Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: _Zaelit_    09/02/2020    1 recensioni
[What if? in cui tutta la squadra di Bucciarati è sopravvissuta agli eventi di Vento Aureo.]
Irene è una ragazza cresciuta per strada e dal carattere ribelle che conduce una vita monotona e pericolosa. A salvarla dalle sue condizioni è Bruno Bucciarati, ora braccio destro del boss di Passione, Giorno Giovanna. Irene comprende di poter ricominciare daccapo e di poter far parte di una famiglia ma, non appena entra a far parte dell'organizzazione, una nuova minaccia ostacola Passione e i suoi membri. Una nuova organizzazione criminale, infatti, sta muovendo guerra a Giorno e ai suoi sottoposti, i cui fili vengono tirati da una figura misteriosa soprannominata "Arcangelo". Irene comprende di ritrovarsi in una battaglia che la coinvolge in prima persona e dovrà quindi scavare nel suo passato e trovare la forza e il coraggio necessari per impedire la sconfitta di Passione, tutto ciò in compagnia del saggio e protettivo Bruno e dei suoi formidabili compagni: Guido Mista, Narancia Ghirga, Leone Abbacchio e Pannacotta Fugo.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bruno Bucciarati, Giorno Giovanna, Leone Abbacchio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Irene si risvegliò a causa di un fortissimo mal di testa. 
Non riconobbe l'ambiente in cui si trovava finché la stanza non smise di girare su se stessa. Intense luci a led bianche erano appese al soffitto e un leggero venticello soffiava da una finestra semiaperta.
Si tastò la fronte dolorante sicura di avere qualche livido e cicatrice in viso, oltre a delle bende. Impiegò qualche secondo a ricordare cosa fosse successo e, quando ci riuscì, tra i suoi pensieri prevalse l'immagine di colui che le aveva salvato la vita dal gruppo di criminali intenti a ucciderla.
Incredibilmente, una voce familiare la attirò dal lato opposto della stanza.
«Ti sei svegliata.» constatò solamente, quasi con sollievo. In generale, però, sembrava atona e alquanto severa.
Irene sussultò e seguì il suono con lo sguardo, che incontrò degli occhi dello stesso colore del mare. Aveva davanti a sé proprio colui che l'aveva soccorsa.
Capì subito di essere in ospedale. E che era stato lui a portarla fin là.
«Come ti senti? Immagino che i tuoi sensi siano ancora confusi. Quei criminali ti hanno colpita con forza.» continuò a dire in tutta tranquillità.
Tra le mani teneva un libro, Trainspotting di Irvine Welsh, Che richiuse con calma dopo aver posto un segnalibro tra le prime pagine. Irene non conosceva la trama di quel romanzo ma giudicò bizzarra la copertina gialla e molto semplice.
Piuttosto, mentre i ricordi si facevano man mano più chiari, si mise a sedere con la schiena contro la spalliera.
«Chi sei tu? E... e dove mi trovo?» domandò immediatamente, agitata come un animale selvatico che non si fida di alcun uomo. Dopotutto, era così che era cresciuta: non sapeva nemmeno cosa fosse la fiducia.
«Questo è l'ospedale San Paolo. Sei arrivata ieri notte al pronto soccorso, avevi perso i sensi, e i medici si sono occupati di te.» gli rispose lui con calma, dando una rapida occhiata all'orologio appeso alla parete, che segnava le nove del mattino.
«Arrivata? Di sicuro non sono venuta fin qui da sola.»
«Vado a chiamare il dottore, così potrà visitarti. Dato che ti sei ripresa, lascerò l'ospedale. Cerca di guarire in fretta.»
L'uomo si alzò in tutta tranquillità, senza rispondere alla domanda più importante.
Irene si sentì più frustrata che mai. Non riusciva a capirlo.
«Aspetta!»
Nell'urlare quella parola si alzò dal letto e per poco non perse l'equilibrio, finendo a terra. Si resse in piedi per pura fortuna ma notò che l'uomo parve pronto a muoversi verso di lei per sorreggerla, preoccupato. Quello era un buon segnale.
«Non dovresti stare in piedi.» sottolineò composto, tornando a drizzare la schiena.
«Chi sei tu?» insisté ancora la ragazza, «E... chi diavolo era quell'uomo mascherato con te ieri sera?» provò a descrivere. L'immagine di quella strana figura umana dalla pelle blu rinforzata d'argento, con zip sparse qui e là sul corpo, la tormentava.
