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Autore: Fanny Jumping Sparrow    10/02/2020    6 recensioni
Com'è germogliato e si è evoluto il profondo sentimento di affetto, attrazione, fiducia, stima, amore che lega i nostri due sweeper preferiti? Hojo ha lasciato molti punti in sospeso, sia sull'inizio, sia sul durante che sul dopo la loro convivenza. Con questa raccolta di one-shot mi propongo di trattare alcuni missing moments, ispirati dalle tavole del manga o da episodi dell'anime, oppure di mia spontanea invenzione.
Commenti e opinioni sono sempre graditi :D
Buona lettura!)
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Ben ritrovate care lettrici :)
Chiedo umilmente scusa per il ritardo con cui arrivo oggi a postare questo nuovo capitoletto che avevo già abbozzato da un po' su carta, ma purtroppo svariati contrattempi mi hanno impedito di concluderlo prima ^.^".
Come introduzione voglio solo anticiparvi che questa volta mi sono soffermata sulla questione "attrazione fisica reciproca", narrando un po' le turbe che i due possano aver provato i primi tempi della loro convivenza.
Mi sono divertita a immaginare alcune scene e battute e spero come sempre di aver mantenuto il carattere di entrambi senza esagerazioni.
La narrazione si colloca attorno all'episodio del manga "Coi cattivi non si tratta" che a mio parere aveva un grosso spunto rimasto nell'ombra XD
Ringraziando come sempre chi mi sostiene leggendo, seguendo, preferendo e commentando, vi mando un affettuoso saluto.
Alla prossima!)



III – Pensieri proibiti

Trangugiò con un risucchio rumoroso le ultime preziose gocce di quel frullato energetico di sua invenzione, sotto lo sbigottimento di due occhi color cioccolato sgranati e incorniciati da lunghe ciglia.
Erano sempre accesi da un vivo interesse, quegli occhi, quando si posavano sulla sua persona. Ma non c’era alcuna ombra di malizia nel fondo di quelle iridi cristalline, quanto una schietta curiosità unita al vivo desiderio di imparare tutto ciò che sapeva o faceva lui.
Doveva essere stata una studentessa modello ai tempi del liceo, di contro lui non era mai andato a scuola e il ruolo del maestro non era sicuro gli riuscisse bene interpretarlo. Finora non le aveva certo indorato la pillola, eppure lei, pur protestando, non aveva esitato più di tanto quando era giunto il momento di agire e non aveva quasi battuto ciglio vedendogli uccidere a sangue freddo dei biechi assassini. Chiunque altra se ne sarebbe già scappata a gambe levate dopo tutte le situazioni rocambolesche in cui l’aveva coinvolta e la scarsa accoglienza che le aveva riservato in quei primi tre mesi di convivenza, invece lei continuava a non demordere. Era proprio una ragazza ostinata e molto motivata: non si sarebbe mai aspettato che, giovane e spensierata com’era, sarebbe rimasta fedele alla sua promessa.

«Beh, allora? Che fai ancora qui impalata?», la richiamò, annoiato dal suo assillante scrutarlo mentre finiva di consumare l’abbondante colazione che gli aveva preparato con tanta premura. «Ce l’hai qualche costume da bagno decente?»
Kaori si mise subito sull’attenti, ignorando quel suo deliberato sarcasmo: «Sì, certo. Ne dovrei avere almeno un paio».
«Intero o bikini?», farfugliò di riflesso Ryo, dando un morso ad un cornetto, pentendosi un attimo dopo del tono licenzioso di quella domanda che gli era scappata così, senza pensarci, o meglio soffermandosi istintivamente ad immaginare le due alternative con cui avrebbe potuto adocchiare le sue nudità.
Lei però doveva essere soprappensiero e sembrò non averlo sentito: «Eh? Allora vuol dire che posso accompagnarti?», domandò speranzosa, restando a mezz’aria con le tazze sporche che stava per riporre nel lavabo.
«Certo! Sei o non sei la mia aspirante assistente?», replicò lui con la più assoluta ovvietà, accendendole un sorriso raggiante. Poi, dandosi un contegno compassato, aggiunse: «Ad una condizione: mi raccomando, dovrai fare una ceretta molto accurata, soprattutto all’inguine. Sarà essenziale per il piano che ho in mente».
Sul volto della coinquilina balenò un’ondata di sdegno: «Ma come ti permetti! Svergognato!», gli strillò contro a pieni polmoni, ribaltando il tavolo e allontanandosi a passo sostenuto verso la sua camera.
«Che permalosa!», bofonchiò Ryo stizzito, riemergendo dal pavimento e tentando di recuperare quel poco che non era andato in frantumi.

