache dell'imminente appuntamento con Morgenstern, si svuoti, riportando a galla qualche vago ricordo dei giorni precedenti.
Mi sistemo una ciocca chiara dietro l'orecchio, poi mi chiudo nelle spalle al pari di un riccio che tenta di difendersi da ciò che sta arrivando, anche se ancora non è certo cosa sia. Una parte sempre più senziente di me sa di aver fatto l'ennesima cazzata, di essersi ancora una volta comportata come la peggiore tra le amiche, eppure non ho idea di come impedire il peggio che sento avanzare. Dovrei cercare parole, soluzioni, gesti con cui tamponare il danno sempre più vicino e ancora poco definito, anche se la coscienza mi suggerisce che forse, il pomeriggio in cui sono stata da lui, ciò che mi ha chiesto mentre se ne stava sdraiato su di me non era nulla di quello a cui avevo pensato. Con grande probabilità Charlie deve avermi chiesto se quest'anno, nonostante tutto, avremmo festeggiato insieme, esattamente come i compleanni passati.

Ed io gli ho detto sì, quando in realtà dovevo rispondere di no.

«Aspetta...» d'un tratto si acciglia. I suoi occhi color cielo si rabbuiano un po'. Nuvoloni carichi di pioggia stanno coprendo la sua sorpresa, la gioia del ritagliarci qualche ora insieme, come ai vecchi tempi.
Non è stupido, lo so fin troppo bene. A prescindere dal fatto che appaia sempre come quello un po' naive, perso nel suo mondo di sorrisi e spartiti, Benton è sveglio - ed io credo abbia capito. Il cuore mi si stringe in una morsa tanto rigida da impedirgli di battere con regolarità, così come la gola si secca, diventando terreno arido per parole che non sanno come sopravvivere al di fuori della mia mente. «Fammi indovinare, non mi stavi ascoltando, lunedì...» la sua non è una domanda, piuttosto una constatazione che io non so negare - forse perché non posso, visto che ha ragione. Persa a scoprire che fine avesse fatto Sharon, l'unica a poter davvero minacciare la mia neo-relazione con Seth, non ho prestato alcuna attenzione a ciò che avevo intorno e che avrei dovuto trattare con maggior riguardo, visto quanto significa per me - ed è forse stata la sicurezza della sua presenza, la certezza di aver chiarito ogni malinteso creatosi tra noi a fregarmi.
Allungo una mano nel tentativo di afferrare la sua, in modo trattenerlo a me e non sentirlo scivolare via insieme alla corrente di delusione, ma lui infossa i palmi in tasca e tiene lo sguardo lontano dai miei occhi, seppur da qualche parte sul viso. Un'atmosfera tutt'altro che piacevole riempie il portico e nuovamente sento crescere il vuoto tra noi, quasi il tentativo fallimentare di avvicinarlo lo avesse invece spinto via.

Sono una persona orribile.

«Charlie, io...»

Lui fa un passo indietro, poi tira un sorriso. Finto. Così falso che posso chiaramente vedere lo sforzo che sta compiendo per non mostrarmi l'amarezza contro cui sta combattendo; ma so che c'è, la sento graffiarmi. Per lui gli amici valgono quanto fratelli, soprattutto se si tratta di noi - e tutti, in un modo o nell'altro, lo abbiamo escluso. Jace è lontano, in quella Parigi caotica che lo ha inglobato senza chiedere il permesso a nessuno, mentre Seth ed io ci siamo avvicinati tanto da non poter più coinvolgerlo come prima. Un po' è come tornare indietro di un paio di mesi, quando ero stata io quella a venir eclissata, eppure so che stavolta è diverso, è più galvanizzante.
«Hai altri programmi, tranquilla, lo capisco» mi sussurra, lanciando un'occhiata al fondo del vialetto, lì dove le ombre lasciano spazio solo ai riflessi dei lampioni sulle carrozzerie cromate. Mentre prova a consolarmi non posso far altro che pensare che ciò, però, non cambia la situazione. Può capire, certo, eppure la cosa non fa di me un criminale meno colpevole: un amico non si comporterebbe a questo modo. Jace non lo avrebbe mai fatto e da me ci si sarebbe aspettato altrettanto... ma io non sono lui e in queste ultime settimane ne ho ampiamente dato e avuto la prova, scoprendomi succube di desideri egoistici a cui non so negarmi. 
«Immagino starai con Seth» continua bagnandosi le labbra e abbassando il capo sulle proprie Vans logore che paiono fremere, quasi a indicare il desiderio contrastante d'andare via ma anche restare.