Lo sguardo del salvatore si fece incerto.
«Uomo mascherato?» domandò allora, «Non c'era nessuno con me ieri sera. Evidentemente sei ancora molto confusa. Cerca di riposare prima di essere dimessa.»
Irene scosse le braccia con vigore.
«Non sono affatto confusa! C'era quella... quella strana persona che combatteva per te! Aveva un casco argentato e... e degli spuntoni, con delle cerniere!»
Nel giro di qualche secondo si rese conto che ciò che stava dicendo non aveva affatto senso. Difatti le bastò osservare il viso del suo interlocutore per accorgersene. L'uomo sembrava impallidito all'improvviso, quasi incredulo.
Irene si schiacciò una mano contro il viso, senza speranze.
«Maledizione... sembro una pazza. Che abbia davvero immaginato tutto?»
«Tu puoi vedere Sticky Fingers?» domandò lui senza nemmeno ascoltare quella sua ultima frase, con una serietà sconvolgente.
La ragazza batté le palpebre, più confusa di prima.
«... Sticky- che?» ripeté.
L'uomo respirò a fondo e portò l'indice al di sotto del mento, pensoso.
«Incredibile... una portatrice di Stand che non fa parte dell'organizzazione. Non mi capitava un caso del genere da tempo.» parlò fra sé e sé, peggiorando lo stato d'animo della povera Irene.
Ella, infatti, indietreggiò piegando la testa su di un lato.
«Che stai farfugliando?» cercò di attirare la sua attenzione, «Inizio a pensare di non essere l'unica matta qui...»
L'uomo dall'insolito vestiario le voltò le spalle, assorto in altri pensieri.
«Ascoltami: noi due dobbiamo discutere di questa faccenda, ma non qui e non adesso. Vedrò di farti dimettere in giornata. Quando lascerai l'ospedale, sarò lì ad aspettarti. Tu intanto lascia che il dottore ti visiti e pensa a riposare, ti sarà tutto spiegato a tempo debito.»
Non aggiunse altro. Non aspettò nemmeno che gli rispondesse: spedito attraversò la porta e lasciò la stanza. Irene l'avrebbe persino seguito, se non fosse che era scalza e indossava un pigiama azzurrino che sicuramente qualche cameriera le aveva messo dopo averla guarita.
Con il mal di testa più forte che avesse mai avuto tornò a stendersi sul letto, notando entrare il dottore.
La visita durò relativamente poco e la ragazza fu sorpresa di notare il trattamento riservatole dall'ospedale e dai suoi dipendenti: mangiò prima di qualsiasi altro paziente e nel corso della mattinata più volte delle infermiere accorsero a chiederle se le servisse qualcosa. Dopo pranzo le spettò un'altra visita. Terminata questa, il dottore scribacchiò distrattamente qualcosa su un foglio, con aria soddisfatta.
«Il signor Bucciarati aveva ragione, può essere dimessa oggi stesso. Tra un'ora alcuni membri del personale le consegneranno i suoi vestiti e potrà lasciare l'edificio.» avvisò l'uomo, per poi fermarsi. «È la prima volta che si dimostra così frettoloso di vedere uscire qualcuno dall'ospedale, o almeno da quando io sono in servizio qui al San Paolo. Lei... è per caso una sua amica o parente?» domandò allora con curiosità.
Irene lo guardò totalmente confusa. «Bucciarati? E chi sarebbe?»
Il dottore rise brevemente.
«Ho capito... lei non è del posto, vero? Da quanto tempo si trova a Napoli?»
«Da un paio d'anni... per quale motivo? Dovrei conoscerlo?»
Lui non le rispose.
«Accidenti, quell'uomo non perde mai il vizio di aiutare i più bisognosi. Dovrebbe esserle grata, Bucciarati è un uomo... piuttosto importante, qui in città. Sembra avere un'occhio di riguardo per lei.»
Irene capì che portare avanti la discussione l'avrebbe solo confusa ancor di più. Rimase quindi in silenzio, frustrata da quel giochetto che tutti parevano conoscere tranne lei.