Quando si arrabbiava, quella matta sfoderava una forza incredibile. Provocarla era estremamente semplice e lo divertiva parecchio. Si augurò che gli reggesse la recita senza troppe storie, perché incontrare il capo dei Ryujin non lo esaltava per niente, anzi laddove quella novellina vedeva una facile fonte di guadagno, lui sospettava che dietro quell’insolita richiesta di protezione potesse esserci qualche tranello. C’era troppa gente che lo voleva morto tra la mafia giapponese.

Con queste cupe riflessioni lasciò la cucina nel disordine, rinunciando a sistemare il resto, e si affrettò a prepararsi anche lui per quella spiacevole uscita. L’unica nota positiva, visto il particolare luogo dell’appuntamento, sarebbe stata poter ammirare tante donne seminude per di più in acqua.
Allettato da quella prospettiva, in dieci minuti si era lavato, rasato, aveva indossato il suo costumino migliore ed era già pronto ad uscire, ma la sua suscettibile aiutante tardava a comparire, tanto che iniziò a supporre che davvero non si depilasse da tempo. Si adagiò sul divano, i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani, sbuffando spazientito.
Dopo un buon quarto d’ora finalmente udì i suoi passi appropinquarsi al soggiorno.

«Ah, con questa calda giornata di sole un bel tuffo in piscina è proprio l’ideale!» cinguettò briosa, facendo risuonare i sandali dalle suole di legno sul parquet.
Era la gioia di vivere, anche se quei bermuda bianchi a righe arancioni, quella canotta gialla e quel cappellino rosso con la visiera larga non ostentavano un gran gusto nel vestire. Ed era anche più coperta di quanto non avesse intimamente sperato di vederla.
Le lanciò un’occhiata di sufficienza: «Rispogliati».
«Perché? Oh no. Non dirmi che l’incontro è saltato», s’imbronciò Kaori, affranta già dall’idea di dover rinunciare al piacevole diversivo della giornata.
Ryo dissentì e si alzò, girandole intorno ed esaminandola come se cercasse di indovinare cosa celasse sotto quegli abiti o volesse prenderle le misure: «Dovrò affidarti la mia M-36. Sarò in costume anch’io, perciò non potrò portarmi la fondina in bella vista».
La ragazza si agitò per la sua insistente vicinanza, non capendo quale fosse il suo vero intento: «Ed io dove dovrei metterla, scusa?»
Un largo sorriso irriverente si disegnò sulla bocca dello sweeper, che le porse la sua letale magnum insieme ad un rettangolo di stoffa ripiegato: «Indosserai questo pareo e me la terrai in caldo tra le tue insospettabili coscette innocenti!»
La socia sbiancò: «Ma tu sei proprio malato!», lo accusò indignata, incrociando le braccia e le gambe, come a nascondersi ai suoi occhi.
«Ti sbagli, guarda che è un’idea geniale. A nessuno verrà in mente di perquisire una dolce e innocua fanciulla», asserì lui con convinzione. «Bisogna essere previdenti con quei tizi, sono pur sempre della Yakuza. È gente dedita agli imbrogli e alla violenza» sottolineò più seriamente, confidando di riuscire così a persuaderla ad appoggiare il suo astuto stratagemma.
Kaori si mordicchiò le labbra, riluttante e contrariata, meditando sulla plausibilità della sua spiegazione: «Ma scusa, non potresti nascondertela tu nelle mutande?», propose con franchezza, dandogli prova di non voler ancora accondiscendere a quella proposta che, pudica com’era, doveva giudicare indecente.
«Da me non c’è spazio!» ridacchiò lui con una certa spudoratezza.
Al che la socia, assumendo la colorazione di un peperone, lo sorpassò con un sospiro esasperato: «Eh va bene. Da’ qua», acconsentì afferrando bruscamente la colt e il lungo telo di cotone e così dicendo cominciò a spogliarsi del pantaloncino, sotto lo sguardo attento e involontariamente famelico del collega che le si apprestò, volendole suggerire come meglio sistemare la fascia elastica in cui doveva inserire la pistola.
«Non ti azzardare a toccarmi!», lo minacciò subito lei, pur con le dita tremanti nel reggere quell’arma, non sapendo bene come poterla occultare.
«No no, figurati», la rassicurò Ryo, sperando non si accorgesse del suo improvviso aumento di salivazione nello scorgere la canna della sua pistola sfiorarle la carne così tonica, liscia e lattea delle cosce. Aveva solo vent’anni e probabilmente nessun uomo l’aveva mai accarezzata lì. Gli cominciarono a prudere le mani a guardare quel meraviglioso spettacolo restando fermo e buono.
Si biasimò all’istante, tirandosi un colpetto sulla tempia: non poteva rivolgerle certi pensieri peccaminosi, se l’era ripromesso e doveva riuscirci!
Deglutì un grumo di saliva e si voltò per evitare di fissarla ancora più del dovuto.