Annuisco.

«Ti porta in qualche posto carino?» Il suo mento si muove, indicando il modo in cui mi sono agghindata per la serata - un evento più unico che raro, visto il trucco curato e la gonna corta che nessuno si sarebbe mai immaginato di vedermi indossare.
Apro bocca per rispondere, per dirgli qualcosa di vago che nemmeno io so definire, ma la voce che arriva non è la mia: «Beh, a questo punto dovrò per forza!» Ecco che Seth, come richiamato dalle ansie e i sensi di colpa che mi stanno soggiogando, compare dal fondo del vialetto, avanzando lento mentre si stringe nel cappotto scuro. Sul suo viso c'è un sorriso così radioso che fatico a credere sia rivolto a me, eppure è innegabile che lo sia, visto che i suoi occhi non paiono intenzionati ad allontanarsi da ciò che ha di fronte.

Quando ci raggiunge, incurante della tensione, concede a Charlie una pacca fraterna e due chiacchiere di circostanza. Pare non essersi reso conto di nulla, eppure dubito fortemente che ai suoi occhi siano sfuggite le nostre espressioni mogie.
«Sei passato a farle gli auguri? Cavolo, che gentiluomo!» L'espressione di Morgenstern si fa più curiosa, lasciando spazio al commento peggiore che potesse fare in una circostanza come questa.

Sì, è passato a farmi gli auguri e a portarmi via per una serata al cinema che non vedrà né inizio né fine - ed io l'ho scordato, perché quando ci sei di mezzo tu perdo cognizione di ogni cosa.

Benton alza le spalle, fa finta di non dar peso al fatto di essere stato messo da parte. Ancora. Per lui. Io però vedo il modo in cui cerca di evitare il suo sguardo, di come la mascella gli si contrae appena per non tradire la frustrazione che sente crescere dentro, come quando a una gara di skate sbaglia il trick per cui si è allenato giorni interi. Lo conosco abbastanza da riconoscere anche quei piccoli segnali, ma a parte starmene arroccata sullo stipite della porta a mordermi la lingua e sentirmi una traditrice non so che fare.
E se mandassi all'aria i piani di Seth per stare insieme, tutti e tre come l'anno scorso e quello prima? Sarebbe sicuramente un modo per non deludere Charlie, ma quello che si suppone essere il mio ragazzo come la prenderebbe? Forse se fosse lui a proporlo le cose andrebbero a posto da sé, no?

Morgenstern però non avanza alcuna proposta, resta fermo ad ascoltare.

«Ecco, questo dillo pure a mia madre. Almeno se glielo fai notare tu ci crede» ride, anche se solo con le labbra.
«La più affidabile direi che è Jay, tra noi. Poi ora che ha diciotto anni chi la sottovaluta più?»

Charlie mi lancia un'occhiata dolce, poi torna a Seth alzando le sopracciglia: «Beh, dolcezze mie, credo sia arrivato il momento di lasciarvi da soli! Godetevi la serata e...» fa una pausa, bagnandosi ancora le labbra. Stavolta la frase è indirizzata solo a uno di noi e nel tono con cui la pronuncia, per un istante, mi pare di udire Jace: «sai già».

Un'altra pacca, un istante di esitazione.

«Auguri, corvetto» lo dice senza guardarmi, quasi fosse sovrappensiero. Stavolta l'ho combinata grossa, troppo. Devo rimediare, fargli capire che è stato solo un malinteso; così muovo un passo fuori dalla soglia, mimando un mezzo inseguimento: «Ci vediamo domani, vero?».
La sua mano si leva in cielo a mo di saluto, però non mi dà conferma e, prima che possa insistere o placcarlo in una qualsiasi maniera, Morgenstern mi tira a sé per rubarmi un bacio e un sorriso.

«Quell'idiota mi ha rubato la battuta, Raven».




 
   
 
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