La visita continuò senza intoppi. Ebbe modo di chiedere informazioni a proposito del signor Canestrelli e, fortunatamente, scoprì che grazie alla sua telefonata era stato soccorso appena in tempo e adesso era ricoverato in quello stesso ospedale. Irene ne era felice ma sapeva che ci sarebbero state conseguenze legali a quell'episodio, il che le fece pensare che sarebbe stata giudicata colpevole anche lei per aver cercato di aggredire il tossicodipendente. Con grande stupore, però, si sentì dire dal dottore che non v'era ragione di preoccuparsi. L'uomo della sera prima si era già occupato di tutto.
Come le era stato promesso, nel pomeriggio poté finalmente uscire dall'ospedale. La luce del crepuscolo tingeva il cielo di rosa e arancio, le nuvole grigiastre si stagliavano contro quel manto sfumato.
Lasciò l'edificio, lieta che i suoi vestiti fossero stati ripuliti e che non fossero strappati, ma pensò lo stesso di dar loro un'altra lavata una volta tornata a casa, prima di fare una lunga doccia calda per rilassarsi almeno un po'.
Aveva quasi dimenticato l'incontro con il suo fantomatico eroe, per cui subì un brusco risveglio dai suoi pensieri di gloria quando se lo ritrovò davanti nel parcheggio di fronte al San Paolo.
«Ben trovata. Come ti senti?» la salutò lui, dimostrando una certa educazione a discapito del viso un po' burbero.
Al contrario, Irene non aveva regole o morali da rispettare. Gli lanciò un'occhiata alquanto torva, considerando il loro incontro una sorta di sfortuna.
«Come qualcuno che è stato malmenato da una banda di idioti e che ha solo voglia di andare a casa per dormire un po'.» rispose con intenso sarcasmo, sorprendendosi di non vedere alcun segno di fastidio nell'uomo. Allora, curiosa, pensò di prendere le redini del discorso. «Allora? Si può sapere chi sei tu? Il dottore ha accennato un nome e ha detto che sei un tipo importante qui a Napoli. Un vero peccato che io sia l'unica a non conoscerti.»
Il ragazzo incrociò le braccia mentre il sole tramontava alle sue spalle.
«Il mio nome è Bruno Bucciarati.» si presentò quindi, schivo almeno quanto lei. «Ma non ti servirà sapere altro su di me. A essere sinceri, non ti conviene affatto conoscermi. Il motivo per cui sono tornato qui è che intendo capire chi sei tu
L'altra ascoltò cercando di non infuriarsi inutilmente.
«Vuoi conoscermi, ma non vuoi che io conosca te. A che gioco stai giocando?» lo provocò come suo solito, cercando come sempre di averla vinta.
«Ti assicuro che non sto affatto scherzando. Il motivo per il quale mi comporto così è più che valido.» ribatté lui.
Incredibile: nonostante Irene sapesse rendersi odiosa quando lo desiderava, quel giovane non batteva ciglio di fronte alla sua spavalderia. Era calmo come se fosse fatto di ghiaccio. Irremovibile.
Capì di non avere né il tempo né la pazienza per metterlo alla prova.
«Mi chiamo Irene.» sibilò quindi, senza smettere di fissarlo, «Irene Cacciatore. E prima che tu me lo chieda, non sono di qui. Quindi potrei sapere perché non vuoi rispondermi? Non capisco il motivo della tanta pericolosità di cui parli.»
Bucciarati parve riflettere per un attimo, come se il nome non gli fosse nuovo, ma non aprì un secondo discorso. Era chiaro che non fosse un amante dei giri di parole. Si limitò a chiederle di seguirlo e, dopo averla finalmente convinta, i due si ritrovarono a un bar della zona chiamato Le Dolcezze di Zefiro.
Se non altro, Irene poté bere un caffè. Quando provò a pagarlo, però, il cameriere disse che "Per il signor Bucciarati e i suoi amici offre sempre la casa". Un altro dettaglio che si aggiunse ai dubbi della ragazza.
«Sei un uomo molto conosciuto, rispettato ovunque e non vuoi che si abbia a che fare con te...» ricapitolò ad alta voce, incrociando le gambe sotto al tavolino circolare.
L'uomo le rivolse la sua attenzione, senza interromperla.