Kaori intanto finì di assicurare la fondina poco sopra il ginocchio e si annodò il pareo alla vita, accennando qualche passo per prendere confidenza con quell’impedimento.
«Per la miseria, cerca di camminare in maniera più femminile! Così sembri un camionista con un’ernia scrotale!», la motteggiò Ryo, sentendosi un po’ meno eccitato grazie alla sua comica goffaggine.
Il suo sfrontato divertimento accrebbe ancora di più il nervosismo della ragazza, che adesso iniziava a temere quell’assurdo espediente fosse solo un pretesto per deriderla e sottoporre ad un qualche test il suo carattere non esattamente accomodante.
«Guarda che ho inserito la sicura, non partirà nessun colpo, se eviterai movimenti inconsulti», continuò a scompisciarsi, rotolando per terra e battendo i pugni, con l’impertinenza di un bambino dispettoso.
Kaori era al limite della sopportazione: «Vorrei vedere te a dover camminare con un affare ingombrante tra le gambe!», gridò d’impulso, insultandosi subito dopo per essere stata tanto ingenua da offrirgli l’occasione per qualche becera battuta.
Infatti Ryo si rialzò con un colpo di reni, allargando le braccia: «Lo faccio tutti i giorni, cara», ammiccò gradasso indicandosi sotto la cintura e scoppiando di nuovo a ridere stupidamente.

Lei, oramai rossa come un papavero, serrò le gambe e si defilò con andatura indignata verso la porta d’ingresso, tallonata dal socio che non si era ancora saziato di prenderla in giro con quella sua ennesima trovata stravagante.
Che fosse un investigatore sui generis lo aveva già intuito qualche anno addietro, quando lo aveva incontrato per la prima volta e, suo malgrado, si era ritrovata a seguirlo in una pericolosa indagine, ma in quelle prime settimane ne aveva avuto conferma in più di un’occasione: Ryo Saeba usava metodi decisamente poco ortodossi, eppure, chissà come, efficaci.
Aveva anche appreso che nella sua personale scala di valori il denaro occupava l’ultimo posto. In quel lasso di tempo avevano accettato incarichi di poco conto che non avevano certo rimpinguato le loro scarse finanze e che il suo collega aveva risolto in un lampo, con consumata abilità: un gioielliere taglieggiato da un piccolo boss di quartiere, alcuni commercianti finiti nel mirino di una banda di ladruncoli, una donna non più nel fiore degli anni perseguitata dal suo ex geloso e vendicativo.