«Non sono un'idiota, Bucciarati. Adesso finalmente ho capito.» mormorò con più calma, facendo dondolare tra le dita il cucchiaino usato per sciogliere lo zucchero e indicando con quello il suo salvatore, «Tu sei un malavitoso, dico bene? Troppo educato per essere una persona qualunque, troppo rigido per essere uno dei pesci più piccoli. Allora? Ho indovinato?»
Bruno Bucciarati distolse lo sguardo, rivolgendolo al tramonto ormai in procinto di sparire per lasciar spazio al buio e alle stelle. Non sembrava né sorpreso né incredulo, forse addirittura soddisfatto. Come se Irene fosse giunta a una conclusione assolutamente prevedibile.
«Hai centrato in pieno.» rispose allora. «Motivo per il quale mi limiterò a farti qualche domanda e poi le nostre strade si separeranno.»
Irene sorrise vittoriosa. «E se non volessi collaborare? Non avrai intenzione di torturarmi, spero?» riprese con le provocazioni.
«Credi che non ne sarei capace?»
Stavolta il suo sguardo glaciale si diresse verso di lei, perforandole l'anima. Irene rabbrividì e per lo spavento le cadde di mano il cucchiaino.
«Rilassati.» tornò composto Bucciarati, «Non ce ne sarà bisogno. So che, in ogni caso, mi risponderai senza fare troppe storie.»
Irene si lasciò cadere contro la spalliera della sedia, umiliata. Non vedeva l'ora di tornare a casa.
«E cos'è che ti preme tanto sapere?» domandò.
Bucciarati appoggiò i gomiti sulle ginocchia e incrociò fra loro le dita delle mani.
«Dimmi, Cacciatore... Tu sai cos'è uno Stand?» chiese quindi.
Irene sollevò un sopracciglio quando un formicolio le attraversò la schiena. Pensò di saperlo, poi però restò senza parole. No, in effetti non aveva mai nemmeno sentito nominare quella parola. Si domandò se non fosse qualche nuova auto o dispositivo tecnologico, a giudicare dal nome.
«No. Dovrei?»
«A quanto pare sì, dato che riesci a vedere il mio Sticky Fingers.»
Irene piegò la testa. Di nuovo quello strano nome.
«Ricordi quella persona che hai detto di aver visto ieri sera accanto a me, nel vicolo? Quello è Sticky Fingers. Solo che... non è una persona.» si spiegò meglio lui per evitare di confonderla.
«Allora cosa sarebbe? Un costume di carnevale?» sbuffò non comprendendo.
«No. È il mio Stand.» rispose lui con infinita pazienza, «Uno Stand è la rappresentazione fisica dello spirito di un combattente. I portatori di Stand sono persone rare, motivo per il quale ero piuttosto curioso. Qualche mese fa sono emersi molti portatori di Stand qui a Napoli, ma da quando sono stati sconfitti a causa della loro insubordinazione non ne è stato rivelato nessun altro.»
La ragazza ascoltò senza interrompere, boccheggiante... per poi scoppiare in una fortissima risata. Tutti i clienti delle Dolcezze di Zefiro la guardarono incuriositi, per poi tornare ai loro affari. Bucciarati non si scompose neanche per un attimo.
Irene cercò di trattenersi e, quando tornò a respirare, si tenne lo stomaco con una mano e con l'altra scacciò una piccola lacrima dovuta alle risate.
«Aspetta, aspetta... fammi capire... mi stai dicendo che quello strano mostro blu in realtà sarebbe... una sorta di fantasma che reagisce al tuo volere?»
Prima ancora che potesse risponderle, scoppiò di nuovo a ridere e batté a terra i piedi.
«Hai finito?» chiese, stavolta vagamente spazientito. Nonostante ciò non badò al suo comportamento. «Puoi anche considerarli fantasmi o quel che credi, ma esistono. E a giudicare dal fatto che riesci a vedere il mio, anche tu dovresti possederne uno.» spiegò di nuovo pacato.
Irene tornò seria di colpo e lo indicò con aria nervosa.
«Adesso ascoltami tu. Che tu sia un malavitoso, un principe o il presidente degli Stati Uniti, io ho comunque ben altro da fare che assoggettare le tue fantasie. Ti ringrazio per avermi salvato la vita, se è questo che vuoi sentirti dire, ma non mi piace sprecare il mio tempo.» Si alzò da tavola in fretta, mentre Bucciarati la guardava impassibile. «Io me ne vado. Arrivederci!»