Anche se ripudiava la malavita, lei aveva creduto che quell’ingaggio da parte di un potente uomo d’affari potesse essere proficuo, ma l’unico motivo per cui Ryo aveva accettato era stato per darle una lezione su chi fosse realmente il loro discutibile cliente, che, in effetti, al primo disaccordo aveva tentato di raggirarli per i propri comodi, senza farsi scrupoli.
E così si era resa conto di avere ancora molto da imparare di quell’ambiente tanto insidioso in cui si era affacciata da pochissimo e forse con una gran bella dose d’incoscienza, ragionò amareggiata, osservando il suo collega esercitarsi al poligono di tiro da dietro lo spesso vetro che insonorizzava quel locale sotterraneo.
Lei ci si recava di rado, giusto per dare una sommaria pulita anche lì sotto, dato che lui era solito portarsi qualche snack o qualche lattina che poi puntualmente abbandonava, senza preoccuparsi di gettarle nel bidone situato nell’androne adiacente. Talvolta rimaneva a studiarlo per parecchi minuti, chiedendosi da chi, come e quando avesse imparato a maneggiare le armi da fuoco con una precisione e una prontezza così eccezionali.

Per quanto fosse spesso di una spavalderia irritante e incline a dubbie battute di spirito, nei momenti più seri e tranquilli non si era mai aperto a certe confidenze, a raccontargli qualcosa di lui, né le aveva rivolto le domande più scontate che si potevano porre all’inizio di una relazione per fare conoscenza. Quando era stata lei a buttare qua e là qualche banale interrogativo per tentare di estorcergli delle informazioni, Saeba aveva tergiversato, diventando quasi burbero e introverso, e allora non aveva più insistito.
Non era solita impicciarsi nei fatti privati degli altri e non sopportava l’idea di apparirgli troppo interessata a lui.
Ma studiando le sue espressioni aveva cominciato a pensare che era come se ci fossero due personalità racchiuse in lui. La qual cosa la intrigava, più di quanto non volesse.
Anche spiarlo, così assorto e concentrato, quegli occhi profondi, il braccio teso, tendini e vene in evidenza, i muscoli contratti sotto la maglia aderente e quei jeans attillati, le provocava uno strano formicolio che si propagava per tutta la pelle e non risparmiava lo stomaco.
Tenere tra le cosce quella stessa pistola che adesso lui stava impugnando con sicurezza centrando ripetutamente un bersaglio a metri di distanza, soppesarne la pericolosità e la pesantezza, era stato bizzarro, incauto e in qualche modo … sexy?
L’aveva anche presa cavalcioni sulle sue spalle, che erano così larghe e solide, come il suo corpo, che più volte le aveva fatto da scudo pressandosi sul suo. Aveva avuto più contatti ravvicinati con lui che con qualsiasi altro individuo di sesso maschile in vent’anni.

Kaori scosse la testa avvampando come un cerino: non era da lei concepire pensieri di quel genere, ma era inutile negare che quell’uomo fosse sfacciatamente virile.
Aveva un fisico statuario che poteva gareggiare solo con quello di certe sculture greche che aveva ammirato sfogliando i libri di storia dell’arte. E spesso e volentieri esibiva senza ritegno quel tripudio di pettorali, tricipiti e addominali che parevano cesellati da un abile scalpellino, gironzolando per casa con uno striminzito asciugamano arrotolato sotto l’ombelico che lasciava poco spazio all’immaginazione, anzi la induceva ad intraprendere sentieri da lei inesplorati prima di conoscerlo ...
In quel momento ebbe l’impressione che le sue labbra si fossero piegate in un sorrisetto compiaciuto e, sentendosi di colpo scoperta, decise di non indugiare oltre, per non fornirgli il presupposto di farsi qualche falsa considerazione sul suo conto.
Infilò l’ascensore e risalì al loro appartamento, dedicandosi a rassettare e, programmando che, una volta finito, sarebbe andata al parco per una lunga passeggiata scacciapensieri.