Prima che potesse voltarsi, però, lui si guardò cautamente attorno e assunse un'aria sicura. Ben presto una sagoma chiara parve distaccarsi dal suo corpo, come se la sua ombra avesse preso fattezze fisiche. La creatura che Irene aveva visto la sera prima tornò a palesarsi davanti a lei, con le sue strane cerniere e le labbra corrucciate.
Terrorizzata, la ragazza balzò indietro e urtò con la schiena il tavolo di altri due clienti, che presero a lamentarsi.
Bucciarati sollevò una mano.
«Vi prego di scusare la mia amica, tornerà subito a sedersi senza recarvi altri fastidi.»
Non appena fiatò, i due si zittirono e Irene comprese di dover riprendere posto. Lo fece senza mai smettere di guardare l'essere che si era materializzato di fronte a lei.
Bucciarati sembrava alquanto seccato.
«Nel mio mestiere bisogna sempre essere cauti, motivo per il quale non si dovrebbe mostrare il proprio Stand pubblicamente. Per fortuna conosco tutti gli altri clienti qui al locale e so per certo che nessuno di loro è un portatore di Stand e può vedere Sticky Fingers. In quanto a fiducia, però, credo tu possa essere paragonata solo a qualcuno come San Tommaso...»
Non appena ebbe finito di parlare il mostro scomparve, dissolvendosi tra le sue spalle.
Irene non riusciva a parlare, a metà fra lo stupore e il terrore.
«L'unico motivo per il quale sto insistendo così tanto nel metterti al corrente dell'esistenza degli Stand è che, spesso, questi sono poteri latenti che si risvegliano in momenti di pericolo o quando altri poteri più forti hanno effetto sui loro portatori. Nel tuo caso, potresti aver risvegliato le tue abilità grazie al tuo istinto di sopravvivenza, oppure... qualcuno a cui sei legata in maniera particolare si trova attualmente in città o nelle sue vicinanze.» rivelò, «Il che significa che si tratta di un portatore di Stand molto potente e che potrebbe rappresentare un pericolo per la mia organizzazione. Indagare fa parte del mio dovere in quanto membro e seguace del boss. Mi capisci adesso?»
Irene non riuscì a elaborare subito quella realtà destabilizzante. Non comprese che, proprio come lui, anche lei probabilmente possedeva un'abilità più unica che rara e che aveva avuto un ruolo fondamentale nell'aggressione della sera prima. Forse era il motivo per il quale la pistola del criminale si era inceppata, o perché era guarita così in fretta...
E invece rispose nel modo più banale che riuscì a immaginare.
«Non c'è nessuno a Napoli che abbia un legame con me.» deglutì ancora scossa, «Nè di sangue nè affettivo.»
«Allora hai avuto la fortuna di ereditare la predisposizione al possedimento di uno Stand. Per le donne è più raro manifestarne uno, quindi immagino che ti sia stato trasmesso da un antenato.» dedusse Bucciarati.
Lei scosse la testa.
«Nessun membro della mia famiglia possiede... uno di quelli...» ripeté decisa.
«Non puoi esserne sicura. Il potere a volte rimane latente per l'intera vita ed è difficile portarlo alla luce. Nel mio caso, ho avuto bisogno di uno strumento particolare. Una freccia, per la precisione. Ti è mai capitato di essere punta da una strana freccia dorata?»
«Cosa? No! È assurdo...»
Il ragazzo sospirò.
«Non so come tu abbia manifestato lo Stand, ma so che potrebbe trattarsi di un potere benevolo o distruttivo. Questa città è sotto il controllo della mia organizzazione, che si assicura di mantenere l'ordine e di proteggere i cittadini, quindi è nostro compito tenerti sotto controllo e avvisarti di utilizzare il tuo potere solo per il bene, o ne subirai le conseguenze. Non hai di che preoccuparti finché non lo userai per fare del male a qualcuno o per scopi malvagi, io e la mia organizzazione ci manterremmo lontani da te e non dovrai avere a che fare con noi.» la rassicurò in fine, arrivando al sodo del discorso.
Irene batté i palmi sul tavolo, alzandosi appena.
«Aspetta! Vuoi dire... che ce ne sono altri? Intendo... portatori di Stand, insomma, quelli...» pronunciò non ancora abituata a quella parola. A quella verità.