Dopo una rapida sessione di allenamento con pesi e flessioni e una doccia veloce, Ryo stabilì che, non essendovi urgenze da affrontare, avrebbe poltrito per il resto del pomeriggio, per poi magari uscire in tarda serata a spassarsela un po’ in qualche locale notturno e origliare che non vi fossero chiacchiere sulla presenza di qualche nuovo soggetto potenzialmente pericoloso da cui doversi aspettare rogne.
Stava ciabattando pigramente sul pianerottolo, diretto a rientrare nella sua stanza quando il suo sguardo venne calamitato da un oggetto che non faticò ad identificare. Era un reggiseno bianco di semplice fattura che inspiegabilmente giaceva proprio nel bel mezzo del corridoio. Non ricordava di averlo mai visto indossare a qualcuna delle sue precedenti conquiste, perciò doveva necessariamente appartenere alla sua coinquilina: era privo di orpelli, proprio come lei. 
Il suo cervello avrebbe voluto ignorarlo, ma quell’istinto animale che spesso lo dominava non poteva esimersi dal desiderio di esaminarlo meglio e, perché no, anche annusarlo. Prima ancora che finisse di valutare l’opportunità di chinarsi a raccoglierlo, lo aveva già tra le mani e ne inspirava il profumo che però, con sua disdetta, era camuffato da quello del detersivo ai fiori di campo che aveva dovuto usare per lavarlo.

«Ryooooo!»

Lo strillo acuto e collerico della ragazza gli arrivò alle orecchie come una sirena d’allarme. Di riflesso intascò il reperto incriminato guardandosi attorno per accertarsi che non lo avesse visto, ma era improbabile poiché la sua voce proveniva dal bagno del piano di sotto. Si sporse dalla ringhiera per sbirciare non riuscendo a vederla e sentendola ancora chiamarlo a squarciagola, con l’impellenza di chi si trovasse in difficoltà. Immaginò che poteva essersi imbattuta in qualche scarafaggio strisciato fuori dalle vecchie tubature intasate. Oppure che fosse nella vasca e avesse bisogno che gli portasse del sapone o un asciugamano …
Stuzzicato da quell’eventualità, zampettò con la sveltezza di un grillo verso la fonte di quell’insistente richiamo, schiudendo cautamente la porta.
«Ma che succede? Che hai da strillare come un’ossessa?», la interrogò con strafottenza, contrariandosi un po’ nel trovarsela di fronte in shorts e cardigan.
Lei piantò le mani ai fianchi, accigliandosi: «Succede che sono arcistufa di raccogliere le tue cicche! Adesso fumi anche mentre stai sulla tazza del cesso?» disapprovò risentita, indicandogli il fondo del gabinetto.
Ryo dalla veemenza di quell’esternazione non capì se fosse soltanto irritata dalle sue cattive abitudini o anche preoccupata per la sua salute.
«Chissà che mi ero immaginato» biascicò infastidito, facendo per andarsene, ma lei lo afferrò di prepotenza per un braccio.
«Che aspetti? Toglila da lì!», gli ordinò col puntiglio di un tirannico generale.
Lui si urtò per quell’assurda pretesa: «Vuoi scherzare? Dovrei ficcare la mano nella tua pipì?!»
Le guance di Kaori si colorarono: «Scemo! Ancora non mi ero neanche seduta!»
Rimase un paio di secondi a sfidarla, benché fosse davvero una causa persa e insensata. Aveva di meglio da fare. Buttarsi a letto a sfogliare qualche rivista hard, ad esempio.
«Tira lo sciacquone e non ci pensare più!», liquidò la questione, azionando la manopola.
Le pupille sconcertate della ragazza si abbassarono e il suo indice gli sembrò puntare verso il cavallo dei suoi pantaloni: «E questo
Ryo si esaminò non notando alcuno sconveniente rigonfiamento in zona inguinale e allora intuì che lei si stesse riferendo ad altro: «Ecco, vedi? Anch’io sono costretto a raccattare la roba che lasci in giro!», la rimproverò aspro, sventolando il reggiseno che evidentemente non era riuscito ad occultare così bene come credeva.
La coinquilina se ne riappropriò di scatto, arrossendo d’imbarazzo: «Mi sarà scivolato dalla cesta del bucato quando sono andata a ritirare i panni stesi!», cincischiò offesa dalla sua insinuazione. «Ma perché ce lo avevi in tasca?», assottigliò poi lo sguardo con ritrosia e indignazione.
Sì sentì messo alle strette. Doveva sospettare che fosse un individuo con tendenze maniacali, ma non voleva che lo credesse capace di saltarle addosso. Aveva un’ossessione incontrollabile per la biancheria intima femminile, non certo per lei.
Le appoggiò le mani sulle spalle, sforzandosi di non lasciar trapelare il suo rimescolamento interiore: «Kaori? … Scusa ma tu non dovevi pisciare?»
La bocca della ragazza si spalancò senza articolare alcun suono, al che lui ne approfittò per indietreggiare.
«Sei proprio un gran maleducato!» esplose improvvisamente, tirandogli un rotolo di carta igienica e qualche flacone di bagno schiuma. «E portati via queste schifezze, porco!» seguitò ad imprecare, lanciandogli dietro dei giornaletti porno che aveva rinvenuto anche in mezzo agli asciugamani riposti nel mobiletto del bagno.
Lui si riparò da quel furioso lancio di oggetti, schermendosi con la porta: «Vado a fumare! In terrazzo».

Risalendo a trarre una boccata d’aria e di fumo sul tetto del palazzo, Ryo convenne che per quella volta se l’era scansata, ma in futuro avrebbe dovuto impedire al suo autocontrollo di vacillare. Non voleva flirtare con lei, solo gli veniva naturale, come respirare. Tutto sommato quella ragazzotta infantile e cocciuta non era poi così avvenente. E lui avrebbe potuto trovare bellezze di gran lunga superiori per le affollatissime strade della città.
Gli sarebbe bastato vestirsi in modo un po’ più ricercato, sciorinare qualche bella frase romantica ad effetto e in uno schiocco di dita avrebbe avuto tante donne da spomparsi. Inoltre era appena entrato in possesso di ben cento milioni di yen. Molte signorine mokkori di Kabukicho sarebbero state ben liete di aiutarlo a spendere quella grossa cifra.
Fremeva tutto di lascivia al solo prospettarsi i divertimenti sfrenati che avrebbe potuto concedersi circondato da qualche piacevole compagnia a partire da quella notte.

Il problema sorse l’indomani.
Kaori era ancora lì. E il giorno dopo lo stesso. Lei, la sua prorompente semplicità e quel suo fisichino fresco e pimpante che si muoveva per casa, ignaro di suscitare pensieri spudorati che lui si affrettava a soffocare prima che potessero ridestare l’amico dei piani bassi e lo spingessero ad affacciarsi a salutare.
Era seduto a tavola in attesa che la cena fosse pronta, un giornale autorevole sotto gli occhi e le narici stuzzicate dagli invitanti odorini che si sprigionavano dal soffritto che andava cuocendosi sul fuoco. Non aveva mai mangiato tanto bene come da quando c’era lei ad adoperarsi a preparargli qualcosa. Avere una donna per casa e non più solo tra le lenzuola aveva dei vantaggi non indifferenti, si compiacque tra sé e sé.
E inevitabilmente smise di prestare attenzione alle notizie di cronaca sulla carta stampata, venendo ipnotizzato da quel sederino fischiettante delineato da una gonnellina molto corta che se ne stava a poche spanne da lui, curvato sul bordo del tavolo in una posizione involontariamente provocante. Il suo collo stava cominciando a piegarsi per sbirciarle sotto l’orlo, ma per l’ennesima volta s’insultò mentalmente con i peggiori epiteti per la sua costante fregola: non poteva capitolare per così poco, non proprio con lei!