«Più di quanti tu possa anche solo immaginare. E non solo a Napoli, ma in tutto il mondo.» spiegò lui, finalmente lieto di poter parlare senza doverla convincere ad ascoltarlo.
«E... nella tua organizzazione? Sono tutti portatori di Stand?»
Sul viso di Bucciarati apparve l'ombra di un sorriso. «No, certo che no. Molti di noi lo sono, ma non tutti.»
«Anche il capo?»
Questa volta, tornò serio.
«Non risponderò a domande che riguardano specifici membri dell'organizzazione.» le spiegò, «Non posso rivelare informazioni segrete a qualcuno che non fa neanche parte dell'organizzazione.»
Irene si trattenne dal battere un pugno sul tavolo. Di colpo più determinata, strinse i denti.
«Allora fammi entrare nell'organizzazione!» esclamò cercando in tutti i modi di non alzare la voce.
Questa volta, Bucciarati parve addirittura sorpreso. Atterrito. La guardò come se fosse lei la pazza ad avergli rivelato l'esistenza di spiriti combattenti che si manifestano per volere del portatore.
«Scusami?» domandò allora, sicuro di non aver sentito bene.
«Hai capito. Voglio fare parte del tuo gruppo.» ripeté lei.
«No. Non se ne parla.»
«Perché?» insisté la ragazza, «E non dirmi che è perché non mi conosci o scemenze simili. Dubito fortemente che tu sia amico di tutti i tuoi compagni, giusto?»
«Non è per questo.» la ammonì lui, «Ma perché tu sei solo una ragazzina e a quanto pare non comprendi la serietà della situazione.»
Irene sollevò le sopracciglia.
«Non sono una ragazzina.» soffiò nervosa, tornando a sedersi.
«Comunque sia, ho sbagliato io. Non avrei mai dovuto parlarti dell'organizzazione e fidarmi così ciecamente. Evidentemente ero troppo preso dall'idea di aver incontrato un naturale portatore di Stand dopo mesi dall'ultima volta.» sospirò.
Irene provò a parlare di nuovo, inutilmente.
«L'organizzazione, gli Stand... non è un gioco, Cacciatore.» la interruppe sul nascere, «È pericoloso, specialmente per qualcuno che ha appena saputo degli Stand e che non sa ancora come controllare il suo. Rischieresti la vita inutilmente o la sprecheresti. Hai tante opportunità davanti a te: potresti continuare gli studi o trovare un lavoro e nel giro di qualche anno avere persino una famiglia. Perché gettare al vento questa possibilità?» domandò.
Irene abbassò lo sguardo e strinse in mano il cucchiaino che le era caduto poco prima. Un miscuglio di emozioni ribollì il lei, un oceano di ricordi repressi al cui capo vi era solo una profonda rabbia.
«E chi ti dice che io abbia tutte queste opportunità?» mormorò con astio, la testa bassa e appoggiata sulle nocche della mano ancora libera. Quasi sentì il bisogno di piangere, ma non l'avrebbe mai fatto, specialmente in pubblico. «Io potrei anche considerare tutto questo un gioco, ma tu non sai nulla di me. Posso assicurarti che non ho avuto la benché minima speranza di vivere una vita tranquilla dal giorno in cui sono nata. E le uniche persone che si siano mai preoccupate per me...», aggiunse con un sorriso amaro, ricordando quel poliziotto che fortunatamente aveva deciso di darle una speranza e quel misterioso uomo che invece aveva pagato la sua cauzione, «... sono persone che a stento hanno potuto conoscermi. Persone che mi hanno fatto capire che avrei dovuto fare del buono in vita mia, e non abbassarmi al livello di molti altri che a causa delle loro origini sono finiti per diventare reietti della società. E cosa ho fatto io? Ho deluso anche quelle persone. Ieri, quando il mio amico è stato ferito dal criminale, ho davvero desiderato uccidere il colpevole. L'ho inseguito decisa a massacrarlo. Ho ignorato i consigli di quei pochi che hanno visto del buono in me. Perché, forse, non sono tanto diversa da chi ha premuto quel grilletto. Forse sono marcia anche io, nel profondo.»
Sollevò lo sguardo su Bucciarati, che ascoltava con attenzione e - avrebbe potuto osare - anche una punta di compassione.