«Sai, con i soldi di quell’ippopotamo forse riusciremo a saldare un bel po’ di debiti arretrati», asserì la sua allieva, spezzando il flusso dei suoi grattacapi interiori, continuando a scartabellare una serie di ricevute e bollette e scarabocchiando dei calcoli su un bloc-notes.
Lui s’inumidì i polpastrelli, scorrendo la pagina dedicata allo sport: «Davvero?», barbugliò sbadatamente, sentendosi un po’ in colpa perché in realtà nelle ultime due notti, a sua insaputa, aveva già speso quasi la metà di quell’astronomica somma, tra bevute, mazzette, pollastrelle e donazioni.
Kaori si versò un bicchiere d’aranciata, bevendone un sorso: «Te l’ho detto che ho sempre avuto il massimo dei voti in matematica», gli fece l’occhiolino tornando ai fornelli, canticchiando un motivetto che lui non conosceva.
Nonostante fosse preda di frequenti scatti d’ira, poi tornava sempre di buonumore. Avrebbe potuto provarci più apertamente, e lei forse lo avrebbe anche assecondato, ma sarebbe stato solo un capriccio momentaneo e poi non avrebbero più potuto conviverci.
Quella dissennata infatuazione doveva avere fine.

«Senti, Kaori … » esordì con una voce più bassa e calda di quanto non avesse previsto, facendola irrigidire mentre rimescolava le verdure in padella. «Dovresti vestirti meno».
L’interpellata si voltò a fissarlo, sbattendo le palpebre, incredula e smarrita: «Meno
«Meno con le minigonne», puntualizzò reprimendo un sorriso nervoso, «Non sono pratiche per gli inseguimenti. E poi non ti stanno per niente bene con quelle gambette rachitiche e quelle chiappe secche che ti ritrovi», vomitò convulsamente con quanta più cattiveria gli riuscisse di simulare.
Kaori strinse i denti, ingoiando un brontolio e un singhiozzo. Incenerendolo con due occhi di brace si slacciò il grembiule, scagliandoglielo sul piatto e si allontanò dalla cucina con un diavolo per capello.

«E la cena?»
Udì lagnarsi con arroganza l’incorreggibile socio.
«Arrangiati!», gli sbraitò dalla sala accanto, rifugiandosi nella sua stanza, al riparo dalle sue scostumate osservazioni che le solleticavano i nervi.

Aprì l’armadio per cercare un paio di comodi pantaloni, scrutandosi nello specchio collocato all’interno di un’anta. Forse aveva un po’ allentato gli esercizi di aerobica, ma non si vedeva poi così fuori forma.

Si alterò per aver dato peso alla sua cafonaggine, perché non valeva proprio la pena arrabbiarsi per un tipo sbruffone, immaturo e scostante come quello. Doveva reputarsi un esperto in materia di gentil sesso, ma con lei non dimostrava di avere alcun tatto né comprensione. Cominciava persino a dubitare che riuscisse a sedurre così tante belle donne come si vantava.
Avrebbe dovuto sentirsi sollevata di non essere oggetto delle sue sporche mire, invece aveva provato fastidio e un po’ di delusione per quelle parole offensive.
Non la considerava una donna, non la considerava affatto.
Già dai primi giorni non aveva avuto molte aspettative, né si era ingannata di poterlo disciplinare un po’, ma più ci si scontrava, più si accorgeva che non era per niente facile adattarsi alla convivenza forzata con quello scapestrato.
Però non voleva arrendersi, si sarebbe impegnata ancora di più, con tutta se stessa per carpirgli ogni segreto professionale, diventare un’indispensabile compagna di lavoro e non farsi più sminuire.


   
 
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