«Non potrò mai essere una brava persona, Bucciarati. Non importa quanto io mi impegni, non sono nata per questo.» continuò quindi lei, «E, a essere sincera, non resisterei un solo secondo in questo mondo che pretende che tutti siano uguali e perfetti.»
Il malavitoso sembrò esitare. Era indeciso ma, di certo, avrebbe voluto aiutarla. Irene lo capì facilmente, gli leggeva l'incertezza negli occhi. Lasciarla entrare nell'organizzazione e renderla una criminale a tutti gli effetti o abbandonarla a un destino che l'avrebbe quasi certamente distrutta?
Dover scegliere al posto suo faceva male. Questo era evidente.
«Cacciatore...» rese quindi il tono di voce vagamente più docile, «Io voglio credere nella possibilità di un futuro migliore per te. Una redenzione. Tutti meritano un'occasione simile.» iniziò a spiegare, «E tu non sei da meno. Posso aiutarti, se è quello di cui hai bisogno. Darti un posto in cui stare, trovarti una buona scuola o un lavoro, ma non ho intenzione di trascinarti in qualcosa ben più grande di te.» rifiutò alla fine.
Irene aveva sentito abbastanza. Annuì come se comprendesse le sue ragioni, dopo aver sfogato tutta la rabbia e la sofferenza di quegli anni di solitudine parlando con lui, un estraneo che si era dimostrato gentile, che l'aveva salvata. Ma che ora si rifiutava di salvarla davvero.
«Devo essermi sbagliata. Dimentica ciò che ho detto.» mormorò quindi, alzandosi dalla sedia e lanciando le monete necessarie a pagare il caffè sul tavolino. Non aveva voglia di sentirsi in debito con nessuno. «A quanto pare ho creduto che fossi diverso dagli altri. Chissà perché, poi... sarà che sono ancora una ragazzina ingenua come dicono tutti. Inutile sperare che qualcuno possa comprendere come ci si senta a essere me.»
Gli voltò le spalle, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Sei una persona gentile, comunque. Grazie per avermi salvata da quei criminali. Ora non mi resta che sopravvivere a tutti gli altri giorni della mia vita.»
Rapidamente attraversò la stanza e uscì dal locale senza pensarci due volte.
«Cacciatore, aspetta!» provò a fermarla Bucciarati alzandosi e muovendo qualche passo, smosso dal senso di compassione che aveva suscitato in lui e temendo di aver sbagliato.
Tuttavia, era troppo tardi. Irene non sarebbe tornata indietro.
Un cameriere si avvicinò al suo tavolo, perplesso.
«Signor Bucciarati, va tutto bene? Ha bisogno di qualcos'altro?» chiese cortesemente.
Con un sospiro, l'uomo si lasciò ricadere sulla sedia e si massaggiò le tempie.
«No, no. Sto bene così. Ti ringrazio.» rispose, pur non stando affatto bene. Sapeva che il rimpianto di non aver aiutato una persona bisognosa di aiuto l'avrebbe tormentato. Doveva, quindi, fare qualcosa per rimediare.
Nel frattempo, però, lanciò un'occhiata alla sedia vuota difronte a sé: sul tavolo, dal lato in cui era stata servita Irene, adesso non vi era che un cucchiaino di ferro accartocciato come se fosse fatto di alluminio.

 
[ * * * ]
 
Salve, cari lettori! Rieccomi tornata con un nuovo capitolo che apre finalmente la bizzarra avventura che Irene dovrà affrontare in questa storia. Abbiamo un Bruno che, come al solito, tende a non voler trascinare nell'organizzazione giovani promettenti, e un'Irene che invece sa benissimo di non avere alcuna speranza di avere una vita normale e tranquilla che le è stata negata sin dalla nascita. La vera domanda è: cosa accadrà adesso? Bruno cambierà idea o sarà Irene a cercare un modo di aggirarlo? E soprattutto, dove sono gli altri membri della gang? Nei prossimi capitoli troverete personaggi non ancora visti e tante informazioni in più. Se intanto avete voglia di lasciare una recensione, mi farà più che piacere conoscere il vostro parere! Ringrazio chi ne ha lasciata una nello scorso capitolo, sono lieta che la storia vi stia piacendo! Per adesso vi saluto, ma ci vedremo nel prossimo capitolo. Un abbraccio! Arrivederci!

 

   
 
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